L’arte di farsi ubbidire.

Collaboratori di Dio, voi avete sui figli un’autorità che non viene dalla Legge, ne dallo Stato, ne dalla tradizione, ma da Dio stesso. Questa autorità assumerà una espressione differente, man mano che il bambino cresce; potrete anche delegarla, ma non potrete mai abbandonarla completamente finché il fanciullo non sia diventato adulto.

* Collaboratori di Dio, voi avete sui figli un’autorità che non viene dalla Legge, ne dallo Stato, ne dalla tradizione, ma da Dio stesso. Questa autorità assumerà una espressione differente, man mano che il bambino cresce; potrete anche delegarla, ma non potrete mai abbandonarla completamente finché il fanciullo non sia diventato adulto.
* Bisogna sostenere arditamente che per educare un bambino è necessario esercitare su di lui un’autorità ed esigere da lui ubbidienza. Il fanciullo al quale ” si lascia fare “, sotto pretesto di rispettare la sua libertà, rischierebbe fortemente di diventare un essere malvagio, contro il quale in seguito si dovrebbe impiegare, per difendersi, la forza bruta. Questo sarebbe tutto il guadagno? Non vale la pena d’inquietarci qui per sapere se conviene dire che la natura è buona o malvagia; costatiamo solo un fatto: i bambini non sono spontaneamente e non diventano da se stessi, senza un aiuto, quello che devono essere. Di conseguenza noi diciamo che è necessario intervenire nella loro vita .
* Se Dio v’ha dato autorità sui vostri fanciulli, è per esercitarla in vista e nella misura del loro maggior bene.
*Volete che i figlioli vi ubbidiscano? Convinceteli fin da piccoli che un ordine e un desiderio di papa o di mamma non debbono soffrire ritardo alcuno nell’esecuzione.
*Quando un piccolo non ubbidisce, pensate che ciò non è colpa sua, ma dei genitori.
*Un bambino, che avrà acquistato l’abitudine a ubbidire al primo comando, non avrà neppure l’idea che si possa disubbidire ai genitori. Ripetere due volte lo stesso ordine è prova di debolezza e inizio di perdita d’autorità.
*Vi è ogni vantaggio quando i genitori affermano molto presto la loro autorità, la madre soprattutto che è in relazione quasi continua con i bambini; non lascerà quindi cadere nell’oblio i suoi ordini, ne permetterà che i figlioli le resistano apertamente. Ella non tollererà giammai sulla loro bocca queste parole spiacevoli: ” Voglio “. ” Non voglio “, o: ” No, no e poi no! “, come diceva un giorno un bimbo di due anni: e la madre rideva… Che pensate che avrebbe fatto una madre cosciente del suo ufficio educativo? Avrebbe preso davanti a sé il piccolo ribelle; poi, fattasi grave, l’avrebbe guardato con calma, ma così fredda, così severa, così differente dall’abituale tenerezza, che il delinquente non avrebbe tardato a comprendere. Nulla impressiona tanto il fanciullo amoroso che vedere sua madre, sempre allegra e buona ai suoi occhi estatici, prendere un viso austero e fissarlo muta a lungo.
*In pedagogia familiare come in strategia, meglio vale vincere una buona battaglia, una volta per tutte, che ricominciare continuamente con scaramucce senza risultato.
*Se la cosa è grave e importante, state attenti affinchè il bambino ubbidisca subito senza mormorare, senza smorfie e senza quelle lentezze e quei sotterfugi a cui molti genitori lasciano che si abituino a poco a poco i loro bimbi e che diventano così difficili da correggere verso l’età di quattordici o quindici anni.
*Se il fanciullo resiste agli ordini impartiti con bontà e dolcezza; se si fa tirare l’orecchio quando, riunendo tutta la vostra energia, parlate con fermezza e decisione, allora prendete i mezzi che crederete più opportuni per influire sullo spirito del bambino, ma ad ogni costo fatevi ubbidire.
*Nel bambino la convinzione che nulla farà desistere i genitori dagli ordini impartiti possiede una efficacia calmante molto più forte che la speranza di farli abdicare pestando i piedi.
*Le mamme, essendo impressionabili più dei papà, hanno la tendenza a modificare presto gli ordini. Non bisogna tuttavia che i fanciulli si accorgano che le autorizzazioni o i rifiuti dipendono da un capriccio o da uno sbalzo d’umore.
