Il tomismo nel Magistero

…Grande la diffusione del tomismo nella Chiesa, che nei tempi moderni lo ha dichiarato proprio Dottore ufficiale. I principali documenti pontifici. Le XXIV tesi di S. Pio X, compendio della filosofia tomista …

IL TOMISMO NEL MAGISTERO ECCLESIASTICO


La penetrazione del tomismo nel pensiero e nell’attività dottrinale della Chiesa ebbe il suo inizio ufficiale con la canonizzazione dell’Angelico da parte di Giovanni XXII nel 1323 e si andò sempre più affermando, malgrado i contrasti, fino ad ottenere un prestigio senza pari nel Concilio Tridentino. Ma è soltanto nei tempi moderni che la Chiesa ha dichiarato san Tommaso d’Aquino il proprio Dottore ufficiale e che gli studi tomistici hanno finalmente dato risultati risolutivi sul piano critico e teoretico.
Questa ripresa del tomismo caratterizza la vita dottrinale della Chiesa nell’epoca moderna e può essere considerata senza dubbio la causa principale nell’ambito del puro pensiero, se la bufera del modernismo non è riuscita ancora a scompaginare la coscienza cristiana portandola in braccio del principio dell’immanenza, com’è avvenuto per esempio ed avviene tuttora in campo protestante. Di questa ripresa indicheremo il contenuto dei principali documenti pontifici, l’elenco completo dei quali è contenuto nel testo di J. J. BERTHIER, Sanctus Thomas Aquinas ”Doctor communis”Ecclesiae, Roma 1914, pp. 177 ss..


