Maria e le persone consacrate

Giovanni Paolo II, Lettera a tutte le persone consacrate: ogni istituto deve quindi curare un modo di partecipare all’opera di “crescita mariana”, poiche’ la Vergine e’ modello di vita contemplativa, di carita’ operosa e di vita nascosta nel mondo


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Giovanni Paolo II
Lettera a tutte le persone consacrate


“La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3).


Cari fratelli e sorelle in Cristo!


I. Introduzione


1. L’enciclica “Redemptoris Mater” spiega il significato dell’anno mariano, che stiamo vivendo insieme con tutta la Chiesa, dalla scorsa Pentecoste alla prossima solennità dell’Assunzione. In tale periodo noi cerchiamo di seguire l’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale nella costituzione dogmatica sulla Chiesa ha indicato la Madre di Dio come colei che “precede” tutto il Popolo di Dio nel pellegrinaggio della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. (“Lumen Gentium”, 58. 63). Grazie a questo fatto, tutta la Chiesa vede in Maria la sua perfetta “figura”. Occorre che quanto il Concilio, seguendo la Tradizione dei Padri, afferma della Chiesa, quale comunità universale del Popolo di Dio, sia meditato – in rapporto alla propria vocazione – da coloro che insieme formano questa stessa comunità.


Certamente molti di voi, cari fratelli e sorelle, cercano in quest’anno di rinnovare la consapevolezza del legame esistente tra la Madre di Dio e la propria specifica vocazione nella Chiesa. La presente lettera, che a voi indirizzo nell’anno mariano, vuole offrire un aiuto per le vostre meditazioni intorno a questo tema, e ciò faccio riferendomi anche alle considerazioni già preparate dalla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari (cf. “I religiosi sulle orme di Maria”, 1987). Nel redigerla, io desidero al tempo stesso esprimere l’amore che la Chiesa nutre per voi, per la vostra vocazione, per la missione che svolgete in mezzo al Popolo di Dio, in tanti luoghi e in tanti modi. Tutto questo è un grande dono per la Chiesa. E poiché la Madre di Dio, per la parte che ha nel mistero di Cristo, è pure costantemente presente nella vita della Chiesa, la vostra vocazione e il vostro servizio sono come un riflesso di tale sua presenza. Occorre, dunque, domandarsi quale relazione esista tra questa “figura” e la vocazione delle persone consacrate, che nei vari ordini, congregazioni e istituti si sforzano di vivere la loro donazione a Cristo.


 


II. Meditiamo insieme con Maria il mistero della nostra vocazione


Durante la visitazione Elisabetta, la parente di Maria, la chiamò beata a motivo della sua fede: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45).


Davvero tali parole, rivolte a Maria nell’annunciazione, erano state insolite. La lettura attenta del testo di Luca mostra che in esse è contenuta la verità su Dio, già del tutto in linea col Vangelo e con la nuova alleanza. La Vergine di Nazaret è stata introdotta nel mistero imperscrutabile, che è il Dio vivente, il Dio Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. In tale contesto è stata rivelata alla Vergine la vocazione ad essere madre del Messia, vocazione alla quale ella rispose col suo fiat: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).


Meditando sull’evento dell’annunciazione, noi pensiamo anche alla nostra vocazione. Questa segna sempre come una svolta nel cammino della nostra relazione col Dio vivente. Davanti a ciascuno e a ciascuna di voi si è aperta una nuova prospettiva, e sono stati dati un nuovo senso e una nuova dimensione alla vostra esistenza cristiana.


Questo si attua in vista del futuro, della vita che vivrà poi la persona concreta, della sua scelta e matura decisione. Il momento della vocazione riguarda sempre direttamente una persona, ma – così come a Nazaret durante l’annunciazione – esso significa, nello stesso tempo, un certo “disvelarsi” del mistero di Dio. La vocazione – prima di diventare un fatto interiore nella persona, prima di rivestire la forma di una scelta e di una decisione personale – rimanda ad un’altra scelta che ha preceduto, da parte di Dio, la scelta e la decisione umana. Cristo parlò di questo agli apostoli durante il discorso d’addio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16).


Questa scelta ci sollecita – così come è stato per Maria nell’annunciazione – a ritrovare nel profondo dell’eterno mistero di Dio che è amore. Ecco, quando Cristo ci sceglie, quando ci dice “Seguimi”, allora – come proclama la lettera agli Efesini – “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”, ci sceglie in lui: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo …, predestinandoci a essere suoi figli adottivi … E questo a lode e gloria della grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto”. Infine, “ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito” (Ef 1,4-6.9).


