LA LIBERTÀ IN ECONOMIA. Vero concetto dell’ordine

Di p. L. Taparelli d'Azeglio. S.J.  – 1. Proposizione del tema – 2. Sua importanza ed opportunità – 3. Confusione delle idee in tal materia – 4. Si chiede libertà e s'introduce schiavitù – 5. per mania di tiranneggiare – 6. In economia come altrove la libertà debb'essere pel bene – 7. Data una falsa idea della libertà, l'economista utilitario ne addita una via falsa – 8. La libertà dee fondarsi sul diritto non sull'interesse – 9. L'interesse produce solo la libertà del dispotismo – 10. Epilogo di questo paragrafo.

LA LIBERTÀ IN ECONOMIA
«La Civiltà Cattolica», 1860, a. 11, Serie IV, vol. VIII, pp. 33-52, pp. 159-174, pp. 414-433

§. I. L'Ordine
SOMMARIO

1. Errori intorno all'ordine sociale – 2. L'ordine pratico è la retta disposizione di una serie di operazioni verso il fine – 3. Ordine morale – ­4. Ordine sociale – 5. Altri ordini speciali – 6. Chi regola le opere non è padrone delle persone – 7. né turba gli ordini inferiori.

1. Non vi ha forse vocabolo che venga oggidì tanto spropositatamente abusato, anello fra coloro che pur sembrano amare l'ordine e si arrogano il bel nome come oggi dicesi, di conservatori, quanto questo di Ordine. Molti sono che altro ordine sociale non conoscono, se non una cotal disposizione simmetrica di tutte le parti visibili dell'organismo sociale ed una non sappiam quale sonnolenza che allontana ogni frastuono, onde potrebbero molestarsi i sonni dei gaudenti oziosi. Che poi quella disposizione simmetrica sia fondata in qualche ragione di verità; che quella quiete sia fondata in quell'ordine, in cui naturalmente riposa la ragione umana; questo è ciò di che certi conservatori si danno poca briga.
Fate che da Parma si cacci cortesemente il Sovrano legittimo che, guardate con buone pattuglie le pubbliche vie, possano gli usurpatori quietamente nelle carrozze ducali essere condotti a palazzo; e se un Anviti fosse macellato, i cannibali in buon ordine a quattro a quattro ne strascinino il cadavere per le vie, senza far chiudere per terrore le botteghe; che terminato il macello si lavi ben bene dal sangue quel lastrico e da ogni spruzzo le mura della via; che pubblicata pro forma un'intemerata agli assassini, tutti si mandino a dormire, e al domane ricomincino quietamente le faccende, i pranzi, le conversazioni, i teatri: e non dubitate che si troverà un Console che scriverà a sangue freddo: «L'ordine è perfetto, l'ordine non è stato turbato». E lo stesso si dirà a Napoli con grande elogio della dignitosa calma del popolo, quando un branco di lazzari, impiccati soltanto birri ed ispettori e bruciati gli archivii delle polizie, avrà rispettato le botteghe dei gioiellieri e i palazzi dei facoltosi. E altrettanto aggiungerà il Morning Post quando, segnata la pace ai 10 di Luglio fra Maroniti e Drusi, le vittime si saranno rassegnate a non chiedere vendetta dei morti, colla speranza di salvare almeno i viventi. «La quiete è ristabilita: non occorre intervento Europeo». Questo è ordine pubblico nel vocabolario degli ulilisti, accettato dai Conservatori mogi testé ricordati: così la pensano quei dabben uomini: compatibili forse nella loro non curanza, in quanto, ignorando il vero principio dell'ordine sociale e morale, non possono darsene pensiero alcuno: ignoti nulla cupido.

2. Voi, lettore, non sarete certamente di questi, e capirete potersi dare simmetria anche nei ghiribizzi fantastici di un caleidoscopio, potersi trovar quiete profondissima fra i marmi e gli scheletri d'un camposanto, senza che debba ivi ammirarsi l'ordine morale, l'ordine sociale.
– Ma dunque, direte, in che consiste egli cotesto ordine morale?
– Ad averne un'idea esatta investighiamo prima di tutto che cosa sia l'ordine pratico. Ordine diciamo la riduzione del vario all'uno; pratico ciò che appartiene alla operazione. Ordine pratico sarà dunque la riduzione di varie operazioni ad una qualche unità. E qual è questa unità a cui debbono ridursi le opere? L'uomo non opera se non per ottenere un fine. Quando dunque opere varie hanno fra di loro qualche unità specificamente loro propria, questa dee ripetersi dal fine a cui sono dirette. Se la loro natura e la loro disposizione è atta a conseguire quel fine, quelle azioni sono ordinate: se non è atta la serie dell'operare è disordinata. E questo riguarda qualunque ordine pratico, qualunque serie di operazioni destinate a conseguire un fine.

