La Riforma cattolica e il Concilio di Trento


Prof. A. Torresani. 10. 1 I nuovi Ordini religiosi. 10. 2 Gli eretici italiani. 10. 3 Ignazio di Lodola e la Compagnia di Gesù. 10. 4 Il Concilio di Trento. 10. 5 La conclusione del Concilio di Trento (1561-1563). 10. 6 Cronologia essenziale. 10. 7 Il documento storico. 10. 8 In biblioteca


Cap. 10 La riforma cattolica e il concilio di Trento



All’interno della Chiesa cattolica molti, nel XVI secolo, erano desiderosi di attuare una profonda riforma morale e disciplinare. Certamente c’erano abusi in seno al clero cattolico e non erano poche le persone che, nella Chiesa, cercavano una carriera o la sicurezza personale in luogo della santità. Molti pastori avevano finito per trascurare il dovere fondamentale della predicazione.


Da circa un millennio, la riforma dei costumi ecclesiastici era stata il compito precipuo degli Ordini religiosi. Era naturale che i problemi emersi nel secolo XVI conducessero alla formazione di nuovi Ordini che portassero nell’Europa rimasta cattolica una dottrina religiosa rinnovata, preparando il possibile ritorno di coloro che avevano aderito al protestantesimo.


Inoltre c’erano i continenti d’America, Asia e Africa raggiunti allora per la prima volta da una colonizzazione stabile che apriva una promettente prospettiva missionaria, a patto che i membri dei nuovi Ordini sapessero eseguire compiti completamente nuovi.


La Compagnia di Gesù, fondata da sant’Ignazio di Loyola, compendiava bene le caratteristiche che doveva avere un nuovo Ordine religioso in grado di offrire alla Chiesa cattolica quei servizi di cui aveva bisogno. Insieme con quell’Ordine ne nacquero molti altri.


La Chiesa, infine, col concilio di Trento affrontò anche sul piano politico la Riforma protestante. Appena divenuto papa Paolo III Farnese nominò alcuni tra gli ecclesiastici più propensi a tentare l’accordo dottrinale coi protestanti. Altri cardinali come Gian Pietro Carafa avrebbero preferito un’intensa azione di riforma promossa dal papato per affermare la centralità dell’ufficio del papa in seno alla Chiesa cattolica, evitando le incognite di una difficile assemblea come quella convocata a Trento.


Terminati i lavori del concilio, con l’aiuto dei nuovi Ordini religiosi, i vescovi si misero al lavoro per applicare i decreti del concilio alle loro diocesi onde riformarle. L’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, fu in prima linea con una serie di realizzazioni rimaste esemplari .



10. 1 I nuovi Ordini religiosi



Col termine “riforma cattolica” s’intendono gli sforzi compiuti dalla Chiesa cattolica al suo interno per rendere trasparente la sua dottrina, per assumere la struttura temporale adeguata alla sua missione, per stabilire un contatto con la cultura umanistica trionfante nel secolo XVI.


La riforma compito ordinario della Chiesa Va affermato che la Chiesa si trova in una situazione di perenne riforma, perché vive nel tempo, cercando di comunicare un messaggio che supera il tempo. Vi sono periodi nei quali la sintesi tra cultura e fede appare adeguata, come avvenne nel secolo XIII, l’epoca di san Tommaso, di Dante, delle cattedrali gotiche, della nascita delle università. È il programma espresso da san Tommaso “fides quaerens intellectum”, che rileva come la fede teologale, dono gratuito di Dio, trovi nella ragione umana l’organo che scopre un fecondo accordo tra la rivelazione divina e la ricerca umana. Tuttavia ogni sintesi è precaria perché sorgono continuamente fatti nuovi che pongono in discussione le idee ricevute dal passato.


Necessità d’adeguamento alla nuova società Ma alla Chiesa occorre soprattutto la santità dei suoi membri. Nei secoli XIV e XV, invece, di santi ce ne furono pochi e i grandi Ordini religiosi, specialmente i più antichi, attraversarono un periodo di profondo malessere dovuto a molteplici fattori. La Chiesa assecondò, finché le fu possibile, la nuova cultura umanistica, cercò anzi di catturarla per metterla al servizio della fede, commissionando agli artisti più famosi i nuovi edifici coi loro arredi. I papi, da Pio II a Leone X, furono splendidi mecenati e talvolta umanisti essi stessi, ma così facendo persero il contatto con la religiosità popolare, con le vecchie forme del culto e, alla fine, furono traditi dagli umanisti passati al servizio delle monarchie rafforzatesi sul finire del XV secolo.


La crisi del sacco di Roma Il sacco di Roma del 1527 è stato l’evento che ha troncato l’illusione di poter mettere al servizio della Chiesa la nuova cultura. Gli anni tra il 1527 e il 1545, data d’inizio del concilio di Trento, furono spesi nella faticosa ricerca di una strada da imboccare per la riforma cattolica. Aveva dato il via il papa Adriano VI (1522-1523), ma la brevità del suo pontificato non gli permise la riforma in capite et in membris come aveva auspicato. In quegli anni si consumò lo scisma della Chiesa d’Inghilterra che, tra l’altro, portò alla condanna di Thomas More. Il pericolo che il concilio imboccasse la via battuta a Costanza e Basilea fece rimandare a lungo la sua convocazione, ma così facendo la riforma protestante mise radici profonde in Germania e Svizzera, Inghilterra e Francia, Svezia e Danimarca.


I nuovi Ordini religiosi Nel corso di quegli anni, tuttavia, avvenne la fondazione d’alcuni Ordini che ebbero in seguito importanza capitale: il nuovo ramo francescano dei Cappuccini, l’Oratorio del Divino Amore, la Compagnia di Gesù di sant’Ignazio di Loyola, il Carmelo riformato e altri Ordini, maschili e femminili.


