S. BRUNO DI SEGNI (ca. 1049-1123)

Bruno nacque a Solero d\’Asti nel 1040. Dopo aver conseguito la laurea presso l\’Università di Bologna, decise di ritirarsi nel monastero di Montecassino. A Roma ebbe l\’incarico di confutare l\’eretico Berengario. Bruno confutò così sapientemente l\’eretico, che Gregorio VII stesso lo consacrò e nominò vescovo di Segni. Fu imprigionato più volte: a Segni e a Roma nella mole Adriana. Dopo la liberazione, Bruno, desideroso di pace, trascorse nel chiostro benedettino gli ultimi anni della propria vita, seguendo con cura la Regola, tanto che dopo soli cinque anni di vita monastica venne eletto abate di Montecassino. Qui morì il 18 luglio 1123.

Questo santo, che fu uno dei migliori collaboratori dei sommi pontefici nella riforma della Chiesa nel Medio Evo, nacque a Solero, nella diocesi di Asti, ora di Alessandria, tra il 1045 e il 1049 da genitori di modeste condizioni economiche. Da fanciullo fu affidato per l\’educazione e la formazione intellettuale ai Benedettini dell\’abbazia di San Perpetuo, dipendente da quella di Fruttuaria, fondata nel 1003 a San Benigno, presso Volpiano (Torino), con l\’aiuto di Arduino, marchese d\’Ivrea e re d\’Italia. Bruno apprese la disciplina del trivio e del quadrivio nello studio di Bologna. Divenuto sacerdote, non trascurò gli studi. Difatti, sui 25 anni, scrisse un commento al Salterio Gallicano, oggi smarrito, e lo dedicò a Ingone (1080), vescovo di Asti. Diventato in seguito canonico della cattedrale di Siena, scrisse per i suoi colleghi un commento al Cantico dei Cantici.
L\’11-2-1079 il santo prese parte al sinodo romano, radunato da Gregorio VII, in cui fu confutato Berengario (+1088), vescovo di Tours, il quale insegnava che nell\’Eucaristia è presente soltanto la virtù soprannaturale di Cristo, e con gli altri teologi, tra cui figurava pure il Card. Pietro Igneo, suo ospite, affermò che Gesù Cristo è presente "sostanzialmente" nel pane consacrato. Poco dopo, per suggerimento di Gregorio VII, si recò a Segni (Roma), e parlò ai canonici radunati in cattedrale per l\’elezione del vescovo. Essendo stato da loro prescelto, in quello stesso anno Bruno fu consacrato vescovo da Gregorio VII, il quale, fino alla morte (+1085), si servì di lui come consigliere nella riforma della Chiesa, sconvolta dalla simonia, dalla clerogamia e dalle investiture laiche.
Nel linguaggio canonico "investitura" indica l\’immissione nel possesso materiale di un beneficio ecclesiastico. Nei secoli XI e XII ci fu una lotta tra i papi e gli imperatori per il conferimento di tali benefici. I vescovi e gli abati, oltre che pastori spirituali, erano anche signori temporali, e venivano investiti di cedesti beni temporali dal sovrano mediante la consegna del pastorale e dell\’anello, simboli della potestà religiosa. A poco a poco i sovrani finirono per avocare a sé anche l\’elezione dei prelati, sottraendola alla Chiesa, donde i gravissimi mali della simonia, della clerogamia e di altri vizi. Troppo sovente i prelati, scelti tra cortigiani incapaci e scostumati, pur di conseguire vescovadi e abbazie sborsavano ingenti somme di denaro al sovrano, e si ripagavano poi trafficando a loro volta simoniacamente i benefici minori. Per quei prelati mondani il celibato diventava un controsenso, e i preti fedifraghi trovavano appoggio proprio in quella ragione feudale che conferiva al sovrano l\’alto diritto sui beni ecclesiastici: l\’investitura laicale li infeudava ai principi, il matrimonio li legava al mondo. Per incorporarli di nuovo alla Chiesa era necessario troncare l\’investitura laicale a costo di mettersi contro la coalizione di interessi materiali e di esasperate passioni.
