Lotta per l’egemonia tra Spagna e Francia


Prof. A. Torresani. 11. 1 Filippo II il “re prudente”. 11. 2 Bancarotta. 11. 3 La potenza spagnola nell’Europa occidentale. 11. 4 La Francia durante le guerre civili. 11. 5 Vincitori e vinti. 11. 6 Cronologia essenziale. 11. 7 Il documento storico. 11. 8 In biblioteca


Cap. 11 Lotta per l’egemonia tra Spagna e Francia



La lotta per il predominio in Europa tra Spagna e Francia proseguì anche sotto i figli di Carlo V e di Francesco I, ossia Filippo II ed Enrico II. Il regno di Filippo II comprendeva la Spagna e, a partire dal 1580, anche il Portogallo, le colonie d’America e d’Asia, i Paesi Bassi e gran parte d’Italia. Mancava la Germania e il titolo d’imperatore del Sacro Romano Impero, ereditato dalla zio Ferdinando I, ma tale perdita sembrava compensata dal matrimonio di Filippo II con Maria Tudor che introduceva l’Inghilterra nel sistema politico imperniato sulla Spagna.


Enrico II proseguì la politica del padre suscitando continue guerre contro la Spagna: il 10 agosto 1557 ci fu la battaglia di San Quintino che fu una netta vittoria della Spagna. Sarebbero bastati altri tre mesi per prendere Parigi, ma il mancato pagamento degli stipendi ai soldati al servizio della Spagna condusse alla smobilitazione dell’esercito vittorioso. Due anni dopo, a Cateau Cambrésis, fu firmata la pace che lasciava tutto indeciso. Durante un torneo di festeggiamento Enrico II morì. La reggente Caterina de’Medici tenne a lungo il potere in nome dei tre figli, morti uno dopo l’altro in giovane età, mentre il regno di Francia sprofondava nel caos della guerra civile durata per quasi tutto il resto del secolo.


In Inghilterra, morta Maria Tudor nel 1558, salì al potere la sorellastra Elisabetta I che scelse una cauta politica d’attesa nei confronti di Filippo II, illudendolo sulla possibilità di una politica comune, ma in realtà essa finanziò l’attività dei pirati che formarono vere e proprie società per azioni aventi per oggetto la cattura di galeoni spagnoli carichi di metalli preziosi. Infine, Filippo II tentò un supremo sforzo militare contro l’Inghilterra, ma l’imperizia del comandante dell’Armada e le tempeste condussero a uno dei più memorabili disastri della storia navale: l’Inghilterra iniziò da quel momento la sua ascesa a grande potenza.


Il successo della rivolta dei Paesi Bassi siglò il fallimento dell’egemonia politica spagnola sul continente europeo, rafforzando la causa del protestantesimo. Perciò, la vittoria di Lepanto nel Mediterraneo, anche se splendida, fu effimera, pur riducendo la pressione turca su Venezia e su Vienna.



11. 1 Filippo II il “re prudente”



La contesa per l’egemonia politica sul continente europeo tra Spagna e Francia proseguì anche sotto i successori di Francesco I e di Carlo V che nella prima metà del secolo XVI avevano guidato i loro paesi nella prima fase dello scontro tra le nazioni d’Europa.


La Spagna fondamento della politica di Filippo II A differenza di Carlo V che aveva fondato la sua politica su un’ideologia imperiale, Filippo II condusse una politica mondiale rimanendo saldamente ancorato alla realtà spagnola, ossia prese atto dei falliti tentativi di Carlo V di prescindere dal nazionalismo, divenuto il fondamento delle ideologie politiche europee. Nel 1543 Filippo II fece la sua prima prova politica come reggente di Spagna, durante l’assenza del padre impegnato in Germania dalla guerra della lega di Smalcalda. Dopo il successo militare di Mühlberg, Carlo V fece venire il figlio nei Paesi Bassi per presentarlo ai futuri sudditi. Il principe, tuttavia, timido, riservato, incapace di parlare la lingua fiamminga, non fece buona impressione. Rimasto vedovo della prima moglie, Filippo II fu principe consorte di Maria Tudor, regina d’Inghilterra, ma non fece buona impressione nemmeno ai possibili sudditi inglesi.


La battaglia di San Quintino Nel 1556 Carlo V abdicò, mentre Filippo II preparava l’esercito per la suprema prova contro la Francia. Il 10 agosto 1557 a San Quintino nelle Fiandre, l’esercito spagnolo guidato da Emanuele Filiberto di Savoia riportò una memorabile vittoria campale che però non si tradusse in un’uguale affermazione politica perché non fu possibile tenere unito l’esercito vittorioso. Nel 1559, fu raggiunto l’accordo con la Francia, mediante la pace di Cateau-Cambrésis che manteneva la Francia in una posizione di grande potenza.


Filippo II ritorna in Spagna La morte di Maria Tudor e l’ascesa al trono di Elisabetta in Inghilterra, ma soprattutto il perdurare della difficile situazione finanziaria, indusse Filippo II a ritornare in Spagna. Egli scelse come capitale Madrid, posta quasi al centro geografico della penisola iberica e ne fece la sua residenza definitiva. Nel 1561 iniziò la costruzione della reggia dell’Escorial, che nella pianta richiama la graticola, a ricordo di san Lorenzo, nel cui giorno era avvenuta la battaglia di San Quintino. Fino alla morte, nel 1598, Filippo II non si allontanò più dalla capitale, estenuato dal compito di governare il suo grande regno.


Carattere di Filippo II Qualche storico ha pensato a scarsa intelligenza politica, a pedanteria burocratica che l’avrebbe indotto a risultare sempre in ritardo sugli eventi. Eppure l’accentramento decisionale era una necessità sentita da tutte le corti europee: era la geografia spagnola responsabile della lentezza delle decisioni di Filippo II. La scelta di Madrid come capitale rispondeva al desiderio di seguire in modo equilibrato tutti gli scacchieri sui quali era giocata la politica spagnola.


