PECCATI E PERICOLI CONTRO LA FEDE (02)

…I PECCATI CONTRO LA FEDE. Infedeltà, eresia, apostasia. La separazione dell’unità della Chiesa (scisma). Dubbio e indifferentismo. I PERICOLI CONTRO LA FEDE. Libri, radio-audizioni, spettacoli contrari alla fede. Conversazioni contrarie alla fede e discussioni pubbliche sulla fede. Scuola anticristiana e laica. PRESERVAZIONE DELLA FEDE…

Trattato di Teologia morale


PARTE I.


L’UOMO DI FRONTE A DIO



FEDE E VITA DI FEDE




Titolo 2 – PECCATI E PERICOLI CONTRO LA FEDE




I. I PECCATI CONTRO LA FEDE



1. Infedeltà, eresia, apostasia.


Sono le colpe principali, antitetiche della fede, e perciò inconciliabili con la medesima.



a) L’infedeltà, in genere, è l’assenza della fede dovuta tanto nei battezzati come nei non battezzati, In senso più tecnico è l’assenza della fede in coloro, che ancora non ne hanno ricevuto l’abito mediante il battesimo. Perché sia imputata a colpa si richiede che la rivelazione sia stata sufficientemente proposta e che, ciò nonostante, sia stata rifiutata (infedeltà contraria) oppure non si sia avuta la cura di conoscerla (infedeltà privativa). Negli altri casi (infedeltà negativa) essa costituisce piuttosto una delle tante pene del peccato di origine “.


In pratica non è sempre facile decidere a quale di queste tre specie si riduca l’infedeltà in questa o quella persona.


L’assenso di fede è soggettivamente obbligatorio, quando vi sia la certezza razionale dell’origine divina della religione cristiana (giudizio certo di credibilità) (72).  II caso che un uomo, pur avendo la certezza che la religione cristiana è rivelata, le rifiuti il proprio assenso, non è impossibile, data la distinzione essenziale nel loro oggetto e nel loro motivo tra giudizio di fede e giudizio di credibilità; ma è rarissimo.


Ordinariamente la mancanza di fede si accompagna alla mancanza del giudizio di credibilità. Per vedere quindi quanto sia colpevole la mancanza di fede, occorre vedere fino a che punto è colpevole la mancanza del giudizio di credibilità (73).


Questo rifiuto della rivelazione suscita problemi dei più gravi dal punto di vista sia psicologico che teologico. Essi possono essere formulati così: in che cosa consiste codesto rifiuto e come si spiega psicologicamente? È possibile perdere la fede senza propria colpa?



1) In che cosa consiste il rifiuto della fede, ed in che modo si spiega psicologicamente? Che l’uomo possa, per propria colpa, non arrivare alla conoscenza della verità rivelata, è cosa che si spiega facilmente. Ma in questo caso la fede non si rifiuta, e se è stata già ricevuta mediante il battesimo, non la si perde. Si pensi ad un protestante il quale solo per negligenza non arriva al cattolicesimo: egli, nonostante ciò, può essere abitualmente disposto ad accogliere la verità, ove questa gli si manifesti chiaramente. Il suo atteggiamento non è formalmente contrario all’autorità di Dio rivelatore.


Ma allora, in che cosa consiste codesto rifiuto contrario a siffatta autorità? È proprio necessario che l’uomo, conosciuta la rivelazione, le neghi tuttavia il suo assenso? Alcuni lo hanno pensato; e che ciò, assolutamente parlando, sia possibile, lo dimostra la stessa natura dell’atto di fede, come si è detto. Si tratta, però, di una mostruosità psicologica appena pensabile e perciò in concreto rarissima. Si ha invece un vero rifiuto anche nel caso in cui, per odio contro la luce, o si vuole ignorare la rivelazione perché non la si vuole accogliere, oppure se ne nega la verità, sebbene essa sia stata sufficientemente conosciuta dalla mente. Caso, quest’ultimo, non infrequente e che trova la sua spiegazione psicologica nel fatto che la certezza metafisica circa le verità religiose di ordine naturale e la certezza morale circa il fatto della rivelazione e delle sue prove, non sono come la certezza matematica, la quale non può essere adombrata da nessun dubbio veramente serio, ma devono farsi strada nella mente, trionfando delle ombre che possono sorgere intorno a loro e contro di loro. Ombre sulle quali talvolta l’intelligenza si ferma di preferenza, anziché badare alle prove positive di cui gode la verità. È ciò soprattutto quando si tratta di verità contrarie alle passioni ed agli interessi umani. È così che molti si rendono colpevoli del rifiuto della luce.



