L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (IV)

IV – INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA NELLA VITA DELLA CHIESA

L’interpretazione della Bibbia, anche se compito particolare degli esegeti, non è tuttavia loro monopolio poiché essa comporta nella Chiesa, degli aspetti che vanno al di là dell’analisi scientifica dei testi. La Chiesa, infatti, non considera la Bibbia semplicemente un insieme di documenti storici concernenti le sue origini; l’accoglie come Parola di Dio che si rivolge ad essa, e al mondo intero nel tempo presente. Questa convinzione di fede ha come conseguenza uno sforzo di attualizzazione e di inculturazione del messaggio biblico, come pure l’elaborazione di diversi modi di uso di testi ispirati, nella liturgia, nella lectio divina, nel ministero pastorale e nel movimento ecumenico.
A. Attualizzazione

 Già all’interno stesso della Bibbia, come abbiamo osservato nel capitolo precedente, si può notare la pratica dell’attualizzazione: i testi più antichi sono stati riletti alla luce di circostanze nuove e applicati alla situazione presente del popolo di Dio. L’attualizzazione, basata sulle stesse convinzioni, continua necessariamente a essere praticata nelle comunità credenti.

 

 1. Principi

 I principi che fondano la pratica dell’attualizzazione sono i seguenti:

 L’attualizzazione è possibile, perché il testo biblico, per la su pienezza di significato, ha valore per tutte le epoche e tutte le culture (cf. Is 40, 8; 66, 18-21; Mt 28, 19-20). Il messaggio biblico può al tempo stesso relativizzare e fecondare i sistemi di valori e le norme di comportamento di ogni generazione.

 L’attualizzazione è necessaria, perché, anche se il loro messaggio ha valore duraturo, i testi della Bibbia sono stati redatti in funzione di circostanze passate e in un linguaggio condizionato da epoche diverse. Per manifestare la portata che hanno per gli uomini e le donne di oggi, è necessario applicare il loro messaggio alle circostanze presenti ed esprimerlo in un linguaggio adattato al tempo attuale. Ciò presuppone uno sforzo ermeneutico che miri a discernere attraverso il condizionamento storico i punti essenziali del messaggio.

 L’attualizzazione deve costantemente tener conto dei complessi rapporti che esistono, nella Bibbia cristiana, tra il Nuovo Testamento e l’Antico,     per il fatto che il Nuovo si presenta al tempo stesso come compimento e superamento dell’Antico. L’attualizzazione si effettua in conformità con l’unità dinamica così costituita.

 L’attualizzazione si realizza grazie al dinamismo della tradizione vivente della comunità di fede. Questa si situa esplicitamente nel prolungamento delle comunità in cui la Scrittura è nata, è stata conservata e trasmessa.

 Nell’attualizzazione la tradizione adempie un duplice ruolo: procura, da una parte, una protezione contro le interpretazioni aberranti e assicura, dall’altra, la trasmissione del dinamismo originale.

 Attualizzazione non significa dunque manipolazione dei testi. Non si tratta di proiettare sugli scritti biblici opinioni o ideologie nuove, ma di ricercare con sincerità la luce che essi contengono per il tempo presente. Il testo della Bibbia ha autorità in tutti i tempi sulla Chiesa cristiana e, anche se sono passati parecchi secoli dal tempo della sua composizione, conserva il suo ruolo di guida privilegiata che non può essere manipolata. Il magistero della Chiesa «non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone» (Dei Verbum, 10).

 

 2. Metodi

 Partendo da questi principi, si possono utilizzare diversi metodi di attualizzazione.

 L’attualizzazione, praticata già all’interno della Bibbia, è proseguita poi nella Tradizione giudaica per mezzo di procedimenti che si possono osservare nei targumim e nei midrashim: ricerca di passi paralleli (gezerah shawah), modifiche nella lettura del testo (‘al tiqrey), adozione di un secondo significato (tartey mishma’), ecc.

 Da parte loro, i Padri della Chiesa hanno fatto ricorso alla tipologia e all’allegoria per attualizzare i testi biblici in modo adatto alla situazione dei cristiani del loro tempo. Nel nostro tempo l’attualizzazione deve tener conto dell’evoluzione della mentalità e dello sviluppo dei metodi di interpretazione.