Politica religiosa di Filippo II Sul piano della politica religiosa, Filippo II scelse una linea di assoluta fedeltà al cattolicesimo anche se non mancarono conflitti con la Santa Sede quando le sue valutazioni politiche divergevano da quelle del papa. Il “re prudente” controllò direttamente i vescovi spagnoli che presero parte all’ultima sessione del concilio di Trento e promulgò i canoni del concilio sui suoi territori, ponendo la potenza dello Stato spagnolo a servizio del compito di riforma della Chiesa cattolica. Questa decisione non era frutto soltanto di considerazioni politiche, ma di convinzioni dettate da autentica religiosità, ed ebbero successo in Spagna e in Italia dove il protestantesimo fu debellato.


Rivolta dei Paesi Bassi Un analogo tentativo compiuto nei Paesi Bassi condusse invece al definitivo distacco delle sette province settentrionali, chiamate Olanda dal nome della più importante tra loro. La guerra esplosa nei Paesi Bassi fu feroce, quando il comando supremo fu assunto dal duca d’Alba. In seguito la carica di governatore generale dei Paesi Bassi fu affidata ad Alessandro Farnese per salvare il salvabile, ossia le province meridionali che ora formano il Belgio.


Difficoltà finanziarie Sul piano finanziario, la perdita dell’Olanda finì per sottrarre alle casse dello Stato spagnolo la parte più significativa delle sue finanze, affrettando il declino della penisola iberica, incapace di sostenere da sola il peso di una politica mondiale. Data l’importanza storica della vicenda, occorre dedicarle gran parte del capitolo successivo.


Conflitti di giurisdizione con la Chiesa La politica ecclesiastica di Filippo II appare coerente: nel 1567 chiese ai Gesuiti di inviare missionari in Perù, e nel 1571 nel Messico, col compito di insegnare la dottrina cristiana agli indigeni; nel 1588 chiese l’invio di Domenicani e Francescani nelle Filippine. Tuttavia il re, convinto assertore del diritto della corona al controllo degli affari ecclesiastici, entrò più volte in conflitto con la Santa Sede.


La politica mediterranea di Filippo II Più fortunata la politica di Filippo II sullo scacchiere del Mediterraneo dove fino al 1565 la pressione dei Turchi fu irresistibile: furono perdute le basi di Tripoli, di Tunisi e della Goletta, con pericolo mortale per la base di Malta tenuta dai cavalieri di San Giovanni. Le puntate dei pirati barbareschi si erano moltiplicate su tutte le coste europee fino a minacciare il traffico del grano siciliano e la sicurezza delle coste italiane e spagnole. Con grandi spese e notevoli sforzi fu infine allestita una potente flotta e formata una Lega Santa comprendente anche Venezia, lo Stato della Chiesa e il granducato di Toscana. Il comando supremo fu affidato a don Giovanni d’Austria, fratellastro di Filippo II, che colse l’inattesa vittoria di Lepanto il 7 ottobre 1571, che le esitazioni di Filippo II non permisero di sfruttare per timore che i vantaggi politici ricadessero in modo esclusivo su Venezia e sugli Absburgo d’Austria.


Struttura di governo Un tratto caratteristico della politica di Filippo II fu la diffidenza nei confronti dei collaboratori. Egli creò undici Consigli che lo sostenevano nel governo, ciascuno dei quali doveva occuparsi di un solo settore operativo, lasciando al re le supreme decisioni. Filippo II fu denominato il “re prudente”, ma in troppe occasioni lo fu eccessivamente e spesso i suoi ordini furono comunicati ai destinatari quando erano accaduti fatti nuovi che ne rendevano impossibile l’esecuzione.


Insuccesso nei confronti dell’Inghilterra Anche nei confronti dell’Inghilterra la politica di Filippo II risultò sempre in ritardo sugli avvenimenti. Finché durò la guerra dei Paesi Bassi, ossia fino al 1585, non fu possibile minacciare l’isola o impedire aiuti inglesi all’Olanda e debellare la pirateria incoraggiata da Elisabetta ai danni dei trasporti di metalli preziosi dall’America alla Spagna. Alcuni tentativi goffi della diplomazia iberica, che prese contatti con Maria Stuart, precipitarono la decisione di processare e condannare l’infelice regina di Scozia. Filippo II ordinò all’Armada di invadere l’Inghilterra, ma la flotta iberica fu distrutta (1588).


Il conflitto con la Francia La guerra nei Paesi Bassi e il disastro navale subìto nei confronti dell’Inghilterra impedirono un intervento in forze nella Francia dilaniata dalle guerre civili a sostegno del partito cattolico dei Guisa. Quando il momento opportuno sembrò giunto, il capo della fazione ugonotta Enrico di Borbone, con una conversione quanto mai opportuna al cattolicesimo, riuscì a risolvere la lunga crisi francese. Bastarono alcuni anni di pace e di ordine interno per rianimare la Francia. Filippo II riconfermò la pace del 1559, firmando a Vervins nel maggio 1598 un compromesso che non risolveva la questione dell’egemonia sul continente.


Morte di Filippo II Pochi mesi dopo il “re prudente”, sfibrato dall’immane lavoro cui si era sottoposto, morì. Lasciava un regno accresciuto del Portogallo, unito al regno di Spagna per eredità dal 1580, comprendente anche l’immenso impero coloniale portoghese. Verso la fine del secolo la marineria olandese e inglese si erano tanto rafforzate da costringere alla difensiva la marineria spagnola minacciata anche sulle rotte ritenute fino a quel momento un monopolio esclusivo.



11. 2 Bancarotta



Filippo II fu sempre consapevole che il punto debole della sua politica era la necessità di un costante afflusso di denaro per pagare le spese di eserciti, flotta e burocrazia. “Purché non manchi il denaro”, scriveva a Carlo V poco prima della battaglia di San Quintino.


Problemi finanziari Nel 1557 l’indebitamento coi banchieri di Anversa, di Augusta e di Genova era giunto a un livello tale da costringere il governo spagnolo a dichiarare bancarotta, ossia lo Stato si dichiarava incapace di pagare gli enormi interessi sulle somme prese a prestito. Alcuni banchieri fallirono, e Anversa cessò di essere il più grande centro finanziario d’Europa. Eppure la Spagna deteneva il monopolio quasi completo dell’oro e dell’argento americano che giungeva in Spagna in quantità crescente. Forse è opportuna una riflessione sulla natura del problema.


