LA MONETA

Di p. L. Taparelli d'A. S.J. , 1. Preterizione di materie adiafore. – 2. Nostra investigazione è la funzione della moneta. – 3. Sua definizione. – 4. La moneta agevola le permutazioni, – 5. con permutazione intermedia. – 6. Non è veicolo propriamente, – 7. ma metaforicamente – 8. Ragioni di tal metafora. – 9. È stromento per metonimia. – 10. Non è lavoro accumulato ma cumulo di mercedi. – 11. Epilogo. – 12. Ne siegue che la moneta è materia pel banchiere. – 13. Sua necessità sociale. – 14. Competenza dell'autorità nel regolarla. – 15. Si tocca per preterizione di succedanei della Moneta. – 16. Applicazione della teoria all'usura.

LA MONETA
«La Civiltà Cattolica», 1858, a. 9, Serie III, vol. X, pp. 129-143.

SOMMARIO

1. Preterizione di materie adiafore. – 2. Nostra investigazione è la funzione della moneta. – 3. Sua definizione. – 4. La moneta agevola le permutazioni, – 5. con permutazione intermedia. – 6. Non è veicolo propriamente, – 7. ma metaforicamente – 8. Ragioni di tal metafora. – 9. È stromento per metonimia. – 10. Non è lavoro accumulato ma cumulo di mercedi. – 11. Epilogo. – 12. Ne siegue che la moneta è materia pel banchiere. – 13. Sua necessità sociale. – 14. Competenza dell'autorità nel regolarla. – 15. Si tocca per preterizione di succedanei della Moneta. – 16. Applicazione della teoria all'usura.

1. Reduce da un'escursione archeologica per la Sabina e per gli Ernici più non abbisogno del ronzinetto che cavalcai per quelle con­trade: e meglio che la povera bestia, la quale mangia senza servir­mi, mi gioverebbe l'avere pei miei lavori il Bullettino archeologico con altri libri di scienza che voi tenete nella vostra libreria. Vorreste voi far meco questa permutazione, questo cambio?
– Oh appunto! La primavera m'invita ad intraprendere con aure più tiepide e per puro diletto quel viaggetto, che voi faceste per amore dei ruderi etruschi o pelasgici.
– Orsù dunque quanti libri vale un cavallo? E quante riviste archeologiche possono ragguagliarsi con una sella ed una briglia?
– Oh povera archeologia! Paragonarla con un ronzino e con una sella! Se il metro me lo permettesse sarei tentato di esclamare, col Petrarca

Povera e nuda vai

– Eh! via lasciamo gli scrupoli. Se abbiamo a fare il baratto è necessario il determinare l'equivalenza. Facciamo dunque prima una bella riverenza ai 50 o 60 secoli, le cui voci echeggiano in coteste carte; ma poi veniamo a stabilire quanti bullettini vale il mio cavalluccio. –

Che ve ne pare, lettore? Non sarebbe un bell'imbroglio valutare i cavalli in libri, gli abiti in scarpe o stivali, la sella in penna ed inchiostro? Buon per noi che da lungo tempo il bisogno fu senti­to e soddisfatto nella società umana! E se volessimo qui sfoggiare ­in erudizione a buon mercato, compendieremmo o copieremmo un qualche squarcio di economisti o di vocabolisti, dissertando sulla pecora della pecunia, sull'aes grave dei Romani antichissimi, sulle monete di ferro, di cuoio, di conchiglie, presso Lacedemoni, India­ni ed altri popoli, ed empiremmo con poca spesa parecchie pagine.
Ma poichè queste trivialità numismatiche sono scritte sui bocca­li di Montelupo, lasciamo che vada colà a rileggerle chi ne avesse talento.
Più gravi e in gran parte più nuove sono le teorie monetarie, con le quali gli economisti sogliono esaminare quale sia il metallo più proprio all'uso della moneta (nel che si preferisce oggi l'argento all'oro per il continuo variare di questo), quale ne debba essere la lega, quali le divisioni e suddivisioni, quali le proporzioni della moneta erosa coll'argento, a carico di chi debbano andare le spese di coniatura, quanta sia l'ingiustizia e il pericolo dei Governi nel volerle alterare, e simili altre quistioni che non mancano d'impor­tanza e di curiosità, specialmente quando vengono esaminate al lume dei fatti con la storia alla mano.
Ma queste notizie, utili e curiose per gli uomini del mestiere, po­co forse diletterebbero il comune dei lettori, e meno ancora gioverebbero all'intento del nostro periodico.

