S. GUGLIELMO DI BOURGES (+1209)

Fin dall’inizio del suo pontificato la fermezza nell’esercizio del ministero gli cagionò persecuzioni e prove dolorose. Egli si attirò soprattutto la collera del re di Francia, Filippo II Augusto, il Conquistatore, mandando ad esecuzione nella propria diocesi, la sentenza d’interdetto emanata dal Papa Innocenzo in contro di lui perché aveva ripudiato la sua sposa, Ingelburga, per unirsi con Agnese, figlia di Bertoldo, duca di Merano (Tirolo). A motivo della sospensione del culto la città di Bourges assunse un aspetto lugubre. I prudenti, secondo la carne, consigliarono al Santo la sottomissione al re, altri giunsero a minacciargli la confisca dei beni, ma egli mantenne con fermezza le misure prese. Anche i canonici della cattedrale insorsero contro di lui perché contrariamente all’uso del tempo, voleva riservare a sé il conferimento delle prebende.

10 gennaio


Guglielmo nacque nella prima metà. del secolo XII ad Arthel, nel dipartimento della Nièvre (Francia), dall’antica famiglia dei conti di Nevers. La mamma provvide all’educazione del figlio affidandolo alle cure di suo fratello, arcidiacono di Soissons, chiamato l’eremita a motivo dell’austerità di vita. Presso di lui Guglielmo imparò a fuggire i pericoli del mondo, a disprezzare le ricchezze, e a ricercare le gioie più pure nella preghiera e nello studio.


Ancora in giovane età il Santo fu nominato successivamente canonico delle chiese di Soissons e di Parigi. La sua anima però sentiva il bisogno di una vita più austera e di silenzio per immergersi nella contemplazione di Dio. Rinunciò quindi ai suoi benefici ed entrò a Grandmont tra gli eremiti fondati nel 1076 da S. Stefano di Thiers sui monti di Muret, presso Limoges. Non tardò tuttavia ad abbandonare il monastero, perché invece della sospirata pace, trovò i coristi e i conversi divisi da deplorevoli controversie. Si rifugiò allora nell’abbazia cistercense di Pontigny, che godeva fama di vita austera. Colà Guglielmo non tardò a diventare per i religiosi un modello di perfezione. I suoi progressi nella vita religiosa dovettero essere rapidi, se meritò di essere eletto Priore del monastero, e successivamente abate di due filiazioni di Pontigny, quella di Fontaine-St Jean, nella diocesi di Sens e poi, nel 1187, quella di Chàlis, fondata presso Senlis, nel 1136, da Luigi VI il Grosso. Nonostante la sua carica, Guglielmo si considerava come l’ultimo tra i suoi fratelli e il servitore di lutti. La continua mortificazione dei sensi e delle passioni fu per lui sorgente di una inviolabile pace e gaudio spirituali che gli trasparivano dal volto.


Guglielmo non pensava che a santificarsi nella solitudine della sua abbazia quando l’archidiocesi di Bourges, nel dipartimento di Cher, rimase orbata del suo arcivescovo, Enrico di Sully. Gli elettori, non essendosi accordati sulla scelta del successore di lui, convennero di affidarne il compito all’arcivescovo di Parigi, Eudes di Sully, membro del collegio elettorale nella sua qualità di cantore della diocesi di Bourges.


Gli posero una sola condizione, cioè di fare la sua scelta tra i tre abati dell’Ordine Cistercense da loro proposti. Dopo molte preghiere, l’arcivescovo si recò la mattina del 23-11-1200 alla chiesa di Notre-Dame de Sales, depose sulla tovaglia dell’altare i biglietti coi rispettivi nomi degli abati da eleggere, celebrò la Messa e, al termine, ne prese uno a caso. Era proprio quello che recava scritto il nome di Guglielmo, abate di Chàlis. Quella designazione, conforme al desiderio generale, fu interpretata come una manifestazione miracolosa della volontà di Dio. L’arcivescovo corse allora alla chiesa di St-Etienne de Bourges e, dall’altar maggiore, narrò ai canonici e al popolo radunati quanto era avvenuto. Tutta l’assemblea scoppiò in fragorose grida di gioia.


Guglielmo, nella sua abbazia, ignorava quello che avveniva a Bourges. Quando gli portarono la notizia della sua elezione a vescovo ne rimase meravigliato e sgomento. Per determinarlo a lasciare l’amato ritiro occorsero gli ordini dell’abate di Citeaux e del legato pontificio. Nel prendere possesso dell’archidiocesi, sua prima cura fu di regolare la propria vita sulle norme del Vangelo, per poter stabilire nelle anime dei fedeli il regno di Gesù Cristo. Moltiplicò le austerità perché doveva espiare – diceva – i suoi peccati e quelli di tutto il popolo. D’inverno come d’estate conservò l’abito monastico sotto il quale portava continuamente un cilicio. Fedele alla regola cistercense, non mangiò mai carne, benché ne facesse servire agli ospiti che riceveva e trattava con grande liberalità.


