S. FRANCESCA ROMANA (1384-1440)

Dio continuò a favorirla di visioni e rivelazioni soprattutto durante l’adorazione del Santissimo Sacramento e la meditazione della Passione del Signore. Ce ne sono giunte 97 perché la Santa le dettò al suo confessore. Impressionanti sono quelle che descrivono i suoi viaggi nel regno d’oltre tomba. Con mano sicura ella guidò alla perfezione le sue figlie spirituali, specialmente alla pratica della carità e dell’umiltà. Un giorno di gennaio alcune di loro non disdegnarono di seguirla fuori città per fare provvista di legna. Assalite dalla sete, Dio fece spuntare sui rami spogli di una vigna tanti grappoli d’uva quante erano le consorelle che l’avevano seguita. La bolla di canonizzazione parla di altri miracoli operati dalla Santa. Un giorno fece pranzare 15 sue Oblate con alcuni pezzi di pane che sarebbero bastati appena per 3 persone. Di quella moltiplicazione di pani ne avanzò un paniere.

“Ceccolella” nacque a Roma al principio del
1384 dal nobile Paolo Bussa de’ Buxis e fu battezzata nella chiesa di
Sant’Agnese in Agone. Trascorse l’adolescenza in casa dei genitori, nel
quartiere Parione, fiorente in quel tempo per l’arte del manoscritto. A 6 anni
cominciò a praticare digiuni e astinenze, a entusiasmarsi alla lettura delle
vite delle sante vergini e martiri, a visitare ogni giorno le chiese, in cui si
lucrava qualche indulgenza e a fare le stazioni romane alla maniera dei primi
secoli. Con la madre si recava di preferenza a ricevere i sacramenti nella
chiesa di Santa Maria Nuova, officiata dagli Olivetani, Congregazione benedettina
istituita nel 1319 dal B. Bernardo Tolomei. Per 35 anni Ceccolella affidò la
direzione della sua anima ad uno di quei padri, Antonio di Monte Savello, dal
quale andava a confessarsi tutti i mercoledì per fare la comunione almeno una
volta la settimana.
 A 11 anni Francesca trasformò la sua vita in una preghiera
continua e ben presto Dio la favorì di straordinari carismi. Ella che, fin dai
primi anni, mal sopportava che suo padre la baciasse, crebbe con il desiderio
della vita claustrale. Per abituarvela, il confessore le permise di praticare
le penitenze proprie degli ordini religiosi più austeri. I genitori se ne
inquietarono. La Santa manifestò ad essi il desiderio che aveva di consacrarsi
al Signore, ma il padre fu inflessibile nell’esigere che, a dodici anni,
impalmasse il ricchissimo Lorenzo Ponziani, il quale abitava a Trastevere,
presso la chiesa di Santa Cecilia ed era imparentato con gli Orsini, gli
Altieri, gli Astalli, i Santacroce, i Clarelli. Le più nobili e ricche signore
di Roma fecero quindi parte delle consuetudini di vita di Francesca, ma essa
preferì fra tutte, per affinità spirituale, la cognata Vannozza De Felicibus.
 Per compiacere al marito, Francesca non disdegnò di
comparire in pubblico adorna di gioielli e di vesti preziose, ma sotto di esse
nascondeva il cilicio. Si alzava di buon mattino, faceva le sue devozioni e pie
letture, approfittava del tempo libero per pregare e visitare qualche chiesa, e
tutti i sabati si faceva istruire nelle verità della fede dal priore domenicano
di San Clemente. Poco dopo il suo matrimonio cadde gravemente malata. I parenti
videro nei mali di lei un castigo del cielo. Il padre si pentì di averla
costretta a maritarsi. La Santa conservò una perfetta conformità al volere di
Dio e, dopo un anno di sofferenze, fu guarita da Sant’Alessio che, apparendole,
le buttò addosso il suo mantello. Per avvicinarsi il più possibile alla vita
religiosa tanto desiderata, si iscrisse al Terz’Ordine Francescano e, d’accordo
con Vannozza, si fece costruire in un angolo del giardino una specie di grotta,
in cui raccogliersi a pregare insieme ad ore stabilite; propose di rinunciare
agli inutili passatempi e di dedicare certe ore del giorno alla distribuzione
delle elemosine ai bisognosi, alla visita e alla cura degli infermi negli
ospedali.