2. La sola utilità che a noi può derivare dall'investigazione di questa materia, sta nel ben comprendere la funzione economica della moneta, e in generale del numerario; dal che dipende in gran parte la retta inferenza delle leggi morali che dipendono dalla natura e debbono governarne l'uso.
Fu detto da molti essere la moneta un segno dei valori. Ma da lungo tempo fu osservato che l'antichissimo economista, maestro di color che sanno, aveva acutamente scritto richiedersi nella mo­neta non solo il segno, ma anche il valore intrinseco; onde il Che­valier la definisce: Stromento che serve di misura nelle permutazio­ni ed è per sè stesso un equivalente (1): definizione, a parer nostro (sia detto con riverenza al valente economista) un po' sistematica per quella prima voce che adopera, e che non è, per quanto ne sembra, propria a significare il genere prossimo, com'è richiesto dalle buo­ne leggi della definizione. Una bilancia è stromento per misurare, e può essere equivalente alla cosa misurata, senza che perciò possa dirsi moneta. Ma l'Autore sembra avere adoperato quella voce stromento in forza di quel sistema da noi altrove mentovato, che at­tribuendo al danaro il titolo di stromento, mira a giustificare in ogni caso l'interesse del mutuo. Or questo appunto è ciò che a noi sembra falsissimo, e a dimostrare tale falsità gioverà principalmente l'analisi che verremo proponendo intorno alla natura ed alla funzione della moneta.

3. Rigettando dunque la voce equivoca diremo la moneta una mercanzia di valore atta per sè a sostituirsi equivalentemente a tutti i valori venali e a tal uopo autenticata dalla Società. Dicendola mercanzia di valore, si stabilisce il genere prossimo, senza il quale la moneta potrebbe confondersi con un altro genere ancor più va­sto; detto dagli economisti il numerario, nel quale si comprendono, oltre la moneta metallica, gli altri segni privi di valore intrinseco, come carta moneta, banco note ecc. Dicendola atta per sè a sostituirsi ecc. si accennano le qualità intrinseche della materia che possono determinarne la scelta, come divisibilità, durezza ecc. Aggiungendo autenticata dalla società, si accenna alla autorità del conio e all'essere accettata generalmente in ogni permutazione.
Se questa definizione volesse ridursi a forma anche più concreta e meno filosofica, verremmo finalmente alla definizione del Montanari: Metallo autenticato dalla pubblica autorità per prezzo e misura delle cose contrattabili: alla quale definizione s'accosta quella del Genovesi (2).

4. Da questa definizione, la quale esprime un puro fatto e prescinde da ogni sistema, non sarà difficile il dedurre un giusto concetto del come opera la moneta nel commercio. L'osservano tutti gli economisti. Se ogni permutazione dovesse farsi immediatamente fra quelle merci che all'uso dei permutanti sono richieste; riuscirebbe assai difficile (l'abbiamo veduto nel dialoghetto al principio di questo articolo), essendo svariatissimi e mal commensurabili i prezzi delle cose necessarie. Un sarto, un calzolaio che vendono abiti e scarpe per provvedersi in tre o quattro botteghe il vitto quotidiano; come farebbero a pagare con un abito o con un paio di scarpe qui mezza libra di pane, là sei once di carne, una lattuga all'erbaiuolo, mezza foglietta di vino al cantiniere ecc.? Come dividere fra tanti un abito, un paio di scarpe? Ecco a qual uo­po soccorre la moneta: venduti l'abito o le scarpe, il prezzo in mo­neta si suddivide indefinitamente. E la sicurezza che ha ciascuno di ottenere con essa ogni altra mercanzia, fa che per essa sia pronto a cedere la propria.