Queste parole hanno un’estensione universale, parlano dell’eterna scelta di tutti e di ciascuno in Cristo, della vocazione alla santità che è propria dei figli adottivi di Dio. Nello stesso tempo, esse ci permettono di approfondire il mistero di ogni vocazione, in particolare di quella che è propria delle persone consacrate. In questo modo ciascuno e ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, può prender coscienza di come sia profonda e soprannaturale la realtà che si sperimenta, quando si segue Cristo che invita dicendo: “Seguimi”. Allora la verità delle parole di Paolo: “La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3) diventa per noi vicina e limpida. La nostra vocazione è nascosta nel mistero eterno di Dio prima di diventare in noi un fatto interiore, un nostro umano “si”, una nostra scelta e decisione.


Insieme con la Vergine, nell’evento dell’annunciazione a Nazaret, meditiamo il mistero della vocazione, che è diventata la nostra “parte” in Cristo e nella Chiesa.


 


III. Meditiamo insieme con Maria il mistero della nostra consacrazione


L’Apostolo scrive: “Voi infatti siete morti, e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Passiamo dall’annunciazione al mistero pasquale. L’espressione paolina “siete morti” racchiude lo stesso contenuto che l’Apostolo esprime nella lettera ai Romani, quando scrive sul significato del sacramento che ci inserisce nella vita di Cristo: “Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?” (Rm 6,3). Così la citata espressione della lettera ai Colossesi “siete morti …” significa: “Per mezzo del Battesimo siamo … stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in novità di vita” (Rm 6,4).


Dio ci ha scelto eternamente nel suo diletto Figlio, redentore del mondo. La nostra vocazione alla grazia dell’adozione a figli di Dio viene a corrispondere all’eterna verità di questo “esser nascosti con Cristo in Dio”. Questa vocazione per tutti i cristiani si realizza nel tempo per mezzo del Battesimo, che ci seppellisce nella morte di Cristo. In questo sacramento ha anche inizio il nostro “esser nascosti con Cristo in Dio”, ed un tal fatto si inscrive nella storia di una concreta persona battezzata. Partecipando sacramentalmente alla morte redentrice di Cristo, veniamo uniti a lui anche nella sua risurrezione (cf. Rm 6,5); condividiamo quell’assoluta “novità di vita” (cf. Rm 6,4), iniziata da Cristo – proprio mediante la risurrezione – nella storia umana. Questa “novità di vita” significa in primo luogo la liberazione dall’eredità del peccato, dalla schiavitù del peccato (cf. Rm 6,1-11).


Al tempo stesso – e soprattutto – essa significa “la consacrazione nella verità” (cf. Gv 17,17), nella quale si svela pienamente la prospettiva dell’unione con Dio, della vita in Dio. È così che la nostra vita umana “è nascosta con Cristo in Dio” in modo sacramentale ed insieme reale. Al sacramento corrisponde la viva realtà della grazia santificante, che permea la nostra vita umana mediante la partecipazione alla vita trinitaria di Dio.


Le parole di Paolo, in particolare quelle della lettera ai Romani, indicano che tutta questa “novità di vita”, che viene partecipata in primo luogo mediante il Battesimo, racchiude in sé l’inizio di tutte le vocazioni che, nel corso della vita di un cristiano o di una cristiana, solleciteranno una sua scelta e una sua consapevole decisione nella Chiesa. Infatti, in ogni vocazione di una persona battezzata si riflette un aspetto di quella “consacrazione nella verità”, che Cristo ha compiuto con la sua morte e risurrezione ed ha racchiuso nel suo mistero pasquale: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,19).


La vocazione di una persona a consacrare tutta la sua vita si pone in uno speciale rapporto con la consacrazione di Cristo stesso per gli uomini. Essa nasce dalla radice sacramentale del Battesimo, che racchiude in sé la prima e fondamentale consacrazione della persona a Dio. La consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici – cioè mediante i voti o le promesse – è lo sviluppo organico di quell’inizio che è il Battesimo. Nella consacrazione è racchiusa la scelta matura che si fa di Dio stesso, la risposta sponsale all’amore di Cristo. Quando diamo a lui noi stessi in modo totale e indiviso, desideriamo “seguirlo”, prendendo la decisione di osservare la castità, la povertà e l’obbedienza nello spirito dei consigli evangelici. Desideriamo essere simili a Cristo il più possibile, conformando la nostra propria vita secondo lo spirito delle beatitudini del discorso della montagna. Ma soprattutto desideriamo avere la carità, che compenetra tutti gli elementi della vita consacrata e li unisce come un vero “vincolo di perfezione” (cf. Col 3,14 cf. “Lumen Gentium”, 44: “Perfectae Caritatis”,1.6; “Codex Iuris Canonici”, can.573 §1; can.607 §1; can. 710).