* Imponendo la loro volontà, tutte le madri un giorno o l’altro incontreranno resistenza; si guardino allora d’informare fragorosamente il circolo più o meno esteso della famiglia, dei vicini e degli amici. Chi non ha inteso frasi come queste: ” Vedrete che non cederà… Che io dica o non dica è la stessa cosa… Sono sicuro che non avete mai visto una testa così dura “? L’autorità materna non guadagnerà nulla da queste recriminazioni.
Il fanciullo, soprattutto, allorché si vede oggetto di curiosità, prova una specie di voluttà a disubbidire. Se fa la testa dura è per affermare ai suoi occhi e agli occhi degli altri la sua indipendenza; quindi, diffondendo le sue disubbidienze, lungi dall’umiliarlo, gli si fa una piccola pubblicità.
È anche importante pensare che non si da prova di autorità affermando ad ogni pie’ sospinto che si pretende di essere ubbiditi: ” Saprò farti cedere… Vedremo di chi sarà l’ultima parola… Ti deciderai bene a cedere “. Questa specie di fanfaronate nascondono la debolezza di un’autorità poco sicura di se stessa.
* Se vi accorgerete che una leggera resistenza è stata superata, non trionfate come d’una vittoria riportata alle spese d’un avversario: ” Ah! sapevo bene che avresti finito col cedere!.,. Non credere di essere più forte di me piccolo mio! Guardate questo moscerino… Non vuole affatto ascoltare… Bisogna mangiarne ancora del pane prima di diventare in grado di fare di propria testa!… ” È il bambino che deve rallegrarsi della vittoria riportata su se stesso; non deve essere maltrattato perché ha ubbidito; al contrario, egli deve trovare nella vostra affettuosa approvazione e nella soddisfazione della sua coscienza la ricompensa alla sua docilità e l’incoraggiamento a nuovi sforzi.
* L’efficacia d’un ordine dipende meno dal motivo proposto che dall’autorità di colui che ordina. La docilità è figlia del rispetto, ispirato anch’esso dall’autorità.
* Fino ai due anni l’ubbidienza del piccolo non può essere che passiva. La madre deve sforzarsi a preparare il suo figliolo e formare in lui dei buoni automatismi e felici associazioni, che genereranno buoni comportamenti.
Dai tre anni e anche prima, seguendo lo sviluppo intellettuale, l’ubbidienza deve incominciare a essere attiva; ma una cosa è certa ed è che da uno ai sette anni il fanciullo passa per tre tappe di ubbidienza: ubbidire perché lo vogliono, sapere ubbidire perché bisogna, voler ubbidire per necessità ed interesse. A sette anni il subconscio del fanciullo deve essere mobilitato in tutta la sua ricchezza con tutti gli automatismi, fisici, intellettuali e morali; in altre parole: i giochi devono essere fatti e ben fatti.
* Dai tre ai sette anni, la formazione degli automatismi continua sotto altra forma: non si tratta più di ” drizzare ” il fanciullo (gli educatori non sono domatori di bestie feroci), ma di svegliare in lui il senso dell’ubbidienza con l’esercizio. Il suo primo sforzo deve condurre a questo punto: ubbidire: che il fanciullo sappia che nella vita vi sono delle necessità che non si eludono, perché ” è così “. Il potere di suggestione di un ” è così ” detto con calma, fermezza e persuasione è incalcolabile; il piccolo deve capire che in questo vi è una specie di fatalismo meraviglioso che gli semplificherà tutto, se accetta. Se ci si offende a usare questa piccola parola così importante, se ci si irrita, tutto è perduto, il risultato sarà contrario.
* Man mano che il bambino cresce è meglio agire sotto torma di suggestione che sotto una forma imperativa: ” Mi sembra sia meglio che tu faccia così. Non pensi che sia tuo interesse agire così?… Se fossi al tuo posto farei così… “. L’immaginazione può facilitare il compimento di alcuni doveri fastidiosi; allontana l’ostinazione, distoglie dagli urti troppo bruschi. Un ragazzino si rifiuta ostinatamente di cedere un calamaio del quale si è impossessato; ordini e preghiere esasperano la sua opposizione; catastrofe imminente; ma qualcuno abbassa la voce, pone il dito dinanzi alla bocca e mormora: ” Zitto! non bisogna far rumore: il calamaio fa la nanna… “. Con mille precauzioni il bambino estasiato rimette a posto il calamaio: il dramma è scongiurato. (Pensate a quella mamma il cui bambino piange… Fa finta di girare una chiave all’altezza della tempia: ” Cric, crac, si chiude il rubinetto delle lacrime! “).