5. È dunque la moneta un intermedio di permutazione o quasi un veicolo di valori; e la sua funzione si compie, quando dalla mano di colui che permutò con essa la propria produzione passando ad altra mano lascia a chi la spende quella merce che ne soddisfa i bisogni. Or questi che la spende, come ognuno vede, non avea preso la moneta come appagamento immediato del bisogno di sostentamento, ma solo come un mezzo per arrivare a quest'ultimo intento di ogni produttore. Quindi apparisce che la differenza caratteristica fra la moneta e le altre merci è che queste sono ricercate per sè, in quanto soddisfano un qualche bisogno particolare; quella, in quanto moneta, per sè non sarebbe ricercata (3), ma viene ricercata unicamente qual mezzo di cambiare le proprie con le produzioni altrui.

6. Questo cambio poi essa lo rende agevole, non già modificando l'azione di chi la maneggia, ma passando di mano in mano come il surrogato di altra mercanzia. Fu detta, e la dicemmo testè ancor noi veicolo di valori. L'accorto lettore peraltro avrà avvertito quel quasi da noi aggiunto, per indicare essere cotesta una locuzione figurata; né doversi prendere questa parola veicolo in quel senso proprio, in cui si applica ad una carretta o ad una nave. Queste sì, che nella materia, di cui vanno cariche, trasportano veramente dei valori con la materia, a cui vanno connessi; scaricata la quale, esse hanno perduto il valore trasportato e ritengono solo il loro proprio (che il padrone non trasmette a nessuno), pronte a rinnovare il carico e ricominciare il trasporto. La carretta dunque, la nave sono veri e propriamente detti veicoli, i quali usati agevola­no l'opera dell'uomo, mercè di quella forma, di che l'artefice ha do­tata la loro materia; ed adoperati che sono una volta, continuano successivamente a servigio del padrone medesimo.

7. Non così la moneta, la quale non trasporta realmente altro valore che il suo proprio. Siccome peraltro il negoziante trova più commodo maneggiare moneta di poco volume, che enormi balle di cotone o di seta, alla moneta ricorre nelle sue permutazioni: e il valore che potrebbe possedere in cotone o in seta, preferisce molte volte di possederlo in metallo, coll'intenzione di permutare poi nuovamente cotesto metallo con altra derrata. Questa inten­zione del negoziante, contemplata dalla astrazione d'un economi­sta un po' immaginoso e mezzo poeta, gli fa vedere il valore come un'entità sussistente, che cammina dalla prima derrata nella merce moneta, e da questa nell'altra derrata, come un viaggiatore passa dal vagone nella diligenza, e dalla diligenza nel piroscafo. Ma tutto questo viaggio, come vedete, è una poesia dell'immaginoso econo­mista, il quale personifica l'intenzione del negoziante: poesia che non cambia punto la natura di quelle due permutazioni successive, similissime nella loro entità a tutte le altre. Laonde siccome sareb­be strano chi volesse appellare veicolo di valori un'altra merce, perchè venne ricevuta in cambio di una prima e ceduta in cambio di una terza; così è strano di volere usare un tale vocabolo in senso proprio con la moneta, e pretendere di trarne poscia conseguenze giuridiche o morali diverse da quelle che regolano ogni altra per­mutazione.

8. Se è usitato un tale linguaggio figurato rispetto alla moneta, mentre non si usa rispetto ad altre mercanzie, ciò è solo perchè l'intenzione di valersene, come intermedio di permutazione, è generale fra chi negozia essendo a tale ufficio destinata la merce moneta dalla società. E quando una tale funzione venisse attribuita da un negoziante privato ad una derrata qualunque siesi, nulla vieterebbe che usasse egli pure il vocabolo stesso. Un capitano p. e. che da Napoli ha portato grano a Marsiglia e da Marsiglia riporta co­tone a Napoli coll'intenzione di ricomprarvi altro grano, ben potrà dire che egli ha trasportato il suo valore in cotone o che il cotone gli ha trasportato il suo valore a Napoli. Ma cotesti trasporti sono pure immaginazioni della facoltà astrattiva: la realtà è che il primo grano ha ritenuto seco il suo valore; il cotone porta seco a Napoli quel valore che già aveva in Marsiglia e lo conserverà quando passerà in altra mano, permutato dal capitano con un secondo carico di frumento. E la prova che ciascuna di coteste derrate ha ritenu­to il valore suo proprio, ve la daranno i fornai di Marsiglia e i tessitori di Napoli ; dei quali i primi non compreranno cotone per fare del pane, i secondi non riusciranno col frumento a tessere delle mussoline. Ogni merce trasporta dunque seco il proprio valore, come trasporta la propria utilità, in cui esso si fonda. Ma siccome tutti cotesti valori, aritmeticamente parlando, sono uguali; poichè vi si riguarda solo la quantità astratta; una testa un po' metafisica li dà per una cosa sola anche in economia, facendo viaggiare que­st'unico valore di derrata in derrata: e però chiama veicolo la der­rata intermedia.