Significato del denaro Noi ora sappiamo che il denaro è simbolo di un credito fondato su un lavoro futuro, ossia esso ha significato solo all’interno di una società i cui membri lavorano e fanno confluire sul mercato i prodotti che ciascuno elabora nel modo desiderato dagli altri. Poiché è impossibile essere autarchici e il baratto tra prodotti diversi risulta scomodo, il denaro diviene il tramite per individuare il valore di ogni merce sul mercato. Il denaro tuttavia non è garantito dal valore del metallo incorporato nella moneta, bensì dalla sua capacità di mobilitare le forze di lavoro perché producano merci sempre più abbondanti in cambio di denaro che potrà a sua volta acquistare le merci di cui ciascuno ha bisogno. In altri termini, il denaro è garantito dal lavoro futuro che saprà suscitare. Il denaro è in grado di produrre altro denaro solo se è impiegato in investimenti produttivi di altri beni che trovino acquirenti. Il denaro, invece, speso per consumi o disperso in altri modi improduttivi, è depotenziato, privato della capacità di suscitare lavoro, ossia nuovi beni reali, per avere i quali gli uomini siano disposti a sborsare il loro denaro.


I limiti del metallismo Nel XVI secolo questi concetti non erano chiari. Si pensava che lo Stato possessore di molto oro e argento da monetare godesse di una florida economia, mentre era vero il contrario, ossia le molte monete che non si traducevano in investimenti, bensì in consumi, producevano solo inflazione, ossia la costante crescita dei prezzi perché la produzione di merci non cresceva nella misura delle monete in circolazione. Le guerre esigevano numerosi soldati, ossia uomini nel fiore dell’età sottratti al lavoro. I soldati impegnati nei Paesi Bassi o in Francia o in Italia spendevano il loro soldo in quei paesi producendo una costante domanda di viveri, di abbigliamento, di armi che mettevano in moto le industrie locali. Quando Filippo II decise di allestire l’Armada, acquistò i cannoni nei Paesi Bassi e in Inghilterra, ossia proprio nei paesi contro i quali con tutta probabilità quei cannoni sarebbero stati impiegati. Gli Olandesi non interruppero mai il loro commercio di merci strategiche coi nemici spagnoli, persino di armi e polvere da sparo, con grande scandalo dei calvinisti più rigorosi che ritennero quel fatto un tradimento della loro causa, non pensando che il denaro spagnolo stimolava le loro industrie permettendo anche la fabbricazione delle armi di difesa del loro paese, nella attesa che il nemico esaurisse le riserve di denaro. Se poi la Spagna era costretta a far la pace per mancanza di uomini e di denari, il vero vincitore era il sistema economico dei Paesi Bassi che prontamente poteva orientare la sua industria alla produzione di merci adatte ai tempi di pace.


Declino dell’industria spagnola Le guerre sostenute dalla Spagna e la guerra civile in Francia sconvolsero l’economia di mercato, obbligando quei paesi a trascurare le spese di investimento, limitandosi ai consumi richiesti dalla guerra. I benefici andarono a vantaggio di Olanda e Inghilterra che ricorsero alle tecniche della pirateria, impiegando il denaro nella creazione di manifatture per accrescere la produzione di beni materiali, i quali a loro volta garantivano il potere d’acquisto del denaro.


L’oro americano non lascia tracce in Spagna L’afflusso di metalli preziosi in Spagna, al contrario, serviva per pagare gli interessi, altissimi a causa del rischio, delle somme anticipate alla corona di Spagna da una schiera di banchieri di tutta Europa: in altri termini, il denaro rimaneva poco tempo in Spagna, non stimolava lavoro locale e partiva per altre destinazioni. Solo così si può spiegare perché lo Stato, che in teoria aveva il monopolio delle miniere americane, abbia dovuto conoscere l’onta della disfatta economica nel 1557, nel 1575 e nel 1596, assai più gravi per la stabilità interna di altrettante sconfitte militari. Per altri versi, la difesa del Mediterraneo dai Turchi, la difesa della religione cattolica dal deciso attacco dei calvinisti, la colonizzazione d’America, sono state imprese di grande valore per le quali la penisola iberica si è prodigata fino al punto di perdere l’egemonia militare sull’Europa.



11. 3 La potenza spagnola nell’Europa occidentale



Ai contemporanei la potenza della Spagna di Filippo II appariva formidabile perché fondata su pilastri ritenuti incrollabili.


I fattori della potenza della Spagna Essi erano una grande flotta che scorreva gli oceani di tutto il mondo; una fonte di metalli preziosi che pareva inesauribile; i soldati più valorosi inquadrati in tercios che sembravano ignorare la sconfitta.


Stabilità interna Anche sul piano della politica interna la Spagna sembrava più solida di ogni altro paese: la nobiltà viveva un’etica cavalleresca che aborriva da complotti o tradimenti contro il re; le comunità locali avevano perduto gran parte delle loro antiche autonomie; i moriscos, i discendenti degli antichi dominatori musulmani che in alcune regioni come Granada, Cordova e Valencia arrivavano fino a un terzo della popolazione, furono sconfitti e deportati in altre regioni col divieto di usare l’abito, la lingua e il culto islamico; il tribunale dell’Inquisizione operava in stretta dipendenza dal potere politico e riuscì a impedire l’infiltrazione del calvinismo nella penisola in modo più efficace che qualunque altro sistema di polizia. La Spagna, inoltre, disponeva di un buon servizio di informazioni, e per tutto il secolo i suoi agenti e i suoi ambasciatori fecero giungere un flusso abbondante di notizie al re.


I collaboratori di Filippo II Per molti anni i consiglieri principali di Filippo II furono Ruy Gomez, di origine portoghese, fautore del partito della pace perché convinto che una guerra anche vittoriosa costava allo Stato più di una pace di compromesso; e il duca d’Alba, fautore dei metodi forti per stroncare sul nascere le rivolte perché non avessero il tempo di rafforzarsi fino a divenire invincibili. In mezzo a costoro Filippo II spesso si limitava a rimandare ogni decisione talvolta senza valutare correttamente i fatti nuovi che esigevano tempestività negli interventi.


