La preghiera d’intercessione per i defunti

…Le preghiere d’intercessione e di domanda che la Chiesa non cessa di rivolgere a Dio hanno un grandissimo valore. Il Signore si lascia sempre commuovere dalle suppliche dei suoi figli, poiché egli è il Dio dei vivi. Il corpo mistico di Cristo è in attesa della sua unità, al termine della storia, quando tutte le membra saranno nella beatitudine perfetta e Dio sarà tutto in tutti…

La preghiera d’intercessione per i defunti


Giovanni Paolo II, Lettera En cette année, del 2 giugno 1998


a mons. Raymond Séguy, vescovo di Autun, Chàlon e Màcon, abate di Cluny


 1. In questo anno in cui si celebra il millenario della commemorazione dei fedeli defunti istituita da sant’Odilon, quinto abate di Cluny, il centenario della fondazione da parte del suo predecessore, il cardinale Perraud, dell’’Arciconfraternita di Notre-Dame de Cluny, incaricata di pregare per le anime del purgatorio, il quarantesimo anniversario del bollettino Lumière et vie, che promuove la preghiera per i defunti, mi unisco volentieri con il pensiero a tutti coloro che, nel corso di quest’anno, parteciperanno alle celebrazioni offerte per quanti ci hanno preceduto. In effetti, all’indomani della solennità di tutti i santi, in cui la chiesa celebra nella gioia la comunione dei santi e la salvezza degli uomini, sant’Odilon ha voluto esortare i suoi monaci a pregare in modo particolare per i morti, contribuendo così misteriosamente al loro accesso alla beatitudine; a partire dall’abbazia di Cluny si è poco a poco diffusa l’usanza di intercedere solennemente per i defunti, attraverso una celebrazione che sant’Odilon ha chiamato la Solennità dei morti, pratica che è oggi in vigore nella chiesa universale.


2. Pregando per i morti, la chiesa contempla prima di tutto il mistero della risurrezione di Cristo che, mediante la sua croce, ha ottenuto per noi la salvezza e la vita eterna. Con sant’Odilon possiamo ripetere incessantemente: “La croce è per me un rifugio, la croce è per me la via e la vita… La croce è la mia anima invincibile. La croce respinge ogni male. La croce dissipa le tenebre”. La croce del Signore ci ricorda che ogni vita è abitata dalla luce pasquale, che ogni situazione non è mai totalmente persa, perché Cristo ha vinto la morte e ci ha aperto il cammino della vera vita. La redenzione “si realizza nel sacrificio di Cristo, grazie al quale l’uomo riscatta il debito del peccato e viene riconciliato con Dio” (Tertio millennio adveniente, n. 7).


3. Sul sacrificio di Cristo si fonda la nostra speranza. La sua risurrezione inaugura gli “ultimi tempi” (1 Pt 1,20; cf. Eb 1,2). La fede nella vita eterna che professiamo nel credo è un invito alla gioiosa speranza di vedere Dio faccia a faccia. Credere nella risurrezione della carne significa riconoscere che vi è un fine ultimo, una finalità per ogni vita umana, che “soddisfa talmente il desiderio dell’uomo da non lasciare nulla da desiderare al di fuori di essa” (Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I-II, q. 1, a. 5; cf. san Paolino di Noia, Lettere 1,2). E quello stesso desiderio che sant’Agostino esprimeva ammirevolmente: “Tu ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non dimora in te” (Confessioni, I, 1). Siamo quindi tutti chiamati a vivere con Cristo, assisi alla destra del Padre, e a contemplare la santissima Trinità, poiché “Dio è oggetto principale della speranza cristiana” (Alfonso de’ Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo, 16, 2); con Giobbe possiamo ora esclamare: “Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero” (Gb 19, 25-27).


4. Ricordiamo anche che il corpo mistico di Cristo è in attesa della sua unità, al termine della storia, quando tutte le membra saranno nella beatitudine perfetta e Dio sarà tutto in tutti (cf. Origene, Omelia sul Levitico, n. 7). In effetti la chiesa spera la salvezza eterna per tutti i figli e per tutti gli uomini. “Noi crediamo che la chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo corpo, che è la chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa, ignorane l’evangelo di Cristo e la sua chiesa, ma cercano sinceramente Dio e sotto l’influsso della sua grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch’essi, in un numero che Dio solo conosce, possono conseguire la salvezza” (Paolo VI, Professione di fede).