9. Siccome poi abbiamo escluso in senso proprio il titolo di veicolo dato alla moneta, così dobbiamo escludere nel medesimo senso quello di stromento. Può questa voce in senso traslato acconciarsi alla moneta, prendendo la specie pel genere. Lo stromento è una specie di mezzo, ma tutti i mezzi non sono strumenti. La strada p. e. è un mezzo per passare da un paese all'altro: ma se un vocabolista o un tecnologo l'annoverasse tra gli stromenti da viaggio con la carrozza, con le briglie, con la sella ecc. farebbe in crescere buo­namente di sè. Mezzo di misurare i terreni è la trigonometria: ma se tra gli stromenti di un ingegnere, col compasso, con la squadra, col livello, con la catena, voi annoveraste anche la trigonometria, fareste ridere ancora le galline. E in che sta propriamente la natura di stromento? Lo spiegheremo altrove di proposito; per ora accen­neremo soltanto dirsi strumento ciò che posto in mano dell'artefice ne modifica utilmente l'azione, mediante la propria forma, senza perdere questa e senza abbandonare la mano che lo muove.
Or potete voi dire che tale sia la moneta o la sua funzione? Tutt'altro. Se la moneta deve operare è necessario che passi di mano in mano, ella obbedisce materialmente alla volontà dei contraenti, co­me le altri merci in ogni permutazione. Tanto è dunque improprio l'appellare stromento la moneta pagata al famiglio per una mesata, quanto se si chiamasse strumento il vitto, con cui se ne pagarono i servigi.
Ma perchè dunque venne detta stromento di cambio? Per la stessa ragione accennata poc'anzi. L'immaginazione dell'economista invece di riguardare l'entità reale di due permutazioni successive (prima di una derrata con la moneta, poi della moneta con la seconda der­rata); riguardò la connessione di cotesti due fatti nell'intenzione del negoziante, il quale mirava la moneta come mezzo per giungere al­la seconda derrata; ed equivocando il genere mezzo con la specie stromento disse tropicamente che in mano di quel negoziante quella moneta fu stromento per ottenere la seconda derrata. Ma che razza di stromento è cotesto che non può usarsi senza che smucci di ma­no! Guai al Falegname se di tal fatta strumenti fossero la sega o la pialla!

10. Anche più poetica è una terza locuzione, usatissima da certi economisti, che sopra vi fabbricano castelli in aria che crollano ad ogni soffio. Il capitale in moneta, dicono essi, è lavoro accumulato. E poichè ogni lavoro merita una mercede, pensate mò che mercede può meritare un cumulo di lavori. Quindi il diritto agli interessi quando s'impresta un tal cumulo di lavoro. Oh bella! Se ad un brac­ciante che mi dà il lavoro d'una giornata io pago un mezzo scudo, che cosa avrò dritto a pretendere, se cedo altrui un mezzo migliaio di scudi, che sarebbe il cumulo del lavoro di mille giornate?…
Così la vanno discorrendo cotesti poeti economisti, senza badare che tutta l'incastellatura è appoggiata su quel tropo, che dai retori fu detto metonimia, e che prende la causa per l'effetto. Il lavoro di mille giornate è passato interamente; e voi, che lavoraste, già siete pienamente ristorato del vostro lavoro col cibo e col sonno. Quel gruzzoletto di 500 scudi che forma oggi il vostro capitale è, non già lavoro, ma rimunerazione accumulata delle mille giornate di fatica. L'avere ricevuta una rimunerazione è egli un titolo per chiederne una seconda?
– Ma se io l'impresto, io mi privo di cotesta rimunerazione, Verissimo: ed appunto per questo avete il dritto e a non prestare cotesti denari, e imprestandoli a chiederne la restituzione. Ma dar loro il nome poetico di lavoro accumulato, per farlo pagare una seconda volta, questo è un rendere troppo lucrosa la poesia, che ordinariamente manda alle Stinche gli altri poeti.