 L’attualizzazione presuppone una corretta esegesi del testo, che ne determini il senso letterale. Se la persona che attualizza non ha personalmente una formazione esegetica, deve ricorrere a buone guide di lettura che permettano di ben orientare l’interpretazione.

 Per portare a buon fine l’attualizzazione, l’interpretazione della Scrittura mediante la Scrittura è il metodo più sicuro e più fecondo, specialmente nel caso dei testi dell’Antico Testamento che sono stati riletti nell’Antico Testamento stesso (per es. la manna di Es 16 in Sap 16, 20-29) e/o nel Nuovo Testamento (Gv 6). L’attualizzazione di un testo biblico nell’esistenza cristiana non può realizzarsi correttamente se manca la relazione con il mistero di Cristo e della Chiesa. Non sarebbe normale, per esempio, proporre ai cristiani, come modelli per una lotta di liberazione, unicamente episodi dell’Antico Testamento (Esodo, 1-2; Maccabei).

 L’operazione ermeneutica, ispirata da filosofie ermeneutiche, comporta quindi tre tappe: 1) ascoltare la Parola a partire dalla situazione presente; 2) discernere gli aspetti della situazione presente che il testo biblico illumina o mette in discussione; 3) trarre dalla pienezza di significato del testo biblico gli elementi suscettibili di far evolvere la situazione presente in maniera feconda, conforme alla volontà salvifica di Dio in Cristo.

 Grazie all’attualizzazione, la Bibbia chiarisce molti problemi attuali, per esempio: la questione dei ministeri, la dimensione comunitaria della Chiesa, l’opzione preferenziale per i poveri, la teologi della liberazione, la condizione della donna. L’attualizzazione può anche essere attenta ai valori sempre più sentiti dalla coscienza moderna, come i diritti della persona, la protezione della vita umana la preservazione dell’ambiente naturale, l’aspirazione alla pace universale.

 

 3. Limiti

 Per restare in accordo con la verità salvifica espressa nella Bibbia,  l’attualizzazione deve rispettare certi limiti e guardarsi da possibili  deviazioni.

 Benché ogni lettura della Bibbia sia necessariamente selettive sono da  evitare le letture tendenziose, cioè quelle che, invece di essere docili  al testo, non fanno che utilizzarlo per i loro fini limitati (come nel  caso dell’attualizzazione fatta da alcune sette, per esempio i Testimoni  di Geova).

 L’attualizzazione perde ogni validità se si basa su principi teorici che  sono in disaccordo con gli orientamenti fondamentali della Bibbia, come,  ad esempio, il razionalismo opposto alla fede o materialismo ateo.  Va evidentemente condannata anche ogni attualizzazione orientata in senso  contrario alla giustizia e alla carità evangelica; ad esempio quelle che  vorrebbero basare sui testi biblici la segregazione razziale,  l’antisemitismo o il sessismo, sia esso maschile o femminile.  

Un’attenzione particolare è necessaria, secondo lo spirito del concilio  Vaticano II (Nostra aetate, 4), per evitare assolutamente attualizzare  alcuni testi del Nuovo Testamento in un senso che potrebbe provocare o  rafforzare atteggiamenti ostili nei riguardi de ebrei. Gli eventi tragici  del passato devono, al contrario, spingere a ricordare senza posa che,  secondo il Nuovo Testamento, gli ebrei restano «amati» da Dio, «perché i  doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11, 28-29).

 Le deviazioni saranno evitate se l’attualizzazione parte da una corretta  interpretazione del testo e si effettua nella corrente Tradizione vivente, sotto la guida del magistero della Chiesa.

 Ad ogni modo, i rischi di deviazione non possono costituire un’obiezione  valida contro l’adempimento di un compito necessario, quello di far  pervenire il messaggio della Bibbia fino alle chiese al cuore delle nostre  generazioni.

