PACS: una legge inutile e dannosa

Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Francese ha diffuso, in data 16 settembre, una Dichiarazione su una proposta di legge, denominata “Pacs”, che intende regolare le “unioni di fatto”

Dichiarazione del Consiglio Permanente della
Conferenza Episcopale Francese
su una proposta di legge in materia di “unioni di fatto”


Una legge inutile e dannosa


 


Il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Francese ha diffuso, in data 16 settembre, una Dichiarazione su una proposta di legge, denominata “Pacs”, che intende regolare le “unioni di fatto”. Questo è il testo della Dichiarazione in una nostra traduzione:


 


1. Una proposta di legge, “il patto civile di solidarietà” (PACS) è attualmente in fase di studio, al fine di stabilire “un quadro giuridico per coppie che non possono o non vogliono sposarsi”. Gli autori di questo progetto affermano che non si tratta di un “matrimonio bis” e che non nuoce all’istituzione matrimoniale. Si tratterebbe di semplici misure pratiche senza nessun’altra pretesa.


2. Tuttavia, come si possono comprendere simili discorsi quando tale progetto mutua la maggior parte dei diritti inerenti al matrimonio, senza i corrispettivi obblighi, rendendolo alla fine inutile! Il matrimonio fissa il quadro giuridico che favorisce la stabilità della famiglia. Permette il rinnovamento delle generazioni. Non è un semplice contratto o un affare privato, bensì una delle strutture fondamentali della società, della quale garantisce la coerenza. Il matrimonio deve essere considerato l’alleanza privilegiata fra un uomo e una donna.


3. Che lo si voglia o no, questo progetto determina in parte il futuro della nostra società. È increscioso e preoccupante che non sia stato preceduto da una riflessione sufficientemente approfondita da parte di esperti e da una consultazione seria di tutte le correnti di pensiero. Riflessioni e consultazioni avrebbero permesso, senza dover legiferare, di prospettare misure pratiche e al contempo fissare limiti a rivendicazioni impossibili da soddisfare.


4. La Chiesa cattolica non può restare indifferente a ciò che faciliterebbe in modo giusto l’esistenza di persone coinvolte in situazioni singolari e a volte difficili. Queste persone devono essere accolte e ascoltate. Tuttavia, tendenze o modi di vita in cui alcuni si riconoscono individualmente non devono diventare, attraverso la legge, punti di riferimento sociali.


5. Una società deve certo preoccuparsi che nessuno dei suoi membri venga emarginato o si ritrovi in situazioni invivibili. Si possono quindi individuare misure appropriate e mirate. Tuttavia, la proposta di legge in questione implica una filosofia, persino implicita, della vita fra gli uomini. Non riconoscerlo dimostrerebbe che non sappiamo più valutare le possibili conseguenze sul nostro futuro comune delle decisioni legali.


6. Sappiamo quanto l’instabilità affettiva di numerose coppie implichi sofferenze e indebolisca le famiglie e il vincolo sociale. È pertinente supportare con una nuova legge questa precarietà e l’irresponsabilità che ne può derivare? È pertinente far sopportare alla società un onere finanziario addizionale, difficilmente giustificabile mentre contemporaneamente si riduce l’aiuto alle famiglie?


7. Sarebbe pregiudizievole vedere una legislazione ratificare una gerarchia di unioni, secondo le tendenze soggettive delle persone, accentuando di fatto le disparità di diritti e doveri. La società non deve riconoscere tutte le unioni affettive che derivano dall’esperienza singola di ognuno e dall’ambito del privato.
La legge può edificarsi solo sulle realtà universali e non sui desideri, o su singolari rappresentazioni affettive.


8. Per alcuni fautori di questa proposta di legge l’obiettivo principale delle misure previste è di fornire un riconoscimento sociale al rapporto omosessuale. Essi rivendicano, per un futuro più o meno vicino, un “matrimonio” per gli omosessuali, e persino l’adozione. Tuttavia non vi è equivalenza fra il rapporto di due persone dello stesso sesso e la relazione formata da un uomo e da una donna. Solo la seconda può essere definita coppia, poiché implica la differenza sessuale, la dimensione coniugale, la capacità di esercitare la paternità e la maternità. L’omosessualità non può evidentemente rappresentare questo insieme simbolico.


9. Una cosa è rispettare i diritti di cui beneficiano tutte le persone, un’altra è voler istituire un orientamento particolare e farne addirittura un modello. Si è riflettuto abbastanza sul fatto che la ricerca a ogni costo del simile o dell’identico è di per sé una fonte di esclusione?
La società non si può costruire sulla ricerca della similitudine ma sulla differenza fra l’uomo e la donna: non vi è in ciò alcuna discriminazione nei riguardi di qualcuno, nessun rifiuto di qualche persona, ma un riconoscimento delle condizioni necessarie alla vita in società.


10. Mentre tanti giovani si emarginano e il disappunto per la mancanza di punti di riferimento aumenta sempre più, è bene che la legge non aggiunga l’incoerenza alla confusione relazionale dell’epoca attuale. Le riflessioni condotte sull’integrazione sociale dei giovani hanno messo in evidenza il ruolo decisivo dei genitori, padre e madre, ruolo riconosciuto come necessario per l’educazione dei figli. Vi è una reale contraddizione nel ricordare ai genitori la loro missione sociale mentre contemporaneamente si indebolisce l’immagine sociale del matrimonio e della famiglia.


11. La nostra convinzione è semplice: il diritto offre possibilità sufficienti a regolare i problemi sociali o economici incontrati da alcune persone “che non possono o non vogliono sposarsi”. Non è necessario inserire nella legge un nuovo statuto relazionale che rischia di disintegrare ancora di più il senso della coppia e della famiglia.


Nel ricordare ciò, desideriamo servire tutta la società.


 


(C) L’OSSERVATORE ROMANO,  Mercoledì 23 Settembre 1998