S. Dolcelina

Se c’è un volto femminile capace di illuminare la storia della Chiesa nel XIII secolo e anche oltre, è proprio quello di santa Dolcelina.


Una provenzale: è nata a Digne, in quel 1214 che è anche l’anno della nascita di san Luigi (e che in genere gli storici ricordano soprattutto per la battaglia di Bouvines); suo padre, Berengario di Digne, sua madre, Ughetta di Barjois, appartengono all’alta borghesia della città. “Vivevano con giustizia e santità secondo il loro stato, rispettando lealmente i comandamenti di Dio, davano ospitalità ai poveri con grande pietà e misericordia, servivano nelle loro case i malati e coloro che soffrivano distribuendo generosamente parte delle loro ricchezze con grande compassione e dispensando in opere di pietà quello che Dio donava loro! ” Così si esprime la Vita di santa Dolcelina, scritta poco dopo la sua morte, nel 1297, in provenzale .

Non è difficile immaginare la vita di questa famiglia di mercanti, certamente agiati, segnati da quella pietà che conserva il senso della carità persino nella borghesia cosiddetta mercantile – la quale conosce allora, nel XIII secolo, una grande prosperità; non dimentichiamo che ancora nel XV secolo i mercanti italiani, non inferiori a nessuno quanto al senso degli affari, continuano a scrivere, all’inizio dei loro libri delle spese, il capitolo intitolato ” Messer Dio “, ossia riservano alle elemosine questa parte del loro bilancio; e quando ha luogo un fallimento si preleva anzitutto la parte delle elemosine, che si considera veramente dovuta ai poveri.


La famiglia ha tre figli, Dolcelina e due fratelli, di cui uno si sposa e sarà padre di due ragazze, mentre l’altro, Ugo, chiamato abitualmente Ugo di Barjois, diventerà francescano e avrà il suo momento di celebrità; se ne parla nelle Memorie di Jean de Joinville; quest’ultimo racconta come il re san Luigi ed egli stesso fossero colpiti da un sermone di Ugo di Barjois, e come il re insistesse per portarlo a corte, ma il francescano rifiutasse decisamente: ” Un religioso non deve vivere fuori del suo convento, come un pesce non può vivere fuor d’acqua”. Un sant’uomo, sebbene fortemente sospetto di condividere gli errori e le incertezze dottrinali di Gioacchino da Fiore; ma la sua vita di religioso è irreprensibile, e la sua influenza sulla sorella Dolcelina assolutamente positiva.


Quest’ultima vive piamente con i suoi genitori a Digne, e poi a Barjois. Quando la madre muore, prende il suo posto accanto ai poveri e agli indigenti, e trascorre le notti pregando; perde anche il padre, e continua, ancora più intensamente, quella vita di preghiera e penitenza che aveva già condotto con i genitori. Dolcelina soggiorna presso le clarisse di Genova durante l’assenza del fratello Ugo, che risiede a Parigi; poi ritorna a Barjois, e un giorno, dopo avere visitato l’ospedale, per strada incontra due donne vestite di nero, col volto coperto da un velo bianco. ” Rispondendo a una sua domanda dissero che appartenevano “a quest’ordine che piace a Dio”; e aggiunsero: “Prendi questo velo e seguici”; poi scomparvero. Ispirata da Dio, la santa comprese subito quale fosse la direzione che le ordinavano di prendere. ” Cosi si esprime la Vita scritta dopo la sua morte. Al ritorno del fratello Ugo, Dolcelina gli espose la sua visione, e il francescano capì che Dolcelina doveva abbracciare la forma di esistenza a cui avevano alluso quei due personaggi: non già entrare in convento, ma continuare la sua vita abituale pur prendendo l’abito della penitente, nero, col velo bianco. Essa adotta così – come si esprime la Vita scritta in provenzale – un estamen particolare, uno stato che non è quello delle religiose, ma delle “beghine”. È d’altronde così che viene chiamata un po’ più tardi, a Hyères. Durante una predica fatta da suo fratello, vota a Dio la sua verginità. Numerose erano le conversioni operate da Ugo di Barjois, e numerose furono anche le donne o le ragazze che, seguendo l’esempio di Dolcelina, decisero, pur restando nel mondo, di vivere una vita consacrata a Dio: la via di ” penitenza e onestà “; centotrentuna di loro pronunciano il voto di verginità, e ottanta promettono di conservarsi caste. Quanto a Dolcelina, aggiunge il voto di povertà, ma frate Ugo non spinge affatto le compagne di Dolcelina a pronunciare anch’esse questo voto. Consiglia loro una povertà media: conservare di che vivere, e fare elemosine.