Tutto questo è racchiuso nel significato di quel “morire” paolino, che inizia sacramentalmente nel Battesimo. Un morire con Cristo, che ci fa partecipare ai frutti della sua risurrezione, a somiglianza del chicco di grano che, caduto in terra, “muore” per una vita nuova (cf. Gv 12,24). La consacrazione di una persona con i vincoli sacri decide di una tale “novità di vita”, che può realizzarsi soltanto in base al “nascondersi” di tutto ciò che costituisce la nostra vita umana in Cristo: la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. (cf. Col 3,3).


Se la consacrazione di una persona può essere paragonata, dal punto di vista umano, al “perdere la vita”, tuttavia essa è insieme la via più diretta per “ritrovarla”. Cristo infatti dice: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,39). Queste parole sono certamente espressione della radicalità del Vangelo. Nello stesso tempo, è difficile non scorgere quanto esse si riferiscano all’uomo, quanto sia singolare la loro dimensione antropologica. Che cosa è più fondamentale per un essere umano – uomo o donna – se non proprio questo: il ritrovamento di sé, il ritrovamento di se stesso in Cristo, poiché Cristo è “tutta la pienezza” (cf. Col 2,9)?


Questi pensieri relativi al tema della consacrazione di una persona, mediante la professione dei consigli evangelici, ci fanno rimanere costantemente nell’ambito del mistero pasquale. Insieme con Maria cerchiamo di essere partecipi di questa morte, che ha portato frutti di “vita nuova” nella risurrezione: tale morte sulla croce fu infamante, e fu la morte del suo proprio Figlio! Ma appunto li, sotto la croce, “dove, non senza un disegno divino, se ne stette” (“Lumen Gentium”, 58), Maria non comprese forse, in un modo nuovo, tutto ciò che aveva già ascoltato il giorno dell’annunciazione? Appunto li, proprio mediante la “spada che trafisse la sua anima” (cf. Lc 2,35), mediante l’incomparabile “”kenosis” della fede” (“Redemptoris Mater”, 18), Maria non intravede forse fino in fondo la piena verità sulla sua maternità? Appunto li, non si identificò forse in modo definitivo con tale verità “ritrovando” l’anima che, nell’esperienza del Golgota, doveva “perdere” nel modo più doloroso per Cristo e per il Vangelo?


E proprio in questo pieno “ritrovamento” della verità sulla maternità divina, che divenne la “parte” di Maria sin dal momento dell’annunciazione, s’inscrivono le parole di Cristo pronunciate dall’alto della croce, le quali indicano l’apostolo Giovanni, indicano un uomo: “Ecco il tuo figlio!” (Gv 19,26).


Cari fratelli e sorelle! Ritorniamo costantemente, con la nostra vocazione, con la nostra consacrazione, nel profondo del mistero pasquale. Presentiamoci presso la croce di Cristo accanto a sua Madre. Impariamo da lei la nostra vocazione. Cristo stesso non ha forse detto: “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50)?


 


IV. Meditiamo insieme con Maria il vostro specifico apostolato


Gli avvenimenti pasquali ci proiettano verso la Pentecoste, verso il giorno in cui “verrà lo Spirito di verità”, per guidare “alla verità tutta intera” (cf. Gv 16,13) gli apostoli e tutta la Chiesa, costruita su di loro come su fondamento (cf. “Lumen Gentium”, 19), nella storia dell’umanità.


Maria porta nel cenacolo della Pentecoste la “nuova maternità”, che divenne la sua “parte” sotto la croce. Questa maternità deve rimanere in lei e, nello stesso tempo, da lei come da “figura” deve trasferirsi su tutta la Chiesa, che si rivelerà al mondo nel giorno della discesa dello Spirito paraclito. Quanti sono riuniti nel cenacolo sono coscienti che, dal momento del ritorno di Cristo al Padre, la loro vita è nascosta insieme con lui in Dio. Maria vive di questa coscienza più di chiunque altro.