Da circa un millennio la Chiesa cattolica aveva avuto negli Ordini religiosi di tipo monastico l’organo per effettuare la sua riforma interna, ma nei secoli XIV e XV c’era stata una pausa. In Erasmo è frequente la polemica contro l’ignoranza dei religiosi, contro il loro parassitismo e la loro incapacità di comprendere i tempi nuovi. Nel XVI secolo la Chiesa imboccò ancora una volta la via della creazione di nuovi Ordini religiosi che questa volta dovevano avere caratteristiche peculiari: occorreva mettere in primo piano la predicazione e la cultura religiosa proponendole in forme nuove; in secondo luogo occorreva assicurare la presenza dei religiosi tra gli strati emergenti della borghesia mercantile e delle corti principesche; infine, la mobilità dei nuovi religiosi era resa necessaria dalla mobilità sociale della popolazione.


Nuovi compiti degli Ordini religiosi Le caratteristiche che ebbero i nuovi Ordini sono più o meno le seguenti. Erano formati da religiosi colti, pii, predicatori in grado di parlare a gruppi di fedeli diversi tra loro e quindi bisognosi di un messaggio offerto in modo peculiare. L’aumento della popolazione e la sua mobilità rendeva opportuno il servizio negli ospedali, negli asili di mendicità, negli alloggi dei viaggiatori. La crescente richiesta d’istruzione doveva trovare i religiosi pronti ad aprire scuole pubbliche che, di fatto, non esistevano. Date le recenti scoperte geografiche e le nuove rotte oceaniche, i nuovi Ordini dovevano essere missionari, con persone in grado di far propria la mentalità d’uomini appartenenti ad altre culture non necessariamente inferiori a quell’europea. Tutti questi sviluppi divennero urgenti quando si scoprì che anche in Italia e perfino a Roma si erano formati piccoli nuclei d’eretici.



 


 


10. 2 Gli eretici italiani



Finché gli eretici rimanevano oltralpe, molti prelati potevano pensare che si trattasse di un fenomeno legato alle stirpi germaniche, ma quando furono scoperti alcuni gruppi d’eretici anche in Italia, i prelati italiani furono presi da un certo sgomento.


Evangelismo degli eretici italiani Gli eretici italiani non furono numerosi, ma alcuni furono personaggi molto conosciuti e perciò la loro defezione suscitò scalpore inducendo ad affrettare i tempi della riforma cattolica. Una caratteristica comune degli eretici italiani è il loro deciso “evangelismo”, ossia la tendenza a ricavare dai Vangeli e dalle lettere di san Paolo espressioni scelte per respingere le formule dei dogmi e il complesso apparato dottrinale della filosofia scolastica, da loro rifiutato come adulterazione del genuino messaggio di Cristo.


Gli eretici italiani non creano una Chiesa nazionale Si è già accennato al soggettivismo radicato nel pensiero riformatore di Lutero e nelle strutture uscite dall’organizzazione della riforma: anche gli eretici italiani amavano richiamarsi al Nuovo Testamento, ma senza riconoscere un magistero universale infallibile, né alcun altro interprete autentico della parola di Dio. Il risultato fu l’approdo a una critica radicale della stessa Sacra Scrittura che non permetteva la creazione di una teologia sistematica e quindi di una Chiesa contrapposta alla Chiesa cattolica.


Pier Paolo Vergerio Il più noto degli eretici italiani fu Pier Paolo Vergerio, già nunzio papale in Germania, colui che nel 1535 aveva aperto trattative ufficiali con Lutero. Nel 1549 apostatò, ma l’Inquisizione nei suoi confronti fu blanda e prudente. Ancora più noto il caso di Bernardino Ochino, il secondo superiore generale del nuovo Ordine dei Cappuccini. Nel 1549, l’Ochino fuggì dal suo Ordine, si recò in Svizzera, poi a Strasburgo e in Inghilterra. Durante il regno di Maria Tudor si rifugiò in Moravia dove morì nel 1561.


Juan Valdés A Napoli lo spagnolo Juan Valdés creò un circolo che aveva come modello Erasmo: se i suoi membri non arrivarono all’eresia formale, costituirono tuttavia un nucleo di dissenso nei confronti della Chiesa cattolica: a questo circolo si unì per un certo tempo anche Bernardino Ochino prima della sua clamorosa fuga. Un altro eretico notorio fu l’umanista Pietro Carnesecchi, giustiziato a Roma nel 1567, e Fanino Fanini giustiziato a Ferrara nel 1550.


L’Inquisizione romana Nel 1542 a Roma era sorta l’Inquisizione a imitazione dell’Inquisizione spagnola istituita fin dal 1478 per indagare su false conversioni di musulmani ed ebrei che adottavano alcune forme esterne cattoliche rimanendo in segreto legati al loro culto. Quest’atteggiamento di dissimulazione fu adottato anche altrove e prese il nome di Nicodemismo dal nome del fariseo presente nel sinedrio al tempo di Cristo, che segretamente si era fatto suo discepolo, ma senza rivelarlo agli altri farisei. A Ferrara aveva adottato quest’atteggiamento la moglie del duca Alfonso II d’Este, Renata di Francia, che aveva invitato Calvino alla sua corte nel 1536: essendo posta troppo in alto perché potesse essere attaccata, si ottenne almeno l’allontanamento del riformatore.


