S. GIOACCHINA DE VEDRUNA ved. DE MAS (1783-1854)

Nacque il 16 aprile 1783 a Barcellona in Spagna. Sposò nel 1799 Teodoro de Mas, del quale restò vedova nel 1816. Allevò con cura nove figli. Nel 1826 fondò la Congregazione delle Carmelitane della Carità che diffuse aprendo numerose case per l'assistenza agli infermi e per l'opera di prevenzione e recupero delle classi più esposte alle insidie della miseria e dell'ignoranza. Morì a Vich il 28 agosto 1854. Fu beatificata il 19 maggio 1940 e canonizzata il 12 aprile 1959.

Questa santa, fondatrice delle Carmelitane della Carità, nacque il 16-4-1783 a Barcellona, quinta degli otto figli dei nobili e ricchi Lorenzo dei Vedruna e Teresa Vidal. Sotto la diretta sorveglianza della mamma e di una governante di sua fiducia, fin dall'infanzia crebbe modello di ubbidienza, laboriosità e preghiera. A nove anni fece la prima Comunione, a dodici sospirò invano la vita penitente delle Carmelitane, a sedici in ubbidienza al padre sposò nella chiesa di S. Maria del Pino, dove era stata battezzata, il nobile notaio Teodoro de Mas, il quale pure aveva sospirato inutilmente la vita francescana.
Gioacchina fu il modello della sposa e della madre cristiana. Dal suo matrimonio nacquero otto figli, quatto dei quali abbracciarono la vita religiosa, due morirono ancora in tenera età e due si sposarono. Ogni mattina li esortava a pensare brevemente alla passione di Gesù, li conduceva con sé in chiesa e alla sera faceva recitare loro il rosario. Due o tre volte la settimana andava a visitare e a servire gl'infermi nell'ospedale e a soccorre le famiglie bisognose.
Quando Napoleone I nel 1808 invase la Spagna per dare un trono a suo fratello Giuseppe, Teodoro de Mas impugnò le armi in difesa della patria. Per le fatiche sostenute contrasse il mal sottile. Nulla però faceva presagire la sua fine quando Gioacchina, nel settembre del 1815, sulla parete di casa vide disteso in una bara il marito che le sedeva accanto, mentre una voce le scandiva nello spirito sgomento: "Tanto avverrà di qui a pochi mesi: e tu resterai vedova!". Nei giorni in cui il suo Teodoro stava per lasciare la terra, cadde anch'essa ammalata di eresipela facciale che la isolò da tutta la famiglia. Di fronte al suo letto stava appeso un crocifisso. Un giorno improvvisamente si animò, distaccò un braccio dal legno, lo tese verso di lei dicendo: "Il tuo sposo terreno è morto! Vieni! Ti ho scelta per mia sposa!".
Desiderosa di una vita di maggior perfezione la santa vedova si trasferì con i figli nel feudo di famiglia chiamato "Manso Escorial" presso la città di Vich. Dopo essersi spogliata dei suoi preziosi ornamenti, che offrì alla "Divina Pastora" venerata nella chiesa dei Cappuccini, indossò l'abito delle terziarie francescane. Qualche volta, a motivo della contestata eredità domestica, ritornò a Barcellona vestita in quella foggia con grande disappunto dei parenti, ma ella. paziente, proseguì per la sua via anche se taluno era convinto che la morte dello sposo l'aveva resa folle.
All' "Escorial", nella sua inviolabile stanzetta, estingueva la sete di penitenza dormendo sopra un letto formato da due tavole coperte da una stuoia e appoggiando il capo sopra una pietra o un pugno di paglia. Faceva uso di ogni sorta di cilici, in modo speciale di una piccola croce di ferro cosparsa di una novantina di punte che portava sul petto e sulla spalla. Mangiava pochissimo e tutte le vigilie delle solennità digiunava a pane e acqua. Due volte la settimana andava a curare gl'infermi nel pubblico ospedale e a preparare ai sacramenti le traviate rovinate dai vizi.
Per camminare più sicuramente nelle vie dello spirito, aveva bisogno di una guida e Dio gliela procurò in modo misterioso. Un giorno, di ritorno da Barcellona, l'asinello che cavalcava le prese la mano, e invece di fermarsi dinanzi alla chiesa delle carmelitane di Vich, arrestò la sua corsa soltanto davanti al convento dei cappuccini. Entrò in chiesa e allo sconosciuto frate che trovò in preghiera chiese se vi fosse presto una Messa. "Sì, le rispose il P. Stefano Fabregas da Olot, ed è appunto voi che stavo attendendo per celebrarla". In confessione gli manifestò la volontà che aveva sempre avuto di chiudersi in un chiostro. Il santo cappuccino, al quale nel 1820 il Signore aveva rivelato in estasi che in Vich viveva una nobile vedova destinata a realizzare un'opera di carità, le rispose: "No, non è questa la volontà di Dio! Egli vuole da voi una Congregazione di religiose dedite all'educazione della gioventù e alla cura dei malati".
Gli inizi delle Carmelitane della Carità furono ostacolati dai rivolgimenti politici e dalla necessità per Gioacchina di sistemare i suoi figli per i quali invocava sovente la benedizione della SS. Trinità verso la quale nutriva un'ardentissima devozione. Nel Natale 1825 il vescovo di Vich, Mons. Pablo de Jésus Corcuera (+1835), le diede il permesso di raccogliere in vita comune all'Escoriai, sotto la protezione della Vergine del Carmine e dell'arcangelo Raffaele, di cui era devotissima, nove giovani dedite alla cura delle bambine e degli infermi nelle case private. Il P. Stefano (1774-1828) stese un regolamento e, durante le sue predicazioni in Catalogna, procurò all'istituto vocazioni e aiuti.
Sotto la sapiente guida di Madre Gioacchina il piccolo seme prosperò. Poiché altro non cercava che la pratica della carità, dell'umiltà e della povertà, Dio le concesse il dono dei miracoli. Alle sue figlie diceva sovente: "Niente manca a chi confida in Dio". Più che dalle ristrettezze economiche lo sviluppo delle Carmelitane della Carità fu ostacolato dalla guerra civile spagnuola (1833-1839), scoppiata alla morte di Ferdinando VII tra carlisti e cristini. La fondatrice fu incarcerata, esiliata. Con le sue suore si rifugiò a Pergignano, in Francia, da dove potè fare ritorno soltanto tre anni dopo, il 16-9-1843.
Per alcuni anni poté ancora sovraspendersi per il consolidamento della sua opera. Nel settembre del 1849 un grave attacco di emiplegia pose in serio pericolo la sua vita. Il vescovo Mons. Luciano Casadevall, prevedendo un progressivo decadimento delle sue forze, impose all'istituto un superiore generale. La santa accettò di appartarsi convinta com'era che fossero i suoi peccati a impedire lo sviluppo della Congregazione. A coloro che osarono protestare disse con energia: "Figlie, piegatevi e ubbidite, perché chi ubbidisce non sbaglia mai". E sussurrava: "Ho chiesto al Signore di morire in un cantuccio, trattata come una bambina".
Trascorse nel desiderio del cielo gli ultimi anni a Barcellona adagiata sopra una sedia a rotelle, dopo aver lasciato come Vicaria la serva di Dio Paola Delpuig (+1889), alla quale aveva predetto l'ingresso tra le sue figlie spirituali. Morì di peste con tutti i sacramenti nella Casa di Carità il 28-8-1854. Pio XII la beatificò il 19-5-1940 e Giovanni XXIII la canonizzò il 12-4-1959. Le sue reliquie sono venerate nella chiesa della Casa Madre della Congregazione.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 342-346
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