S. GIROLAMO EMILIANI (1486-1537)

Altra caratteristica del Santo fu il suo completo abbandono alla divina Provvidenza. Sono numerosi i miracoli che egli adoperò per non lasciare mancare ai suoi orfani il cibo necessario. Alcuni dei pani, da lui moltiplicati, si conservarono per oltre 25 anni senza guastarsi, e si mostrarono prodigiosi per ogni malattia. Molte volte accade che medicando un infermo, questi a contatto delle sue mani acquistò istantaneamente la salute. Per allontanare da sé qualsiasi sospetto di potere taumaturgico, si procurò una bottiglia d’acqua e, mostrandola a tutti, attribuiva ad essa le prodigiose guarigioni che otteneva invece con le sue preghiere.

Questo padre degli orfani, popolarmente chiamato Girolamo Miani, nacque a Venezia nel 1486, da antica e nobile famiglia militare e senatoria. Fin da giovane ricevette l’educazione propria dei patrizi destinati a continuare le tradizioni degli antenati. Girolamo, di temperamento ardente, iniziò la carriera delle armi al tempo della lega di Cambrai (1508), stipulata ai danni della Repubblica di Venezia tra il Papa Giulio II, l’imperatore di Germania Massimiliano I, il re di Francia Luigi XII e il re di Spagna Ferdinando il Cattolico. All’inizio del 1511 fu nominato ‘”provveditore” della guerra a Castelnuovo Friuli (Belluno), ma i suoi sogni di gloria furono frustrati dagli eserciti tedesco-francesi guidati dal generale Chabannes de la Palisse, i quali lo costrinsero a capitolare.
         La prigionia dell’Emiliani si protrasse per un mese, durante la quale ebbe modo di ripensare ai gravi disordini commessi sotto le armi, e ai buoni insegnamenti ricevuti dalla madre, la nobildonna Eleonora Morosini. Un giorno, mentre pentito proponeva di condurre una vita migliore, gli apparve la Madonna circondata da angeli, la quale gli porse una grossa chiave dicendogli: “Prendi, apri: sei libero”. Le catene gli caddero misteriosamente dalle mani. Egli si recò allora a Treviso e nella chiesa di Santa Maria Grande, dopo aver ringraziato la sua benefattrice, depose i ceppi e la chiave insieme con un “ex-voto” recante la descrizione della sua prodigiosa liberazione. Dopo d’allora gli fiorì abitualmente sul labbro l’invocazione: “Dolcissimo Gesù, non vogliate essermi giudice, ma salvatore”.
         Ricuperato il Friuli dalla Repubblica Veneta, Girolamo fu riconfermato nell’antico ufficio di “provveditore” di Castelnuovo sul Piave (1516-19). Durante quel soggiorno egli ebbe modo di approfondire i motivi del suo mutamento, e nella meditazione e nella preghiera prepararsi a divenire, pur rimanendo laico, l’istruttore dell’orfanotrofio come entità a sé stante.
        L’idea gli fu suggerita dal crescente numero di poveri figli, rimasti orfani in conseguenza delle guerre, delle carestie e delle pestilenze. Quando ritornò a Venezia, i suoi confratelli, Luca e Marco, prima di morire, gli affidarono l’educazione dei loro figli, tant’era grande la stima che avevano di lui. Nel 1524 Girolamo cominciò a raccogliere presso la chiesa di San Basilio, insieme con i suoi nipoti, i primi orfanelli, che avviò alla lavorazione della lana, l’arte propria della sua famiglia. I veneziani più volte contemplarono, commossi, approdare alla loro città navicelle provenienti dalle isolette di Burano, Torcello, Palestrina, cariche di orfani raccolti dall’Emiliani e da lui chiamati col tenero nome di “figliuoli”. Durante la peste che quell’anno afflisse la Repubblica il Santo fu instancabile. Mentre di giorno curava i malati, di notte si recava in traccia dei cadaveri per dare loro onorevole sepoltura.
          Girolamo, che i veneziani dopo la conversione avevano preso a chiamare la “savia testa”, nel 1527 promosse con l’aiuto dei patrizi e popolani la fondazione di un ospedale per derelitti. In quel tempo a Venezia riapparve San Gaetano da Thiene, accompagnato da Giampietro Carata, futuro papa Paolo IV e altri dodici religiosi che formavano la nascente Congregazione dei Teatini. Provenivano da Roma dove a stento erano riusciti a sfuggire al terribile sacco dei Lanzichenecchi, permesso da Carlo V a vendetta della politica francofila di Clemente VII. Era risaputo che egli aveva lavorato assai per estendere a Vicenza e a Verona i famosi Oratori del Divino Amore per l’assistenza ai malati, e che a Venezia aveva fondato alla Giudecca (1522) la Compagnia e l’Ospedale degl’Incurabili o luetici, vera palestra di anime generose. L’Emiliani non tardò a scegliersi come confessore l’austero Carata, e a mettersi sulle orme di San Gaetano, con il quale strinse la più sincera amicizia, benché di temperamento opposto al suo. A contatto dell’Oratorio del Divino Amore che accoglieva nel suo grembo uomini di spiccata virtù, Girolamo fece passi da gigante sulla via della santità.