Dio venne nel mondo, nacque da lei come “Figlio dell’uomo”, per soddisfare all’eterna volontà del Padre che “ha tanto amato il mondo” (cf. Gv 3,16). Tuttavia, facendosi il Verbo l’Emmanuele (Dio con noi), il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno altresì rivelato ancor più profondamente che il mondo “dimora in Dio” (cf. 1Gv 3,24). “In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28). Dio abbraccia tutto il creato con la sua potenza creatrice, che mediante Cristo si è rivelata soprattutto come potenza di amore. L’incarnazione del Verbo, il segno ineffabile e incancellabile dell’”immanenza” di Dio nel mondo, ha svelato in modo nuovo la sua “trascendenza”. Tutto questo si è già compiuto e concluso nella cornice del mistero pasquale. La dipartita del Figlio, “generato prima di ogni creatura” (Col 1,15), ha suscitato una nuova attesa di colui che riempie tutto: “Difatti, lo Spirito del Signore riempie l’universo” (Sap 1,7).


Coloro che aspettavano insieme con Maria nel cenacolo di Gerusalemme il giorno delle Pentecoste, hanno già sperimentato quei “tempi nuovi”. Sotto il soffio dello Spirito di verità essi devono uscire dal cenacolo, per dare, in unione con questo Spirito, testimonianza a Cristo crocifisso e risorto (cf. Gv 15,26-27). Per questo fatto essi devono rivelare Dio che, come amore, abbraccia e compenetra il mondo; devono convincere tutti che insieme con Cristo sono chiamati a “morire” nella potenza della sua morte, per risorgere alla vita nascosta insieme con Cristo in Dio.


Proprio questo costituisce il nucleo stesso della missione apostolica della Chiesa. Gli apostoli, che il giorno della Pentecoste uscirono dal cenacolo, divennero principio della Chiesa, che tutta intera è apostolica e rimane costantemente nello stato di missione (“in statu missionis”). In questa Chiesa ciascuno riceve già nel sacramento del Battesimo e poi nella Cresima la vocazione che – come ha ricordato il Concilio – per sua essenza è vocazione all’apostolato (cf. “Apostolicam Actuositatem”, 2).


L’anno mariano ha avuto inizio nella solennità della Pentecoste, perché tutti insieme con Maria si sentano invitati al cenacolo, donde prende inizio tutta la vita apostolica della Chiesa di generazione in generazione. Tra gli invitati evidentemente vi trovate voi, cari fratelli e sorelle, che sotto l’azione dello Spirito Santo avete costruito la nostra vita e la vostra vocazione sul principio di una speciale consacrazione, di una dedizione totale a Dio. Questo invito al cenacolo della Pentecoste significa che dovete rinnovare ed approfondire la coscienza della vostra vocazione lungo due direzioni. La prima è costituita dal consolidamento di quell’apostolato che è contenuto nella stessa consacrazione; la seconda dal ravvivamento dei multiformi compiti apostolici, che derivano da questa consacrazione nel quadro della spiritualità e finalità sia delle vostre comunità e dei vostri istituti, sin dalle vostre singole persone.


Cercate di incontrarvi con Maria nel cenacolo della Pentecoste. Nessuno più di lei vi avvicinerà a questa visione salvifica della verità su Dio e sull’uomo, su Dio e sul mondo, che è contenuta nelle parole di Paolo: “Voi infatti siete morti, e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Sono parole che racchiudono il paradosso ed insieme il nucleo stesso del messaggio evangelico. Voi, cari fratelli e sorelle, come persone consacrate a Dio, avete speciali qualità per avvicinare agli uomini questo paradosso e questo messaggio evangelico. Voi avete anche lo speciale compito di parlare a tutti – nel mistero della croce e della risurrezione – di quanto il mondo e tutto il creato sono “in Dio” e di quanto in lui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”, di quanto questo Dio, che è amore, abbraccia tutti e tutto, di quanto “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato” (cf. Rm 5,5).