Un giorno Dolcelina ha una visione: quella di un poggio, di un colle tondeggiante su cui si erge un recinto che circonda un campo di gigli; coloro che vi abitano vengono a pregare presso questa recinzione, mentre solo Dolcelina la può varcare, e si mette accanto alla Madre di Dio che troneggia all’interno. In realtà numerose sono le donne che si raccolgono intorno a Dolcelina, la quale è gratificata di estasi, visioni e stati mistici che le altre sorvegliano quando ne sono testimoni, e che attesteranno in seguito; così si trovano numerose beghine riunite a Roubaud presso Marsiglia, mentre altre vivono a Hyères; ma, come scrive la stessa Dolcelina, ” tutti gli altri santi ordini hanno il legame di una regola, ma voi siete legate solo dalla carità “; penitenza, orazione, carità costituiscono tutta la loro esistenza, senza nessuna regola definita: ” Esse vivevano con grande carità reciproca, e si amavano tutte di un solo amore in Dio; osservavano i santi comandamenti, si esercitavano in tutte le buone opere di pietà e carità, e così occupavano il loro tempo con ogni forma di bene “. Per perfezionare la sua vita di penitenza, Dolcelina designa, tra le beghine di Roubaud, una priora a cui promette ubbidienza; essa stessa è sempre più spesso in stato di estasi, e quelle che la circondano devono vegliare su di lei e prenderne cura.


Quando Dolcelina si stabilisce a Marsiglia, verso gli anni 1250-1257, il comune attraversa un periodo agitato, poiché ha tentato di sottrarsi all’autorità di Carlo d’Angiò. Dopo alcuni disordini che rendono difficile la vita alle beghine come al resto della popolazione, muore Ugo di Barjols. Le beghine di Roubaud rischiano di disperdersi, quando Dolcelina ricorre all’aiuto del frate Gausleno, guardiano del convento dei frati minori di Marsiglia .


Come aveva fatto prima Ugo, si prende cura di lei, e veglia sulle beghine. Giovanni di Parma, generale dei frati minori, interverrà in seguito; si recherà personalmente a Marsiglia a rendersi conto della vocazione dell’asceta, a benedirla e a confermarla nello stato, estamen, che ha scelto.


Ciò coincide con il periodo di calma subentrato a Marsiglia dopo la sottomissione del comune a Carlo d’Angiò, verso il 1255. La sua sposa, Beatrice di Provenza, è allora incinta, e la gravidanza difficile fa temere il peggio. Tre volte sogna una donna vestita da beghina che viene a visitarla, accompagnata da altre due, le parla con molta bontà e le promette che sfuggirà a ogni pericolo, insieme al bambino che porta in seno. Pregato insistentemente dalla contessa, Carlo d’Angiò fece cercare nei suoi stati chi potesse essere quella donna.


Allora gli parlarono di Dolcelina e delle beghine di Roubaud, e – racconta la Vita della santa – quando ” seppe che era la sorella di frate Ugo di Digne e conobbe le sue virtù e la sua umiltà, provò un senso di grande devozione nei suoi confronti e la mandò a cercare. Appena la contessa la vide seppe che era colei che aveva percepito nel sogno, e fu fermamente fiduciosa che grazie alle sue preghiere avrebbe superato ogni pericolo, e non lasciò che si allontanasse da lei “.