 Presso il loro palazzo era sorto per la liberalità della
famiglia Ponziani, con il riconoscimento di Bonifacio IX, l’ospedale di Santa
Maria in Cappella. Per trentacinque anni Francesca esercitò in esso tutte le opere
di misericordia, somministrando ai poveri infermi, vecchi e senza ricovero,
tutto il necessario e preparando per essi perfino il cibo. Perché fossero bene
assistiti spiritualmente vi mantenne un sacerdote e, perché fossero bene curati
corporalmente, vi chiamò quattro dei più famosi medici di Roma. La Santa, senza
presumere in fatto di medicina, applicava ella stessa unguenti e impiastri ai
degenti. Nelle sue mani mezzi semplicissimi e il segno della croce ridonavano
talora la sanità e lenivano i dolori più strazianti. Per queste opere
caritative il nome di Francesca veniva lodato e benedetto da tutti. Persino i
celebri predicatori del tempo, San Bernardino da Siena e San Giovanni da
Capestrano, ne elogiarono la vita virtuosa.
 Il demonio, invidioso del bene che operava, fece alla
Santa una guerra implacabile. L’assaliva sovente con turpi fantasmi; la faceva
rotolare per terra mentre pregava; la tirava per i capelli; la staffilava
crudelmente Nel mese di luglio 1399, mentre Francesca si dissetava in riva al
Tevere, di ritorno da una visita alla basilica di San Pietro, fu violentemente
precipitata nelle acque con Vannozza da una mano invisibile. In procinto di
affogare, invocò l’aiuto di Dio e, in un attimo, si trovò in salvo con la
cognata, sulla riva del fiume. Una notte il demonio trasportò nella camera di
Francesca il cadavere di un uomo e ve la tenne sopra per molto tempo. Un’altra
volta l’afferrò per i bellissimi capelli e la tenne sospesa per alcuni minuti
sopra un precipizio. Per compensarla di tanti tormenti, per spingerla ad una
maggiore perfezione, Dio le concesse di vedere abitualmente accanto a sé un
arcangelo, più raggiante del sole. Esso aveva il compito di correggerla anche
con degli schiaffi, percepibili dai presenti, delle più piccole mancanze e di
preservarla dagli inganni del demonio. Un giorno Francesca non seppe
interrompere prontamente una frivola conversazione ed allora il celeste
messaggero la colpì con tale vigore, che ne portò il segno per diversi giorni.
Altre volte si limitava a sottrarsi allo sguardo di lei. Un giorno la Santa fu
tentata di nascondere al suo direttore spirituale i miracoli e i doni celesti
cui era soggetta. Quando andò a confessarsi, fu rovesciata per terra da una
mano invisibile. La penitente capì che la lezione le veniva dall’arcangelo.
Dopo d’allora manifestò sempre al confessore, con infantile semplicità, le
grazie che riceveva dal Signore.
 Nel 1400 Francesca partorì il primo figlio, Giovanni
Battista, al quale seguirono Evangelista e Agnese. Solo il primogenito
sopravvisse e sposò la nobile Mabilia dei Paparuzzi. Per allevarli ed educarli
convenientemente, non esitò a sacrificare qualche pratica di carità e di
devozione, specialmente dopo che, con la morte della suocera, dovette attendere
anche al governo della casa dei Ponziani. Per ubbidire al marito o provvedere
alle necessità familiari, un giorno le capitò di interrompere quattro volte lo
stesso versetto dell’Ufficio della Madonna. Quando ne potè riprendere la
recita, lo trovò scritto a lettere d’oro. San Paolo le confidò in estasi che
l’angelo di lei aveva operato quel prodigio, per mostrarle il valore
dell’ubbidienza.
