S. ARNOLFO di SOISSONS (1040-1087)

Sant’Arnolfo nacque verso il 1040 nelle Fiandre. Sin dalla giovane età intraprese la carriera militare nell’esercito di Roberto ed Enrico I di Francia, ma in seguito decise di entrare nel monastero di San Medardo presso Soissons, scegliendo di diventare un eremita. Nel 1081 un sinodo straordinario lo elesse vescovo della città, su richiesta del clero diocesano e, a quanto pare, della stessa popolazione. Divenne comunque un vescovo molto attivo ma, poi si dimise dall’incarico e fondò un monastero presso Oudenbourg, nelle Fiandre, ove morì nel 1087. Il santo è popolarmente considerato quale speciale protettore dei produttori di birra e dei birrai.

Questo santo benedettino, eremita e vescovo, nacque verso il 1040 a Tydenghen, nelle Fiandre, da Fulberto, discendente dai signori di Oudenaarde e di Pamèle (Belgio) e da Meinsinda, imparentata con i duchi di Lovanio e i conti di Namur. In quel tempo le Fiandre e la Francia, governate rispettivamente dal conte Baldovino V il Buono e da Enrico I (+1060), erano devastate da così spaventose guerre e carestie che la Chiesa sentì il bisogno di promulgare la legge detta Tregua di Dio.
Arnolfo fu allevato dai genitori con grande cura. Egli crebbe pio e straordinariamente robusto. Suo padre avrebbe voluto fargli frequentare le scuole, ma i parenti gli suggerirono di avviarlo alla carriera delle armi. Al servizio dell'imperatore Enrico IV (+1106), in lotta contro S. Gregorio VII (+1085) per la questione delle investiture, e del re di Francia Filippo I (+1108), sostenitore contro Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, del figlio di lui, Roberto, il nostro santo con la sua bravura e la sua compitezza si acquistò la fama di essere il più perfetto cavaliere dei Paesi Bassi. Gli esercizi militari non gli impedivano di recarsi in chiesa per prendere parte ai divini uffici, di pregare sovente anche durante il giorno, di soccorrere i poveri, di trattare con generosità, dopo la morte del padre, i lavoratori delle sue terre, di farsi loro disinteressato intermediario nelle contese. Con l'amore poi che egli sempre dimostrava per la castità, s'imponeva pure all'ammirazione dei compagni d'armi e dei cortigiani che non potevano osservarlo senza sentirsi rimordere la coscienza per i disordini ai quali si abbandonavano.
Un giovane di tanta virtù non era fatto per la vita militare. Un giorno Arnolfo si congedò dalla madre, e si diresse all'abbazia di San Medardo di Soissons (Aisne), fondata da Clotario I, figlio di Clodoveo, per chiedere di esservi ammesso. La vocazione del santo era troppo evidente perché non fosse riconosciuta a prima vista dall'abate Renoult e dai suoi consiglieri. Ammesso al noviziato, Arnolfo attese alla perfezione religiosa con tale impegno da destare l'ammirazione anche nei monaci più consumati nell'osservanza della regola. Dopo la professione religiosa fu incaricato della distribuzione ai poveri delle elemosine del monastero. Mentre però faceva del suo meglio per alleviare le miserie altrui, egli cercava di accrescere le proprie con l'astenersi dal cibo e dal sonno, trascorrere lunghe ore del giorno e della notte nella preghiera, tormentare il proprio corpo con una grande cintura intessuta di rovi e di spine.
Nel monastero c'era un religioso di grande virtù, Eremboldo, che viveva, con il permesso dell'abate, da eremita in una cella separata dal resto della comunità. Arnolfo sovente lo andava a trovare e gli prestava vari servizi per avere modo di apprendere da lui i mezzi più adatti per unirsi più perfettamente a Dio. Quando cadde malato lo assistette come fosse un fratello. Dopo la morte l'eremita apparve ad Arnolfo raggiante di gioia e gli comunicò che il Signore lo aveva trattenuto un po' di tempo in purgatorio a causa di una mancanza. Dopo quella visione Arnolfo concepì il desiderio di trascorrere la vita nella cella che Eremboldo aveva lasciato vuota. L'abate gliene diede il permesso, ed egli ne approfittò per darsi con rinnovato ardore alla preghiera, al digiuno, alla meditazione della Sacra Scrittura e di altri libri spirituali. Non sembrandogli quella cella sufficientemente austera, volle scavarsi una fossa sotto la grondaia della chiesa, e colà trascorse la maggior parte del giorno, nonostante il gelo, la pioggia e il caldo, per tre anni e mezzo in silenzio continuo.