Il sogno si realizzò puntualmente, e, ” dopo che la santa si mise a pregare col massimo fervore, la contessa per grazia di Dio mise al mondo una figlia. Il conte e la contessa vollero che Dolcelina ne fosse la madrina e la fecero battezzare e fecero di lei la comare per un sentimento di grande rispetto. La madre era sicura che per suo tramite Dio l’aveva salvata dalla morte, come le aveva rivelato il sogno; lo credeva anche il conte, e pure tutta la sua corte “; e la Vita aggiunge: ” Per amor suo il conte si dimostrò benevolo nei confronti di tutto l’ordine dei frati minori ” contro cui aveva prima nutrito forti rancori; e conclude: ” Così quella grande collera del conte che non avevano potuto calmare né il potere né la saggezza degli uomini, bastò a placarla la semplicità dell’umile Dolcelina “.


Come vivono queste beghine, nella casa di Roubaud o nella dimora dove sono rimaste? Dolcelina insegna loro a pregare, a piangere la passione di Gesù Cristo. ” Tutti i cristiani ” dice ” sono tenuti a ricordarsi almeno una volta al giorno della Passione del Signore; noi non dobbiamo mai dimenticare i suoi benefici, ma dobbiamo avere continuamente nel cuore la morte di Gesù Cristo per la quale abbiamo la testa coperta, come le vedove. ” Trascorrono la vita compiendo opere buone, nella pietà e carità reciproche, senza che ci siano altre precisazioni in proposito. Dolcelina tiene anzitutto all’umiltà. Quando le dicevano: ” “Tutti ci disprezzano e gli uomini disdegnano gravemente il nostro stato”, rispondeva mirabilmente: “È il mio onore e la mia gloria, la mia gioia e la mia corona, il disprezzo che nutrono per noi il mondo e gli uomini”.


Le beghine si dedicano al servizio dei malati, e le case dove abitano servono ad accogliere e ospitare i poveri che si presentano.


Un giorno la stessa Dolcelina, di ritorno dalla chiesa, incontra uno di questi poveri, malato e sofferente, tutto coperto di piaghe; essa comincia a lavare le sue ferite, a pulire le sue piaghe, poi lo ospita in una casa vicina per tre giorni; gli viene portato da mangiare, ma il terzo giorno il povero è scomparso; in capo al letto, davanti alla finestra, si ritrovano tutti i cibi che gli sono stati serviti, perfettamente freschi, mentre nonostante le ricerche è impossibile trovare il malato; ma le beghine assicurano che l’ultima notte era apparso un grande chiarore nel giardino su cui dava la sua finestra. ” II giardino sembrava tutto infuocato, come se vi fossero accese moltissime torce ” dice la Vita.


Oltre alla pratica delle buone opere è all’orazione che Dolcelina tiene in particolar modo; e le sue compagne la vedono entrare in estasi quasi ogni giorno, ” poiché, sebbene fosse una donna semplice e illetterata, Nostro Signore la elevò alle più sublimi altezze della contemplazione “. Secondo la Vita, più testimoni, tra i quali signori importanti come il cavaliere signore del castello di Cuges o lo stesso Carlo d’Angiò, assicurano di averla vista in stato di estasi, sollevata da terra tanto che era possibile baciarle la pianta dei piedi; ma ” quando tornava da questi alti rapimenti, si mostrava povera, debole, a disposizione di tutte, si accertava accuratamente della situazione del convento, chiedeva se andava tutto bene, s’informava persino dei loro piccoli problemi, proprio come se non avesse appena ricevuto meravigliose grazie da Nostro Signore “; lo ha assicurato un testimone famoso, frate Salimbene, di cui è ben nota la Cronaca.


” Essa ottenne da Dio la grazia speciale dell’estasi, come constatarono più volte i frati minori nella loro chiesa; le alzavano il braccio? Lo teneva così dalla mattina alla sera, era tutta assorbita in Dio “; un giorno, la vigilia dell’Ascensione, a Marsiglia, dopo essere rimasta a lungo in estasi, entrò nel dormitorio, e lo percorse da un capo all’altro cantando “come se seguisse una processione”; le altre beghine che l’ascoltavano avevano l’impressione di sentire lo stesso canto dei cori celesti.