3. Ma questo fine può essere o un qualche speciale intendimento di una persona, di una professione ecc.; o il fine universale della . natura umana. Se sia fine parziale di una serie ristretta, costituirà un ordine speciale; ed ordinata per es. sarà l'azione dei militari quando è atto a vincere il nemico: ordinato lo studio d'un giovane quando è atto a conseguire la scienza. Ma le azioni così ordinate non prendono da quel fine speciale il nome di ordine morale. Questo allora soltanto compete ad una serie di azioni qualunque, quando questa si considera in quanto è rettamente proporzionata all'ultimo ed universal fine della vita umana: nel che consiste l'onestà, la retta moralità delle umane operazioni. Se a questo ultimo fine sia rettamente ordinato e il fine speciale di quelle serie parziali e ciascuno degli atti intermedii, quelle azioni potranno dirsi veramente e pienamente ordinate. All'opposto se la milizia per es. sia bensì talmente ordinata in tutta la serie delle sue operazioni, che riesca ad ottenere la vittoria; ma questa vittoria medesima si voglia per una causa ingiusta, e a conseguirla si adoprino crudeltà e tradimenti; allora potrà aversi ordine militare congiunto con disordine morale e sociale.

4. Retta direzione delle operazioni ad un fine qualunque, ecco dunque l'ordine pratico: retta direzione al fine ultimo della natura umana, ecco l'ordine morale. L'ordine civile potrebbe riguardarsi come semplice ordine pratico, in quanto è diretto immediatamente ad ottenere un bene pubblico esteriore limitato agli associati. Siccome peraltro questo bene esterno sarebbe impossibile senza moralità, ed è subordinato a conseguire la moralità stessa, così la moralità diviene principio essenziale anche dell'ordine civile.

5. Data così una chiara idea dell'ordine pratico in generale, il quale altro non è che la riduzione di molte opere umane ad un fine, voi già capite che oltre il fine specifico della persona, proprio di tutta la specie umana, che costituisce l'ordine morale: oltre il fine del cittadino donde risulta l'ordine civile; l'uomo può appartenere nella società civile a mille altri ordini, senza che l'uno impedisca l'altro: giacché si tratta di ordine di operazioni, non di ordine materiale di corpi. L'ordine di questi rispetto al luogo non può essere che uno: se sono in linea retta, non sono in linea circolare; se sul territorio spagnuolo, non sono sul territorio francese. Ma rispetto alle operazioni l'uomo può appartenere a diversi ordini, sì perché esse si eseguiscono in tempi diversi, sì perché possono nel tempo stesso aver riguardo a diversi fini. Ogni qualvolta un fine si presenta alla intelligenza, e la volontà risolve di conseguirlo; tosto la natura mondiale esibisce alla ragione una serie ordinata di mezzi, senza l'uso dei quali vano sarebbe sperarne il conseguimento. Supponete che quel fine sia non solo onesto, ma obbligatorio, e vedrete la volontà obbligata a camminare per quell'ordine di mezzi, volendo giungere, secondo suo debito, a conseguire il fine. Questa obbligazione le dà il diritto di usare quei mezzi: e chiunque si oppone, se non collide quel diritto con altro diritto più forte, commette un atto dispotico.
Fate p. e. che, per conseguire il lucro mezzo di sostentamento, io mi associi con altri negozianti; che per conseguire la scienza necessaria o alla morale o all'interesse, io prenda parte ad una accademia, ogni opposizione per parte di chicchessia, se con altro diritto non collide il mio diritto nella scelta di quel mezzo, sarà ingiusta.
E la ragione qual è? È il dovere che mi corre di lucrare per sostentarmi, d'illuminarmi per accertare nella condotta o morale o civile. Questo dovere mi dà il diritto di usare i mezzi e scegliere quelli che, per la mia condizione, la mia sanità, la mia capacità ecc. (delle quali doti la mia ragione e la mia coscienza è giudice), possono meglio giovarmi a conseguire l'intento. Finché persiste non questo mio diritto, a niuno è lecito ragionevolmente l'incepparmelo: l'ordine della natura che obbliga me a volere il fine, esibisce pure alla mia scelta la qualità dei mezzi. Quanti sono i fini e le serie di mezzi corrispondenti, a me imposti dalla natura o da me eletti per volontà, tanti sono gli ordini pratici nei quali mi trovo implicato. Operare in ciascuno di essi ordinatamente, altro non significa se non procedere verso il fine coll'uso dei mezzi sotto l'indirizzo di quella ragione, che a quell'ordine presiede come ordinatrice. Ordinatamente dunque, a mo' d'esempio procederà un cantore, quando siegue nella musica di un Vespero la nota del Maestro di cappella ordinatore dell'armonia, e i cenni del cerimoniere ordinatore del rito. E se nel tempo stesso accompagni coll'interno affetto le parole del salmo, obbedirà all'ordinatore della religione che è Dio medesimo: se nell'esecuzione delle note si conformerà inoltre agli insegnamenti di chi lo addottrinò nell'arte, osserverà l'ordine di scolare a maestro: se vi aggiunge la proporzione fra l'opera e il prezzo, osserverà l'ordine di giustizia. Ecco, come vedete, una sola e medesima serie di azioni appartenente sotto diversi aspetti a cinque ordini diversi e dipendente da cinque diverse Ragioni, ciascuna delle quali dà il suo indirizzo al cantore mirando ad un fine speciale, senza che l'una impedisca le altre nel conseguimento del fine loro proprio.