I punti deboli della potenza della Spagna La potenza spagnola cominciò a rivelare i suoi piedi d’argilla quando i nemici scoprirono i punti deboli della sua struttura, ossia contrapporre la pirateria e la guerriglia contro i trasporti marittimi e gli eserciti di terra; eccitare i Turchi a muovere la loro flotta contro le coste spagnole e italiane saccheggiando il grano siciliano, vitale per le numerose guarnigioni sparse lungo le coste del Mediterraneo; attaccare in America i punti strategici in cui si raccoglievano i metalli preziosi per l’invio in Europa, obbligando la Spagna a una dispendiosa opera di fortificazione delle coste e di pattugliamento degli oceani con enormi spese.


Fallisce il primo tentativo di egemonia europea Il primo grande progetto di egemonia sull’Europa dell’epoca moderna fu tentato da uno Stato che aveva strutture deboli, oppresso da distanze enormi rispetto ai luoghi in cui gli avvenimenti decisivi si svolgevano, guidato da un governo esitante rispetto all’obiettivo da raggiungere perché le difficoltà erano suscitate contemporaneamente su tutti i fronti dai ribelli fiamminghi, dalla Francia, dall’Inghilterra, dai Turchi. Per la prima volta si attuava su scala europea quella politica dell’equilibrio di potenza fondato sulla mera valutazione delle forze, prescindendo da considerazioni ideali (Ragion di Stato): pochi statisti si resero conto che nel corso delle guerre europee poteva risultare compromesso il recente potere acquisito sul resto del mondo.


I conflitti tra europei si allargano alle colonie In Giappone, in India e in Cina gli Olandesi si affrettarono ad attaccare gli insediamenti spagnoli e portoghesi, distruggendo alcuni promettenti inizi di evangelizzazione extraeuropea, inducendo quei paesi a progettare di scacciare tutti i diavoli dell’occidente come gli europei furono chiamati in Cina. Per affermarsi in Oriente, dopo il fallimento della penetrazione pacifica, rimanevano solo le armi e la superiorità tecnologica, ma si sa che l’impiego di strumenti materiali è cosa abbastanza facile da apprendere. Nonostante la guerra civile, la Francia riuscì a infrangere il progetto di egemonia spagnola sull’Europa. I calvinisti olandesi furono aiutati dagli ugonotti francesi. I Turchi mantennero ottimi rapporti con la monarchia di Francia per frapporre crescenti ostacoli alle dinastie absburgiche di Austria e di Spagna.



11. 4 La Francia durante le guerre civili



All’indomani della battaglia di San Quintino (1557) vincitori e vinti si trovavano in uguali difficoltà finanziarie. Enrico II riuscì a spremere dai suoi contribuenti almeno sette milioni di livres che gli permisero di far fronte alla situazione finanziaria che sembrava giunta al punto di rottura. I nobili si indebitarono pur di raccogliere il riscatto dei loro congiunti fatti prigionieri a San Quintino.


Congiuntura economica e diffusione del calvinismo Nelle città, molti mercanti e artigiani furono rovinati dalla tassazione eccessiva, e molti contadini apparivano ridotti alla fame da alcuni cattivi raccolti. Tali difficili situazioni favorivano l’azione dei predicatori calvinisti. Costoro si formavano nell’Accademia di Ginevra ascoltando Calvino e Beza, apprendevano le tecniche della diffusione della stampa clandestina nelle varie province. Il servizio religioso calvinista, composto di letture ricavate dalla Bibbia, omelia e canto dei salmi, era in grado di soddisfare meglio del culto cattolico la sete religiosa del popolo francese, troppo spesso abbandonato dal suo clero mondanizzato. Calvino aveva raccomandato ai suoi predicatori di conquistare i nobili e le classi colte della società francese. Non appena si costituiva una comunità protestante, erano eletti anziani e diaconi per provvedere anche alle necessita materiali della comunità, mentre i pastori e i dottori provenivano direttamente da Ginevra.


Espansione del calvinismo Dopo il 1559 le comunità protestanti più numerose si trovavano nel Sud della Francia, spesso sotto la protezione del nobile locale che ben presto dette alla comunità una vera e propria organizzazione militare, mirando a impadronirsi delle chiese cattoliche. I quadri militari ugonotti furono organizzati su base provinciale e poi nazionale: nel 1560 a Clairac fu celebrato un sinodo ugonotto che divise la Guienna in sette colloques, ciascuno comandato da un colonnello; nel 1562 questa organizzazione si era estesa nella Linguadoca, in Provenza e nel Delfinato, iniziando a diffondersi anche nelle altre regioni.


Debolezza del governo centrale Tutto ciò dimostra l’estrema debolezza del governo centrale. Finché fu in vita, Enrico II era stato un deciso oppositore dei protestanti, perché le dottrine politiche del tempo ritenevano impossibile governare un paese nel quale esistessero confessioni religiose diverse. Ma nel 1559, Enrico II morì in seguito a una ferita riportata in un torneo. Poco prima era stata firmata la pace di Cateau-Cambrésis con la Spagna, rafforzata dal matrimonio di Filippo II con Elisabetta di Francia, figlia di Enrico II. Gli succedeva il figlio Francesco II di soli quindici anni.


Antagonismi tra centri di potere diversi In Francia esistevano in quel momento almeno tre grandi centri di potere autonomi dalla corona: la famiglia dei Guisa, potente in Lorena e divenuta strenua animatrice della causa cattolica soprattutto dopo che il cardinale Carlo di Lorena aveva preso parte al concilio di Trento nella sua ultima sessione permettendogli di comprendere il pericolo che correva la Chiesa cattolica; la famiglia dei Montmorency potente soprattutto nel Nord del paese e nell’Île-de-France; la famiglia dei Borbone forti soprattutto nel Sud del paese e in Navarra: i Borbone – imparentati con la famiglia reale – avrebbero avuto diritto alla reggenza in caso di minorità del re.