 

 B. Inculturazione

 Allo sforzo di attualizzazione, che consente alla Bibbia di conservare la  sua fecondità anche attraverso i mutamenti dei tempi corrisponde, per la diversità dei luoghi, lo sforzo di inculturazione che assicura il radicamento del messaggio biblico nei terreni più diversi. Questa diversità non è del resto mai totale. Ogni autentica cultura, infatti, è portatrice, a suo modo, di valori universali fondati da Dio.

 Il fondamento teologico dell’inculturazione è la convinzione fede che la Parola di Dio trascende le culture nelle quali è stata espressa e ha la capacità di propagarsi nelle altre culture, in modo da raggiungere tutte le persone umane nel contesto culturale cui vivono. Questa convinzione deriva dalla Bibbia stessa, che, fin dal libro della Genesi, assume un orientamento universale (Gn 1, 27-28), lo mantiene poi nella benedizione promessa a tutti i popoli grazie ad Abramo e alla sua discendenza (Gn 12.3; Gv 18, 18) e lo conferma definitivamente estendendo a «tutte le nazioni» l’evangelizzazione cristiana (Mt 28, 18-20; Rm 4, 16-17; Ef 3,

 6).

 La prima tappa dell’inculturazione consiste nel tradurre in un’altra lingua la Scrittura ispirata. Questa tappa ha avuto inizio fin dai tempi dell’Antico Testamento quando il testo ebraico della Bibbia fu tradotto oralmente in aramaico (Ne 8, 8.12) e, più tardi, per iscritto in greco.

 Una traduzione infatti è sempre qualcosa di più di una semplice trascrizione del testo originale. Il passaggio da una lingua a un’altra comporta necessariamente un cambiamento di contesto culturale: i concetti non sono identici e la portata dei simboli è differente, perché mettono in rapporto con altre tradizioni di pensiero e altri modi di vivere.

 Il Nuovo Testamento, scritto in greco, è segnato tutto quanto da un dinamismo di inculturazione, perché traspone nella cultura giudaico-ellenistica il messaggio palestinese di Gesù, manifestando con ciò una chiara volontà di superare i limiti di un ambiente culturale unico.

 La traduzione dei testi biblici, tappa fondamentale, non può però essere sufficiente ad assicurare una vera inculturazione. Questa deve costituirsi grazie a un’interpretazione che metta il messaggio biblico in rapporto più esplicito con i modi di sentire, di pensare, di vivere e di esprimersi propri della cultura locale. Dall’interpretazione si passa poi ad altre tappe dell’inculturazione, che portano alla formazione di una cultura locale cristiana, che si estende a tutte le dimensioni dell’esistenza (preghiera, lavoro, vita sociale, costumi, legislazione, scienza e arte, riflessione filosofica e teologica). La Parola di Dio è infatti un seme che trae dalla terra in cui si trova gli elementi utili alla sua crescita e alla sua fecondità (cf. Ad Gentes, 22). Di conseguenza, i cristiani devono cercare di discernere «quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ma nello stesso tempo devono tentare di illuminare queste  ricchezze alla luce del vangelo, di liberarle e di riferirle al dominio di Dio salvatore» (Ad Gentes, 11).

 Non si tratta, come si vede, di un processo a senso unico, ma di una «reciproca fecondazione». Da una parte le ricchezze contenute nelle diverse culture permettono alla Parola di Dio di produrre nuovi frutti e, dall’altra, la luce della Parola di Dio permette di operare una scelta in ciò che le culture apportano, per rigettare gli elementi nocivi e favorire lo sviluppo di quelli validi. La piena fedeltà alla persona di Cristo, al dinamismo del suo mistero pasquale e al suo amore per la Chiesa fa evitare due false soluzioni: quella dell’“adattamento” superficiale del messaggio e quella della confusione sincretista (cf. Ad Gentes, 22).

 Nell’Oriente e nell’Occidente cristiano l’inculturazione della Bibbia si è effettuata fin dai primi secoli e ha manifestato una grande fecondità. Non può, tuttavia, mai essere considerata conclusa; al contrario, deve essere ripresa costantemente, in rapporto con la continua evoluzione delle culture. Nei paesi di più recente evangelizzazione il problema si pone in termini diversi. I missionari, infatti, portano inevitabilmente la Parola di Dio nella forma in cui si è inculturata nel loro paese di origine. È necessario che le nuove chiese locali compiano sforzi enormi per passare da questa forma straniera di inculturazione della Bibbia a un’altra forma, che corrisponda alla cultura del proprio paese.