6. Il lettore ci perdonerà la minutezza di queste applicazioni, le quali potrebbero a taluno sembrare pedanterie. Ma chi riflette alla crassa o ignoranza o inavvertenza, con cui si ragiona dell'ordine sociale, e ai paradossi, alle antinomie, alle enormità che risultano in pratica dalla falsità dei concetti (15), non solo ci perdonerà ma ci ringrazierà di questa nostra pedanteria. Vedete infatti come dell'ordine pubblico si discorre da moltissimi dei pubblicisti! Essi mettono sotto la competenza del pubblico Ordinatore tutte le persone e tutte le cose: e invece di dirci che esso ha il dovere e il diritto di ordinare le opere dirette al pubblico bene della società, ci dicono (in termini più o meno espliciti) che esso è padrone di tutti i sudditi e di tutta la roba. Laonde guai a chiunque vuol toccare quei sudditi, quella roba!

7. Se capissero che il Governo è regolatore di quelle opere soltanto che mirano a conseguire il pubblico bene, capirebbero che tutte le altre opere, purché a tal bene non si oppongano, sono perfettamente libere, e possono impiegarsi a conseguire cento altri fini speciali che il suddito può proporsi. Costui se vuol ricuperare la sanità consulterà il medico, e gli ordini del medico, non impediscono la sua sudditanza. Se vuol fabbricare una casa consulterà un architetto, e ne seguirà le prescrizioni: consulterà un professore per imparare una scienza, un confessore per santificare la sua vita, un avvocato per ben condurre una lite; ed in tutti cotesti ordini di operazioni sarà pienamente indipendente dal Governo, senza cessare per questo di essere buon suddito in tutte quelle azioni che debbono ordinarsi al pubblico bene. Ma non è cotesta l'idea che hanno dell'autorità i pubblicisti eterodossi, che pur si dicono cattolici; essi vogliono farsi padroni d'ogni movimento dei cittadini; e quando ne abbiano ridotto ad un solo stampo tutti i cervelli colla tirannia della pubblica istruzione, tutte le volontà col monopolio dell'educazione; quella società ridotta ad una stupida monotonia la daranno per vera idea dell'ordine sociale (16).

§. II. Enormità derivanti dai falsi concetti.

SOMMARIO
8. Il rapporto del Dupin – 9. Egli risuscita il despotismo degli antichi parlamenti – 10. Dell'imperialismo – 11. Della ristorazione e dell'Orleanismo – 12. Formole di ilotismo civile -13. Ritratto del dispotismo burocratico – 14. Lettera analoga del signor Rouland – 15. Limiti dell'ordine pubblico – 16. Ordine dell'associazione naturale – 17. e della volontaria – 18. Che cosa significhi mantenere, ristorare ecc. l'ordine, -19. vero bene pubblico, – 20. fine della società e del governante.