2) È possibile perdere la fede senza propria colpa? (74)  Che si possa perdere la fede per propria colpa, che l’incredulità, oltre ad essere errore, può essere anche peccato, è una conclusione che si ricava facilmente dalla soluzione del problema precedente. Ma qui si presenta il problema opposto. Se l’eretico o l’infedele può legittimamente dubitare delle credenze religiose, iniziando così, col dubbio, quel suo interno itinerario che lo porterà a Cristo ed alla Chiesa, perché non potrebbe accadere qualche cosa di analogo al cattolico relativamente alla sua fede?


Il confronto, se è inteso come equiparazione oggettiva della verità e dell’errore, è da scartarsi a limine. Ma, anche considerato solo da un punto di vista soggettivo, non regge: che altra è la condizione di colui il quale ha ricevuto il dono della fede nella vera Chiesa di Dio, altra quella di colui che segue una falsa religione, E ciò per un duplice motivo, di ordine logico l’uno, di ordine psicologico l’altro. L’errore non può avere la stessa forza che la verità: le altre religioni e le altre Chiese non hanno in loro favore tutti quei segni di credibilità e di verità di cui gode la Chiesa cattolica. D’altra parte quella medesima grazia, che eccita ed aiuta gli erranti perché possano conoscere la verità, conferma nella fede coloro che dalle tenebre ha fatto passare alla sua luce (75). Anche in questo caso si può dire che Dio non abbandona se non è abbandonato (76).


La perdita della fede è, perciò, condizionata sempre da un peccato: molto spesso è tutta una serie di colpe e di graduali transazioni che prepara l’apostasia.


La soluzione del problema, poggiando non solo sull’aiuto della grazia ma anche sulla forza della verità, riguarda unicamente il credente che, sotto la guida della Chiesa, ha preso coscienza della sua fede. Non considera, invece, il caso straordinario dell’ homo rudis preso nelle spire dell’errore prima che si rendesse ragione della verità. La grazia non supplisce i motivi di credibilità, né Dio è tenuto a far dei miracoli per colmare le lacune causate dall’ignoranza.



b) Anche l ‘eresia ha diversi significati: in senso largo è il rifiuto di una particolare verità rivelata da parte del battezzato; in senso stretto si richiede che tale verità sia inoltre proposta dalla Chiesa (77); in senso canonico si richiede ancora che il rifiuto sia esterno (78). Ma dall’eresia si distingue sostanzialmente l’errore, sia pur colpevole, del credente in materia di fede, il quale sia disposto ad accogliere la verità ove questa gli sia manifestata.


Colui invece che, senza propria colpa rimane al di fuori del seno della Chiesa, è eretico, ma soltanto materiale. Gli eretici che vivono in buona fede fanno parte dell’anima della Chiesa, purché non abbiano peccati mortali, e, benché in circostanze più difficili dei cattolici, non rimangono esclusi dalla possibilità di salvarsi. Perciò il Concilio ecumenico Vaticano II ha voluto fare un ulteriore sforzo di comprensione con loro e preferisce chiamarli fratelli separati, sottolineando meglio l’unico ceppo d’origine cristiano (79).