Chi portò coraggiosamente la scure alla radice dei mali fu S. Gregorio VII che, nel sinodo romano del 1075, vietò ai laici di dare le investiture ecclesiastiche e ai chierici di riceverle, pena la nullità, l\’interdetto e la scomunica. I decreti sinodali destarono enorme scalpore, soprattutto in Germania, dove il traffico di vescovadi e di abbazie era per il monarca una fonte di ricchezza e di prestigio. Enrico IV si ribellò a quelle disposizioni e Gregorio VII lo citò a Roma. Una dieta di Worms e un concilio di Piacenza deposero Gregorio VII dal pontificato, e Gregorio VII, in pieno sinodo lateranense, scomunicò Enrico IV, e sciolse i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà.
Al momento della lotta S. Bruno fu al fianco della Santa Sede. Il conte di Segni, Ainulfo, partigiano dell\’imperatore di Germania, lo tenne prigioniero per tre mesi nel castello di Vicoli (1082). Appena fu rimesso in libertà, il santo fece ritorno a Roma. L\’imperatore Enrico IV (+1106) assediava Castel Sant\’Angelo. Trovandosi abbastanza tranquillo nella Città Eterna e libero da preoccupazioni, scrisse il commento a Isaia in seguito alle insistenze dell\’abate Damiano, uno dei sette diaconi del palazzo pontificio. Nel 1084 Gregorio VII, per sottrarre Roma a più orribili disastri da parte dei Normanni, si rifugiò a Salerno in compagnia di S. Bruno che nella dura e umiliante sorte non aveva voluto abbandonarlo.
Alla morte di Gregorio VII la lotta continuò furibonda con Urbano II (+1099), che si mostrò più prudente e malleabile del suo predecessore. S. Bruno lo accompagnò quasi sempre nei suoi viaggi in Italia e in Francia. Con lui partecipò al sinodo di Melfi nel 1089, alla consacrazione della badia di Cava dei Tirreni (Salerno) nel 1092, ai sinodi di Piacenza e di Clermont nel 1095, nei quali furono rinnovati i decreti contro la simonia, il concubinato degli ecclesiastici e l\’investitura da parte dei laici. A Clermont, ai soliti divieti, fu aggiunto anche quello del giuramento feudale prestato da ecclesiastici a laici, e fu proclamata la prima crociata. S. Bruno, poche settimane prima, si era recato con il papa a Cluny dove avevano consacrato gli altari della splendida basilica fatta costruire dall\’abate S. Ugo il Grande (+1109).
Ritornato in Italia, il santo pastore intervenne quasi sicuramente, nella quaresima del 1097, al concilio lateranense, e nel mese di ottobre dell\’anno seguente, al sinodo di Bari in cui S. Anselmo di Aosta (+1109) tenne un discorso sulla processione dello Spirito Santo contro i Greci. È certo, invece, che nel 1099 prese parte all\’ultimo concilio tenuto da Urbano II al Laterano. Pochi anni dopo, avendo ricevuto altre molestie
Da Ainulfo, S. Bruno si rifugiò, senza l\’autorizzazione del nuovo pontefice, Pasquale II, in seguito a un voto fatto, nell\’abbazia di Montecassino dove, nel 1103, vestì l\’abito di S. Benedetto con grande rammarico degli abitanti di Segni. Pasquale II, nonostante il suo malcontento, gli affidò numerose missioni perché la sua competenza giuridica era riconosciuta da tutti, e gli conservò le incombenze che aveva nella curia. Nel 1105 lo nominò legato in Sicilia e in Francia, dove accompagnò Boemondo I, figlio di Roberto il Guiscardo, uno dei capi della prima crociata e principe di Antiochia, e tenne il concilio di Poitiers il 25-6-1106 onde ridestare l\’entusiasmo popolare per la crociata. Ad esso presero parte anche S. Ivo di Chartres (+1115), celebre teologo e canonista sostenitore della riforma gregoriana, e Sugero, abate di St.-Denis e consigliere dei re di Francia.