 

 C. Uso della Bibbia

 1. Nella liturgia

 Fin dagli inizi della Chiesa, la lettura delle Scritture è stata considerata parte integrante della liturgia cristiana, erede in parte della liturgia sinagogale. Ancora oggi i cristiani entrano in contatto con le Scritture soprattutto attraverso la liturgia, in particolare in occasione della celebrazione eucaristica della domenica.

     In linea di massima, la liturgia, e specialmente la liturgia sacramentale, di cui la celebrazione eucaristica è il vertice, realizza l’attualizzazione perfetta dei testi biblici, perché ne situa la proclamazione in seno alla comunità dei credenti riuniti intorno a Cristo per avvicinarsi a Dio. Cristo è allora «presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (Sacrosanctum Concilium, 7). Il testo scritto diventa così nuovamente parola viva.

 La riforma liturgica decisa dal concilio Vaticano II si è sforzata di presentare ai cattolici un più ricco nutrimento biblico. I tre cicli di letture delle messe domenicali accordano un posto privilegiato ai vangeli, in modo da mettere bene in evidenza il mistero del Cristo come principio della nostra salvezza. Mettendo regolarmente un testo dell’Antico Testamento in rapporto con il testo del vangelo, questo ciclo suggerisce     spesso per l’interpretazione scritturistica le vie della tipologia. Questa, si sa, non è la sola lettura possibile.  L’omelia, che attualizza più esplicitamente la Parola di Dio, fa parte integrante della liturgia. Ne riparleremo più avanti, a proposito del ministero pastorale.

 Il lezionario, nato dalle direttive del concilio (Sacrosanctum Concilium, 35), doveva permettere una lettura della Sacra Scritture «più abbondante, più varia e più adatta». Nel suo stato attuale esso risponde solo in parte a questo orientamento. Tuttavia la sua esistenza ha avuto felici effetti ecumenici. In alcuni paesi ha fatto anche misurare la mancanza di familiarità dei cattolici con la Scrittura.

 La liturgia della Parola è un elemento decisivo nella celebrazione di ciascun sacramento della Chiesa. Non consiste solo in un semplice successione di letture, ma deve comportare anche dei tempi di silenzio e di preghiera. Questa liturgia, in particolare la liturgia delle ore, attinge dal libro dei Salmi per far pregare la comunità cristiana. Inni e preghiere sono tutte impregnate del linguaggio biblico e del suo simbolismo. Ciò dimostra quanto sia necessario che la partecipazione alla liturgia sia preparata e accompagnata da una pratica della lettura della Bibbia.

 Se nelle letture «Dio rivolge la parola al suo popolo» (Missale Romanum, n. 35), la liturgia della Parola esige una grande cura sia per la proclamazione delle letture che per la loro interpretazione. È quindi auspicabile che la formazione dei futuri presidenti di assemblee e dei loro collaboratori tenga conto delle esigenze di una liturgia della Parola di Dio fortemente rinnovata. Così, grazie agli sforzi di tutti, la Chiesa proseguirà la missione che le è stata affidata «di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum, 21).

 

 2. Lectio divina

 La lectio divina è una lettura, individuale o comunitaria, di un passo più o meno lungo della Scrittura accolta come Parola di Dio e che si sviluppa sotto lo stimolo dello Spirito in meditazione, preghiera e contemplazione.

 La preoccupazione di una lettura regolare, anche quotidiana, della Scrittura corrisponde a una pratica antica della Chiesa. Come pratica collettiva, è attestata nel III secolo, all’epoca di Origene; questi faceva l’omelia a partire da un testo della Scrittura letto in modo continuato durante la settimana. Esistevano allora assemblee quotidiane dedicate alla lettura e alla spiegazione della Scrittura. Questa pratica, in seguito abbandonata, non incontrava sempre un grande successo presso i cristiani (cf. Origene, Hom. Gen., X, 1).