Cristo vi ha “scelti dal mondo”, e il mondo ha bisogno della vostra scelta anche se a volte dà come l’impressione di essere indifferente nei riguardi di essa e di non attribuirle alcuna importanza. Il mondo ha bisogno del vostro “nascondervi con Cristo in Dio”, anche se a volte critica le forme della clausura monastica. Infatti, proprio in forza di questo “nascondervi” voi potete, insieme con gli apostoli e con tutta la Chiesa, assumere in proprio il messaggio della preghiera sacerdotale del nostro Redentore: “Come tu (Padre) mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo” (Gv 17,18). Voi partecipate a questa missione, alla missione apostolica della Chiesa (cf. “Codex Iuris Canonici”, can. 574 §2). Voi vi partecipate in un modo singolare, esclusivamente vostro, secondo il vostro “proprio dono” (cf. 1Cor 7,7). Vi partecipa ciascuno e ciascuna di voi, e tanto più vi partecipa, quanto più la sua vita “è nascosta con Cristo in Dio”. Si trova qui la sorgente stessa del vostro apostolato.


Questo “modo” fondamentale dell’apostolato non può essere affrettatamente cambiato, conformandosi alla mentalità di questo mondo (cf. Rm 12,2). È pur vero che spesso sperimentate che il mondo ama “ciò ch’è suo”: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò ch’è suo” (Gv 15,19). Infatti, è Cristo che vi ha “scelti dal mondo”, vi ha scelti perché “il mondo si salvi per mezzo di lui” (cf. Gv 3,17). Proprio per questo non potete abbandonare il vostro “nascondervi con Cristo in Dio”, poiché ciò è condizione insostituibile, affinché il mondo creda nella potenza salvifica di Cristo. Tale “nascondervi”, derivante dalla vostra consacrazione, fa di ciascuno e di ciascuna di voi una persona credibile e limpida. E ciò non chiude, ma apre, al contrario, “il mondo” davanti a voi. Infatti, “i consigli evangelici – come ebbi a dirvi nell’esortazione apostolica “Redemptionis Donum” – nella loro essenziale finalità servono al rinnovamento della creazione: il mondo, grazie ad essi, deve venire sottomesso all’uomo ed a lui dato, in modo che l’uomo stesso sia perfettamente donato a Dio” (“Redemptionis Donum”, 9).


La partecipazione all’opera di “crescita mariana” di tutta la Chiesa, come frutto primario dell’anno mariano, avrà modalità ed espressioni diverse, secondo la peculiare vocazione di ciascun istituto, e sarà tanto più fruttuosa, quanto più gli istituti stessi opereranno in fedeltà al loro specifico dono. Pertanto:


a) “Gli istituti dediti interamente alla contemplazione”, occupandosi “solo di Dio nella solitudine e nel silenzio, in continua preghiera ed intensa penitenza, pur nell’urgente necessità di apostolato attivo, conservano sempre – ricorda loro il Concilio Vaticano II – un posto eminente nel Corpo mistico di Cristo” (“Perfectae Caritatis”, 7).


Ebbene, guardando a Maria, in questo speciale anno di grazia, la Chiesa si sente particolarmente attenta e rispettosa della ricca tradizione di vita contemplativa, che uomini e donne, fedeli a questo carisma, hanno saputo instaurare ed alimentare a profitto della comunità ecclesiale e per il bene dell’intera società degli uomini. La Vergine santissima ebbe una fecondità spirituale così intensa, che la rese madre della Chiesa e del genere umano. Nel silenzio, nell’assiduo ascolto della Parola di Dio e nell’intima sua unione con il Signore, Maria si rese strumento di salvezza accanto al suo divin Figlio Cristo Gesù. Si confortino, dunque, tutte le anime consacrate alla vita contemplativa, poiché la Chiesa ed il mondo, che essa deve evangelizzare, ricevono non poca luce e forza dal Signore grazie alla loro vita nascosta ed orante; e, seguendo gli esempi di umiltà, di nascondimento e di continua comunione con Dio dell’Ancella del Signore, crescano nell’amore alla loro vocazione di anime dedite alla contemplazione.


b) Quanti tra i religiosi e le religiose sono dediti alla vita apostolica, all’evangelizzazione o alle opere di carità e di misericordia, hanno in Maria il modello della carità verso Dio e verso gli uomini. Seguendolo con generosa fedeltà, essi sapranno dare una risposta alle esigenze dell’umanità che soffre a motivo della mancanza di certezze, di verità, del senso di Dio; oppure è angustiata per le ingiustizie, le discriminazioni, le oppressioni, le guerre, la fame. Con Maria essi sapranno condividere la sorte dei loro fratelli e aiutare la Chiesa nella disponibilità di un servizio per la salvezza dell’uomo, che oggi essa incontra nel suo cammino.