8. E da coteste false e dispotiche idee germinava poc'anzi quel saggio di civile e religioso despotismo, presentato ultimamente alla Francia attonita nel famoso rapporto del Dupin. Non appartiene al nostro argomento il ribattere tutte le assurdità di dottrina, tutte le falsità di fatto, a cui risposero egregiamente tanti oratori cattolici del Senato. Ma quello che fa al nostro tema, e che ferì vivamente il sentimento e la logica di chiunque ha le giuste idee dell'ordine e della libertà, è quel presupposto dispotico, sopra di cui si appoggia tutta la lunga invettiva, che il Governo, incaricato dell'ordine pubblico, ha il diritto indefinito di saper tutto, di dar legge in tutto a chiunque opera in quella longitudine e latitudine, a cui si stende il territorio dello Stato: cotalchè, ammesse coteste dottrine, se un tuo starnuto un po' troppo violento sveglia prima di giorno il Senatore Dupin, o se la tua pipa gli offende le nari, egli potrà invocare il pubblico governante e farti proibire di starnutare e di pipare in nome dell'ordine pubblico. E questo spirito di dispotismo, che sembra a noi il massimo vizio di quella diatriba, fu da taluni forse quasi implicitamente ammesso come dottrina indubitata, come pratica che cammina coi suoi piedi.

9. Saremmo infiniti se da quel mare volessimo estrarre tutte le frasi che accennano a tale assolutismo: però trapassiamo tutta la petizione del Billy commentata dal Procuratore generale, contentandoci di estrarre alcune frasi dal suo commento. Esso incomincia dal deplorare il tantum malum, che sia lecito indefinitamente ai Religiosi proporre, senza licenza del Governo, ai loro concittadini di sacrificare la propria esistenza per loro bene a condizione ch'essi gliela sostentino col vitto quotidiano. Vedete qual disordine enorme! Permettere che i cittadini spendano a loro talento il lor denaro, e i Religiosi impieghino per essi tutte le loro fatiche! Volendo provvedere a tal disordine si va a disseppellire non so quale editto del 1740, con cui si pretendeva conciliare l'interesse delle famiglie col favore dovuto alle utili istituzioni (17): val quanto dire che la famiglia viene incatenata nei suoi beni, l'istituzione benefica nel suo procedere: questa non potrà fare il bene se non come piace al Ministro; e il cristiano che vorrà contribuirvi dovrà ottenere dal Ministro la libertà della sua borsa (18). Bella tutela dei loro interessi!

10. Ai Ministri del Monarca assoluto succede, invocato dal Dupin, il Portalis Ministro imperiale: il quale accortosi che il Concordato lasciava qualche libertà ai cittadini in tal materia; «Come! sembra esclamare, si ha da permettere che in uno Stato i cittadini si associno senza licenza del Governo? Ma questo è un disordine enorme! (19)
È un disordine? Voi, lettore, che avete capito che cosa è ordine pubblico, vedete un poco dove sta il disordine nell'unirsi di alcuni cittadini a vivere secondo la perfezione evangelica, e a recitare il breviario (20). La ragione umana ripugna stomacata a cotesta dottrina dispotica; ed ecco perché trovò tanti approvatori quel diritto di libera associazione che concede oggi ai cittadini piena balìa di cospirare in tutto, fuorché nel cantare l'uffizio e seguire i consigli del Vangelo.

11. Lasciamo il rimanente di coteste idee del Portalis tutte conformi alle precedenti, e passiamo al Governo della ristorazione, in cui il Dupin deplora la troppa condiscendenza al rincrudire degli Ordini religiosi (21) e la licenza conceduta a quei cittadini di acquistare beni stabili: quasi il diritto di acquistare beni non fosse inerente alla natura umana bisognosa di sostentamento, e per conseguenza fornita dalla natura del diritto di acquistarli (22). Se il Governo possa modificare cotesto diritto e specialmente rispetto ai Religiosi, non è di questo luogo il ricercarlo. Ma che questo diritto si derivi dal beneplacito di coteste umane volontà, questo è ciò, ove apparisce uguale al genio tirannico l'ignoranza filosofica.
Mancomale, prosiegue il Dupin, che venne la rivoluzione di Luglio e pose almeno una qualche pastoia alla libertà conceduta dai Borboni anteriori. Disgraziatamente la rivoluzione del 1848, volendo abolire tutte le leggi che condannavano le sètte politiche, dovette concedere ciò che essa appellò diritto naturale di associazione, ed approvare in tal guisa anche le Congregazioni religiose. Dio buono qual disordine! sembra qui esclamare il Dupin: i cittadini furono dunque liberi a fare ciò che volevano; Chacun à donc fait à peu près sa volonté! Meditate lettore, di grazia questo curiosissimo epifonema, nato fatto per farvi comprendere ciò che è pel Dupin l'ordine pubblico: esso consiste in ciò che niuno possa più fare ciò che vuole! E' naturale che con tali idee egli si scandalizzi di quel famoso consulto (del Vatimesnil, se la memoria non c'inganna) ove si dicea: Que la vie commune des personnes qui appartiennent à une congrégation non autorisée n'a rien d'illégal, et que les agents du pouvoir n'ont dans aucun cas la faculté de les dissoudre. E se ne inferiva che quelle Congregazioni sono libere e nell'arruolare colleghi e nel disporre degli averi.