Fausto e Lelio Socini Da Siena fuggirono a Ginevra Fausto e Lelio Socini, zio e nipote, passati attraverso numerose comunità luterane e calviniste ed entrando in conflitto aperto con ciascuna d’esse, perché avevano adottato una dottrina antitrinitaria. Essi giunsero infine in Polonia dove crearono comunità razionaliste e antidogmatiche.


In Italia non c’erano le condizioni per l’affermazione del protestantesimo e dopo il 1540 furono approntati gli strumenti idonei per riaffermare il cattolicesimo, ossia i nuovi Ordini che dal basso, attraverso la predicazione popolare, l’assistenza alla popolazione nei suoi bisogni, l’esempio trascinante della santità, riuscirono a rimodellare il volto della Chiesa.



10. 3 Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù



Il più importante e significativo dei nuovi Ordini fu certamente la Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola (1491-1556).


Ignazio di Loyola Questi apparteneva alla nobiltà basca, famosa per la rude schiettezza. Fu soldato alla maniera della declinante cavalleria, declinante perché sul campo di battaglia si affermavano sempre più le fanterie che combattevano in ordine chiuso al modo svizzero con crescente impiego delle armi da fuoco. Ferito nel 1521 durante l’assedio di Pamplona, nel corso della lunga degenza, decise di mutare vita. Dopo la guarigione si ritirò a Manresa presso Monserrat dove si dette a una vita di penitenza. Fece un pellegrinaggio in Terrasanta, rendendosi conto che era ignorante, perché non possedeva i metodi della filosofia e della confutazione degli avversari della fede. All’età di trent’anni s’iscrisse all’università di Alcalà e poi presso quella di Parigi, alla Sorbona, per avere i migliori maestri. A Parigi si legarono a lui, conquistati dalla sua personalità alcuni condiscepoli come il Laynez, il Salmeron e il Bobadilla castigliani, il nobile e colto navarrese Francisco Xavier, il portoghese Rodriguez e il Faber che proveniva dalla Savoia. Con questi sei compagni, sulla collina di Montmartre, nel 1534, pronunciò i tradizionali voti religiosi cui aggiunse il voto di andare in Terrasanta alla fine degli studi, fissando appuntamento per la primavera seguente a Venezia. Il viaggio in Oriente non fu possibile a causa della guerra tra Venezia e i Turchi che interruppe i viaggi. I sette decisero di andare a Roma per ottenere la commutazione del voto in un altro che si potesse realizzare. Solo dopo l’arrivo a Roma Ignazio di Loyola comprese la gravità del conflitto suscitato in seno alla Chiesa cattolica dalla riforma protestante.


Ignazio di Loyola a Roma Con l’ardore che gli era caratteristico cercò di farsi accettare nell’ambiente romano. Cominciò con la predicazione popolare e col ministero della confessione alla quale cercò di riabituare i fedeli con la mitezza della penitenza e la comprensione psicologica dei penitenti; offrì a Paolo III la piena disponibilità dei suoi chierici per qualunque missione avesse voluto indirizzarli. Solo dopo qualche anno si delineò la fisionomia del nuovo Ordine, con la fondazione del Collegio Romano, una specie di scuola superiore ben presto apparsa tra le migliori d’Europa.


I collegi dei Gesuiti A partire da allora le altre attività apostoliche divennero complementari rispetto all’insegnamento. Questo successo non fu dovuto alla novità della dottrina, ma alla rigorosa disciplina che il Loyola seppe inculcare nei discepoli, in grado di trasformare anche persone modeste in ottimi maestri.


La ratio studiorum gesuitica Il curriculum degli studi prevedeva un primo periodo di carattere spiccatamente umanistico con lo studio del greco e del latino; le lezioni erano impartite a classi omogenee di allievi; si praticavano gli sport; i maestri erano attenti alle reazioni psicologiche degli allievi per non forzare i tempi di maturazione; era insegnata una solida dottrina morale rafforzata dagli Esercizi spirituali intesi come propedeutica e crescita pratica di ogni virtù per approdare a una norma sicura di vita morale. Gli Esercizi spirituali sono un capolavoro di ascetica: vi è una meditazione, quella delle due bandiere, imperniata sull’impossibilità di essere neutrali: o si combatte per Dio o contro Dio, e se si sceglie di stare dalla parte di Dio occorre lottare come richiede il suo onore.


Le Costituzioni dei Gesuiti Un’altra gran realizzazione del Loyola furono le Costituzioni del suo Ordine, completate nel 1552, che permisero di passare dalla fase fondazionale, alla fase di espansione dell’Ordine, senza traumi, mediante un ordinamento che ancora oggi ha molto da insegnare a chi si occupa della difficile arte di ottenere che un gruppo di uomini non resti paralizzato da contrasti interni, lotte, dissidi.


Espansione mondiale dei Gesuiti Ben presto arrivarono all’Ordine richieste da ogni parte per ottenere i preziosi insegnanti in grado di riprodurre il Collegio Romano in ogni città europea. Cominciò una grand’espansione: Francisco Xavier raggiunse l’India, il Giappone e la Cina dove morì estenuato dopo aver fondato numerose missioni. L’Europa conobbe le sue prime scuole pubbliche (collegi) aperti anche a quegli allievi che non intendevano divenire Gesuiti. In modo naturale i Gesuiti entravano nelle famiglie nobili e nelle corti europee rimaste cattoliche, divenendo i confessori dei re e gli educatori dei prìncipi.


Morte di Ignazio di Loyola Quando Ignazio morì i Gesuiti erano circa un migliaio. Nel 1574 erano saliti a quattromila; nel 1624 erano ormai più di sedicimila distribuiti in tutto il mondo. La riforma interna della Chiesa deve molto a questa schiera compatta e dotta, come si vide nell’ultima sessione del concilio di Trento.