Morte di Francesco II Il regno di Francesco II durò poco perché egli morì nel novembre 1560, lasciando vedova Maria di Scozia figlia a sua volta di Maria di Guisa. I Montmorency e i Borbone si erano uniti per combattere il potere dei Guisa e avevano tentato, nel 1560, un colpo di mano per portare al potere gli ugonotti, mentre la corte si trovava ad Amboise. Dopo la morte di Francesco II salì al trono il fratello Carlo IX di soli dieci anni.


Reggenza di Maria de’Medici I Borbone chiesero la reggenza, ma Caterina de’Medici si oppose a tale richiesta con ogni mezzo. Da quel momento la sua azione politica fu rivolta a mantenere il potere nella sua famiglia per trasmetterlo ai figli, convinta che l’indipendenza della Francia poteva essere garantita solo da una monarchia forte. Perciò né i Borbone né i Guisa dovevano dominarla.


Editto di Amboise Nel tentativo di mantenere la pace, Caterina promulgò nel 1562 un editto che permetteva ai protestanti di riunirsi fuori delle mura delle città e di celebrare il loro culto solo nelle case private. Il partito dei cattolici reagì a tali concessioni: nel 1562, a Vassy, un gruppo di ugonotti fu sorpreso in riunione e massacrato. Il principe Luigi di Condé, fratello del capo della casa di Borbone, riunì le forze ugonotte a Orléans e assalì Rouen, Tours, Blois, Lione e altre città. Il duca di Guisa e il conestabile Anne di Montmorency entrarono con le loro truppe in Parigi, dando inizio alla guerra civile.


Disgregazione del potere centrale Come si vede, si trattava della ripresa di concezioni politiche medievali, e certamente in questa esperienza va cercata l’origine della decisione della monarchia francese, quando avrà trionfato nel conflitto, di togliere alla nobiltà ogni potere politico.


Secondo editto di Amboise Nel 1563 si giunse al secondo editto di Amboise che accordava libertà di coscienza agli ugonotti, ma con libertà di culto riservata solo ai nobili e ai loro famigliari, mentre al resto della massa ugonotta era concessa una città per ogni distretto amministrativo. Da questa prima fase della guerra civile Caterina de’Medici emerse più potente di prima perché i capi delle fazioni rivali erano stati fatti prigionieri o assassinati. Tuttavia, l’assassino di Francesco di Guisa, sottoposto a tortura, denunziò come mandante l’ammiraglio Gaspard de Coligny.


Colloqui politici di Baiona Nel 1565 Caterina de’Medici si recò a far visita alla figlia Elisabetta a Baiona sulla frontiera tra Francia e Spagna, dove avvennero colloqui politici alla presenza del duca d’Alba: gli ugonotti ritennero che tra i due governi fossero intervenuti accordi ai loro danni, sia in Francia sia nei Paesi Bassi. Il principe di Condé e il Coligny decisero di rompere la tregua e attaccarono per primi facendo prigioniero il re Carlo IX.


Gli ugonotti cercano di impadronirsi del potere Gli ugonotti miravano ad assicurarsi il potere assoluto in tutte le province, mediante la presenza di funzionari che giuravano fedeltà ai propri capi, non al re. Nel 1569 scoppiò ancora una volta la guerra aperta: il fratello del re, il duca di Angiò (il futuro Enrico III), sconfisse gli ugonotti e il principe di Condé fu ucciso. Rimaneva Gaspard de Coligny a capo degli ugonotti. Il governo non aveva più denari e il partito dei Guisa non desiderava una guerra di annientamento degli ugonotti, col rischio di rafforzare la monarchia: perciò nel 1570 si arrivò all’atto di pacificazione di Saint-Germain-en-Laye, che concesse agli ugonotti di mantenere guarnigioni in molte città, a garanzia della loro sicurezza.


Preponderanza degli ugonotti A questo punto la preponderanza degli ugonotti appariva eccessiva anche perché la figlia di Caterina de’Medici, Margherita, fu promessa in sposa a Enrico di Borbone (il futuro Enrico IV). Nel 1571 il Coligny entrò a far parte del consiglio di Carlo IX, esercitando sul re una grande influenza, tradotta in politica estera in un deciso atteggiamento antispagnolo. I Guisa non avevano perdonato al Coligny la partecipazione all’assassinio di Francesco di Guisa, e Caterina de’Medici cominciò a temere la preponderanza degli ugonotti a corte. Caterina agì con folle determinazione, convincendo i Guisa della necessità di togliere di mezzo il Coligny.


Matura il progetto della strage di san Bartolomeo Il 22 agosto 1572 un sicario riuscì a ferire il Coligny a Parigi, dove erano convenuti migliaia di ugonotti per festeggiare il matrimonio di Margherita di Francia con Enrico di Borbone, un evento che secondo i voti di tutti doveva porre termine alla guerra civile. Il re Carlo IX si recò a far visita al ferito, promettendogli giustizia. Il giorno dopo Caterina riuscì a convincere il re della necessità di sbarazzarsi di tutti i capi ugonotti. Enrico di Guisa, il duca di Angiò e il capo della municipalità di Parigi organizzarono il massacro della notte del 23 agosto (strage di san Bartolomeo). I massacrati furono alcune migliaia, compreso il Gaspard de Coligny. Tra i capi ugonotti si salvarono solo Enrico di Borbone e il giovane principe di Condé passati al cattolicesimo mediante una conversione di comodo. Probabilmente nessuno aveva voluto un massacro di quelle dimensioni, ma gli odi scatenati dalla guerra civile erano giunti a un livello tale da forzare la mano di chi si sentiva minacciato.


Nuovo compromesso I vincitori del momento, Caterina e il partito dei Guisa, esaurirono le loro forze nell’assedio di La Rochelle, terminato con una pace di compromesso quando Enrico di Valois, duca di Angiò, fu eletto re di Polonia (1573). A partire da quel momento, il partito ugonotto non fece ulteriori progressi: era saldamente affermato nelle regioni periferiche della Francia, a Est e a Sud fino alla Guienna. Se poterono sopravvivere, gli ugonotti lo dovettero al partito dei politici, ossia di quei cattolici disposti a sacrificare l’unità religiosa piuttosto che l’unità politica.