 La lectio divina come pratica soprattutto individuale è attestata nell’ambiente monastico dei primi tempi. Nel nostro tempo un’Istruzione della Commissione Biblica approvata dal papa Pio XII l’ha raccomandata a tutti i chierici, secolari e religiosi (De Scriptura Sacra, 1950; EB 592).

 L’insistenza sulla lectio divina sotto il suo duplice aspetto, comunitario e individuale, è quindi diventata nuovamente attuale. Lo scopo inteso è quello di suscitare e alimentare «un amore effettivo e costante» per la Sacra Scrittura, fonte di vita interiore e di fecondità apostolica (EB 591 e 567), di favorire anche una migliore comprensione della liturgia e di assicurare alla Bibbia un posto più importante negli studi teologici e nella preghiera.

 La costituzione conciliare Dei Verbum (n. 25) insiste ugualmente su una lettura assidua delle Scritture per i sacerdoti e i religiosi. Inoltre, ed è questa una novità, invita tutti «i fedeli di Cristo» ad apprendere «la sublime conoscenza di Gesù Cristo» (Fil 3, 8). Vengono proposti diversi mezzi. Accanto a una lettura individuale, viene suggerita una lettura in gruppo. Il testo conciliare sottolinea che la lettura della Scrittura deve essere accompagnata dalla preghiera, poiché questa è la risposta alla Parola di Dio incontrata nella Scrittura sotto l’ispirazione dello Spirito. Nel popolo cristiano sono state intraprese numerose iniziative per una lettura comunitaria e non si può che incoraggiare questo desiderio di una migliore conoscenza di Dio e del suo disegno di salvezza in Gesù Cristo attraverso le Scritture.

 

 3. Nel ministero pastorale

 Il ricorso frequente alla Bibbia nel ministero pastorale, raccomandato dalla Dei Verbum (n. 24), assume forme diverse a seconda del tipo di ermeneutica di cui si servono i pastori e che i fedeli possono comprendere. Si possono distinguere tre situazioni principali: la catechesi, la predicazione e l’apostolato biblico. Intervengono numerosi fattori, in rapporto con il livello generale di vita cristiana.  La spiegazione della Parola di Dio nella catechesi –Sacrosanctum Concilium, 35; Direttorio Generale della Catechesi, 1971, 16– ha come fonte primaria la Sacra Scrittura, che, spiegata nel contesto della Tradizione, fornisce il punto di partenza, il fondamento e la norma dell’insegnamento catechetico. Uno degli scopi della catechesi dovrebbe essere quello di introdurre a una retta comprensione della Bibbia e alla sua lettura fruttuosa, che permetta di scoprire la verità divina che essa contiene e che susciti una risposta, la più generosa possibile, al messaggio che Dio rivolge attraverso la sua Parola all’umanità.

 La catechesi deve partire dal contesto storico della rivelazione divina per presentare personaggi e avvenimenti dell’Antico Testamento e del Nuovo alla luce del disegno di Dio.

 Per passare dal testo biblico al suo significato di salvezza per il tempo presente, si utilizzano procedimenti ermeneutici diversi, che producono vari tipi di commenti. La fecondità della catechesi dipende dal valore dell’ermeneutica usata. C’è il pericolo di limitarsi a un commento superficiale, che si fermi a una considerazione cronologica della successione degli eventi e dei personaggi.

 La catechesi, evidentemente, non può sfruttare che una piccola parte dei testi biblici. In generale, usa soprattutto i racconti, sia del Nuovo che dell’Antico Testamento. Insiste sul decalogo. Dev’essere attenta a usare ugualmente gli oracoli dei profeti, l’insegnamento sapienziale e i grandi discorsi evangelici come quello della montagna.

 La presentazione dei vangeli deve avvenire in modo da provocare un incontro con Cristo, che dà la chiave di tutta la rivelazione biblica e trasmette l’appello di Dio, al quale ciascuno deve rispondere. La parola dei profeti e quella dei «ministri della parola» (Lc 1, 2) deve apparire come rivolta ora ai cristiani.