11. Or vedete, lettore, quanta poesia in una scienza che suole credersi arida come la pomice e malinconica come il deserto della fame Ovidiana! Ma tant'è; la fantasia ha sull'uomo, anche scienziato, un terribile predominio: e se al canto di cotesta sirena ei non si incera gli orecchi con la cautela, prende lucciole per lanterne con la miglior fede in questo mondo. E il peggio è che al lume di coteste lucciole entra poscia nel mondo pratico e nei sentieri anche più tenebrosi. Qual meraviglia che vi scappucci come un orbo?
Guardiamocene noi, lettor mio cortese, quanto possiamo, e sia posto in sodo fra noi: 1° altro non essere la moneta se non una mer­canzia marchiata al conio pubblico, affinchè sia da tutti riconosciuta come legittima, né venga alterata, come si marchiano nelle fabbriche più cospicue altre merci falsificabili. 2° L'uso di cotesta merce altro non essere in quanto moneta che quello di passare di mano in mano per agevolare permute di valori difficilmente pareggiahili. 3° Questo passaggio della merce moneta, benchè nell'intenzione del negoziante miri ad un fine suo proprio, non differire peraltro in sè medesimo dal passaggio di qualunque altra merce, né produrre al­tro frutto che quello che dipende dal valore della materia metallica e dall'abilità, con cui viene maneggiata nella sua qualità di mercanzia intermedia.

12. Se queste tre conseguenze vi sembrano evidenti, comprenderete facilmente anche la quarta non essere la moneta per sè produt­tiva (4); ma fare in mano del negoziante la funzione che spieghere­mo trattando della materia passiva. Essa è in mano di chi compra (per professione o per bisogno, ciò poco monta) quel medesimo che il lino in mano al tessitore, il ferro in mano al fabbro. Se chi la pos­siede sa spenderla opportunamente, riesce a guadagno; come il lino e il ferro in mano a chi conosce il mestiere: se no, sfumerà la moneta, come si perde ogni altra materia lavorabile.
Di che sgorga per inferenza che tutto il valore acquistato dalla moneta, oltre il suo valor nominale, in mano di chi sa spenderla, è effetto, non già di una propria sua virtù produttiva, il cui frutto abbia valore distinto da quello della moneta, come si distingue il frutto della terra dalla terra, il commodo del cavalcare dal cavallo; ma è frutto solo della fatica e dell'industria del trafficante, come il soprappiù del valore nel lino trasformato in tela, del rame trasformato in utensili, risulta dall'industriosa fatica del tessitore e del fabbro.

13. Da tutto ciò che abbiamo detto ragionando della moneta, il lettore comprenderà quale ne sia la necessità sociale, e come questa cresca a misura che nella società vanno moltiplicandosi produzioni e permutazioni. Finchè ciascuna famiglia produce da sè quanto le occorre, come nello stato selvaggio, o nei primi stadii dei progresso economico; la divisione del lavoro si riduce a poca varietà di der­rate: laonde o non occorrono permutazioni, o è facile lo stabilire fra coteste derrate medesime una qualche proporzione di valori. Ma quando l'industria umana, rispondendo ai desiderii della natura, dell'agiatezza, del lusso, ha moltiplicato immensamente con la di­visione del lavoro la varietà delle produzioni; allora senza l'aiuto della moneta l'equità dei ricambii diverrebbe impossibile. In questi casi dunque ci vuole una quantità di moneta che corrisponde all'ordinaria quantità delle giornaliere permutazioni. E lo stabilire le giuste proporzioni di cotesta merce intermedia e le varie frazioni, in cui dee dividersi per commodo dei varii valori permutabili, esige una cognizione profonda e di tutto l'ordine della società in cui si vive, e delle varie specie di commercio esercitate nella società.