Il partito dei politici A capo di questa corrente d’opinione c’erano i Montmorency, gli uomini di legge formanti una specie di corporazione perché la loro carica era ereditaria, i banchieri, i mercanti i cui affari erano rovinati dalla guerra e quei cattolici che odiavano i Guisa. I politici favorivano le ambizioni di Francesco, duca di Alançon, l’ultimo dei figli di Caterina, che cercava di farsi luce passando da un gruppo all’altro secondo il suo interesse. La guerra civile continuava anche perché le grandi casate principesche rafforzavano il proprio potere, mentre la pace avrebbe rafforzato la corona a loro danno.


Enrico III Carlo IX morì nel 1574 all’età di 24 anni. Il fratello Enrico III si affrettò a tornare dalla Polonia per cingere la corona di Francia. Intelligente, ma poco costante, portato alla prodigalità tipica dei dissoluti e fisicamente tarato, finì per disgustare l’aristocrazia e i militari. Enrico III e Caterina decisero nel 1576 che gli ugonotti non dovevano essere schiacciati e che era conveniente negoziare un trattato che concedesse loro libertà di culto, affidando alla loro responsabilità otto Places de sûreté (piazzeforti in cui rifugiarsi in caso di pericolo).


Si forma la Lega cattolica Le concessioni fatte agli ugonotti provocarono un rimescolamento delle carte: i cattolici reagirono formando la Lega, un’associazione di carattere politico-militare imperniata sulla famiglia dei Guisa, diffidente nei confronti della monarchia dei Valois e collegata col re di Spagna per avere finanziamenti e aiuti militari. La Lega cercava di ottenere consensi e obbedienza al capo della Lega, arrivando fino al punto di arruolare il popolo minuto per avere quel seguito popolare che era stato il punto di forza del partito degli ugonotti. Enrico III volle parare il colpo dichiarandosi capo della Lega per esautorare i Guisa, ma l’appoggio che ricevette fu assai tiepido. Con la pace di Bergerac del 1577 Enrico III tolse ai protestanti molti privilegi e ordinò lo scioglimento delle leghe.


Le tensioni politiche si spostano nei Paesi Bassi La pace durò per qualche tempo in modo precario, caratterizzata dal crescente timore verso la potenza spagnola, per equilibrare la quale il re di Francia offrì aiuti ai fuorusciti portoghesi in lotta contro Filippo II e ai ribelli dei Paesi Bassi. La pace raggiunta coi Turchi nel Mediterraneo e la conquista del Portogallo avvenuta nel 1580, convinsero Filippo II che i pericoli maggiori del suo regno venivano ora da Inghilterra e Olanda. Nel 1584 erano morti Francesco, l’irrequieto fratello di Enrico III di Francia, e Guglielmo d’Orange, guida della resistenza dei Paesi Bassi. Elisabetta d’Inghilterra acconsentì nel 1585 a inviare in Olanda un esercito di 5000 uomini: era una mossa azzardata perché il fatto appariva una dichiarazione di guerra contro la Spagna. In Francia, la morte del fratello del re designava come candidato alla successione di Enrico III, che non aveva figli, l’ugonotto Enrico di Borbone, e perciò i Guisa riformarono la Lega.


Alleanza di Filippo II con la Lega Alla fine del 1584 Filippo sottoscrisse il trattato di Joinville con il duca di Guisa e con la Lega per sradicare l’eresia in Francia. In cambio, la Lega cedeva a Filippo II la Navarra francese e la città di Cambrai. Se questi progetti fossero andati in porto, Filippo II avrebbe conseguito un’alleanza tra Spagna e Francia per risolvere i suoi problemi politici nell’Europa del Nord.


Filippo II progetta lo sbarco in Inghilterra Rassicurato da parte della Francia, Filippo II poteva ora progettare l’invasione dell’Inghilterra per liquidare il protestantesimo in quel paese: i Paesi Bassi sarebbero caduti subito dopo. In quegli anni Filippo II godeva di una buona situazione finanziaria dovuta al regolare afflusso di argento americano, mentre nei Paesi Bassi l’accentramento del potere in mano agli olandesi suscitava gelosie nelle altre province. Per di più la regina Elisabetta sembrava incline al negoziato con Filippo II, disposta a lasciargli i Paesi Bassi se avesse rinunciato a una prova di forza contro l’Inghilterra.


Riprende la guerra civile in Francia In Francia riprese la guerra civile, utile ai fini di Filippo II. Nell’ottobre 1587 Enrico di Navarra sconfisse le truppe del re Enrico III a Contras. Un mese dopo, Enrico di Guisa sconfisse i protestanti tedeschi alleati di Enrico di Navarra. Enrico III aveva perduto ogni prestigio ed Enrico di Guisa si accingeva a esautorare il suo re. Nel 1588, poco prima della partenza dell’Armada, Enrico di Guisa entrò in Parigi, sollevando la popolazione contro gli ugonotti. Il re fece entrare truppe francesi e svizzere, ma la popolazione alzò barricate costringendo il re a fuggire dalla capitale e a rinunciare a qualunque azione a favore dell’Inghilterra. Tra agosto e settembre accadde il disastro dell’Armada, ma la potenza della Lega e di Enrico di Guisa continuò a crescere durante l’autunno. Il re fu costretto a riunire a Blois gli Stati Generali che gli imposero la riduzione del prelievo fiscale, la limitazione del suo potere sovrano, la lotta a fondo contro gli ugonotti.


Morte di Enrico di Guisa Enrico di Guisa ritenne di esser diventato così potente da poter affrontare Enrico III: invitato nel castello di Blois, cadde nella trappola ordita dal re e fu assassinato nel dicembre 1588. Il giorno dopo fu arrestato e giustiziato il fratello, il cardinale di Guisa. Caterina de’Medici fece in tempo a conoscere queste notizie, morendo nel gennaio 1589 senza lasciare rimpianti: la sua feroce determinazione di mantenere il potere in seno alla famiglia era fallito. In molte città francesi furono costituiti governi rivoluzionari formati dagli appartenenti alla Lega.