Oratorio del Divino Amore Agli inizio del Cinquecento, ancor prima della rivolta di Lutero, c’erano stati tentativi di dar vita al rinnovamento cristiano in seno al laicato. Grande importanza assunse in questa prospettiva l’Oratorio del Divino Amore, una confraternita di laici alla quale erano ammessi alcuni sacerdoti. I confratelli s’impegnavano a ricercare attivamente la santità mediante opere di servizio verso il prossimo, specialmente i malati incurabili. Un laico di Genova, Ettore Vernazza, fondò nel 1497 nella sua città l’Oratorio, aperto a persone delle classi sociali più elevate per esercitare la carità e l’insegnamento religioso.


Gaetano Thiene Altrettanto fece a Vicenza Gaetano Thiene nel 1518, dopo aver fatto parte dell’Oratorio di Roma insieme con Gian Pietro Carafa, il futuro papa Paolo IV. Analoga fondazione dell’Oratorio fu fatta a Venezia sempre da Gaetano Thiene. Matteo Maria Giberti, futuro vescovo di Verona, fondò l’Oratorio nella sua città, divenuto presto un nucleo di rinnovamento della Chiesa locale.


Risveglio religioso a Venezia Molto vivo fu il rinnovamento religioso di Venezia. Tommaso Giustiniani radunava intorno a sé molti giovani per avviarli a una vita seriamente cristiana. Era abbastanza naturale che da questi gruppi nascessero progetti di riforma della Chiesa, ma al riparo dall’individualismo e dal soggettivismo che caratterizzò la riforma in senso protestante: per tutti costoro la Chiesa fu sempre l’unica custode della verità e della santità, anche quando alcuni dei suoi prelati davano scandalo.


Barnabiti, Somaschi, Teatini Dal terreno seminato dai circoli dell’Oratorio del Divino Amore sorsero alcune congregazioni di chierici regolari, ossia sacerdoti che facevano vita comune, ma senza assumere le forme proprie dei vecchi Ordini (clausura, recita del coro ecc.). A Milano fu fondata la congregazione dei Chierici di San Paolo chiamati anche Barnabiti (1530) per iniziativa di Antonio Maria Zaccaria: essi si proponevano la riforma dei costumi, l’assistenza dei malati e la predicazione frequente nelle chiese cittadine. A Venezia Girolamo Emiliani fondò la congregazione dei Somaschi nel 1532. Gaetano Thiene e Gian Pietro Carafa avevano fondato la congregazione dei Teatini nel 1524. Queste nuove fondazioni avevano compreso il problema fondamentale dell’epoca, ossia la necessità di rinnovare la cura d’anime (predicazione, confessione, assistenza a poveri e malati), preparando a questo scopo numerosi sacerdoti colti e non interessati a far carriera o cercare vantaggi personali.


Chiesa cattolica e Umanesimo In genere questi chierici ammiravano sinceramente l’Umanesimo, dimostrando con la loro vita che gli ideali umanistici e la Chiesa cattolica potevano andare d’accordo. Attraverso l’Umanesimo avevano riscoperto la centralità della Sacra Scrittura, e la teologia dei Padri della Chiesa, da san Basilio di Cesarea a san Girolamo, da san Giovanni Crisostomo a sant’Agostino, offrendo alla Chiesa la possibilità di un rinnovamento della teologia.


Il sacco di Roma Il sacco di Roma del 1527 – nel corso del quale circa 20.000 mercenari al servizio di Carlo V per sette mesi ebbero licenza di uccidere e saccheggiare, rapire e incendiare – disperse i membri di quei cenacoli di rinnovamento che fuggirono nelle proprie città favorendo la “rigenerazione dell’episcopato italiano” (Pastor) e del clero. Gli sforzi sinceri di questi chierici, che non si proponevano una sterile polemica contro i luterani, sforzandosi invece di operare la riforma con spirito cattolico, dettero grandi frutti nel corso del concilio di Trento, preparando la successiva fase di applicazione del concilio in tutte le diocesi, cominciando dalla riforma del clero che n’era l’indispensabile premessa.


I Cappuccini I Cappuccini, invece, non sono un Ordine nuovo, bensì una congregazione che si staccò dai Francescani, riprendendo con rinnovato vigore la predicazione, specie tra i ceti più poveri della popolazione, vivendo in modo eroico la povertà. Nel XVII secolo i Cappuccini conobbero una gran espansione in Europa e aprirono molte missioni nel Nuovo Mondo.



10. 4 Il concilio di Trento



La Chiesa cattolica è la società dei battezzati, fondata da Cristo che ne ha affidato la direzione agli apostoli ponendo Pietro in posizione eminente. I papi sono i successori sulla cattedra episcopale di Roma; i vescovi sono i successori degli apostoli nelle varie diocesi del mondo. La Chiesa ha il compito di trasmettere a tutti i suoi membri la medesima dottrina (Depositum fidei)


Il concilio di Trento Di fronte a tesi contraddittorie, acuite dalle passioni umane o dalle implicazioni politiche che si oppongono ai dati ricevuti dalla tradizione, l’unica via d’uscita è una convocazione dell’episcopato mondiale in assemblea per esaminare le tesi a confronto ed esprimere un parere, raccomandando al Papa l’adozione della formula dogmatica ritenuta in accordo col Depositum fidei e idonea a risolvere il conflitto insorto. Solo il Papa ha il potere di ratificare e pubblicare le conclusioni conciliari che a partire da quel momento assumono un carattere vincolante per i cattolici e valore di principio per i teologi che non possono più porle in discussione (verità definite o dogmi).