Alla morte di Ottone, abate di Montecassino, S.Bruno fu eletto a prenderne il posto (1107). Nel 1108 Pasquale II gli fece visita. Ai monaci riuniti nella sala capitolare dichiarò che Bruno era degno non soltanto di essere abate, ma anche di succedergli nella Sede Apostolica. Dopo, in compagnia del santo, andò a Benevento dove, in un sinodo, rinnovò le sanzioni contro l\’investitura laica e proibì ai sacerdoti l\’uso di abiti civili. Nel 1109 si recò a Segni per confermare il culto di S. Pietro, vescovo di Anagni, di cui S. Bruno aveva scritto la vita.
Come abate e come vescovo di Segni a un tempo, per speciale privilegio di Pasquale II, il santo non cessò di interessarsi alle peripezie della lotta, allora molto viva, tra il papato e l\’impero specialmente quando, nell\’agosto del 1110, Enrico V (+1125) scese in Italia con un forte esercito, entrò in Roma, e costrinse con la violenza e la prigionia Pasquale II e i suoi consiglieri a concedergli il privilegio delle investiture con il pastorale e l\’anello, e a incoronarlo imperatore. S. Bruno con la stragrande maggioranza dei vescovi lo riprovò. In una loro riunione a Roma decisero di non accettare le dimissioni del papa, virtuoso monaco, ma malaccorto diplomatico, e di insistere perché dichiarasse nullo il privilegio. Al papa fu riferito in modo alterato che il dissenso era capeggiato e alimentato da Bruno, e allora costui gli scrisse: "I miei nemici ti dicono che io non ti amo e che sparlo di te. Mentiscono. Io, infatti, così ti amo, come devo amare un padre e un signore e tè vivente non voglio avere altro pontefice… Devo dunque amare te, ma più devo amare colui che ha fatto tè e me . Niente mai deve essere preferito a questo grande amore. Io non lodo quel patto così vergognoso, così violento, fatto con tanto tradimento e così contrario a ogni pietà e religione. E chi potrebbe lodarlo? Esso viola la fede, toglie la libertà alla Chiesa, umilia il sacerdozio… Abbiamo i canoni, abbiamo le costituzioni dei SS. Padri, giunte dai tempi apostolici fino a te. Bisogna camminare per la via regia (tradizionale) e da essa non deviare in alcuna parte…".
Pasquale II, sbigottito assai dell\’atteggiamento dell\’abate di Montecassino e di tanti altri prelati d\’Italia, della Francia e della Germania, tenne testa per un po\’ di tempo ai suoi oppositori scrivendo lettere da tutte le parti. Per fare mostra della propria autorità ritirò al santo il privilegio di cui godeva del cumulo di cariche, di modo che fu obbligato a lasciare l\’abbazia di Montecassino e a fare ritorno alla sua sede vescovile. Bruno si sottomise umilmente al castigo. Il 13-10-1111 lasciò la carica di abate, e ritornò a Segni tra il suo gregge che lo accolse con esultanza . Non tardò molto, però, a scoccare l\’ora della sua vittoria morale. Nel Concilio Lateranense del 1112, Pasquale II fu costretto dai partecipanti a riconoscere l\’illegalità delle concessioni accordate all\’imperatore, e il vescovo di Segni, presente a quasi tutte le sessioni, approvò con grande gioia la decisione.
Dopo questa data l\’intrepido Santo si ritirò dalla vita pubblica per attendere maggiormente al suo gregge, alla preghiera, alla meditazione e allo studio. Ci rimangono di lui commentari sui vari libri della S. Scrittura, sermoni, vite di santi, lettere, un trattato contro i simoniaci e tre trattati di Liturgia: Gli ornamenti della Chiesa, il Sacrificio dell\’Azzimo, i Sacramenti della Chiesa. Rimpianto da tutti, morì nella sua sede vescovile il 18-7-1123 dopo che si era affacciato a una finestra del suo palazzo per esortare il popolo alla perseveranza nel bene e benedirlo. Fu sepolto nella cattedrale, ma delle sue reliquie è rimasto solamente il teschio, custodito in un busto di argento, oggetto di culto pubblico. Nel 1183 Lucio III canonizzò Bruno nella cattedrale di Segni.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 191-195
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