Perché si abbia il peccato formale di eresia occorre non solo che l’errore circa la verità rivelata da credersi per fede divino-cattolica sia volontaria, ma che vi sia ancora la consapevolezza di opporsi alla regola della fede: questa consapevolezza si chiama con vocabolo tecnico pertinacia.


Molteplici conseguenze vengono a colpire l’eretico formale nei suoi rapporti con la vita interiore cristiana e con la società ecclesiastica. Di queste le principali sono, oltre la perdita della vita della grazia, che si ha, se vi è stata colpa grave, la separazione dal corpo della Chiesa nel caso di eresia pubblica, per cui l’eretico viene ad essere un membro avulso e separato.


Chi neghi una verità connessa colla fede e infallibilmente insegnata dalla Chiesa (conclusioni teologiche, fatti dogmatici, ecc.) non è formalmente eretico, ma commette un peccato contro la fede. Altrettanto si deve dire di chi neghi una verità che personalmente ritenga rivelata senza che la Chiesa la proponga come tale. Una dottrina insegnata dalla Chiesa non come rivelata, ma da ritenersi come vera, impone l’obbligo di accettarla con un assenso non solo esterno, riverenziale, ma anche interno sia pure non irrevocabile. Negarla non è eresia, ma atto di disubbidienza all’autorità della Chiesa (80).



c) L’apostasia (81) è il completo abbandono della fede; l’atto di chi, dopo il battesimo, abbandona totalmente la fede cristiana. A differenza dall’eretico, l’apostata non rigetta soltanto qualche dogma in particolare, ma tutta la fede rivelata, sia che passi ad un’altra religione non cristiana, sia che rimanga senza alcuna religione.


L’apostasia costituisce da sé la colpa più grave contro la fede, e vi si aggiunge la circostanza aggravante dell’infedeltà alla parola data nel battesimo (82). Abbiamo sopra veduto come non sia possibile un’apostasia materiale (mentre è possibile un’eresia, infedeltà o scisma materiale), fatta cioè in buona fede.


La rinnegazione della fede si ha non solo con il rigetto esplicito della fede rivelata, ma anche con l’adesione a dottrine o sistemi di vita incompossibili con la religione cristiana. II rigetto è allora implicito (83).



d) La separazione dell’unità della Chiesa (scisma), mantenendo la vera fede è cosa del tutto distinta dall’eresia e dall’apostasia.


Lo scisma di per sé non è peccato contro la fede, ma contro il vincolo di ubbidienza che lega i membri con il Capo o contro il vincolo di carità, che lega i fedeli tra loro: i due vincoli, i due aspetti che offre l’unità della Chiesa. Praticamente, superato il momento iniziale, i due aspetti vengono a coincidere; per questo S. Tommaso pone lo scisma tra i peccati contro la carità, in quanto è infrazione della pace tra i fedeli (84). Da pura ribellione qual è lo scisma facilmente traligna nell’eresia. II peccato, per quanto meno grave dell’infedeltà e dell’eresia, è però assai grave contro la ubbidienza al Capo supremo della Chiesa e contro la carità fra i fedeli (85).



2. Dubbio e indifferentismo (86).


Il dubbio è una forma particolare dell’infedeltà e dell’eresia: colui che dubita in materia di fede è eretico. Si tratta, però, del dubbio accolto volontariamente nella mente, nonostante la sufficiente proposizione della verità rivelata. In tal caso, colui che dubita, ha già rifiutata la sottomissione della sua mente e della sua volontà all’autorità di Dio rivelatore. Esso, perciò, non va confuso con la tentazione del dubbio, tanto meno con Possessione del dubbio o con le semplici difficoltà teoriche: l’ossessione è una forma morbosa la quale se mai, analogamente a quanto avviene per le altre forme ossessive, indica un’eccessiva preoccupazione di credere; le difficoltà, poi, finché rimangono teoriche, non compromettono per nulla la volontà.