 Osservazioni analoghe si applicano al ministero della predicazione, che deve trarre dai testi antichi un nutrimento spirituale adatto ai bisogni attuali della comunità cristiana.

 Attualmente, questo ministero si esercita soprattutto alla fine della prima parte della celebrazione eucaristica, con l’omelia che segue la proclamazione della Parola di Dio.

 La spiegazione che viene data dei testi biblici nel corso dell’omelia non può entrare in molti dettagli. Conviene perciò mettere in luce i contributi principali di questi testi, quelli che sono più illuminanti per la fede e i più stimolanti per il progresso della vita cristiana, comunitaria o personale. Presentando questi contributi, bisogna fare opera di attualizzazione e di inculturazione, come è stato detto sopra. A questo scopo sono necessari validi principi ermeneutici. Una mancanza di  preparazione in questo campo ha come conseguenza la tentazione a  rinunciare ad approfondire le letture bibliche e che ci si limiti a  moraleggiare o a parlare di questioni attuali, senza illuminarle con la  luce della Parola di Dio.

 In diversi paesi sono state realizzate pubblicazioni, con l’aiuto di  esegeti, per aiutare i responsabili pastorali a interpretare correttamente  le letture bibliche della liturgia e ad attualizzarle in mo valido. È  auspicabile che simili sforzi abbiano una sempre maggiore diffusione.

 Va certamente evitata un’insistenza unilaterale sugli obblighi che si  impongono ai credenti. Il messaggio biblico deve conservare il suo  carattere principale di buona novella della salvezza offerta Dio. La  predicazione farà opera più utile e più conforme alla bibbia se aiuta prima di tutto i fedeli a «conoscere il dono di Dio» (Gv 4, 10), così  com’è rivelato nella Scrittura, e a comprendere modo positivo le esigenze che ne derivano.

 L’apostolato biblico ha l’obiettivo di far conoscere la Bibbia come Parola  di Dio e fonte di vita. In primo luogo, favorisce la traduzione della Bibbia nelle lingue più diverse e la diffusione di queste traduzioni.

 Suscita e sostiene numerose iniziative: formazione di gruppi biblici,  conferenze sulla Bibbia, settimane bibliche, pubblicazione di riviste e di libri, ecc.

 Un importante contributo viene offerto dalle associazioni e movimenti  ecclesiali che mettono al primo posto la lettura d Bibbia in una prospettiva di fede e di impegno cristiano. Numerose “comunità di base”  centrano le loro riunioni sulla Bibbia e propongono un triplice obiettivo: conoscere la Bibbia, costruire la comunità e servire il popolo. Anche qui l’aiuto degli esegeti è utile per evitare attualizzazioni poco fondate. Ma è motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e alla sua attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di quelli che viene da una scienza sicura di se stessa (cf. Mt 11, 25).

 L’importanza sempre crescente dei mezzi di comunicazione di massa (mass-media), stampa, radio, televisione, esige che l’annuncio della Parola di Dio e la conoscenza della Bibbia siano propagati attivamente con questi strumenti. Gli aspetti molto particolari di questi ultimi e, d’altra parte, la loro influenza su un pubblico vasto richiedono per la loro utilizzazione una preparazione specifica che permetta di evitare pietose improvvisazioni, nonché effetti spettacolari di cattivo gusto.

 Che si tratti di catechesi, di predicazione o di apostolato biblico, il testo della Bibbia dev’essere presentato sempre con il rispetto che merita.

 

 4. Nell’ecumenismo

 Se l’ecumenismo, in quanto movimento specifico e organizzato è relativamente recente, l’idea dell’unità del popolo di Dio, che questo movimento si propone di restaurare, è profondamente radicata nella Scrittura. Un tale obiettivo era la preoccupazione costante del Signore (Gv 10, 16; 17, 11.20-33). Esso suppone l’unione dei cristiani nella fede, nella speranza e nella carità (Ef 4, 2-5), nel rispetto reciproco (Fil 2, 1-5) e nella solidarietà (1Cor 12, 14-27; Rm 12, 4-5), ma anche e soprattutto l’unione organica a Cristo, come tralcio alla vite (Gv 15, 4-5), o le membra al capo (Ef 1, 22-23; 4, 12-16). Questa unione dev’essere perfetta, a immagine di quella del Padre e del Figlio (Gv 17, 11-22). La Scrittura ne definisce il fondamento teologico (Ef 4, 4-6; Gal 3, 27-28). La prima comunità apostolica ne è un modello concreto e vivo (At 2, 44; 4, 32).