Morte di Enrico III A Parigi i leghisti costituirono comitati, istituendo un governo del terrore. Enrico III, ormai isolato, stipulò un’alleanza con Enrico di Borbone: riunite le loro forze, posero l’assedio alla capitale, ma il 1° agosto un fanatico pugnalò il re Enrico III. Prima di morire, il re nominò erede Enrico di Borbone.


Enrico IV Enrico di Borbone possedeva una notevole personalità. Avendo doti di giovialità, senza il fanatismo di tanti ugonotti, molti francesi erano disposti a proclamarlo re purché ponesse termine alla guerra civile. Pur aspirando al trono, affermò che vi avrebbe rinunciato se il prezzo era di obbligarlo a ripudiare e perseguitare il calvinismo. Accettò tuttavia di essere istruito nel cattolicesimo, per lasciarsi aperte le possibilità future.


Ripresa del principio dell’equilibrio Il papa Sisto V respingeva le pretese di Filippo II di farsi protettore ufficiale dei cattolici francesi: Venezia si affrettò a riconoscere come re di Francia Enrico di Borbone, consigliando il papa a fare altrettanto, perché la Francia equilibrasse lo strapotere spagnolo. Nel 1590 Sisto V morì seguito da due papi che governarono per pochi mesi. Il loro successore, Clemente VIII Aldobrandini appariva tiepido nei confronti di Filippo II: accettò di incontrare emissari di Enrico IV ai quali chiese che il re di Francia mostrasse la sincerità del suo ritorno in seno alla Chiesa cattolica.


Conversione di Enrico IV Con perfetta scelta di tempo, Enrico IV annunciò di tornare al cattolicesimo: la cerimonia accadde in Saint-Denis il 25 luglio 1593: ai leghisti furono promesse cariche, denaro, titoli nobiliari per legarli a sé. Enrico IV poté così fare il suo ingresso solenne in Parigi il 22 marzo 1594.


Guerra tra Francia e Spagna Nel gennaio 1595 Enrico IV dichiarò guerra alla Spagna e in settembre fu assolto dalla scomunica dal papa Clemente VIII. La guerra contro la Spagna segnò il successo del partito dei politici che giudicavano prioritari gli interessi dello Stato su quelli della religione.


Crisi finanziaria della Spagna Il peso della guerra si rivelò insostenibile per le finanze di Filippo II che per la terza volta, nel 1596, dichiarò bancarotta: la crisi raggiunse tutti gli Stati europei. Ci furono ancora grandi battaglie, ma infine a Vervins, il 2 maggio 1598, fu firmata la pace che apparve la riedizione della pace di Cateau-Cambrésis del 1559, salutata questa volta come una grande vittoria della Francia. Enrico IV acquistò così l’aura del salvatore della patria.



11. 5 Vincitori e vinti



La pace di Vervins, tuttavia, non indicò con chiarezza chi erano i vincitori e chi i vinti. La Spagna rimaneva una grande potenza e le sue truppe, quando erano stipendiate, apparivano pur sempre le più temibili.


Crisi della Spagna La Spagna aveva pagato caro questo risultato raggiungendo il limite di rottura del suo sistema. Si era impoverita e aveva esaurito la sua popolazione; le Cortes di Castiglia avevano chiesto al re che i nemici si dannassero l’anima se proprio lo volevano, ma non al prezzo della disperazione degli spagnoli.


Ripresa della Francia In Francia si poteva misurare ora il pericolo corso nei quarant’anni di guerra civile: fu salutata come una grande fortuna l’aver mantenuto l’unità politica del regno. La grande nobiltà, con la pace, perdette molte prerogative politiche, e si fece strada l’idea che solo una monarchia forte, non più condizionata dalle famiglie principesche, poteva assicurare l’unità del paese. La piccola nobiltà aveva raggiunto l’obiettivo di accaparrarsi molte cariche e funzioni amministrative che alla morte del titolare erano ereditate dal primogenito: la monarchia fu larga di concessioni nei confronti di una categoria che, non possedendo un potere politico autonomo, sarebbe divenuta fedele esecutrice della volontà sovrana. Molti contadini, ridotti alla disperazione, avevano militato nei vari eserciti durante la guerra civile, senza conseguire alcun vantaggio. I vincoli feudali di dipendenza dai nobili furono stretti ancor più, e fino alla rivoluzione francese del 1789 non vi fu alcun miglioramento delle condizioni sociali della maggioranza dei francesi. Enrico IV promise il benessere materiale e assicurò i francesi che il suo ideale era un pollo in pentola nelle domeniche per i sudditi, ma tutti sanno che i governanti sono larghi di promesse quando sollecitano il consenso dei governati.


Rafforzamento economico di Olanda e Inghilterra Inghilterra e Olanda ritennero un tradimento la conversione di Enrico IV, ma la neutralità della Francia unita alla stanchezza della Spagna assicurava l’indipendenza di quei paesi che alla fine del conflitto si trovarono in possesso di una grande struttura produttiva e di una flotta imponente utilizzata con criteri capitalistici, lanciata su tutti i mari del mondo per fare concorrenza prima alla marineria portoghese e poi a quella spagnola nel lucroso commercio degli schiavi africani e delle spezie.


Verso l’egemonia della Francia Dal grande duello combattuto tra Spagna e Francia per l’egemonia europea, intrecciato in modo inestricabile coi conflitti religiosi tra cattolici e protestanti, uscirono rafforzate le strutture commerciali e manifatturiere di Olanda e Inghilterra che verso la metà del XVII secolo entrarono in conflitto tra loro, prima che la Francia, dopo la pacificazione interna e la ripresa economica, cominciasse una politica di egemonia europea culminata nell’epoca di Luigi XIV, il re Sole.



11. 6 Cronologia essenziale



1559 A Cateau-Cambrésis è firmata la pace tra Francia e Spagna. Durante un torneo di festeggiamenti muore Enrico II di Francia.


1560 Muore il giovanissimo re di Francia Francesco II e gli succede il fratello Carlo IX sotto la reggenza della madre Caterina de’Medici. Le potenti famiglie Montmorency e Borbone tentano di portare al potere gli ugonotti.