L’indifferentismo religioso può essere teorico e pratico. Nel primo caso, mettendo sullo stesso piano tutte le religioni oppure predicando l’irrilevanza, ai fini della bontà e della salvezza, della credenza religiosa, costituisce una delle più deleterie eresie; senza dire che, mentre tenta di dissociare la vita intellettiva dalla condotta pratica, è contrario ai più elementari principi di psicologia e conduce a conclusioni pedagogicamente erronee (87).


Nel secondo caso è piuttosto contrario allo spirito ed al contenuto della fede, in quanto chi lo pratica apprezza i valori spirituali, ma orienta la propria vita unicamente verso il benessere materiale, come se fede e i valori spirituali non esistessero.




II. I PERICOLI CONTRO LA FEDE.


Anche senza perdere la fede, si può mancare ai doveri ad essa inerenti, o, come si è detto, con il rifiuto della dottrina non rivelata ma insegnata dalla Chiesa (v. quando si è parlato del magistero della Chiesa), o mancando all’esercizio della fede e della sua professione (di cui pure si è già parlato) oppure con l’esporsi a pericoli che possono insidiare la fede. Daremo qualche esempio.



1.  Libri, radio-audizioni, spettacoli contrari alla fede.


Uno dei pericoli più gravi per la fede e la morale proviene dalla stampa o dagli altri mezzi di comunicazione sociale; invenzioni stupende, ma pur suscettibili di essere stravolte ed usate a fini perversi.


Il giudizio sulla pericolosità del libro o stampa o radio-audizioni o spettacolo appartiene alla Chiesa, oltre che al criterio personale di ciascuno dinanzi a Dio.


Secondo la necessità la Chiesa può determinare specie per la stampa, quali libri o spettacoli debbono evitarsi dai fedeli per la conservazione della fede (come della morale), di cui essa è legittima custode. Ciò viene fatto con la condanna dei libri, pericolosi per la fede e per i costumi (libri proibiti), vietandone in linea di massima la lettura e la conservazione. Ciò è più fattibile, in confronto degli altri mezzi di comunicazione, perché il libro resta.


La Chiesa nel corso dei secoli si è avvalsa più volte di questo suo diritto e dovere o per mezzo dei Vescovi, dei Concili o della Santa Sede. Questo intervento è divenuto più attivo dopo la riforma luterana, quando si compilò un Indice (cioè un catalogo) dei libri proibiti (1559). Astenersi dalla lettura dei libri contenuti nell’Indice creava oltre l’obbligazione morale, che è connaturale di per sé per il pericolo a cui espone la fede o la vita morale del cristiano, anche un’obbligazione giuridica. Dopo il Concilio ecumenico Vaticano II, la Chiesa, per dare all’autore stesso maggior garanzia di imparzialità e vincere certe resistenze e pregiudizi più o meno giustificati, facendo appello al senso di maturità e degli scrittori e dei fedeli, con notificazione del 14 giugno 1966 della S. Congregazione della Dottrina della Fede (Post litteras apostolicas: AAS 58 [1966] 445), ha dichiarato decadute le sanzioni penali connesse già con la violazione della legge, pur restando il valore morale, obbligante in coscienza. Ma un nuovo alto richiamo della Chiesa si è avuto con il decreto della S. Congr. della dottrina della fede del 19 marzo 1975 Ecclesiae pastorum, in base al quale si stabiliscono le modalità necessario di approvazione da parte della competente autorità ecclesiastica per i libri della S. Scrittura, libri liturgici, di insegnamento catechistico e catechismi. Per quanto concerne la pubblicazione di libri riguardanti questioni di sacra scrittura, di teologia, di diritto canonico e di questioni religiose o morali, il decreto ribadisce che se non si è ottenuta la preventiva approvazione della competente autorità ecclesiastica, questi non possono essere usati come testi di insegnamento nelle scuole elementari, medie e superiori. “


II documento dice inoltre che ” ai pastori della Chiesa compete il dovere e il diritto di vigilare affinché la fede e i costumi dei fedeli non siano danneggiati da scritti; e perciò anche di esigete che la pubblicazione di scritti che riguardano la fede e i costumi siano sottoposti alla loro previa approvazione; ad essi compete anche di disapprovare i libri e gli scritti che attaccano la retta fede o i buoni costumi”.