Motivi del ritardo del concilio di Trento Le notevoli perplessità del papa Clemente VII (1523-1534) di fronte alla convocazione del concilio, o l’appello al concilio da parte di Lutero durante la dieta di Worms del 1521, hanno origine nell’opposta valutazione circa la natura e i poteri del concilio ecumenico che Lutero riteneva superiore al papa, il quale, invece, lo considerava subordinato alla propria potestà. L’imperatore Carlo V premeva per una rapida convocazione del concilio che doveva risolvere i suoi problemi politici, mentre il papa voleva prima stabilire l’ordine da dare ai lavori e la preminenza dei problemi di carattere dogmatico rispetto a quelli di carattere disciplinare. Le guerre pressoché continue ritardarono ulteriormente la convocazione del concilio che si riunì effettivamente solo nel dicembre 1545, quasi trent’anni dopo la rivolta luterana.


La scelta di Trento La scelta di una piccola città del Tirolo meridionale, che aveva forse 6000 abitanti, fu il risultato di un compromesso: Carlo V voleva il concilio in terra tedesca, la Santa Sede lo voleva a Bologna in territorio papale. Trento aveva il vantaggio di essere un feudo dell’impero, ma di avere la popolazione di lingua italiana.


Inizio dei lavori Il concilio si radunò solo il 13 dicembre 1545 con pochi rappresentanti dell’episcopato: assenti i vescovi tedeschi. Il primo problema affrontato fu l’ordine da dare ai lavori. Carlo V desiderava che in primo luogo fossero decisi i problemi di carattere disciplinare; i legati pontifici sostennero che si dovevano affrontare per primi i problemi di carattere dogmatico. Tommaso Campeggio, vescovo di Feltre, propose un compromesso: si potevano affrontare i due ordini di problemi a sessioni alterne.


Il primo decreto L’8 aprile 1546 fu pubblicato il primo decreto De canonicis Scripturis, in cui fu affermata l’autenticità di tutta la Bibbia; si riconobbe l’autorità della Vulgata, ossia la traduzione latina della Bibbia curata da san Girolamo e si riservò alla gerarchia ecclesiastica il compito di spiegare la Sacra Scrittura. Nello stesso decreto fu affermato che la tradizione ecclesiastica, comprendente l’insegnamento vivo della Chiesa, i Padri e il magistero papale, aveva un valore pari a quello della Scrittura. Più difficile fu l’approvazione del decreto De justificatione perché qui si entrava nel vivo del luteranesimo. L’assemblea, accogliendo la dottrina di san Tommaso, affermò che se la grazia è concessa ai cristiani per effetto dei meriti di Cristo, la salvezza tuttavia non si ottiene senza le opere buone del fedele. Tale decreto fu pubblicato il 13 gennaio 1547 e suscitò la collera di Carlo V, perché vedeva allontanarsi la possibilità di accordo coi luterani.


Il decreto De Sacramentis Il problema affrontato in seguito riguardava i sacramenti – battesimo, cresima, Eucaristia, penitenza, estrema unzione, ordine, matrimonio -. Si affermò che tutti i sacramenti furono istituiti da Cristo e che essi agiscono, secondo il classico insegnamento di sant’Agostino, ex opere operato, ossia indipendentemente dalla dignità del ministro o dalle disposizioni di colui che li riceve. Inoltre si condannò ogni cambiamento nelle modalità di amministrazione dei sacramenti stessi. Il decreto De sacramentis fu pubblicato il 3 marzo 1547.


Sospensione del concilio Nel frattempo, gli interventi di Carlo V erano cresciuti a causa del suo successo sui protestanti della lega di Smalcalda: i padri conciliari sentivano che a Trento la loro libertà era precaria. Presero perciò a pretesto una pestilenza per decidere il trasferimento della sede dei lavori da Trento a Bologna (11 marzo 1547). L’ottava sessione fu tenuta nella nuova sede il 21 aprile, ma l’imperatore si rifiutò di riconoscere la legittimità di quei dibattiti. Il 15 febbraio 1548 il papa Paolo III ordinò la sospensione provvisoria del concilio e nel settembre 1549 la sospensione divenne sine die. Il 10 novembre di quell’anno il papa morì.


Svanisce la possibilità di riunificare la Chiesa La possibilità di riunificazione religiosa si allontanava. Nel 1546 a Mansfeld era morto Lutero; nel 1547 era morto Enrico VIII lasciando un figlio minorenne sotto la reggenza del Lord protettore, il duca di Somerset; nel 1550 fu eletto papa, col nome di Giulio III, Giovanni Maria del Monte, uno dei legati papali nelle precedenti sessioni del concilio. Una bolla pontificia convocava i vescovi a Trento nonostante le violente resistenze del nuovo re di Francia Enrico II. I lavori ripresero il 1° marzo 1551: all’ordine del giorno c’era il completamento della dottrina sui sacramenti, in particolare l’Eucaristia. Nel gennaio 1552 presero parte al concilio alcuni luterani che subito protestarono perché le decisioni più importanti erano state prese senza la loro presenza. Poco dopo, la defezione di Maurizio di Sassonia dalla causa cattolica, permise di organizzare nuovamente la lega di Smalcalda, che riprese la guerra contro Carlo V.


Seconda sospensione Il concilio, a seguito di questo rovescio imperiale, fu sospeso per dieci anni, nel corso dei quali avvenne il clamoroso ma anche effimero ritorno dell’Inghilterra al cattolicesimo sotto la regina Maria Tudor; avvenne il matrimonio di Maria con Filippo II di Spagna; la pace di Augusta che sanciva il fallimento del tentativo di tener uniti l’impero e la religione. Infine ci fu l’abdicazione di Carlo V a favore del figlio Filippo II e del fratello Ferdinando, che ereditò il titolo imperiale.