14. Di che vede il lettore risultare due gravi conseguenze; cioè. 1° la necessità di perizia economica negli ordinatori della cosa pubblica: 2° la necessità di autorità ordinatrice in colui che regola tutto l'andamento del numerario sociale. Il che venne saviamente osservato sul finire dell'anno scorso nel Messaggio del Presidente Buchanano al Congresso degli Stati Uniti intorno al disastro commerciale che travagliò gli ultimi mesi di quell'anno sì fortunoso. «Se viene determinata, dice egli, troppo alta o troppo bassa la proporzione del numerario, si altera per conseguenza con ingiustizia e con pericolo il valore delle varie proprietà che ogni cittadino possiede. Calcolare dunque accortamente la rispondenza della moneta girante coi bisogni del commercio interno e del cambio straniero, è uno dei più sacri doveri del Governo: dovere, al cui adempimen­to egli si trova ormai (negli Stati Uniti) incapace, dacchè 1400 banchi privati e fra loro indipendenti profondono le loro polizze senza mirare ad altro che al personale interesse dei loro consocii (action­naires)». Dalle quali osservazioni inferisce il Presidente medesimo la necessità, che la pubblica autorità invigili, non meno all'anda­mento delle cedole bancarie, che alle graduali proporzioni del metallo e della quantità di moneta corrente.
Indarno oppongono gli economisti, essere la moneta una merce come le altre, delle quali si lascia libero ai contraenti discutere e fissare il prezzo. Le ragioni addotte dal Buchanano mostrano ad evidenza essere diversa la necessità di questa merce e le relative sue condizioni da quelle di molte altre: potersi dunque apporre un'ec­cezione rispetto a questa, come per ragioni politiche o igieniche si appone al negozio di polvere, di veleni ecc.: e tutto ciò supponendo quello che ancora è controvertibile, che libero cioè debba essere il commercio delle altre mercanzie (5).
Quindi capirete che, se abbiamo detto poc'anzi necessario il co­nio pubblico alla merce moneta, come il marchio di fabbrica ad al­tre merci di illustri officine; abbiamo inteso solo accennare un paragone, non determinare una parità. Quando il Denz o il Vaucher segnano il loro nome sugli orologi, badano solo ad assicurare la merce per l'onore o l'interesse della loro fabbrica; né sono obbli­gati a ponderare quali o quanti orologi sieno necessarii al pubblico. Ma quando si tratta di moneta, dovendosi, oltre l'alterazione, evitare le sproporzioni e nella quantità e nel carato e nelle suddivisio­ni delle varie frazioni, è necessario conoscere l'andamento presente e talora anche prevedere il futuro, per evitare quei danni sociali a che una zecca improvvida può esporre il paese.
La propensione dunque di certi economisti a menomare soverchiamente l'ingerenza dell'autorità sulla moneta sembraci putire alquanto di quell'improvvida mania di libertà, per la quale certuni vorrebbono evitare gl'inconvenienti dell'oppressione esponendosi al disordine dell'anarchia.