 Nel 1400, anche su Roma, si abbatté il doppio flagello
della peste e della fame. Francesca si mostrò allora tanto generosa con i
poveri che il suocero ritenne opportuno vendere tutte le provviste che non
erano indispensabili alla famiglia. Francesca e Vannozza non si vergognarono in
quel frangente di andare a mendicare nelle case dei ricchi, sui mercati e alle
porte delle chiese, per sovvenire a tanti indigenti. Un giorno venne alla Santa
l’idea di andare con la cognata e una serva a setacciare la paglia del grano.
Dopo molte ore di lavoro non riuscirono a raggranellare che una misura di grano
ma, agli occhi di Lorenzo sopraggiunto, al posto della paglia ammonticchiata,
apparvero quaranta misure di grano maturo. Lo stesso prodigio avvenne per il
vino. Appena Francesca ne ebbe donato agli indigenti l’ultima goccia, la botte
apparve ripiena di altro eccellente vino.

 Alla vista di tante
meraviglie il marito lasciò che la sua Santa consorte ordinasse la vita come
meglio credeva. Francesca vendette allora, a favore dei poveri e dei malati che
visitava, i suoi abiti sfarzosi e gli oggetti preziosi, cominciò a nutrirsi di
pane, acqua e legumi insipidi una volta al giorno, a portare anche di notte,
oltre il cilicio, un cerchio di ferro a punte e una cintura intessuta di crini
di cavallo. Con le amiche che l’aiutavano nell’esercizio delle opere di carità,
andava ad ascoltare i sermoni che, talora, francescani e domenicani tenevano
nella chiesa di Ara Coeli, e faceva più volte la settimana la comunione. Un
prete di Santa Cecilia, scandalizzato di quella frequenza tanto difforme dalle
usanze del tempo, una volta si permise di dare loro delle ostie non consacrate.
Francesca se ne accorse e non mancò di farne le rimostranze al suo confessore,
il quale svelò al colpevole, meravigliato e pentito, il segreto che gli era
stato confidato.
 All’inizio del secolo XV Roma fu teatro di sanguinose
lotte a causa dello Scisma d’Occidente (1378-1417). Dopo la morte di Bonifacio
IX (1404), Ladislao d’Angiò Durazzo, re di Napoli, intervenne a Roma come
mediatore in una sollevazione. Il nuovo papa, Innocenzo VII, sua creatura, lo
proclamò “difensore, conservatore e vessillifero della Chiesa” e
sottoscrisse con lui un rovinoso trattato. Alla sua morte, Gregorio XII mostrò
di volersi intendere con Benedetto XIII, antipapa residente ad Avignone, ma
Ladislao, il quale aveva interesse che fosse prolungato lo scisma, per tenere
in sua balia il vero papa, occupò militarmente Roma ( 1408). Tentò poi di
impedire il concilio di Pisa (1409), ma fu costretto ad abbandonare i territori
occupati del Lazio e dell’Umbria da una lega di fiorentini e di senesi. In quei
trambusti Francesca ebbe molto da soffrire perché suo marito, per aver difeso
come guelfo la causa della Chiesa, fu proditoriamente pugnalato e spogliato dei
suoi beni. Nel 1410 Ladislao (+1414) riapparve a Roma dopo la morte del papa
eletto a Pisa, Alessandro V e Lorenzo Ponziani fu consigliato di fuggire.
Francesca, rimasta sola, trasformò il suo palazzo in un ospedale provvisorio e,
per soccorrere i poveri appestati, andò con Vannozza a chiedere ancora una
volta l’elemosina. Nonostante le proteste dei parenti, fu vista persino
recarsi, con un asinello, ad una vigna che possedeva nei pressi della basilica
di San Paolo, per portare ai bisognosi fascine di rami secchi.
 Dopo aver rimesso la direzione della casa nelle mani della
nuora, Mabilia dei Paparuzzi, Francesca istituì il 15/8/1425, con 10 sue amiche
e imitatrici, presso la chiesa di Santa Maria Nova, una compagnia di donne
continenti, in qualità di Oblate del Monastero di Monte Oliveto. Esse vivevano
nelle proprie famiglie ed esercitavano a favore dei bisognosi le opere di
misericordia. Il 25-3-1433 costituirono una convivenza senza voti in Tor de’
Specchi, nel rione di Campitelli, secondo la regola che la Santa aveva composto
dopo tante visioni, che Eugenio IV approvò il 4-7-1433. Dopo la morte del
marito il 21-3-1436 Francesca si presentò a quell’asilo di pace con la corda al
collo, poveramente vestita, per chiedere alle sue consorelle, prostrata a
terra, la grazia di esservi ricevuta come la più umile loro servente. Fu invece
riconosciuta subito come loro superiora.