1562 A Vassy avviene l’eccidio di un gruppo di ugonotti. Un editto sovrano emanato ad Amboise concede agli ugonotti il diritto di riunione all’esterno delle città.


1563 Un secondo editto di Amboise appare troppo favorevole agli ugonotti.


1565 Riprende la guerra civile. Carlo IX è fatto prigioniero dagli ugonotti.


1571 Battaglia di Lepanto. L’espansione dei Turchi nel Mediterraneo occidentale si arresta.


1572 Strage di ugonotti a Parigi nella notte tra il 23 e il 24 agosto (strage di san Bartolomeo).


1574 Morte di Carlo IX. Gli succede il fratello Enrico III.


1580 Il regno del Portogallo è unito a quello di Spagna.


1588 Distruzione dell’Armada spagnola al largo delle coste inglesi. Enrico III fa assassinare Enrico di Guisa nel castello di Blois.


1589 A sua volta Enrico III è assassinato, mentre Enrico di Borbone assedia Parigi.


1593 Enrico IV decide il ritorno al cattolicesimo per porre fine alla guerra civile.


1594 Enrico IV è accolto da trionfatore in Parigi.


1598 Il trattato di Vervins conclude la guerra tra Francia e Spagna, ribadendo le clausole della pace di Cateau-Cambrésis.



11. 7 Il documento storico



Il documento storico di questo capitolo riporta alcune pagine di Ferdinand Braudel, che ha dedicato la sua lunga vita di studioso ad approfondire le relazioni tra spazio geografico e storia di lunga durata.



“Nulla rivela e spiega l’enigmatica figura di Filippo II meglio della sua meravigliosa morte, raccontata tante volte e con tanto pathos che si esita a ripeterne i commoventi particolari. Fu certo la morte di un re e di un cristiano, di un cristiano singolarmente sicuro della virtù dei poteri intercessori della Chiesa.


Ai primi dolorosi attacchi del male in giugno, Filippo II, nonostante il parere dei medici, si era fatto trasportare all’Escorial per morirvi. Lottò però contro l’affezione setticemica, che doveva ucciderlo dopo cinquantatre giorni di malattia e di sofferenze. Questa morte non fu interamente sotto il segno dell’orgoglio: questa divinità del secolo riformato. Il re si recò all’Escorial per morirvi solitario; si recò là dove erano i suoi, tutti i suoi morti, che lo attendevano, e vi andò accompagnato dal figlio, il futuro Filippo III, dalla figlia, l’Infanta, che stava per partire per le Fiandre, dai grandi della Chiesa e dai grandi di questo mondo, che lo seguirono nel corso del suo tormento. Fu anche una morte accompagnata il più possibile, sociale, cerimoniosa si può dire, nel senso migliore della parola. Non l’Orgoglio, né la Solitudine, né l’Immaginazione, come fu detto, bensì l’ambiente familiare, l’esercito dei santi, il nugolo di preghiere, circondarono gli ultimi istanti del sovrano in una processione ordinata che era, per sé, una bella opera d’arte. Quell’uomo la cui vita, fu detto, consistette nel distinguere il temporale dal religioso, che i nemici sommersero senza rossore sotto le più assurde calunnie, che gli ammiratori avvolsero un po’ presto d’un’aureola, va visto proprio nel diritto filone della più pura vita religiosa, forse nell’atmosfera stessa della rivoluzione carmelitana…


Ma il sovrano, la forza storica di cui il suo nome fu legame e garanzia? Quanto fu superiore all’individuo solitario e segreto che egli fu! Come storici, facciam fatica ad avvicinarlo: egli ci riceve, come gli ambasciatori, con la più fine cortesia, ci ascolta, risponde a voce bassa, spesso con parole inintelligibili, e non ci parla mai di sé. Per tre giorni, alla vigilia della morte, egli confessa le colpe della sua vita. Ma esse, le colpe esposte al tribunale della sua coscienza, più o meno giusta nei suoi apprezzamenti, più o meno smarrita nei dedali di una lunga vita, chi potrebbe immaginarle? È quello uno dei più grandi problemi della sua vita, la superficie d’ombra che dobbiamo lasciare sulla verità del suo ritratto. O meglio dei suoi ritratti. Quale uomo non muta nel corso della sua vita? E la sua fu una vita lunga e movimentata: dal ritratto del Tiziano, che ci presenta il principe nel ventesimo anno, al terribile e commovente quadro di Juan de la Cruz Pantoja, che ci restituisce invece, alla fine del regno, l’ombra di quello che era stato…


L’uomo che noi possiamo cogliere è il sovrano che fa il suo mestiere di re, al centro, al crocicchio delle incessanti notizie che con i loro fili multicolori annodati e incrociati, tessono davanti a lui la tela del mondo e del suo impero. È il lettore al suo tavolo di lavoro, che annota i rapporti con la sua rapida scrittura, lontano dagli uomini, distante, meditabondo, legato dalle notizie alla storia viva che urge su di lui da tutti gli orizzonti del mondo. Invero, egli è la somma di tutte le debolezze, di tutte le forze del suo dominio, l’uomo dei bilanci. I suoi maggiori collaboratori – il duca d’Alba; più tardi , Alessandro Farnese nei Paesi Bassi, don Giovanni d’Austria nel Mediterraneo – vedono nell’enorme vicenda soltanto un settore, il loro settore personale. È la differenza capitale che passa tra il direttore d’orchestra e gli esecutori…



Fonte: F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, 2 voll., Einaudi, Torino 1976, pp. 1327-1330.



11. 8 In biblioteca



Per la storia di Spagna nel secolo XVI si consulti di F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, 2 voll., Einaudi, Torino 1976. Di notevole interesse il libro di J.H. ELLIOTT, La Spagna imperiale (1469-1716), il Mulino, Bologna 1982. Per approfondire la figura di Caterina de’Medici si consulti di O. NEMI-H. FURST, Caterina de’Medici, Rusconi, Milano 1980. Notevole il libro di B. BENNASSAR, Il secolo d’oro spagnolo, Rizzoli, Milano 1985. Per le guerre di religione si consulti di P. MIQUEL, Le guerre di religione, Sansoni, Firenze 1981.