* Il fanciullo ama dare un carattere magico al suo universo: perciò ogni cosa che sembra possedere questo carattere magico lo seduce. Una mamma sfruttò il seguente modo dì procedere: ” Quale parola magica bisogna pronunziare per rendervi immediatamente tranquilli e buoni? “. La cosa parve suscitare l’interesse dei suoi tre piccoli folletti. Ciascuno scelse la parola adatta: il primo ” Pi-Kan “, il secondo ” To-Ki “, il terzo qualche altro vocabolo privo di senso. Il risultato fu veramente miracoloso; e molto tempo dopo bastava pronunziare queste parole per ottenere la calma, trionfare su una crisi, ottenere una docilità perfetta e sorprendente.
* Evitare i comandi dati a casaccio, gli ordini che non hanno senso e sono soltanto risultato del bisogno di scaricare i propri nervi: ” Andiamo, sbrigati!… Più presto!… Tieniti bene!… Guarda dove metti i piedi!… Fa’ dunque attenzione!… “. E l’autorità s’indebolisce, moltiplicando gli ordini senza ragione.
* Perché comandare quelle cose che i fanciulli stanno già facendo spontaneamente?
* L’educatore deve comprendere il bisogno di attività e di libertà del fanciullo. Intervenendo incessantemente onde impedire ai fanciulli che agiscano a modo loro si finisce per rendere l’autorità insopportabile. Come quella mamma nervosa che un giorno dava alla sua bambinaia l seguente ordine: ” Maria, va’ dunque a vedere cosa combinano i ragazzi in giardino e proibisci loro… “.
* Non confondete l’autorità con l’autoritarismo. Non siate come quei genitori che ripetono ordini a casaccio soltanto per il gusto di comandare, e finiscono con lo stancare i bambini senza risultato.
* Ordini ed esigenze siano limitati all’essenziale. Non ripetete senza necessità: ” Fa’ questo!… Fa’ quest’altro!… Tu devi agire così… “. Moltissimi genitori trascorrono la loro vita dando ordini. Risultato: tanti ordini rimangono lettera morta. Riflettete prima di comandare e costaterete che risparmierete i tre quarti del vostro tempo. Imponendo qualcosa al ragazzo, lo farete con serietà e fermezza, senza essere tuttavia duro ed urtante. Egli sappia che intendete essere ubbidito e vegliate in seguito per esserlo. A volte però non basta il tono persuasivo. Chiudete allora dolcemente, ma con energia, il libro del fanciullo, prendete il suo giocattolo e conducetelo in camera sua.
* Sappiate amministrare le vostre forze e graduate i vostri affetti. Chi troppo sovente fa appello alla sua autorità la mortifica e la perde.
* Non serve gridare: bisogna volere al tempo giusto.
* Quando si comanda qualcosa al bimbo bisogna sapere con chiarezza ciò che si vuole e volerlo fermissimamente. Il fanciullo capisce istintivamente e subito, dal tono della voce, l’importanza reale che si da a ciò che gli si comanda.
* I comandi arbitrari suscitano ribellione, non obbedienza e certi inopportuni tentativi di costrizione rinforzano soltanto l’ostinazione.
* Si abitui il fanciullo a cedere dolcemente alle esigenze della saggezza: è quasi mai utile farlo cedere per forza.
* Non date mai un ordine in tono supplice: non dovete mendicare la sottomissione. Però non comandate burberamente: non dovete far odiare l’ubbidienza.
* Non mercanteggiate mai l’ubbidienza: nulla è più odioso che una discussione come quella avvenuta tra una mamma e un bambino di 8 anni che aveva raccolto non so quale oggetto indecente per la strada: ” Andiamo, getta via quella roba! — No! — Buttala via o ti do uno schiaffo… — No! “. E il bambino si mette a correre. Allora la madre in un estremo tentativo: ” Buttala via e ti darò cinquanta lire “. La risposta dimostra fin dove può giungere l’impertinenza quando l’autorità è debole: ” Dammele prima e dopo si vedrà… “.
* Non comandate a un bambino quando siete sicuri di non essere ubbiditi; come quella madre imprudente che esclamava: ” Ho torto di chiedergli qualche cosa: fa sempre di testa sua! “.