Santa Dolcelina è molto segnata dall’influenza francescana; diceva che aveva rivestito l’abito della Madonna, di Nostra Signora, come san Francesco aveva indossato l’abito del Signore, ” poiché la Santa Vergine fu la prima beghina”. Parlava come san Francesco della Santa Povertà, e aveva un particolare attaccamento per il presepio, che in Provenza diverrà e resterà oggetto di devozione familiare, popolare. Sappiamo che ancora oggi opera, a Marsiglia, una categoria di artigiani che creano le statuine raffiguranti tutto il popolo cristiano, e che a Marsiglia una fiera speciale, la fiera dei “sanlons” (così si chiamano le statuine), ha luogo ogni anno per fornire i presepi delle parrocchie e delle famiglie di una quantità di personaggi, il mugnaio e la panettiera, la pescivendola e il taglialegna.


Ma la vita mistica di Dolcelina non è solo leggenda aurea, e comprende visioni drammatiche; un giorno vede Cristo nell’eucaristia: ” Ne vedeva la metà del corpo, nudo, le braccia incrociate sul petto, lo sguardo pieno di bontà, ma la sua carne era livida e tutta coperta di piaghe, le sue mani e il costato erano trafitti; pervasa dal più vivo dolore gli disse: “Perché mai siete così, Signore?”. Rispose con tristezza: “Sono coloro che amo e che ho tanto amato, i miei propri amici che mi hanno trattato in questa maniera” .


Santa Dolcelina muore il 1° settembre 1274, la sera di un mercoledì, verso l’ora di compieta. Dalla festa dell’Assunzione (15 agosto) le sue estasi si erano moltiplicate: fu colpita dalla febbre dopo una settimana, e il suo male si aggravò. Le altre beghine si riunivano intorno a lei e pregavano per la sua guarigione; i frati francescani la circondavano. Quando compresero che la loro speranza era vana, le dissero: ” “Signora Dolcelina, a chi lasciate i vostri figli?”. Rispose: “A Dio e al nostro ordine”. Allora le chiesero: “Ma a chi li affidate? ‘. Essa rispondeva sempre: “Al Signore e a san Francesco”. Le dissero ancora: “Madre, chi lasciate al vostro posto?”. Rispose: “Provvederà lo Spirito Santo”… Il settimo giorno della sua malattia la sua anima piena di gioia andò a riposare nella pace di Dio, e la sua vita terminò nell’estasi che durava da tre giorni e tre notti “. La folla si affrettò intorno a lei; accorrevano da ogni parte, tutti volevano avere una reliquia di santa Dolcelina, e i suoi funerali furono celebrati con una sorta di entusiasmo popolare. Il vescovo Gausleno d’Orango pronunciò il suo panegirico, e la sua tomba divenne quasi subito una meta di pellegrinaggi dove si verificavano miracoli. Nel 1275 e poi nel 1278 ebbero luogo le traslazioni dei corpi di Dolcelina e anche di suo fratello Ugo, che nell’occasione furono persino portati in processione intorno ai bastioni di Marsiglia. ” Tutta la popolazione di Marsiglia si trovò lì, i ricchi come i poveri, e si precipitavano con grande fiducia sui santi corpi di modo che la folla impediva alla processione di entrare in chiesa… Fu celebrata una messa molto solenne… nella nuova chiesa dei religiosi francescani dove… riposano ancora.”


E l’autore della Vita di Dolcelina conclude: ” Rallegratevi, figli di Roubaud, di Hyères e di Marsiglia, che avete avuto come fondatrice una così degna madre che ha servito il Signore nella santità più compiuta “.


 


Regine Pernoud,


I santi del medioevo, edizioni Rizzoli, Milano 1986, traduzione di Anna Marietti, pagg.163-169