Alla morte dell'abate di San Medardo, un falso monaco, di nome Pons, ottenne da Filippo I quella carica per sé in maniera simoniaca. L'intruso trasformò la vita monastica in un susseguirsi di giuochi e di conviti in compagnia di allegri cavalieri. Per soddisfare la sua ambizione e prodigalità non esitò neppure ad alienare i beni dell'abbazia. Alcune nobili famiglie, impressionate di quei disordini, fecero le loro rimostranze al vescovo di Soissons, il quale comprese che non si poteva rimediare a tanti scandali che allontanando quell'abate intruso ed eleggendo al posto di lui Arnolfo. Il santo cercò di sottrarsi con suppliche e lacrime a quella carica di cui si riteneva indegno e incapace, cercò persino di sottrarvisi con la fuga, ma inutilmente. Con l'esempio e i saggi consigli egli non tardò a introdurre di nuovo nel monastero la perfetta osservanza e a ricuperare tutti i beni di cui l'abbazia era stata privata. Sotto il mal governo di Pons nessuno voleva più prendere l'abito benedettino nell'abbazia di San Medardo; dopo l'elezione di Arnolfo, fu un accorrere di giovani anche di ricche famiglie desiderosi di servire Iddio sotto la sapiente guida di lui.
Arnolfo, invece di imitare certi abati che prendevano parte a lauti pranzi e viaggiavano a cavallo con la scorta di un grande seguito, non mangiava che pane e legumi, viaggiava a piedi o a dorso di un asino e si faceva accompagnare da pochi religiosi. Dio confermò la santità della vita di lui con il dono della profezia e dei miracoli. I suoi monaci non erano contenti che egli si presentasse a ricchi signori poveramente vestito. Un giorno egli doveva recarsi al castello di Goffredo di Fleury per esortare costui a restituire i beni che aveva usurpato al monastero. Per costringerlo a servirsi di un cavallo per il viaggio, i religiosi ferirono l'asino che soleva cavalcare. Il santo, senza scomporsi, siccome aveva deciso di non servirsi più di cavalli dopo che aveva abbandonato la milizia, fece un segno di croce sulla povera bestia ferita, la guarì e si mise come al solito in cammino. Egli risanò molti malati con la frutta di un albero che prosperava davanti alla sua cella o con il pane e il vino che aveva benedetti. Persino l'acqua di cui un giorno si servì per lavarsi le mani fu sufficiente a rendere la vista ad una cieca da dieci anni.
Tra i monaci di San Medardo ce n'era uno che si stimava più degno di Arnolfo di rivestire la carica di abate, e cercava tutte le occasioni per farlo deporre dal suo ufficio. Per riuscire nel suo intento, scrisse a Filippo I, in procinto di partire per la guerra, che doveva obbligare il suo abate ad accompagnarlo, secondo la consuetudine. Il re gradì la proposta, e ordinò al santo di raggiungerlo al campo con un drappello di soldati. Arnolfo gli rispose che non aveva abbracciato la vita religiosa per riprendere la milizia secolare, e che se gli abati erano costretti a seguire il loro re in guerra, egli preferiva rinunciare alla sua abbazia anziché alle ecclesiastiche libertà. Il re non cedette e allora Arnolfo, dopo avere fatto eleggere al suo posto S. Gerardo (+1095), abate di St-Vincent de Laon, si ritirò a fare vita penitente nella sua antica cella.