Per ottenere questi scopi il decreto afferma che ogni conferenza episcopale ” può redigere un elenco di censori, eminenti per scienza, retta dottrina e prudenza ” (88).


A prescindere da ogni legge ecclesiastica, poiché è dovere preciso dell’uomo adoperare tutti i mezzi disponibili per giungere alla fede e alla vita della grazia; è pure suo dovere conservarla sempre, rendendola più viva, difenderla coraggiosamente a. costo di qualsiasi sacrificio. La legge naturale stessa esige che noi fuggiamo il male e anche l’occasione prossima del male.


Quanto si è detto del libro vale, come obbligo morale, per gli altri mezzi di comunicazione sociale: cinematografia, radio, televisione.



2. Conversazioni contrarie alla fede e discussioni pubbliche sulla fede.


Un pericolo per la fede può essere costituito anche dalle conversazioni e discussioni in materia di fede non prudentemente fatte. Chi nella conversazione consapevolmente combatte la verità religiosa o morale non va esente da colpa. Ma anche chi ascolta imprudentemente senza difendere la verità o senza avere la capacità di difenderla si espone al pericolo di lasciar fomentare in sé dubbi e incertezze contro la fede e di far apparire meno salda la verità; il che pure non può essere senza peccato. Per questa ragione la Chiesa proibisce ad un fedele qualsiasi di fare discussioni pubbliche con gli acattolici sulla fede, senza il consenso dell’Ordinario. Ed anche oggi, in pericolo ecumenico, si preferisce parlare in pubblico dei punti di convergenza, anziché di dissenso. Sulla ordinata, e non indiscriminata partecipazione dei cattolici a funzioni sacre e pubbliche di un culto non cattolico si è già detto.



3. Scuola anticristiana e laica.


È non di rado insidioso il pericolo che viene creato alla fede dalla frequenza alla cosiddetta scuola laica (89).


Il pericolo potrà essere diminuito se la scuola, pur essendo laica, cioè non soggetta ad alcun intervento dell’autorità ecclesiastica, conserva un silenzio rispettoso verso tutte le credenze religiose professate dai propri alunni (scuola areligiosa, neutra) oppure orienta il suo insegnamento al principi della religione naturale (scuola aconfessionale) oppure arriva ad essere una scuola di ispirazione cristiana.


Altra mancanza che nuoce alla purità della fede è la credulità religiosa, la quale consiste nella predilezione per quelle opinioni o apparenze che con la fede non hanno alcun rapporto o ne hanno uno molto vago.



III. PRESERVAZIONE DELLA FEDE


L’opera di preservazione della fede, che consiste nell’evitare i pericoli che la insidiano, va accompagnata da una azione positiva per radicarsi nella fede. E ciò si ottiene con una conveniente istruzione religiosa, con la stima del dono della fede e con l’assidua preghiera, che non si stanca di chiedere a Dio, luce delle anime, che venga incontro alla nostra incredulità (90) e che accresca la nostra fede (91).


Il progresso nella fede si avverte con il suo estendersi, in quanto tutte le cose, persone ed eventi, vengono considerate al lume della fede e si ha allora la vera vita di fede (92). A quest’interno espandersi della fede corrisponde un’espansione esterna di buon esempio nelle parole e nelle opere. La virtù della fede viene poi perfezionata, come si è detto, dai doni della scienza ed intelletto (93), i cui frutti sono il timore di Dio e la purità di cuore (94).



NOTE


(71) Denz. S. 1968 [1068]. Cfr. E. TANURG, Infidélité, m DTC, VII, 1930-1934; R. LOMBARDI, La salvezza di chi non ha fede, Roma 1945; A. DAL COVOLO, La psicologia dell’incredulo alla luce del IV Evangelo, Milano 1945; P. PARENTE, La possibilità dell’atto di fede negli infedeli, in Euntes docete, 3 (1950) 161-180.