12. Da questa indulgenza eccessiva sapete (prosiegue il Dupin) che cosa è avvenuto? Un formicolaio di Congregazioni si muove con tal libertà che mai la simile (23). Dio buono che disordine! Due o trecento cittadini si uniscono per fare del bene: e il Governo lascia a costoro la libertà di muoversi! A che eccesso è giunta l'autonomia del cittadino! Nessuno sa ciò che essi posseggono: ed è violato il principio di diritto e di ordine pubblico, che niuna associazione può formarsi senza licenza del governo. Non deve esser possibile che una istituzione anche utile esista di fatto senza licenza della legge: permettere che una società qualunque si formi senza approvazione dello Stato è contrario ad un principio eterno di morale, indipendente da ogni legge positiva! (24) Sicché, secondo il Dupin, è contro natura che si faccia il bene senza licenza del Governo (25). Vedete fin dove si estenderà la costui autorità; non solo dovrà impedire chi si associa per fare del male, ma processare chi senza sua licenza vuol fare del bene.

13. Da questi pochi saggi, voi vedete, lettore, come dal signor Dupin s'intenda l'ordine pubblico. Sette, otto, dieci Ministri col loro portafoglio sotto il braccio si raccolgono intorno ad un tappeto verde nel gabinetto del Presidente. Sopra ogni fenestra è un telescopio donde ogni Ministro specola fino all'ultima estremità delle frontiere: al parapetto della fenestra la mano del Ministro si applica al manubrio di un elettromotore che mette in movimento tutte le file dell'ispettivo esercito burocratico. Ogni milite è incaricato di muovere come marionette ciascuno dei cittadini legati al carro dello Stato colla funicella di qualche legge: ove manca la legge supplirà il decreto o la ministeriale; ove manca la ministeriale, immobilità assoluta. Così quei sopracciò, senza essere altrettanti Giuseppi potranno intimare ai cittadini come il Faraone d'Egitto: guai a voi se senza mia licenza osate muovere un dito a far del bene! absque tuo imperio non movebit quisquam manum aut pedem in omni terra Aegypti (26). Ecco pel signor Dupin, ecco per molti pubblicisti liberali la vera idea dell'ordine pubblico!

14. La recente lettera del Signor Rouland cammina con lo stesso principio e lo invoca con una buona fede che parrà singolare a chi avrà ben comprese le verità finora spiegate. «Sostenere i diritti spirituali e temporali della S. Sede, obbedire pienamente al suo Capo, contribuire col proprio danaro al bene della Chiesa; chi non vede che una tale società nega apertamente i diritti dello Stato e i doveri del cittadino, poiché nel sottomettersi al Pontefice non distingue l'ordine temporale dallo spirituale; e che prende l'aspetto di una società segreta che tende a diffondersi per tutto il paese»? (27). Come vedete le idee del Rouland collimano con quelle del Dupin. Ma se il Ministro capisse che l'ordine altro non è, se non la proporzione delle operazioni verso un fine determinato, vedrebbe che la Congregazione di S. Pietro in Vincoli tendente a difendere i diritti della Chiesa, è totalmente spirituale nel fine, e per conseguenza nulla ha che fare coll'ordine temporale: che per conseguenza nulla ha che fare colle società segrete, le quali mirano unicamente ad impadronirsi del mondo esteriore. Ma tant'è: le false idee dell'ordine penetrate in tanti cervelli, fanno credere che tutto ciò che si muove sulla terra dipenda essenzialmente dal governante politico, senza che né ordine logico, né ordine morale, né ordine domestico, né ordine municipale o religioso o qual altro vi piaccia, possa più ricordarsi della propria esistenza, delle proprie tendenze. Qual meraviglia che con tali stranezze nel capo perfino i Te Deum, perfino le prediche, perfino le confessioni debbano aspettare dal gabinetto un regio placet, il quale potrà pronunziarsi o ricusarsi, secondo che lo richiede il bene dello Stato, l'esigenza dell'ordine pubblico?