 La maggior parte dei problemi che affronta il dialogo ecumenico ha un rapporto con l’interpretazione dei testi biblici. Alcuni di questi problemi sono di ordine teologico: l’escatologia, la struttura della Chiesa, il primato e la collegialità, il matrimonio e il divorzio, l’attribuzione del sacerdozio ministeriale alle donne, ecc. Altri sono di ordine canonico e giurisdizionale; riguardano l’amministrazione della Chiesa universale e delle chiese locali. Altri, infine, sono di ordine strettamente biblico: la lista dei libri canonici, alcuni problemi ermeneutici, ecc.

 L’esegesi biblica, anche se non può avere la pretesa di risolvere da sola tutti questi problemi, è chiamata a dare all’ecumenismo un contributo importante. Progressi notevoli si sono già registrati. Grazie all’adozione degli stessi metodi e di analoghe finalità ermeneutiche, gli esegeti di diverse confessioni cristiane sono arrivati a una grande convergenza nell’interpretazione delle Scritture, come mostrano i testi e le note di molte traduzioni ecumeniche della Bibbia, nonché altre pubblicazioni.  

È opportuno, d’altra parte, riconoscere che, su alcuni punti particolari, le divergenze nell’interpretazione delle Scritture sono spesso stimolanti e possono rivelarsi complementari e fruttuose. Tale è il caso quando esse esprimono i valori delle tradizioni particolari di diverse comunità cristiane e traducono così i molteplici aspetti del mistero di Cristo.

 Poiché la Bibbia è la base comune della regola di fede, l’imperativo  ecumenico comporta, per tutti i cristiani, un pressante appello a rileggere i testi ispirati, nella docilità allo Spirito Santo, nella carità, nella sincerità e nell’umiltà, a meditare questi testi e a viverli, in modo da giungere alla conversione del cuore e alla santità di vita, che, insieme alla preghiera per l’unità dei cristiani, sono l’anima di tutto il movimento ecumenico (cf. Unitatis Redintegratio, 8).

 Bisognerebbe perciò rendere accessibile al maggior numero possibile di cristiani l’acquisizione della Bibbia, incoraggiare le traduzioni ecumeniche, un testo comune, infatti, aiuta a una lettura e a una comprensione comuni, promuovere gruppi di preghiera ecumenici al fine di contribuire, attraverso una testimonianza autentica e vivente, alla realizzazione dell’unità nella diversità (cf. Rm 12, 4-5).  


CONCLUSIONE

Da quanto è stato detto nel corso di questa lunga esposizione, che  tuttavia rimane troppo breve su molti punti, la prima conclusione che emerge è che l’esegesi biblica adempie, nella chiesa e nel mondo, a un  compito indispensabile. Voler fare a meno di essa per comprendere la Bibbia sarebbe un’illusione e dimostrerebbe una mancanza di rispetto per  la Scrittura ispirata.

 I fondamentalisti, pretendendo di ridurre gli esegeti al ruolo di traduttori (ignorando che tradurre la Bibbia significa già fare opera di esegesi) e rifiutando di seguirli più avanti nei loro studi, si rendono conto che, per un’encomiabile preoccupazione di piena fedeltà alla Parola di Dio, si incamminano in realtà su strade che li allontanano dal senso esatto dei testi biblici, come anche dalla piena accettazione delle conseguenze dell’Incarnazione. La Parola eterna si è incarnata in un momento preciso della storia, in un ambiente sociale e culturale ben determinato. Chi desidera ascolta deve umilmente cercarla là dove essa si è resa percettibile, accettando il necessario aiuto del sapere umano. Per parlare agli uomini e alle donne, fin dal tempo dell’Antico Testamento, Dio ha sfruttato tutte le possibilità del linguaggio umano, ma nello stesso tempo ha dovuto sottomettere la sua Parola a tutti i condizionamenti di questo linguaggio. Il vero rispetto per la Scrittura ispirata esige che si compiano tutti gli sforzi necessari perché si possa cogliere bene il suo significato. Certo, non è possibile che ogni cristiano faccia personalmente le ricerche di ogni tipo che consentano di meglio comprendere i testi biblici. Questo compito è affidato agli esegeti, responsabili, in questo settore, del bene di tutti.