* Se si vuole essere ubbiditi, bisogna che i bimbi comprendano bene cosa desiderate; non comandate cose superiori alle loro forze, ma imponetele con ferma certezza di essere ubbiditi.
*Che gli ordini siano chiari per la piccola intelligenza dei bambini; non si tratta tanto di farsi sentire quanto di farsi comprendere.
* Per ottenere facilmente l’adesione della volontà del bambino allo sforzo che gii richiedete, supponete il problema risolto; fate balenare dinanzi alla sua immaginazione la prospettiva attraente di ciò che può diventare superando se stesso; per esempio: ” Fammi il piacere di mostrarmi come agisce un ragazzo in gamba “.
*Fate ripetere dai bambini stessi ciò che comandate; vi assicurerete così se hanno seguito e compreso ciò che chiedete loro, e d’altra parte, il fatto di spiegare essi stessi ciò che stanno per compiere, li predispone ad agire nel senso indicato.
* I fanciulli non hanno la nostra nozione del tempo. Si lasciano assorbire dal gioco fino al momento in cui non hanno più tempo per rimettere tutto in ordine. Il rimedio a ciò è semplice: preavvisate sempre. In tempo giusto dite al bambino: ” La colazione è quasi pronta; è tempo di prepararti… “. Se non sarà puntuale al richiamo, il vostro rimprovero sarà giustificato; sarà allora colpa sua, non vostra, come troppo spesso accade.
* Avete già notato come alcuni nostri ordini siano male interpretati dai bambini? Le loro reazioni per noi adulti sono assai sconcertanti e bizzarre.
Pierino ha sei anni e mezzo, fa il suo compito e scrive con lettere molto grandi; il papa scherzando gli domanda: ” Non potresti scrivere un po’ più grande? “. Con quale risultato? Una pagina con delle S e Z gigantesche.
La mamma, prima di uscire, dice a Cartuccia: ” Va’ un po’ a vedere se i guanti sono nella mia camera “. La bimba ritorna affermando che li ha visti, ma… non porta i guanti… Il bambino, infatti, è realista e obiettivo. La sua intelligenza, appena formata, non comprende tutte le sfumature del nostro linguaggio di adulti. Di più, meno scaltro di noi, prende alla lettera ciò che gli diciamo e non transige sul significato delle parole. Per lui, è sì o no, bianco o nero, grande o piccolo, e giammai penserà che dicendo no intendiate sì. Dobbiamo quindi, soprattutto quando si tratta di ordini importanti, stare attenti ad esprimere esattamente il nostro pensiero. Dico: ” Non si va più in giardino quando si fa scuro “. Bisogna che veramente sia scuro, diversamente il bambino troverà che ancora fa chiaro. Più d’un bambino ha così disubbidito in buonafede e per lungo tempo è andato rimuginando sull’ingiusta e incomprensibile punizione. Insegniamo infine ai bambini il vero significato d’una parola. Ci si meraviglia a volte di costatare che un termine anche corrente non è compreso da un bambino.
* II bambino interpreta le proibizioni alla lettera. Un fanciullo a cui si era proibito di venire in salotto, la sera, in camicia, si presentò l’indomani assolutamente nudo, in presenza d’invitati, scusando la sua condotta del tutto ” immodesta ” con l’interdizione che gli si era fatta di presentarsi in camicia.
A Paoluccio, di tre anni, piacevano immensamente le arance e spesso gli era concesso il permesso di andare presso il droghiere B. a comperarsene una a conto della madre. Un giorno che ne aveva mangiate due domanda a sua madre: ” Posso andare presso B. a cercare un’arancia? “. La madre risponde: ” No, non puoi andare da B. “. Un momento dopo ella vede il bimbo che mangia un’arancia in giardino e lo rimprovera ricordandogli la proibizione; il fanciullo pronto replica: ” Tu non mi hai permesso di andare da B. ma io sono andato da L… ” (il droghiere vicino…).
* Siate concisi nei comandi: evitate i lunghi discorsi. Una volta dato un avviso non ritornateci sopra cento volte; obbligate il fanciullo a sottomettersi alla vostra volontà senza rispondere ai suoi ” perché? ” o ai suoi ” come? “.