15. Il vero è che l'ordine pubblico in coteste azioni non c'entra per niente. Se il governante supremo ha per fine dell'autorità il bene pubblico, le azioni che a lui sono subordinate sono quelle soltanto che mirano direttamente a cotesto ordine. Quando coteste azioni vengono turbate, turbato viene l'ordine pubblico. Ma quando quest'ordine è salvo, chiunque vuol fare del bene ne ha pieno diritto dalla natura. Né solo per fare il bene della sua persona, ma anche per quello della sua famiglia, del suo comune, della sua provincia, della sua corporazione ecc. ecc.: bene inteso che, rispetto a queste società secondarie, bene non potrà dirsi se non ciò che è conforme all'indirizzo delle secondarie autorità rispettive, come meglio spiegheremo in appresso. Ma prima aggiungiamo qui alcuni schiarimenti rispetto al concetto finora spiegato dell'ordine in generale.

16. Abbiamo. detta che i diversi ordini, ai quali l'uomo appartiene, possono nascere o dalla natura che forma quell'ordine, o dalla libera volontà che elegge un fine e ne trova determinati dalla natura i mezzi. Questa distinzione merita qualche spiegazione.
La natura o per dir meglio il Creatore dell'universo, destinando l'uomo al fine dell'eterna felicità, e dotandolo di ragione e di libero arbitrio, costituì ciascun uomo in quello che abbiamo detto ordine morale: vale a dire l'obbligò ad una serie di azioni, mediante le quali egli dee giungere alla felicità destinatagli. Quest'ordine morale è talmente inerente alla umana natura, che mai non può scompagnarsene; e per conseguenza l'uomo sempre ne dee seguire la direzione in tutte le vicissitudini della vita: e l'adempimento di tal dovere è ciò che appellasi onestà, probità ecc. Il Creatore medesimo poi volle che l'uomo si propaginasse nella famiglia, che le famiglie si moltiplicassero in Comuni, i Comuni in Nazioni, le Nazioni in unioni di popoli: e così la schiatta umana tutta quanta si trovasse naturalmente suddivisa quasi in membra organiche, congiunte fra loro con varie maniere di comunicazione. non istaremo qui a ricercare le ragioni che naturalmente qualificano coteste varie membra, temendo che questa disquisizione allunghi soverchiamente il discorso, e ci distragga dal tema principale. Quello che crediamo potere assumere come indubitato è che, 1° il Creatore ha associato l'uomo per bene dell'uomo medesimo: non è l'uomo fatto, perché la società ne avea bisogno; ma sì la società è data all'uomo, perché gli serva di sussidio: faciamus ei adiutorium simile sibi. Quindi 2° ciascuna di coteste società ha un fine, verso il quale ella dee coordinare dei mezzi, la cui proporzione ed efficacia dipende dalla natura delle cose. Tutte coteste specie o gradi di Società sono dunque voluti più o meno immediatamente dall'Autore stesso della natura. E poiché egli che le formò di persone umane, impose a ciascuna di esse la legge morale; l'obbligo dell'ordine morale non potrà mai scompagnarsi da coteste società; e l'aiuto che esse debbono dare all'uomo mirerà principalmente ad agevolargli l'osservanza di cotesto ordine.

17. Ma oltre coteste società che vengono formate dalla spontanea propagazione del genere umano, mille altre possono formarsene per fini speciali liberamente eletti dalla volontà umana. Questi fini abbisognano di mezzi, le cui proporzioni vengono determinate dalla natura. Ma siccome libero è il prefiggersi quel fine, così puramente ipotetica è la pratica necessità di quei mezzi. Volete esser letterato? Dovete studiare. Volete raccogliere? Dovete seminare. Libera fu l'elezione del fine: i mezzi che da quello dipendono non possono ricevere da lui una forza obbligatoria che non possiede egli stesso.
Corre dunque immenso divario fra queste due specie di società: le prime essendo volute dal Creatore per aiuto dell'uomo a vivere nell'ordine, includono necessariamente nel loro fine l'osservanza dell'ordine medesimo: le altre all'opposto, germinando per libera elezione in società già formate, mirano a quel bene speciale, per cui si formarono, e a quello debbono somministrare i mezzi; senza offesa bensì dell'ordine morale, ma presupponendolo già formato e guarentito dalla società naturale in cui esse germogliano. Tutelare quest'ordine nella sua osservanza esterna è il fine delle società naturali, ed è per conseguenza ciò che propriamente si appella bene comune, bene pubblico. Ed a questo debbono coordinarsi tutte le pubbliche operazioni. La retta proporzione fra queste operazioni e quel fine, è ciò che propriamente s'appella l'ordine sociale: e per conseguenza ordinata è quella società, le cui operazioni sono condotte in modo da conseguire l'esterna attuazione dell'ordine morale. La quale attuazione potendo avere in molti gradi sempre maggior perfezione, vede ognuno potersi indefinitamente progredire nel possesso di questa perfezione e del pubblico bene di ordine, da cui ella nasce.