Paolo IV Nel 1555 fu eletto papa Gian Pietro Carafa col nome di Paolo IV che tentò l’attuazione del suo progetto di riforma della Chiesa mediante una decisa azione dall’alto, senza il concilio. L’elezione di Paolo IV dimostrò a tutta la Chiesa che il progetto di riforma cattolica non poteva più esser rimandato. Al momento dell’elezione il cardinale Carafa aveva già 79 anni, ma aveva conservato il vigore e la determinazione mostrati nell’età giovanile. Aveva rivestito ancor giovane tutte le dignità ecclesiastiche, arrivando a esser vescovo di Chieti fin dal 1505. Nel 1513 fu nominato nunzio papale in Inghilterra, due anni dopo ebbe lo stesso incarico in Spagna. Durante il soggiorno in Spagna conobbe i risultati della riforma del clero operata dal cardinale Jimenes de Cisneros, ma furono ribaditi i sentimenti di avversione, tradizionali nella famiglia Carafa, contro la Spagna. Tornato a Roma, il Carafa entrò nell’Oratorio del Divino Amore, si dette alle pratiche di carità e riformò le sue diocesi. Adriano VI lo scelse come collaboratore nel progetto di riforma generale della Chiesa universale.


Ostilità di Paolo IV verso la Spagna Il sacco di Roma del 1527 distrusse la casa della congregazione dei Teatini, facendo migrare a Venezia il Carafa che poté osservare i progressi del luteranesimo e il formarsi di nuclei di eretici in Italia. Convinto assertore dei mezzi energici, da Venezia spedì un memoriale a Clemente VII per suggerirgli i mezzi atti a fermare il dilagare dell’eresia. Fu creato cardinale nel 1536. Nel 1542 il Carafa entrò a far parte del tribunale dell’Inquisizione, convinto che anch’esso fosse uno strumento necessario per riportare l’ordine nella Chiesa. Nel 1549 fu eletto arcivescovo di Napoli, ma non poté prendere possesso della nuova carica per l’opposizione di Carlo V. Il punto debole dell’azione di questo papa fu l’incomprensione della politica della Spagna e della sua funzione di baluardo per la riforma cattolica. Il Carafa divenne papa nel 1555, ma non fu fortunato nello scegliere i consiglieri politici nelle persone dei due nipoti il cardinale Carlo Carafa e il principe di Paliano, che lo indussero a perseguire come primo obiettivo la sconfitta politica e militare della Spagna nel corso della sua lotta mortale con la Francia. Accettò che fosse dichiarata guerra alla Spagna facendo lega con la Francia. Il comandante delle truppe spagnole in Italia, il duca d’Alba, in breve ebbe ragione delle truppe pontificie, e nel 1557 fu stipulata la pace di Cave di Palestrina che riconfermava il predominio spagnolo in Italia, mentre a San Quintino nelle Fiandre il comandante supremo delle truppe spagnole Emanuele Filiberto di Savoia riportava la clamorosa vittoria su Enrico II di Francia.


La riforma della Chiesa operata dalla curia Paolo IV non riconvocò il concilio di Trento, bensì istituì una Congregazione romana (noi diremmo un ministero) che avrebbe dovuto idealmente proseguire con più celerità le riforme proposte dal concilio. Fece redigere l’Index librorum prohibitorum nel 1559. Paolo IV fu severo anche con i monaci apostati o vaganti fuori dai loro monasteri e coi vescovi che dimoravano a Roma senza avere incarichi di curia. Quando venne a conoscere la verità circa i nipoti, li fece cacciare da Roma, riconoscendo in punto di morte l’errore compiuto nei confronti della Spagna che ora gli appariva l’unica possibilità per condurre in porto la riforma cattolica. La sua energia era eccessiva, senza mezze misure: anche a causa del suo carattere, l’Inghilterra uscì per sempre dall’orbita cattolica con l’avvento al trono di Elisabetta. Durante il suo pontificato non riuscì a fermare i progressi del protestantesimo in Polonia e in Francia: a conti fatti, il proposito di una forte azione centrale della Chiesa senza ricorrere al concilio si dimostrò inattuabile, e al suo successore Pio IV non rimase altra scelta che di riconvocarlo.



10. 5 La conclusione del concilio di Trento (1561-1563)



Nel gennaio 1562 si riunì sempre a Trento il concilio nella più fruttuosa delle sue sessioni. Notevole impulso fu dato ai lavori dalla partecipazione dell’episcopato francese guidato dal cardinale Carlo di Lorena.


Riprendono i lavori a Trento Dopo aver ripetuto che l’Eucaristia andava distribuita sotto una sola specie (il pane), si riconfermò il carattere propriamente sacrificale della Messa, come vero e proprio sacrificio di ringraziamento e di propiziazione che può esser offerto per i vivi e per i defunti. In seguito i lavori del concilio conobbero una nuova crisi a proposito della riforma del clero, l’elezione dei vescovi, il controllo delle opere pie ecc. L’elezione a legato papale del cardinale Giovanni Morone, il più abile dei presidenti del concilio, permise di riprendere i lavori dedicati al sacramento dell’ordine sacro: tra le altre norme fu stabilito l’obbligo di erigere un seminario in ogni diocesi. Infine il decreto sul matrimonio che ribadiva il suo carattere sacramentario, e non di mero contratto, da effettuarsi alla presenza del parroco e di due testimoni. Nella seduta conclusiva del 3 dicembre 1563 fu pubblicato il decreto finale sul purgatorio, le indulgenze, il culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre. Poi la riforma degli Ordini religiosi e i compiti dei cardinali.