* Potrebbe essere imprudente spiegare sempre ai fanciulli la ragione degli ordini e delle proibizioni; sarebbe esporre la vostra autorità a essere continuamente discussa, giudicata e… spesso condannata. È tuttavia utilissimo che ogni tanto, a mo’ di esempio, gli facciate comprendere il perché delle imposizioni.
Gli faciliterete l’ubbidienza, facendo così presa sul suo giudizio e sul suo cuore, facendogli comprendere perché deve ubbidire. Il giorno in cui non gli manifestate le ragioni è probabile che si sottometta volentieri lo stesso, sapendo che le vostre ragioni sono sempre buone.
* Non parlate dispoticamente; non abbiate continuamente sul labbro: ” Io lo voglio, lo ordino; la mia volontà sta al posto di tutti i perché… “. È a volte una prova di forza, ma sovente è un segno di debolezza al quale il bambino non si sottomette a lungo.
* Un ordine non potrebbe avere un buon risultato se sembra contenere una minaccia, un sentimento di collera o un anticipato rimprovero, come se il comando prima ancora di essere formulato fosse già mal eseguito.
* Vi sono dei comandi mal dati che a volte suggeriscono la possibilità d’una resistenza e contengono già il sentimento di noia inerente all’atto, il quale, senza questo intervento, sarebbe stato eseguito automaticamente senza resistenza e senza noia.
* Sembra che la preoccupazione comune della maggior parte dei genitori e degli educatori sia quella di dare anzitutto al bambino la conoscenza e la pratica del male, dopo di che gli si vieta questo male e lo si punisce se lo compie! Fin dai primi anni, anziché allontanare da lui le occasioni di sciocchezze, lo facciamo vivere in mezzo a una moltitudine di oggetti a portata di mano, che eccitano la sua curiosità e da cui lo allontaniamo ripetendogli continuamente, ancor prima che abbia avuto l’idea di toccare: ” Non toccare! “. Invece di occupare il suo spirito e le sue mani, allontanandogli così le possibilità di commettere una sciocchezza, noi lo lasciamo in ozio e moltiplichiamo le interdizioni: ” Non farai questo, non farai quello… “. E non dubitiamo neppure che la proibizione stessa fa nascere l’idea e il desiderio della cosa proibita!… E si seguita così senza interruzione durante l’educazione. Invece di suscitare nel fanciullo l’idea del bene, della bellezza, della giustizia, della bontà, ecc., di nutrirne con esse l’immaginazione, di fargliele amare e ammirare, lo stordiamo, sotto pretesto di farglielo odiare, col male, con le colpe e con le bruttezze. In luogo dell’entusiasmo del bene che lo renderebbe forte, noi lo saturiamo di timore del male, che lo rende pusillanime se non ipocrita.
* II vero modo di preservare un fanciullo è di formare il suo discernimento, dandogli qualche occasione di esercitarlo. Dicendo: ” Avrai freddo, ti prenderai un raffreddore… avrai una indigestione… ti farai male… cadrai… “, si formulano affermazioni perentorie che tendono a realizzarsi da se stesse per la sola potenza evocatrice. I timori dei genitori prendono consistenza: il pericolo si accresce, invece di aumentare, come si dovrebbe, la resistenza del bambino. Chiedete a un bambino di sparecchiare, e istintivamente gli dite: ” Attento! Farai cadere qualche cosa… “. Nulla, spesso, è più efficace di questa affermazione a rendere il fanciullo inetto.
* Sappiate addolcire i comandi. Cercate di dare al fanciullo l’impressione che derivano dal suo stesso pensiero più che da una volontà estranea: ” Penso che tu abbia ragione di voler fare così… È intelligente da parte tua agire così “. Non è necessario ne desiderabile che un ordine procuri un’impressione spiacevole.
* L’argomento impersonale: ” Bisogna fare questo “, agisce meglio sul fanciullo del dispotismo personale: ” Voglio che tu faccia ciò “.
* Crescendo il bambino, non presentate l’ubbidienza come diminuzione della sua personalità, bensì come mezzo per dimostrare che possiede un’anima nata al comando. Saprà ben comandare colui che ha saputo ubbidire.
* Se l’educatore, col suo modo d’agire, dimostra che usa della sua autorità non per suo piacere, interesse, capriccio o orgoglio… se comanda in modo da far capire che anch’egli ubbidisce comandando, diventa allora per il fanciullo come la rivelazione d’una vita superiore in cui sparisce l’opposizione degli egoismi sotto il regno della giustizia e della bontà.