18. Dalle quali considerazioni intorno all'ordine, vi sarà facile il comprendere il vero senso filosofico di quelle frasi tanto usate e, sì poco intese, Mantenere l'ordine, Rispettare l'ordine, Ristorare l'ordine, ecc. Se l'ordine sociale altro non è che una disposizione opportuna del pubblico operare per conseguire il bene comune, mantenere l'ordine significa mantenere nelle pubbliche operazioni una tale disposizione, che concluda ad ottenere stabilmente l'esterna attuazione della giustizia e della benevolenza: rispettare l'ordine equivale ad osservare nelle pubbliche operazioni, quelle stesse proporzioni: ristorare l'ordine significa adoprare i mezzi necessarii per correggere la violazione di quelle proporzioni, ritornandole alla loro giusta misura.
Di che vedete quanto sieno lungi dal vero quei che pronunziano: «L'ordine non è stato turbato», quando una ribellione ha usurpato quietamente il trono in Parma p. e. o in Firenze. Se ribellione è disordine, la quiete nella ribellione è niente meno che una rinunzia totale perfino al desiderio e alla speranza di mantenere ordine. All'opposto quando gli onesti resistono e ne nasce una lotta, il disordine è solo incominciato; e la lotta è un principio, per parte dei buoni, di ritorno all'ordine. Il letargo nel disordine, essendo quasi una rinunzia al principio d'ordine, include il seme di mille altri disordini susseguenti: le concessioni p. e. di un Principe debole pre­parano una serie di sventure allo Stato. La lotta all'opposto di un Principe che sa, secondo suo debito, reprimere l'iniquità difendendo gli onesti anche a costo di battagliare o con rischio della vita, include il principio di fermezza nell'ordine, e per conseguenza difende il vero bene della società.

19. E quest'ordine abbiamo detto vero bene pubblico, perché questo è realmente comune a tutti gli associati, come è comune il tutti il dettato della ragione. Perlochè, qualunque esser possano e quanto si voglia diversissimi i privati interessi, quando l'ordine morale si osserva, ogni ragione s'inchina: e qualunque danno né incolga agl'interessi, un animo retto se ne rende superiore ed approva anche quell'ordine donde risente materiale detrimento. E non vedemmo noi poc'anzi agli Stati Uniti un giustiziato accettar la morte come un benefizio della divina giustizia, ed approvare la sentenza che glie l'infliggeva?

20. Il regno esterno dell'ordine morale è dunque il vero ed essenziale bene pubblico, ossia comune, di ogni società. Oggidì fra i tanti errori che corrono come aforismi o assiomi, uno è quello di appellare bene pubblico ciò che giova agl'interessi della pluralità: errore fecondo di mille assurdi ed iniquità. Se l'interesse dei più è bene di tutti, la minorità dovrà dirsi felice di avere scapitato negli interessi: e questo nel sistema utilitario è assurdo: se non è felice dovrà dirsi che le leggi sono indirizzate a rendere infelice una buona parte dei cittadini: e come volete che cotesti cittadini amino la legge? Se finalmente, non ostante la loro ripugnanza, si sostiene che la legge è per bene comune, si viene ad asserire implicitamente che quella minorità è un nulla: il che è un costituire iloti i cittadini di quella minorità che può essere numerosissima. Queste e simili incoerenze ed iniquità dovrebbero far comprendere ai pubblicisti, quanto sia assurda l'opinione che ripone l'essenza del bene pubblico nei vantaggi materiali. Certamente anche questi, dovendo l'uomo valersi della materia, sono necessarii alla società come mezzi. Ma dare a cotesti mezzi il nome di fine, e misurare il pubblico bene dalla quantità di essi, invece di misurarlo dal retto ordine con cui si adoprano, è pervertimento d'idee contrario ugualmente e alla verità, e alla giustizia e alla felicità.

NOTE

15. Rechiamo un esempio flagrante di tali traviamenti. Ad ogni piè sospinto voi udite le doglianze del despotismo persecutore, perché la Chiesa s'impiccia di politica; perché il Vescovo di Massa sospende a divinis dei preti che hanno chiesta l'annessione; perché il Vicario generale di Torino ricusa il Celebret al Deputato Bravi, e così ecc. ecc. «Cotesti, dicono, sono atti politici e il Vescovo non deve impicciarsene». Nego consequentiam: la conseguenza sarebbe sopportabile se dall'essere politici ne conseguisse che quegli atti non sono religiosi. Ma l'esempio testé recato del Cantore mostra la falsità di tale supposto.