Pio IV approva i canoni del concilio I decreti del concilio furono sottoposti all’approvazione del papa Pio IV che li firmò ordinandone la promulgazione e l’applicazione in tutte le diocesi. Alcuni Stati frapposero indugi ma nel complesso l’accoglienza fu favorevole. Sotto Pio V fu pubblicato il Catechismo Romano, fondato sui decreti conciliari, un manuale che ogni parroco era tenuto a commentare nelle omelie domenicali ai fedeli.


Importanza del concilio di Trento I decreti conciliari hanno durevolmente caratterizzato il volto della Chiesa, la disciplina ecclesiastica, gli Ordini religiosi, la formazione del clero, il primato del papa. Le figure che sono meglio delineate sono quelle del vescovo e del parroco. Le qualità che doveva possedere il vescovo vennero, per così dire, esemplificate da Carlo Borromeo; quelle del parroco furono forgiate dal nuovo strumento di formazione deciso a Trento, il seminario, che ripete le esperienze positive fatte dai collegi dei Gesuiti. Carente risultò, invece, la configurazione dei laici: non fu possibile definire la spiritualità propria del laicato, l’importanza del lavoro umano ai fini della salvezza, un’ascetica specifica per chi vive nel mondo senza seguire gli esempi monastici che in qualche caso potrebbero essere fuorvianti.


Carlo Borromeo modello dei vescovi Il compito di applicare i decreti tridentini toccava ai vescovi. Non è possibile omettere un accenno alla molteplice attività di Carlo Borromeo che incarnò il modello di vescovo secondo lo spirito del concilio di Trento. Egli nacque ad Angera nella fortezza dei Borromeo sul Lago Maggiore. La madre era sorella del papa Pio IV, che nel 1560 nominò il nipote arcivescovo di Milano, cardinale segretario di Stato, protettore di alcuni importanti Ordini religiosi, protettore del Portogallo e della Bassa Germania, legato di Bologna, arciprete di Santa Maria Maggiore, gran penitenziere ecc. Le sue rendite erano elevate, eppure per una volta quel cumulo di benefici che cadevano sulle spalle di un ventiduenne non apparivano scandalosi o ingiustificati. Che avesse un’indubbia vocazione religiosa lo dimostrò quando, morto il fratello maggiore, tutti s’aspettavano che rinunciasse alla carriera ecclesiastica (benché cardinale, non era stato ancora ordinato suddiacono), per potersi sposare e proseguire la casata. Invece, si affrettò a farsi ordinare sacerdote. Fu un asceta (si sapeva che cenava a pane e acqua e che dormiva su un saccone di paglia), un lavoratore indefesso, un uomo di preghiera, un temperamento di capo.


Carriera di Carlo Borromeo Segretario di Stato durante l’ultima sessione del concilio di Trento, dopo l’elezione del nuovo papa da lui favorita, il domenicano Michele Ghislieri che prese il nome di Pio V, decise di dare l’esempio obbedendo al decreto che esigeva la residenza del vescovo nella sua diocesi. La situazione ecclesiastica della città, che da circa quarant’anni non aveva avuto un vescovo residente, era paurosa.


Il Borromeo a Milano All’indomani del suo ingresso in città (1565), il Borromeo indisse un concilio provinciale con 15 vescovi suffraganei nel corso del quale promulgò i decreti tridentini. Invitò Gesuiti, Teatini, Barnabiti e Oratoriani per avere preti preparati per l’opera di riforma. Effettuò il riordino amministrativo delle oltre ottocento parrocchie della diocesi, riunite in decanati a capo dei quali furono posti i migliori preti che poté trovare. Fondò il seminario, il collegio Borromeo di Pavia, il collegio elvetico a Milano per formare preti destinati a quella parte della sua vasta diocesi posta in territorio elvetico, e il seminario di Ascona sul Lago Maggiore. I preti indegni furono invitati a un “pellegrinaggio” in arcivescovado e di qui condotti in una casa di esercizi spirituali da cui uscivano solo se emendati e pentiti. I monasteri furono riformati: le religiose di clausura furono costrette a mettere le grate di ferro alle finestre e la ruota nel parlatorio per impedire che avessero contatti con persone estranee al monastero.


Le istituzioni del Borromeo a Milano La gente semplice lo capì e lo seguì anche perché provvedeva a ospedali e ospizi sovvenzionati col suo patrimonio. Le sue scuole di dottrina cristiana, gli oratori, divennero l’iniziativa più importante in campo giovanile. Nel 1576 il suo eroismo giunse al culmine durante le peste, quando si recò nel lazzaretto e negli ospedali per celebrare la Messa e portare conforto religioso ai moribondi.


Morte di Carlo Borromeo Estenuato da una vita eroica, morì nel corso di una delle sue faticose visite pastorali nel 1584, all’età di 47 anni, lasciando una diocesi trasformata in profondità, ma soprattutto lasciando un esempio che fu imitato anche altrove.



10. 6 Cronologia essenziale



1518 Gaetano Thiene fonda l’Oratorio a Vicenza e a Venezia. Matteo Maria Giberti fonda l’Oratorio a Verona.


1524 Gaetano Thiene e Gianpietro Carafa fondano la Congregazione dei Teatini.


1527 Le truppe del conestabile di Borbone, al servizio di Carlo V, occupano Roma per circa sette mesi.


1530 A Milano nasce la Congregazione dei Chierici di San Paolo, comunemente chiamati Barnabiti.


1532 A Somasca presso Bergamo il veneziano Girolamo Emiliani fonda la Congregazione dei Somaschi.


1534 A Parigi, sulla collina di Montmartre, Ignazio di Loyola con sei compagni pronuncia i voti.


1542 A Roma è istituito il tribunale dell’Inquisizione per indagare sulla presenza di eretici.


1545 Inizio effettivo del concilio di Trento. La partecipazione dei vescovi alle prime sessioni è scarsa.


1552 La Compagnia di Gesù riceve la costituzione definitiva.


1563 A dicembre terminano le sessione del concilio di Trento. In seguito il papa Pio IV sottoscrive i canoni del concilio rendendoli esecutivi.