 Una seconda conclusione è che la natura stessa dei testi biblici esige che, per interpretarli, si continui a usare il metodo storico-critico, almeno nella sue operazioni principali. La Bibbia, infatti, non si presenta come una rivelazione diretta di verità atemporali, bensì come l’attestazione scritta di una serie di interventi attraverso i quali Dio si rivela nella storia umana. Diversamente da molte dottrine sacre di altre religioni, il messaggio biblico è solidamente radicato nella storia. Ne consegue che gli scritti biblici non possono essere compresi correttamente senza un esame del loro condizionamento storico. Le ricerche “diacroniche” saranno sempre indispensabili all’esegesi. Gli approcci “sincronici”, qualunque sia il loro interesse, non sono in grado di sostituirle. Per funzionare in modo fecondo, devono prima accettarne le conclusioni, almeno nelle loro grandi linee.

 Ma, una volta adempiuta questa condizione, gli approcci sincronici (retorico, narrativo, semiotico e altri) possono rinnovare in parte l’esegesi e fornire un contributo molto utile. Il metodo storico-critico, infatti, non può pretendere di avere il monopolio, ma deve prendere coscienza dei suoi limiti, come pure dei pericoli cui può andare incontro. I recenti sviluppi delle ermeneutiche filosofiche e, d’altra parte, le osservazioni che abbiamo potuto fare sull’interpretazione nella tradizione biblica e nella tradizione della Chiesa hanno messo in luce vari aspetti del problema dell’interpretazione che il metodo storico-critico tendeva a ignorare. Preoccupato infatti di fissare bene il significato dei testi situandoli nel loro contesto storico di origine, questo metodo si mostra talvolta insufficientemente attento all’aspetto dinamico del significato e alle sue possibilità di sviluppo. Quando non arriva fino allo studio della redazione, ma si concentra unicamente sui problemi delle fonti e della stratificazione dei testi, esso non adempie completamente al compito esegetico.

 Per fedeltà alla grande Tradizione, di cui la Bibbia stessa è testimone, l’esegesi cattolica deve evitare per quanto possibile questo genere di deformazione professionale e mantenere la sua identità di disciplina teologica, il cui scopo principale è l’approfondimento della fede. Questo non significa un minore impegno nella ricerca scientifica più rigorosa, né la deformazione dei metodi a causa di preoccupazioni apologetiche. Ogni settore della ricerca (critica testuale, studi linguistici, analisi letterarie, ecc.) ha le sue proprie regole, che deve seguire in piena autonomia. Ma nessuna di queste specialità è fine a se stessa. Nell’organizzazione d’insieme del compito esegetico, l’orientamento verso lo scopo principale deve restare effettivo e fare evitare dispersioni di energie. L’esegesi cattolica non ha il diritto di somigliare a un corso d’acqua che si perde nelle sabbie di un’analisi ipercritica. Adempie, nella Chiesa e nel mondo, una funzione vitale: quella di contribuire a una trasmissione più autentica del contenuto della Scrittura ispirata.  Proprio a questo scopo tendono gli sforzi dell’esegesi cattolica, in stretta connessione col rinnovamento delle altre discipline teologiche e col lavoro pastorale di attualizzazione e di inculturazione della Parola di Dio. Esaminando la problematica attuale ed esprimendo alcune riflessioni in proposito, la presente esposizione spera di aver facilitato, da parte di tutti, una presa di coscienza più chiara del ruolo degli esegeti cattolici.

 

 Roma, 15 aprile 1993.