16. Il dotto e profondo Arcivescovo di Perpignano ha condannato poc'anzi nella sua sapientissima Pastorale cotesto despotismo, condannando la seguente proposizione. La bonne constitution de la société demande que la nation, représentée par l'Etat, aiet, sous une forme ou sous une autre, directement ou indirectement, le monopole de tous les établissements d'education et de toutes les propriétés, individuelles ou collectives.

17. Concilier antant qu'il est possible l'intéret des familles avec la faveur des établissements véritablement utiles au public.

18. Osservate, lettore, di grazia come consuonino in queste materie regalisti, parlamentarii, democratici. Coloro che accusano il cattolicismo (e per conseguenza anche la Civiltà Cattolica) di servilismo, sono i primi ordinariamente a volere tutto concedere all'autorità regia, cose e persone, purché questa accetti la Sovranità del popolo, vale a dire il predominio degli avvocati. Le dottrine che il Dupin sostiene sotto l'Impero erano in Francia purtroppo già vecchie. Nel Gersone ed in altri di quell'epoca se ne scorgevano i semi; il Richelieu e forse prima di lui Enrico IV, ne aveano coltivati i germogli: Luigi XIV condottili a maturità potè scrivere al Delfino la famosa sentenza «il Re è padrone di tutti gli averi dei sudditi»: la Repubblica giacobina ereditò tal padronanza e ne fece quell'uso che ognuno sa; l'Impero e poi la ristorazione ristorarono i quattro articoli del 1682, cui l'orleanismo afferrò pei capelli, perché non si perdesse la preziosa eredità nel tafferuglio delle gloriose giornate; e se questa pericolò, al 2 Decembre si trovò ben presto (e il Dupin non è il primo) chi volle rivendicarla iure postliminii: tanto è caro ad ogni Governo non cristiano il padroneggiare assolutamente roba e persone! All'opposto la dottrina cattolica di S. Tommaso con eguale franchezza e filosofia spiega i veri limiti di quella autorità segnati da Dio nell'ordine universale della società, e pianta per conseguenza le solide basi di una libertà verace, perché ordinata.

19. N'est-il pas contre l'ordre public qu'il puisse se former dans un Etat des associations, des ordres sans l'autorité de l'Etat?

20. Cfr. POUJOULAT Lettre à M. Dupin nel Monde 29-6-1860).

21. Sous la Restauration, le Gouvernement ne s'est pas intéressé au meme degré à empecher la recrudescence des ordres religieux. Bella quella recrudescence! Si direbbe che i Religiosi sono pel Dupin una febbre o una peste.

22. Anche qui la Pastorale di Monsignor Gerbet aggiunge alle nostre dottrine l'autorità del suo suffragio condannando le seguenti proposizioni… Les gouvernements sont les vrais propriétaires des biens possédés par les églises, les corporations religieuses etc, …. Le droit de propriélé est une concession de la souveraineté nationale.

23. Cette fourmilière de congrégations se meuvent avec une liberté ou plutot une licence d'action que etc.

24. Ce qui ne doit pas etre possible, c'est qu'un établissement, meme utile existe de fait, lorsqu'il ne peut avoir aucune existence de droit, et que, loin d'etre protégé par la puissance des lois, il le soit par leur impuissance… c'est un principe éternel et indépendant des lois positives, que celui qui ne permet pas qu'une société quelconque se forme dans un Etat sans son approbation etc.

25. Il Generale Marchese di Cassel Bajac nel suo bel discorso fatto al Senato francese nella tornata dei 30 Maggio 1860, contro il rapporto del Dupin e contro il dispotismo legifero, con cui tutti gli atti di virtù si vorrebbero registrare nel codice perché siano leciti, esclama verso il fine. En vonlant tout réglementer, tout codifier, on finirait par ne plus laisser à l'individu un seul mouvement généreux de sa propre nature, et, à la lonque, les qualités morales de la nation ne s'en trouveraient-elles pas affai­blies ?

26. Gen. XLI, 44.

27. Elle nie ouvertement les droits de l'Etat et les obligations du citoyen, en imposant à ses membres une entiere soumission au souverain-Pontife, sans distinguer l'ordre temporel de l'ordre spirituel… elle prend complètement l'attitude d'une societé secrète.