15. Abbiamo detto che la moneta dee bastare all'uso giornaliero delle permutazioni: e la ragione di tale epiteto è facile a vedersi. Nel commercio più vasto che abbraccia grande quantità di merci, esten­sione di paesi e diuturnità di tempo, è molto più facile trovare ed osservare l'equivalenza nelle merci permutate, e però non è così necessaria la mercanzia intermedia: e quando pure fosse necessaria, il trasporto potrebbe riuscire anche più pericoloso e difficile in danaro di quello che egli sia ordinariamente in generi. Cionondimeno potendo tornare incommodo e l'uno e l'altro, l'urgenza del bisogno congiunta con la fiducia che ispira fra gli uomini e molto più fra i cristiani la natural probità, inducono i commercianti a fidarsi scambievolmente della parola, ossia promessa di pagamento. Or questa parola, che può in una cifra abbracciare somme immen­se, scritta sopra leggerissimo foglio può trasportarne i valori da una estremità all'altra della terra con un soffio di vento, con un impeto di vapore, con una scintilla elettrica. Il quale ultimo mezzo non sappiamo se già corra in commercio col valore medesimo delle altre cambiali; ma che possa correre, e registrato nei pubblici uffici, acquistare un valore legale, non è chi nol veda. Questa fiducia scambievole ha preso oggi di grandissima parte nelle permutazioni commerciali sotto il nome di credito (6), e merita perciò che anche sopra volgiamo gli studii in conformità del nostro assunto. Tanto più, che la è cotesta una specie di moneta morale, diversissima, come ognuno vede, dalla materiale, e metallica. In questa il valore appartiene, come abbiamo detto, alla materia: in quella è quasi interamente ideale, dipendente dalla probità e dalla fiducia dei contraenti, ai quali la carta somministra nulla più che un attestato, un ri­cordo delle scambievoli obbligazioni. Cotesta indole morale del cre­dito commerciale dee dunque naturalmente chiamarci a trattarne in questi articoli destinati in ispezialità a filosofare moralmente sulla sociale economia.

16. Prima peraltro ci si permetta un'osservazione a costo anche di cadere in qualche ripetizione, allorchè toccheremo della moneta come capitale. In un giornale la ripetizione (che Napoleone I diceva la più bella delle figure rettoriche) è non solo perdonabile, ma necessaria, supposto che un lettore di un periodico scorra coteste pagine superficialmente a modo di cacciapensieri e non le mediti come libro di studio. Al cospetto di tal lettore è importantissimo rannodare da vicino i pensieri connessi, e non ritardare la conseguenza dopo tre o quattro settimane, quando mille successive curiosità già cancellarono dalla mente e le proposizioni preliminari e l'evidenza della loro dimostrazione.
Per non cadere in tale inconveniente, accenniamo un'applicazione del fin qui detto alla vecchissima, eppure sempre viva, quistione dell'Usura.
Ammettete voi il dimostrato fin qui, che la ricchezza sta negli averi permutabili? Che la permutabilità è fondata nella varietà del vantaggio e nell'uguaglianza dei valori? Che la varietà del vantaggio dipende dalla varietà delle materie, nelle quali i valori uguali sono incorporati? Che per conseguenza i permutanti mirano direttamente, non ad ottenere il valore uguale, ma ad ottenere quella materia utile al loro bisogno? Che ciononostante l'uguaglianza dei valori è richiesta nelle permutazioni, affinchè ciascuno dei contra­enti viva della propria fatica? Che l'usurpar la fatica altrui è ingiusto e contro natura? Che non si può contraccambiarla con ogni specie di servigio, ma solo con servigi ad essa equivalenti e per la natura loro materiale e per la loro quantità e qualità? Che la moneta non è stromento ma materia di permutazione? Che l'aumentare ricchezza trafficandola, dipende dalla capacità di chi la negozia e non da naturale fecondità della moneta stessa?
Se di tutte queste verità siete persuaso, risponderete facilmente a molti dei raziocinii, benchè talora appariscenti e sottili, coi quali vien sostenuta l'usura.
Al capitalista che vi dice: «Ogni moneta è fruttifera» voi già rispondete che ella è fruttifera per la fatica altrui, la quale non può giustamente usurparsi dal mutuante.

