La fecondazione «post mortem»: un’operazione macabra

di Gino Concetti. Si sta dibattendo in diversi Stati il problema della fecondazione post mortem. Il problema non è una novità scientifica né giuridica. Organi di stampa hanno riferito che il procedimento è stato attuato in alcuni casi di coppie, in cui è venuto meno tragicamente l’uomo e la donna è sopravvissuta….

La realizzazione è stata condizionata al consenso del marito precedentemente espresso. A farne un caso legislativo è stato però lo Stato New York, nel quale le richieste di donne che intendono utilizzare il seme del marito o del compagno morto sono in aumento. Le autorità si sono trovate di fronte ad un «vuoto» legislativo e vorrebbero provvedere. Due correnti si contendono l’iniziativa: una, per dire così, restrittiva, in quanto subordina il prelievo del seme da cadavere al consenso dell’uomo prima che morisse; l’altra rivendica una liberalizzazione totale della materia, prescindendo anche dalla previa autorizzazione del defunto. Si sono formati due schieramenti a favore dell’una o dell’altra corrente. Trattandosi di una materia delicata e intima la soluzione non si può rimettere alla legge della democrazia. Vince chi dimostra di aver il più alto numero di consensi. Sarebbe davvero semplicistico ed estremamente superficiale ridurre il grave problema della fecondazione post mortem ad un fatto emotivo, sentimentale o meramente affettivo. Già nella tecnica inseminativa vengono vilipesi valori che non possono essere disattesi senza stravolgere l’originario piano divino della procreazione umana. La Bibbia insegna chiaramente che la trasmissione della vita deve avvenire in modo umano. Con l’espressione s’intende il rapporto che intercorre tra uomo e donna uniti in matrimonio nella donazione totale di sé come risposta all’imperativo di Dio di procreare e di popolare la terra. Basandosi sul testo sacro e sulla ininterrotta interpretazione fattane nel corso dei secoli, il magistero della Chiesa considera incompatibile ogni tentativo che dissoci nei coniugi l’elemento procreativo da quello unitivo. Il desiderio di avere un figlio, ricorrendo a tecniche sostitutive, non è ritenuto un motivo valido e giustificante per infrangere la norma. Se l’inseminazione artificiale non è lecita tra viventi, neppure in una situazione di matrimonio regolare, tra marito e moglie, non potrà mai essere lecita in una situazione «eterologa» cioè con l’apporto di un donatore che s’inserisca nella vita di coppia. Nella fecondazione post mortem si tende, in qualche modo, a salvaguardare l’aspetto omologo. Non si richiede infatti l’intervento di un donatore esterno, ma di utilizzare lo sperma del marito defunto. Anche in questo caso scatta l’illiceità. Le ragioni sono ancora più pressanti di quelle che sconsigliano l’operazione tra viventi. La procreazione è frutto di una scelta cosciente dei coniugi, di un loro gesto d’amore interpersonale e simultaneo. Il bambino che nascerà sarà loro figlio non solo perché riceve vita dai loro elementi germinali, ma anche perché è da loro accolto e inserito nel nucleo familiare; sia, infine, perché tra genitori e figlio s’instaura una interconnessione di emozioni, di affetti, di sentimenti, di doni che rinsaldano e nobilitano i legami parentali naturali. Queste prerogative non sono rilevabili nella fecondazione post mortem. L’uomo, da cui si preleva il seme, non è più un vivente, ma un cadavere, un defunto. Il fatto che lo sperma conservi la capacità fecondativa anche dopo la morte del proprietario, non modifica l’identità del donatore, che è sempre e comunque contrassegnato dalla morte, dalla mancanza di vita. Il divieto persiste anche se, in vita, avesse manifestato il proposito di farlo e lo avesse ratificato in un documento. Per far valere la tesi contraria si è soliti far riferimento ad una motivazione analogica. Come è lecito – e la coscienza comune lo accetta – il prelievo di organi da cadavere per impiantarli in un soggetto che ne abbia bisogno, così si vorrebbe legittimare il principio per il prelievo dello sperma e la conseguente inseminazione. La ragione del no è semplice, ma non semplicistica. Gli organi vengono espiantati e impiantati in funzione di una vita che già esiste; lo sperma invece lo si preleva e lo si utilizza per generarne una nuova. Non solo nel risultato vi sono le premesse per escluderlo. Colui che nascerà sarà figlio di un padre, morto prima ancora di essere concepito nel grembo della madre. La nascita inoltre è priva di quel sodalizio di affetti, di emozioni, di sentimenti che si costituisce tra esseri viventi. Con tutto lo sforzo della buona volontà non si riesce a comprendere e quindi a giustificare un’operazione che ha nelle sua stessa natura una connotazione aberrante, frammista a qualche cosa di macabro.