(72) II dubbio porta l’obbligatorietà ad un’ulteriore ricerca, ma non ancora alla fede (Denz. S. 2120 [1170], 2754-2755 [1625-1626], 2778 [1637].


(73) In foro esterno la Chiesa non fa questo processo all’intenzione, quando definisce lo status degli infedeli nella società ecclesiastica, cfr. Conc. Vaticano II, dich. Nostra aetate, nn. 1-5. Per i moderni studi sull’ateismo, cfr., tra l’altro: J. MARITAIN, La Signification de l’athéisme contemporain, Paris, 1949 (trad. it., Morcelliana, Broscia 1950; VARI, L’ateismo contemporaneo, tentazione del mondo, risveglio dei cristiani?, trad. li. Torino, S.E.I, 1965; E, BOKNE, Dieu n’est pas mort. Essai sur l’athéisme contemporain, Paris, Fayard, 1959 (trad. it., Ed. Paoline, Catania, 2 ed, 1962), I. LEPP, Psychanalyse de l’athéisme moderne, Paris, Crassei (trad. it,, Torino, Boria, 1966); VARI, Psicologi dell’ateismo, Roma, Univ. Gregoriana, 1967; M. VERNET, L’ateismo moderno, Roma, Editori Riuniti, 1965 (trad. dal francese; Les marxistes et la religion, opera di un marxista; L’ateismo contemporaneo, enciclopedia diretta da G. GIRARDI, vol. I, Torino, S.E.I., 1967; R. SPIAZZI, Ateismo e religione nel mondo contemporaneo, Roma 1968. La Costituzione ” Gaudium et Spes ” del Concilio Ecumenico Vaticano II (n. 19), presenta il quadro dell’ateismo contemporaneo, elencandone i vari casi: ” Molti nostri contemporanei… non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano… l’intimo e vitale legame con Dio, così che l’ateismo va annoverato fra le cose più gravi del nostro tempo, e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine di “ateismo” vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l’uomo non possa dir niente di Lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta, Alcuni tanto esaltano l’uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, così pare, ad affermare l’uomo più che a negare Dio.


Altri si creano una tale rappresentazione di Dio, che ciò che essi rifiutano non è affatto il Dio del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio, in quanto non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa ne riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L’ateismo inoltre ha origine non di rado o dalla protesta violenta contro il male del mondo, o dall’aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell’Assoluto a qualche valore umano, cosi che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per se stessa ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l’accesso a Dio”.


(74) Cfr. F. FURTH, De inculpabili defectione a fide, in Gregorianum, 7 (1926) 3 ss., 303 ss.; G. BARONI. E’ possibile perdere la fede cattolica senza peccato? (Dottrina dei teologi dei secoli XVII-XVIII), Roma 1937; G. B. GUZZETTI, La perdita della fede nei cattolici (studio storico-dogmatico), Venegono 1940; R. AUBERT, Le problème de l’acte de foi, 438 ss, 441 ss.; V. VANGHELUWE, De irrevocabilitate fidei, in Collationes brugenses, 49 (1953) 434-444.


(75) 1 Pt 2, 9; 2 Cor 4, 6; Col. I, 13 ecc.