In attesa che la morte sia definitivamente vinta, alcuni uomini “sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria e contemplano la Trinità nella luce piena” (Concilio ecumenico Vaticano II, Lumen gentium, n. 49; cf. Eugenio IV, bolla Laetentur coeli). Unita ai meriti dei santi, la nostra preghiera fraterna va in soccorso di quanti sono in attesa della visione beatifica. L’intercessione per i morti, così come la vita dei vivi secondo i comandamenti divini, conseguono meriti che contribuiscono al pieno compimento della salvezza. È un’espressione della carità fraterna dell’unica famiglia di Dio, attraverso la quale “corrispondiamo all’intima vocazione della chiesa” (Lumen gentium, n. 51): “salvare anime che ameranno Dio eternamente” (Teresa di Lisieux, Preghiere. 6; cf. Manoscritto A 77 r°). Per le anime del purgatorio, l’attesa della felicità eterna, dell’incontro con l’Amato, è fonte di sofferenze a causa della pena dovuta al peccato, che mantiene lontani da Dio.


Tuttavia vi è anche la certezza che una volta conclusosi il tempo della purificazione, l’anima andrà incontro a Colui che essa desidera (cf. Sal 42 e 62).


5. La contemplazione della vita degli uomini che hanno seguito Cristo ci sprona a condurre un’esistenza cristiana bella e retta, che ci rende “degni di quel regno di Dio” (2 Ts 1,5). Siamo pertanto chiamati alla “vigilanza soprannaturale” secondo l’espressione del cardinale Perraud (Lettera in occasione del nono centenario della solennità dei morti), per prepararci ogni giorno alla vita eterna. Come sottolineava il cardinale John Henry Newman, “dobbiamo non solo credere, ma anche vegliare; non solo amare, ma anche vegliare; non solo obbedire, ma anche vegliare… È possibile che la vigilanza sia la prova stessa in cui si riconosce il cristiano”. Di fatto vegliare è “essere distaccati da ciò che è presente e vivere in ciò che è invisibile; vivere con il pensiero di Cristo così come egli è venuto una volta e come verrà di nuovo; desiderare il suo avvento” (Parochial and plain Sermons, IV, 8).


6. Le preghiere d’intercessione e di domanda che la chiesa non cessa di rivolgere a Dio hanno un grandissimo valore. Esse sono “prerogativa di un cuore in sintonia con la misericordia di Dio” (Catechismo della chiesa cattolica, n. 2635). Il Signore si lascia sempre commuovere dalle suppliche dei suoi figli, poiché egli è il Dio dei vivi. Nel corso dell’eucaristia, attraverso la preghiera universale e il momento per i defunti, la comunità riunita presenta al Padre di ogni misericordia coloro che sono morti affinché, mediante la prova del purgatorio, se ciò risulta loro necessario, siano purificati e ottengano la felicità eterna. Affidandoli al Signore, ci riconosciamo solidali con essi e partecipiamo alla loro salvezza, in questo ammirevole mistero della comunione dei santi. La chiesa crede che le anime che sono trattenute in purgatorio “siano aiutate dalle intercessioni dei fedeli e soprattutto dal sacrificio propiziatorio dell’altare” (Concilio di Trento, Decreto sul Purgatorio), così come “dalle elemosine e dalle altre opere di pietà” (Eugenio IV, bolla Laetentur coeli). “Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all’edificazione della chiesa stessa, quale “comunione dei santi”” (Christifideles laici, n. 17).


7. Incoraggio dunque i cattolici a pregare con fervore per i defunti, per quelli delle loro famiglie e per tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle che sono morti, affinché ottengano la remissione delle pene dovute ai loro peccati e odano l’appello del Signore: “Vieni, o mia cara anima, al riposo eterno fra le braccia della mia bontà, che ti ha preparato le delizie eterne” (Francesco di Sales, Introduzione alla vita devota, 17, 4).


Affidando all’intercessione di Nostra Signora, di sant’Odilon e di san Giuseppe, patrono della buona morte, i fedeli che pregheranno per i morti, accordo loro di tutto cuore la mia benedizione apostolica così come ai membri della comunità diocesana di Autun, a quanti sono impegnati nell’Arciconfraternita di Notre-Dame de Cluny e ai lettori del bollettino Lumière et vie. L’estendo di buon grado a tutti coloro che, nel corso dell’anno del millenario, pregheranno per le anime del purgatorio, parteciperanno all’eucaristia e offriranno sacrifici per i defunti.



Dal Vaticano, 2 giugno 1998.


IOANNES PAULUS PP. II



L’Osservatore Romano 13 settembre 1998