        Nel 1528 diversi gentiluomini e sacerdoti di varie città d’Italia, affascinati dalle virtù del santo e dal suo amore per l’infanzia abbandonata, lo seguirono nella vita comune e povera. Per dedicarsi completamente alla sua missione egli ripartì fra i nipoti i suoi beni, dopo aver dato loro conto, con atto notarile, della sua amministrazione familiare. Poi si trasferì (1531) con i suoi orfanelli nell’ospedale degli Incurabili. Mons. Matteo Gilberti, sagace vescovo riformatore di Verona, lo invitò a fondare nella sua diocesi un orfanotrofio (1532) e Sant’Angela Merici, fondatrice della Compagnia delle Dimesse di Sant’Orsola, lo aiutò ad aprire a Brescia l’orfanotrofio della “Misericordia”. A Bergamo, chiamatevi dal vescovo Luigi Lippomano, istituì pure una casa per le convertite, e svolse un intenso apostolato catechetico facendo sfilare per le vie della città i suoi orfani biancovestiti, e salmodianti dietro a un grande crocifisso, e inviando i più grandicelli a recitare ai contadini il catechismo che avevano imparato a memoria.
         Il primo nucleo della Compagnia dei servi poveri Girolamo lo costituì a Somasca (Bergamo) con l’aiuto della famiglia degli Ondei nel 1533. L’anno successivo aprì un orfanotrofio a Milano con la cooperazione del duca Francesco II Sforza e fondò l’opera delle convertite. Altri orfanotrofi egli istituì a Como, a Pavia, a Merone, a Calolzio, a Vercurago, a Valle San Martino, bramoso di estendere l’assistenza al maggior numero possibile di derelitti. Sempre attivo, sagace, ottimo amministratore, S. Girolamo Emiliani fu un tipico esempio di riformatore cattolico. Il vicario generale di Bergamo così lo descrisse nel 1537: “Pareva che avesse il Paradiso in mano, per la sicurezza sua; faceva diverse esortazioni ai suoi, e sempre con la faccia così allegra e ridente, che innamorava, e inebriava dell’amor di Dio chiunque lo mirava”.
         Fiducioso in Dio e ottimista degli uomini, Girolamo come San Francesco d’Assisi trovò la perfetta letizia nell’annientamento di sé stesso. Un giorno un suo avversario lo insulto villanamente a Venezia sulla piazza San Marco, minacciandolo di strappargli la barba pelo per pelo. Il Santo gli rispose con calma: “Se Dio vuole così, io sono pronto: fa’ pure”. Poi aggiunse: “Povero te se avessi osato fare questo qualche anno fa”. Evidentemente l’uomo vecchio era stato da lui vinto a costo di dure penitenze. Per punire, come diceva, l’asinaccio del suo corpo, lavorava da mattina a sera a organizzare nei suoi orfanotrofi scuole per sarti, calzolai e falegnami lasciandone ai sacerdoti la direzione spirituale. Quando si recava a visitarli, benché spossato, non accettava mai la cavalcatura che i contadini riconoscenti gli offrivano. Quando risiedeva a Somasca dormiva sopra il duro sasso di un eremo ridotto rozzamente a forma di letto. Per non sembrare scortese, quando andava in cerca di orfani da educare, accettava a malincuore inviti a pranzo. Una volta a Salò (Brescia) nel bel mezzo del convitto non poté trattenere le lacrime. Si ritirò allora nell’angolo più remoto della casa per gemere e sospirare: “Ingrato, ingrato, il Signore ha patito per te fame e sete, e tu godi senza vergogna cibi tanto delicati?”. Un’altra volta a Peschiera, un commensale, avendo visto che l’Emiliani non si serviva delle pietanze, gli disse scherzosamente: “Attento messer Girolamo che le indigestioni di pane sono cattive!”. “E’ vero – gli rispose il Santo senza scomporsi – sono troppo ingordo”. E per quella volta non volle più mangiare neanche pane.
          Altra caratteristica del Santo fu il suo completo abbandono alla divina Provvidenza. Sono numerosi i miracoli che egli adoperò per non lasciare mancare ai suoi orfani il cibo necessario. Alcuni dei pani, da lui moltiplicati, si conservarono per oltre 25 anni senza guastarsi, e si mostrarono prodigiosi per ogni malattia. Molte volte accade che medicando un infermo, questi a contatto delle sue mani acquistò istantaneamente la salute. Per allontanare da sé qualsiasi sospetto di potere taumaturgico, si procurò una bottiglia d’acqua e, mostrandola a tutti, attribuiva ad essa le prodigiose guarigioni che otteneva invece con le sue preghiere.
          All’inizio del 1537 Giampietro Carata fu elevato da Paolo III alla dignità cardinalizia. Giunto a Roma, si affrettò a scrivere al suo antico discepolo per invitarlo a recarsi nella Città Eterna con alcuni religiosi per raccogliervi tanti orfani. Il santo radunò invece i suoi confratelli e così parlò loro: “Ecco io sono chiamato contemporaneamente a Roma e al cielo, ma il viaggio al cielo impedirà quello a Roma: sia fatto però di me secondo il beneplacito divino”. Morì infatti l’8-2-1537 in seguito a una fiera pestilenza contratta nell’assistere i suoi orfani colpiti dal morbo. Prima di mettersi a letto aveva voluto disegnare sulla parete della cameretta una grande croce su cui fissare lo sguardo nel decorso della malattia.
         Girolamo Emiliani fu beatificato il 22-9-1747 da Benedetto XIV, canonizzato il 16-7-1767 da Clemente XIII e proclamato patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata da Pio XI nel 1928. Le sue reliquie sono venerate nella chiesa parrocchiale di Somasca. I suoi seguaci furono approvati da S. Pio V nel 1586 con il nome di Chierici Regolari Somaschi.
 
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 133-138.
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