10. 7 Il documento storico



Uno dei problemi più gravi, divenuto drammatico nei primi anni della riforma protestante, era l’ignoranza del clero cattolico. Erano pochi coloro che capivano, pur essendo preti, il latino del Messale o che avevano una buona conoscenza della Sacra Scrittura o della teologia dogmatica: costoro, nelle dispute pubbliche davanti alle autorità civili, spesso erano messi in difficoltà dai protestanti, favorendo il passaggio alle Chiese riformate di intere città o regioni. Alla Chiesa cattolica si pose perciò il problema di promuovere la formazione culturale e religiosa degli aspiranti al sacerdozio. Il documento che segue riporta il testo del Canone XVIII della Sessione XXIII del Concilio di Trento in cui si ordina l’istituzione di un seminario in ogni diocesi, gli insegnamenti da impartire e le pratiche di pietà necessarie per gli aspiranti al sacerdozio.



“Poiché l’età degli adolescenti, se non è rettamente educata, è prona a seguire i piaceri del mondo, e se non s’informa fin dai più teneri anni alla pietà e alla religione, prima che i vizi si impadroniscano di tutto l’uomo, non potrà giammai perfettamente e senza un grandissimo e quasi singolare aiuto dell’Onnipotente Iddio perseverare nella disciplina ecclesiastica, il santo Concilio stabilisce che tutte le chiese cattedrali, metropolitane e maggiori di queste, a seconda dei mezzi e dell’ampiezza della diocesi, siano tenute a nutrire, educare religiosamente e istruire nelle discipline ecclesiastiche un certo numero di fanciulli della stessa città o diocesi o, se non sono molto numerosi, della provincia, in un collegio che il vescovo sceglierà a questo scopo presso le stesse chiese o in un altro luogo conveniente. In questo collegio siano ricevuti ragazzi che abbiano almeno dodici anni, che siano nati da legittimo matrimonio, che sappiano sufficientemente leggere e scrivere, e la cui indole e volontà faccia sperare che essi serviranno perpetuamente nel ministero ecclesiastico. Il santo Concilio vuole che siano scelti soprattutto i figli dei poveri, senza però escludere quelli dei ricchi, a condizione che siano mantenuti a loro spese e che manifestino zelo di servire Dio e la Chiesa. Dopo avere distribuito questi fanciulli in tante classi, quante a lui sembrerà opportuno, secondo il numero, l’età e i progressi nella disciplina ecclesiastica, il vescovo ne assegnerà un certo numero al servizio delle chiese quando gli sembrerà opportuno, e parte la tratterrà a continuare gli studi nel collegio e rimetterà altri al posto di coloro che avrà assegnato alle chiese, così che questo collegio sia come un perpetuo vivaio di ministri di Dio. Affinché siano più agevolmente allevati nella disciplina ecclesiastica, subito porteranno la tonsura e sempre l’abito clericale, apprenderanno la grammatica, il canto, il computo ecclesiastico e le altre conoscenze utili, studieranno la Sacra Scrittura, le opere di scienza ecclesiastica, le omelie dei santi, tutto ciò che sembrerà opportuno per amministrare i sacramenti e soprattutto per intendere le confessioni, le regole concernenti i riti e le cerimonie. Il vescovo curerà che essi ogni giorno assistano al sacrificio della Messa e che confessino i loro peccati ogni mese, che ricevano il Corpo di nostro Signore Gesù Cristo quando il loro confessore lo giudicherà opportuno, e che prestino servizio nei giorni festivi nella chiesa cattedrale o nelle altre chiese del luogo. Tutte queste cose e le altre che appariranno opportune e necessarie a questo scopo, siano stabilite dai vescovi assistiti dal consiglio di due canonici scelti dai vescovi stessi tra i più anziani e seri come lo Spirito Santo li ispirerà, e faranno in modo, per mezzo di frequenti visite, che le loro disposizioni siano sempre osservate. Essi puniranno severamente gli indisciplinati, gli incorreggibili e i seminatori di cattivi costumi e, se sarà necessario, li espelleranno. Rimuovano gli ostacoli e curino con diligenza tutto ciò che può conservare ed accrescere un’istituzione così santa e pia”.



Fonte: M. BENDISCIOLI- M. MARCOCCHI, Riforma cattolica. Antologia di documenti, Studium, Roma 1963, pp. 168-170.



10. 8 In biblioteca



Per la storia del concilio di Trento si consulti la monumentale ricerca di H. JEDIN, Storia del concilio di Trento, 5 voll., Morcelliana, Brescia 1973. Per la storia della Compagnia di Gesù si consulti di P. TACCHI-VENTURI, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, Ed. della Civiltà Cattolica, Roma-Milano 1951; di G. SOMMAVILLA, La Compagnia di Gesù, Rizzoli, Milano 1985. Classico il libro di D. CANTIMORI, Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche, Sansoni, Firenze 1967; di F.C. CHURCH, I riformatori italiani, 2 voll., il Saggiatore, Milano 1967. Molto interessante il libro di B. BENNASSAR, Storia dell’Inquisizione spagnola, Rizzoli, Milano 1980. Per i problemi legati al termine “controriforma” che appare per alcuni versi inadeguato, si legga di H. JEDIN, Riforma cattolica o controriforma?, Morcelliana, Brescia 1957.