 Dio continuò a favorirla di visioni e rivelazioni
soprattutto durante l’adorazione del Santissimo Sacramento e la meditazione
della Passione del Signore. Ce ne sono giunte 97 perché la Santa le dettò al
suo confessore. Impressionanti sono quelle che descrivono i suoi viaggi nel
regno d’oltre tomba. Con mano sicura ella guidò alla perfezione le sue figlie
spirituali, specialmente alla pratica della carità e dell’umiltà. Un giorno di
gennaio alcune di loro non disdegnarono di seguirla fuori città per fare
provvista di legna. Assalite dalla sete, Dio fece spuntare sui rami spogli di
una vigna tanti grappoli d’uva quante erano le consorelle che l’avevano
seguita. La bolla di canonizzazione parla di altri miracoli operati dalla
Santa. Un giorno fece pranzare 15 sue Oblate con alcuni pezzi di pane che
sarebbero bastati appena per 3 persone. Di quella moltiplicazione di pani ne
avanzò un paniere.
 Negli ultimi anni di vita Francesca fu più volte avvertita
della sua prossima fine. Il 3-3-1440, essendo caduto ammalato il suo figlio, lo
andò a trovare nel palazzo Ponziano. La sera avrebbe voluto ritornare tra le
sue Oblate a piedi, ma per strada le forze le vennero meno. Il parroco di Santa
Maria in Trastevere, suo ultimo confessore, la costrinse a ritornare indietro.
Nella notte fu assalita da una febbre violenta. Il Signore le apparve e le
disse che entro sette giorni sarebbe morta. Allora esclamò: “Dio sia
benedetto! Giovedì al più tardi passerò da questa vita ad una migliore”.
La predizione fu confermata dall’avvenimento, al quale si preparò con una
continua, fervente preghiera. Alle sue figlie spirituali raccomandò:
“Amatevi le une le altre e siate fedeli fino alla morte. Satana assalirà
anche voi, ma non temete, lo vincerete con la pazienza e l’ubbidienza; nessuna
prova sarà troppo crudele se rimarrete unite a Gesù”.
 Poco prima che morisse, vedendo che muoveva le labbra, il
confessore le chiese: “Che cosa dite?”. Gli rispose la malata con un
filo di voce: “Termino i Vespri della Santissima Vergine”. Fin dalla
sua infanzia ella aveva fatto propria quella devozione. Vedendo il volto di lei
illuminato da una celestiale espressione, il confessore le chiese che cosa
stava contemplando: “Il cielo aperto – mormorò – e gli angeli che
discendono. L’arcangelo ha terminato il suo ufficio, egli sta in piedi davanti
a me e mi fa cenno di seguirlo”. Morì il 9-3-1440.
 Francesca fu seppellita a Santa Maria Nuova. Allorché il
feretro passò davanti al convento di Tor de’ Specchi, Francesca di Veroli, a
letto malata, chiese di potere scendere per contemplare l’ultima volta la
defunta giacché non aveva potuto farle visita durante l’agonia. Appena
abbracciò la cassa che la conteneva, ella guarì. Paolo V canonizzò Francesca
Romana il 29-5-1608. Il suo corpo è venerato a Roma nella chiesa omonima. Pio
XI del 1928 la dichiarò patrona degli automobilisti, riferendosi forse alla
tradizione che narra come l’angelo custode spandesse attorno a lei una
intensissima luce, che le permetteva di leggere anche nelle ore notturne.
 ___________________
Sac. Guido Pettinati SSP,

I Santi canonizzati del
giorno
, vol. 3, Udine: ed. Segno,
1991, pp. 113-118.

http://www.edizionisegno.it/