La regina Berta fece cacciare dall'abbazia S. Gerardo. Vi fu rimesso il famigerato Pons. Sotto di lui Arnolfo ebbe molto a soffrire, ma Iddio lo ricompensò attirandogli da tutte le parti della Francia signori e prelati desiderosi di chiedergli consiglio e di raccomandarsi alle sue preghiere. Quando il vescovado di Soissons rimase vacante, clero e popolo pregarono insistentemente Ugo, vescovo di Die (Dróme), legato della Santa Sede, di dare loro per pastore Arnolfo. Il santo eremita cercò di allontanare da sé quel peso, ma a nulla valsero le sue dichiarazioni d'incapacità. Durante il viaggio che fece nel Delfìnato per ricevere l'ordinazione episcopale, sostò a Cluny, dove fu ricevuto con grande onore dall'abate S. Ugo (+1109), sostenitore dei papi nella lotta per le investiture. A Vienne i fedeli fecero pressione perché Arnolfo fosse eletto loro arcivescovo. Il santo per non essere costretto a salire sopra una cattedra così eminente, si allontanò alla svelta dalla regione. A Soissons, però, il siniscalco di Filippo I non gli permise di entrare in città. Senza perdere la pazienza, il santo vescovo stabilì la sua sede nella cittadina di Oulchy-le-Chàteau, per essere in grado di visitare la diocesi, correggere gli abusi che si erano introdotti nel clero, combattere le superstizioni che serpeggiavano tra il popolo, consacrare sacerdoti e altari e confermare la predicazione della parola di Dio con miracoli e profezie.
In quel tempo i Paesi Bassi erano sconvolti da continue lotte, vendette e uccisioni. Il conte di Fiandra aveva bandito dalle loro terre signori ed ecclesiastici a motivo di una pretesa cospirazione contro di lui. Gregorio VII incaricò Arnolfo di recarsi in quella regione perché si sforzasse di trovare un rimedio a tanti mali. Il santo ubbidì prontamente alla voce del supremo pastore, si recò a predicare la pace e la concordia tra le popolazioni divise dall'odio e con la preghiera, l'esortazione e il buon tratto seppe riconciliare il duca con i suoi vassalli. Gli abitanti di Altenbourg, nella Turingia (Germania), in riconoscenza gli donarono la chiesa di San Pietro con le dipendenze affinchè vi erigesse un monastero. Il santo accolse la loro proposta e stabilì presso la Chiesa una colonia di ferventi religiosi benedettini.
Dopo aver compiuto tante opere di zelo, Arnolfo rimase nauseato della vita scandalosa che il re Filippo I conduceva con Bertrada di Montfort, consorte di Folco IV, conte d'Anjou, dopo che aveva ripudiato la propria moglie, Berta, figlia di Fiorenzo I, conte d'Olanda, senza che nessun prelato di corte avesse osato alzare la voce contro tanto ardire. Non riuscendo a porre rimedio a tanti mali, il santo preferì rinunciare al vescovado e, per la terza volta, ritirarsi nel suo eremitaggio per pregare e piangere sui gravi disordini di quei secoli di ferro. Poco tempo dopo nelle Fiandre scoppiarono altre liti tra città e castelli. Gli abitanti di Altenbourg andarono allora a supplicare il santo di ritornarvi a mettere pace.
Arnolfo vi andò con gioia perché gli era stato rivelato che in quella regione sarebbe morto. Difatti, dopo avervi lavorato indefessamente per sette giorni con successo per la riconciliazione dei contendenti, cadde gravemente infermo. Si preparò alla morte con una intensa preghiera. Ebbe tre visioni: di S. Pietro, di S. Michele e della Madonna, che gli assicurarono il perdono delle colpe e l'ingresso nel regno dei cieli per la festa dell'Assunta. Morì il 14-8-1087 e fu sepolto nella chiesa di San Pietro d'Altenbourg. Al suo sepolcro fu un accorrere di fedeli da tutte le parti. Avevano difatti costatato che i loro malati guarivano persino a contatto della polvere raccolta su di esso. Callisto II nel 1119 lo canonizzò dando l'incarico al suo cardinale Legato al sinodo di Beauvais, di procedere alla elevazione del di lui corpo.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 149-153
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