Fin dall’inizio del suo pontificato la fermezza nell’esercizio del ministero gli cagionò persecuzioni e prove dolorose. Egli si attirò soprattutto la collera del re di Francia, Filippo II Augusto, il Conquistatore, mandando ad esecuzione nella propria diocesi, la sentenza d’interdetto emanata dal Papa Innocenzo in contro di lui perché aveva ripudiato la sua sposa, Ingelburga, per unirsi con Agnese, figlia di Bertoldo, duca di Merano (Tirolo). A motivo della sospensione del culto la città di Bourges assunse un aspetto lugubre.


I prudenti, secondo la carne, consigliarono al Santo la sottomissione al re, altri giunsero a minacciargli la confisca dei beni, ma egli mantenne con fermezza le misure prese. Anche i canonici della cattedrale insorsero contro di lui perché contrariamente all’uso del tempo, voleva riservare a sé il conferimento delle prebende. Nel corso dello spiacevole conflitto il clero della cattedrale mancò gravemente di rispetto al proprio arcivescovo il quale sapeva unire la dolcezza alla fortezza. Col tempo, però, Dio ricondusse la concordia tra il padre e i figli. I canonici deprecarono i loro affronti, fecero atto di ubbidienza al vescovo e gli riconobbero il diritto esclusivo di disporre dei benefici. Come si faceva del resto a resistere ad un pastore così santo, che si presentava come il perfetto modello delle più solide virtù? Anche il re, pentito, restituì a Guglielmo la sua amicizia e la sua stima.


Per dieci anni il Santo governò l’arcidiocesi di Bourges. Gli furono sufficienti per imporsi a tutti con la sua dolcezza e affabilità, per guadagnarsi la stima anche dei cuori più prevenuti contro di lui. Particolare benevolenza egli dimostrò per i bisognosi. Alla vista delle miserie dei poveri non sapeva trattenere le lacrime. Visitò i prigionieri nelle carceri, i miserabili nei loro tuguri, ebbe cura degli orfani e delle vedove, curò le piaghe dei malati, soccorse gli affamati. Dio gli aveva concesso il dono dei miracoli, ed egli se ne servi per i casi più pietosi, imponendo con ostinazione il silenzio alla gratitudine degli innumerevoli beneficiati che lo ritenevano un Santo.


In quel tempo nella Francia meridionale imperversava l’eresia degli Albigesi o Càtari, i quali erano riusciti ad affermarsi e ad organizzarsi in modo minaccioso per la Chiesa e la Società civile. Innocenze III se n’era preoccupato assai e aveva bandito contro il loro e Raimondo VI di Tolosa che li proteggeva, una crociata, capitanata da Simone di Montfort e dal legato pontificio, l’abate Arnaldo di Citeaux. Già S. Domenico aveva svolto tra loro con abnegazione un’intensa opera missionaria col proprio vescovo, Diego de Azevedo (+1207), ma con scarsi risultati perché non era riuscito a ridurre al silenzio i rimproveri che essi facevano alla Chiesa per le ricchezze e il lusso del clero.


Anche Guglielmo aveva risposto all’accorato appello del papa, aveva preso la croce e, malgrado la tarda età, si disponeva a marciare alla testa dei fedeli contro i sostenitori del doppio principio eterno del bene e del male e i negatori della SS. Trinità. dell’Incarnazione del Verbo, della libertà umana e della risurrezione della carne, quando, al principio del 1209, prese freddo mentre predicava la crociata in cattedrale, esposta a tutti i venti forse per lavori di restauro. Benché assalito da violenta febbre, il giorno dopo volle riprendere la predicazione, ma le forze gli vennero meno. Il 5-1-1209 si mise a letto, e poiché il male progrediva, fece testamento e chiese la santa unzione. Prima però di ricevere il viatico, in uno sforzo supremo volle alzarsi e inginocchiarsi per terra. Poi supplicò i canonici affinchè non si opponessero al trasporto del suo corpo tra i suoi confratelli di Chàlis. Il 10 gennaio, al momento di esalare l’ultimo respiro, egli volle essere disteso per terra, rivestito dei suoi abiti pontificali, sopra un cilicio coperto di cenere. Sul suo capo egli vide distintamente degli Angeli agitare le ali. Tese loro le tiracela, li invocò e con essi spiccò il volo verso la patria beata.


Il feretro fu esposto nella chiesa di Santo Stefano. Il popolo fin dalle campagne si riversò in massa in città a pregare e a piangere intorno alla bara del benefico pastore. Durante le esequie un globo di fuoco, simile a stella, fu visto distaccarsi dal firmamento e scendere sulla chiesa e un giovanetto, paralitico da tre anni, riacquistare l’uso delle gambe. I monaci di Chàlis, venuti con carro per trasportare nella loro chiesa il corpo dell’antico loro abate, a quei prodigi si convinsero essere manifesta volontà di Dio che rimanesse proprietà dell’arcidiocesi di Bourges. I miracoli sul sepolcro di lui si moltiplicarono talmente che il papa Onorio III ritenne opportuno canonizzarlo nel 1218. Le reliquie di San Guglielmo furono bruciate nel 1562 dagli ugonotti e le ceneri disperse al vento.



 Sac. Guido Pettinati SSP,


I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 144-147.


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