c) I membri degli istituti secolari, vivendo la loro vita quotidiana in mezzo alle varie categorie sociali, hanno in Maria l’esempio e l’aiuto per offrire alle persone con le quali condividono le condizioni di vita nel secolo, il senso dell’armonia e della bellezza di un’esistenza umana, che è tanto più grande e tanto più gioiosa quanto più è aperta a Dio; la testimonianza di un’esistenza vissuta per edificare, nel bene, comunità sempre più degne della persona umana; la prova che le realtà temporali, vissute con la forza del Vangelo, possono vivificare la società, rendendola più libera e più giusta, a beneficio di tutti i figli di Dio, Signore dell’universo e datore di ogni bene. Sarà questo il cantico che l’uomo, come Maria, potrà innalzare a Dio, riconoscendolo onnipotente e misericordioso.


Con l’accresciuto impegno di vivere integralmente la vostra consacrazione, guardando al sublime modello di colei che fu perfettamente consacrata a Dio, la madre di Gesù e della Chiesa, aumenterà l’efficacia della vostra testimonianza evangelica e, di conseguenza, se ne avvantaggerà la pastorale vocazionale.


Non pochi istituti, è vero, oggi sentono la grave mancanza di vocazioni e in molte parti la Chiesa avverte la necessità di un maggior numero di vocazioni alla vita consacrata. Orbene, l’anno mariano può segnare un risveglio vocazionale mediante un più fiducioso ricorso a Maria, come alla mamma che provvede alle necessità della famiglia, e mediante un accresciuto senso di responsabilità di tutte le componenti ecclesiali per la promozione della vita consacrata nella Chiesa.


 


V. Conclusione


Nell’anno mariano tutti i cristiani sono chiamati a meditare, secondo il pensiero della Chiesa, la presenza della Vergine e madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa (cf. “Lumen Gentium”, 52-69). La presente lettera vuol essere un incoraggiamento, affinché meditiate questa presenza nei vostri cuori, nella storia della vostra anima, della vostra vocazione personale e, al tempo stesso, nelle comunità religiose, ordini, congregazioni e negli istituti secolari.


L’anno mariano è diventato, possiamo ben dirlo, il tempo di un singolare “pellegrinaggio” sulle orme di colei che “precede” nel pellegrinaggio della fede l’intero Popolo di Dio, precede tutti ed insieme ciascuno e ciascuna. Questo pellegrinaggio ha molte dimensioni e ambiti: intere nazioni e perfino continenti si riuniscono presso i Santuari mariani, senza parlare del fatto che i singoli cristiani hanno i loro santuari “interiori”, nei quali Maria è la loro guida sulla via della fede, della speranza e dell’unione amorosa con Cristo (cf. “Lumen Gentium”, 63. 68).


Spesso gli ordini, le congregazioni, gli istituti, con le loro esperienze, a volte secolari, hanno pure i loro Santuari, “luoghi” della presenza di Maria, ai quali è collegata la loro spiritualità e perfino la storia della loro vita e missione nella Chiesa. Questi “luoghi” ricordano i particolari misteri della Vergine madre, le qualità, gli avvenimenti della sua vita, le testimonianze delle esperienze spirituali dei fondatori oppure le manifestazioni del loro carisma, che è passato poi all’intera comunità.


In quest’anno cercate di essere particolarmente presenti in questi “luoghi”, in questi “Santuari”. Cercate in essi nuova forza, le vie di un autentico rinnovamento della vostra vita consacrata, dei giusti indirizzi e metodi di apostolato. Cercate in essi la vostra identità, come quel padrone di casa, quell’uomo saggio che “estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Si! Cercate per mezzo di Maria la vitalità spirituale, ringiovanite con lei. Pregate per le vocazioni. Infine, “fate quello che egli vi dirà” come la Vergine suggerì a Cana di Galilea (cf. Gv 2,5). Questo desidera da voi e questo desidera per voi Maria, mistica sposa dello Spirito Santo e nostra madre. Vi esorto, anzi, a rispondere a questo desiderio di Maria con un atto comunitario di affidamento, che è appunto “la risposta all’amore della madre” (“Redemptoris Mater”, 45).


In quest’anno mariano anch’io affido a lei con tutto il cuore ciascuno e ciascuna di voi, come tutte le vostre comunità, e vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 maggio, solennità di Pentecoste, dell’anno 1988, decimo di Pontificato.