(76) Concilio Vaticano I, Sess. II, e. 3 de fide: Denz. S. 3014 [1794],


(77) Come bibliografia, cfr. A. MICHEL, Héréste-Hérétìque, in DTC, VI, 2208-22.57; L. BILLOT, De virtutibus infusis Roma 1928,339 ss,; E. F. MACKENZIE, The delict of heresy, Washington 1932, A. GOUGNARD, De poenis contra apostatas, haereticos et schismaticos latis, in C.I.C., can. 2314, in Collectanea mechliniensia, 4 (1930) 161-168; V. MANNAERT, De reconciliatione haereticorum, in Collationes gandavenses, 18 (1931) from heresy, in The homil. and pastor. rev,, 33 (1932-1933) 639-640; F. I. ZDROPOWSKI, The concept of heresy according to Cardinal Hosius, Washington 1947; P. HAYOIT, Les délits d’héresie, d’apostasie et de schisme, in Rev. diocès de Tournai, 5, (1950) 134-139; G. ZANNONI, Eresia, in EC, V, 487-493. Per la storia delle eresie, cfr. C. CANTU’, Gli eretici in Italia, Torino 1865-1867; F. Tocco, L’eresia nel medioevo, Firenze 1884 (tendenzioso); H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, Brescia 1950; G, WELTER, Hist. des sectes chrétiennes des origines a nos jours, Paris 1950 (l’autore è acattolico).


II termine eresia nel Nuovo Testamento è usato nel senso di setta o dottrina da riprovarsi (At 24, 14).


Nella terminologia odierna tre elementi si richiedono quindi a costituire dogmaticamente l’eresia oggettiva; a) una verità rivelata, contenuta formalmente in maniera almeno implicita nelle fonti della Rivelazione; b) la presentazione da parte della Chiesa della verità come rivelata; e) il rifiuto, cioè l’opposizione immediata, diretta, contraddittoria alla verità rivelata.


(78) Se rimane un fatto puramente interno, costituisce un peccato interno di eresia, ma non un delitto nel senso giuridico della parola, passibile quindi di sanzioni canoniche. II Carattere esterno può essere poi dato da una estrinsecazione occulta (manifestata o a nessuno o a pochi in segreto) o pubblica (manifestata davanti ad un certo numero di persone).


Le pene in vigore nella legislazione canonica del CIC del 1917 contro gli eretici (scomunica speciali modo riservata alla S. Sede, ecc.) non colpiscono coloro che, oggettivamente parlando, sono eretici in buona fede.


(79) “Cooperare fraternamente al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio ” (Cost. past.Gaudium et spes, n. 92).


” E’ necessario, dice ancora il Concilio, che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all’effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e sublime nelle sue opere. Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano, mai è contrario ai veri benefìci della fedee,,, ” (Decr. Unitatis Redintegratio, n. 4).


” Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese o Comunità, e la Chiesa cattolica, vi sono importanti divergenze, non solo d’indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma soprattutto di interpretazione della verità rivelata. Per poter più facilmente nonostante queste differenze, riprendere il dialogo ecumenico, vogliamo qui mettere in risalto alcuni punti, che possono e devono essere il fondamento di questo dialogo e un incitamento ad esso.


Il nostro pensiero si rivolge prima di tutto a quei cristiani, che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figliuolo e Spirito Santo. Sappiamo che vi sono invero non lievi discordanze dalla dottrina della Chiesa cattolica anche intorno a Cristo Verbo di Dio incarnato e all’opera della redenzione… ” (Ibid,, n. 20).


(80) Pio IX, Lettera Tuas Ubenter all’Arcivescovo di Monaco, 21 dicembre 1863; Concilio Vaticano I, Sess, III, de fide et ratione; S.C.S, Ufficio, Decr. Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 8°; L. CHOUPIN, Valeur des décisions doctrinales et disciplinaires du St. Siège, Paris 1929, 227-237; G. RAMBALDI, Rivelazione, nuovi dogmi e autorità della Chiesa, in Civiltà Cattolica (1953), II, 263-274.