Capitalista. Ma quel danaro è mio, perchè n'ho solo ceduto l'uso.
Mutuatario. Chi chiede moneta la chiede per ispenderla a suo rischio, promettendo l'altrettanto: per conseguenza quel danaro dal punto che viene nelle mie mani è mio, e se lo perdo o mi è rubato, mio danno. Voi dunque ne cedeste non il solo uso, ma ancora la proprietà.
Cap. La moneta è uno strumento di guadagno, di cui posso farmi pagare l'uso.
Mut. Non è stromento ciò che nell'usarlo sfugge di mano.
Cap. L'industria senza moneta non frutterebbe: dunque la moneta è per se produttiva.
Mut. Produttiva come materia, lasciandosi passivamente lavorare dal negoziante, come il ferro si lascia lavorare dal fabbro.
Cap. Dunque questa virtù produttrice posso farmela pagare.
Mut. Certamente, ma non più di quello ch'essa vale. Or la virtù produttrice propria della moneta vale tanto, quanto il suo valore nominale. Il di più è frutto della mia industria.
Cap. Voi dunque avete un commodo nel mio prestito. Or ogni commodo si può valutare in danaro.
Mut. Ogni commodo materiale che voi perdete, sì; giacchè è roba vostra; ma ogni commodo ch'io acquisto con la mia fatica, no; è roba mia.
Cap. Se non ci si lucra, niuno vorrà imprestare.
Mut. Credete dunque che niuno voglia bene al prossimo, se non ne è ripagato in contanti? L'equivalenza non può darsi fra amor del prossimo e danaro.
Cap. Troppo amore voi pretendete! Farmi pericolare il mio danaro per amore del prossimo!
Mut. Farò di assicurarvelo in modo che non corra pericolo.
Cap. Sono ciance; le carte sono carte e mai non equivalgono al danaro.
Mut. E se vi dessi una cartella del debito pubblico o una cambiale di Rotschild?
Cap. Oh allora la faccenda andrebbe tutt'altrimenti: e se fosse una cartella di Napoli potrebbe valere anche più del danaro.
Mut. Eppure non è che una promessa: ond'è falso che promessa non possa equivalere a contante.

Tali sono per la massima parte le obbiezioni consuete di chi difende l'usura e le risposte che dal fin qui detto vi si possono oppor­re. Ciò che più oltre andremo spiegando intorno al Credito, aggiungerà speriamo, nuova luce, specialmente all'ultimo argomento.

NOTE

1) Nel Dict. d'Écon. pol. v. MONNAIE.

2) Vedi BIANCHINI: Principii della Scienza e del ben vivere sociale lib. III, cap. 1°

3) Questa verità immaginosamente rappresentata dai mitologi, nella favola di Mida, venne severamente ricordata dai Tartari invasori al Califo di Bagdad secondo il racconto di Aitono: Posciachè Haolono ebbe fatto della presa città ogni suo piacere, comandò che fosse menato alla sua presenza il Califfo, e che egli davanti a se ponesse tutto il suo tesoro… E fece comandamento che il Califfo fosse rinchiuso in una camera, e davanti a lui fosser gettate le perle e l'oro, perche ne mangiasse quanto volesse: e fece divieto che non gli si desse alcun altro cibo, né altra bevanda, e così quell'infelice avaro terminò con una pessima morte la miserabil vita. (ODORICO RAINALDl Continuazione degli Annali Ecclesiastici tomo 2° Roma presso Zenobi Masotti e Nicolò Chellini 1683).

4) Egregiamente il Scialoia (Principii dell'Economia Sociale: estratto ragionato, sezione 2. nota 1.) GIOIA tra gli agenti produttori novera lo moneta ed il credito ecc., ma questi sono mezzi agevolatori e non efficienti della produ­zione, anzi la suppongono. Egregiamente abbiamo detto per la verità dell'asserzione, ma contraddittoriamente dopo che egli ha annoverato il capitale, e in esso la moneta, come terzo agente di produzione (Ivi p. 44). Com'è possibile che sia agente di produzione e non sia agente produttore?

5) Egregiamente in tal proposito il Corrispondente di Vienna dell'Univers (20 Marzo 1858). «Il n'est pas permis de surfaire la valeur de cet argument usé des économistes, pritendant que l'argent n'est qu'une marchandise et doit conséquemment etre l'objet d'un commerce parfaitement libre. L'argent est essentiellement le moyen de la circulation, puisqu'il est le régulateur pour tous les achats, toutes les ventes, et si les économistes voulaient étudier plus soigneusement la nature de la circulation, ils trouveraient sans doute que desages lois d'usure contribuent à la régulariser, en écartant les mouvements febriles de la spéculation».

6 La plupart des grandes transactions du commerce se règlent… avec des lettres de change. (SAY. Traité d'Économie politique, livre 1, ch. XXX).