(81) Cfr. S. Theol. 2-2, p. 12; I. BOUCHÉ, Apostasie, in DTC, I, 640-652; A. CHARUE, L’incredulitè des Juifs dans le Nouveau Testament, Louvain 1929; P. CIPROTTI, De consummatione delictorum attento eorum elemento obiectivo in iure canonico, Romae 1936, 14-16; F. LIUZZI, Apostasia, in EC, 1, 1674-1675; F. ROBERTI, Apostasia, in Nuovissimo Diz. Ital., I, 685-686; G. ROBINOT-MARCY, Aux prises avec l’apostasie, Paris 1932; K. ALGERMISSEN, Kirchenaustritt, in Lexikon fur Theologie und Kirche, V, 985-989; A. GOUGNARD, De haeresi et apostasia, in Collectanea mechlinlensia, 21 (1932) 176-183,


(82) La Chiesa colpisce gli apostati con le stesse pene degli eretici, specialmente con la scomunica riservata alla S. Sede.


(83) Su questi presupposti era basato il decreto della S.C.S. Ufficio, 1 luglio 1949; 28 luglio 1950.


(84) S. Theol. 2-2, q. 39; M. JUGIE, T’heologia dogmatica christianorum orientalium, I, Paris 1926, 15-46; M.-J,, CONGAR, Schisme, in DTC, XIV, 1286-1312; M. JUGIE, Le schisme byzantin, aperçu historique et doctrinal, Paris 1941.


(85) Come l’eresia e l’infedeltà, lo scisma può essere materiale, se in buona fede, o formale, se in cattiva fede.


Il Concilio ecumenico Vaticano II parla con rispetto delle Chiese scismatiche orientali: ” L’eredità tramandata dagli Apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e, fin dai primordi stessi della Chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per le diversità di carattere e di condizioni di vita. E tutte queste cose, oltre alle cause esterne, anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni.


Perciò il Santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese Orientali e la Chiesa cattolica, affinché tengano in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d’Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la Sede di Roma prima della separazione, e si formino un equo giudizio di tutte queste cose. Se tutto questo sarà accuratamente osservato, contribuirà moltissimo al dialogo inteso”. (Decr. Unitatis Redintegratio. n. 14). Cfr. ancora la “Dichiarazione comune di Paolo VI e di Atenagora I ” del 7 dicembre 1965 sulla riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa.


(86) Cfr. L. DE GRANDMAISON, La crise de la foi chez les jeunes, Paris 1927; P. RICHARD, Indifference religieuse, in DTC, VIII, 1580-1594; R, GARRIGOU-LAGRANGE, De Revelatione, II, Romae 1945, cap, 15, A. ODDONE, Indifferentismo, in EC, VI, 1829-1832.


(87) Enc. Mirari vos arbitramur, 15 agosto 1832: Enc. Quanto conficiamur moerore, 10 agosto 1863; Ep. Tuas libenter, 21 dicembre 1863: Sillabo, n. 15-18: Denz. S. 2730 ss. [1630 ss.], 2865-2867 [1677 ss.], 2875 ss. [1679 ss.], 2915-2918 [1715.17181.


(88) AAS 67 (1975) 281-284. Sull’antico Indice del libri proibiti, cfr. REUSCH, Der Index der verbotenen Bucher, Bonn 1883-85, 2 voll.; A. VERMEERSCH, De prohibitione et censura librorum, Romae 1906; I. PERNICONE, The ecclesiastical prohibition of books, Washington 1932.


(89) Cfr. Pio XI, Enc. Dell’educazione cristiana, 31 dicembre 1929; G. MONTI, La libertà della scuola, Milano 1928; ID., La scuola laica, Brescia 1947, In,, La libertà scolastica, Roma 1948; L. ROSA, Scuola di stato e scuola non statale, in Aggiornamenti sociali, 11 (1960) 1-l0 bis; G. MARCHISIO, II diritto alla libertà scolastica, Padova 1965.


(90) Mc 9, 23.


(91)  Lc 17, 5.


(92) Rm 1, 17.


(93) Cfr. R. GARRIGOU-LAGRANGE, L’esprit de foi et son progrès, in Vie spirituelle, 43 (1935) 138-150; ID., La teologie et la vie de foi, in Rev. thom. (1935) 492-514.


(94) At 15, 9.