l. LEONE XIII


Può essere considerato il vero iniziatore del movimento, con la lettera enciclica Aeterni Patris del 4 agosto 1879. L’enciclica ha per titolo: De philosophia christiana ad mentem sancti Thomae Aquinatis Doctoris Angelici in scholis catholicis instauranda.
Il Pontefice, ricordata l’indefettibile assistenza di Dio alla sua Chiesa, denunzia la valanga dei nuovi errori che nei tempi moderni particolarmente si è scagliata contro le basi della fede sotto il pretesto che la fede abolisca e sopprima i diritti della ragione, ma a torto: “Infatti, non invano Dio accese nella mente dell’uomo il lume della ragione; ed è assai distante dal vero affermare che la luce della fede spenga o affievolisca il valore della ragione, perché anzi lo perfeziona, ne accresce la forza, lo rende adatto a cose più alte” [Acta Sanctae Sedis, XII (1879), p. 99]. Da parte sua la filosofia, lungi dal contrastare la fede, è la via che porta alla medesima e sgombera dagli ostacoli: “E’ la filosofia, principalmente, se dai sapienti convenientemente usata, serve in qualche modo a spianare e a proteggere la via alla vera fede, e a preparare convenientemente gli animi dei suoi alunni a ricevere la Rivelazione: non senza ragione, perciò, dagli antichi fu detta, ora istituzione preparatoria alla fede cristiana, ora preludio e aiuto del cristianesimo, ora guida all’Evangelo” [Acta Sanctae Sedis, XII (1879), p. 99].
Tale infatti è stato l’atteggiamento dei Santi Padri e Dottori, fin dall’età più antica, circa i rapporti fra ragione e fede, quelli cioè di un positivo influsso reciproco quale si è rivelato sempre più esplicito nello stesso Magistero pubblico della Chiesa, specialmente nei concili ecumenici fino al Vaticano I, al quale ripetutamente il Pontefice fa appello: “Fides rationem ab erroribus liberat ac tuetur, eamque multiplici cognitione instruit” [Dei Filius, c. 4, DENZINGER‑SCH. n. 1799]. I filosofi dell’antichità, che mancarono di questa guida, caddero – benché sapientissimi – in molti errori e incertezze: “Intorno alla natura della divinità e alla prima origine delle cose, al governo del mondo e alla conoscenza che Dio ha del futuro, al principio e alla causa dei mali, all’ultimo fine dell’uomo e all’eterna beatitudine, alle virtù e ai vizi, e ad altre dottrine della cui vera e sicura conoscenza non v’è cosa all’uomo più necessaria” [Acta Sanctae Sedis, M (1879), p. 105]. Alla scuola della fede crebbero i primi scrittori ecclesiastici, gli Apologeti, i Padri greci e latini e al di sopra di tutti sant’Agostino. Agli scolastici viene riconosciuto il merito di aver raccolto, ordinato e portato a conoscenza dei posteri le ricchezze di verità che i Padri avevano raccolto nei loro immensi volumi; di quest’elogio sono meritevoli principalmente – il Papa cita la Bolla Triumphantis di Sisto V del 1588 – san Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico, e san Bonaventura, il Dottore Serafico.
Da questo momento fino alla sua conclusione l’enciclica si occupa unicamente nel presentare l’opera incomparabile di san Tommaso, il quale “inter scholasticos Doctores, omnium princeps et magister, longe eminet”, nel portare a unità e coerenza l’opera dei suoi predecessori. Dell’Angelico viene lodata soprattutto l’originale sintesi filosofica, la chiarezza nel distinguere il campo della ragione da quello della fede, così che tanto la ragione quanto la fede sono assurte per suo merito al supremo fastigio. “A ciò s’aggiunge che l’Angelico Dottore speculò le conclusioni filosofiche nelle intime ragioni delle cose e nel principi universalissimi, che nel loro seno racchiudono i germi di verità quasi infinite, che a tempo opportuno e con abbondantissimo frutto sarebbero stati poi fatti germogliare dai successivi maestri. Avendo egli questo modo di filosofare adoperato anche nel confutare gli errori, ottenne di avere egli solo sconfitto tutti quelli dei tempi passati, e di aver dato fortissime armi per mettere in rotta quelli che, con perpetuo avvicendarsi, sarebbero sorti dopo di lui. Inoltre accuratamente distinse, come si conviene, la ragione dalla fede; ma stringendo amichevolmente l’una e l’altra, d’ambedue conservò interi i diritti e intatta la dignità, cosicché la ragione, portata sulle ali di san Tommaso al vertice della sua grandezza, quasi dispera di salire più in alto; e la fede difficilmente può ripromettersi dalla ragione aiuti più grandi e più potenti di quelli che ormai con san Tommaso ha ottenuto” [Acta Sanctae Sedis, XII (1879), pp. 108 ss].
L’enciclica tocca brevemente dell’adesione che il tomismo ebbe presso i vari ordini religiosi e le varie accademie delle principali università (Parigi, Salamanca, Alcalá, Douai, Tolosa, Lovanio, Padova, Bologna, Napoli, Coimbra, ecc.), dell’opera che i Sommi Pontefici impiegarono per promuoverla dovunque e del grande onore e autorità che la dottrina dell’Angelico ebbe nei massimi concili della Chiesa (Lugdunense, Viennese, Fiorentino, Vaticano I) e soprattutto nel Concilio di Trento nel quale san Tommaso ebbe un riconoscimento che a nessuno mai toccò, né prima né poi: “Ma la massima gloria di Tommaso – e che gli è tutta propria, perché non concessa ad alcun altro dei dottori cattolici – sta nel fatto che i Padri dei Concilio di Trento vollero che in mezzo all’aula delle adunanze, insieme ai Libri della Sacra Scrittura e ai decreti dei Pontefici Romani, stesse aperta sull’altare la Somma di Tommaso d’Aquino, per prendere da essa consigli, ragioni e sentenze” [Acta Sanctae Sedis, XII (1879), p. 110].
Quel che importa rilevare è che il Pontefice intende raccomandare soprattutto l’opera e la dottrina strettamente filosofica di san Tommaso contro la quale – lo reca l’enciclica – si scagliarono le animosità dei Riformatori: così la via maestra per ritrovare la verità perduta è il ritorno alla filosofia di san Tommaso, come già si compiace il Pontefice di constatare – molti vescovi hanno felicemente intrapreso nelle proprie diocesi.
Avvicinandosi alla conclusione, il Pontefice espone alcuni suggerimenti pratici per una sicura attuazione di questo “ritorno a san Tommaso” e dei vantaggi che da questo felice ritorno dovranno scaturire alle arti, alle scienze e a tutte le discipline dello spirito per la tutela della verità della fede cattolica. Giova ricordare soprattutto due avvertimenti:
l. Preminenza assoluta di san Tommaso: “Del resto, i maestri da voi eletti con intelligente discernimento, cerchino di far penetrare negli animi dei discepoli la dottrina di san Tommaso d’Aquino, e mettano in luce la saldezza e l’eccellenza di essa in confronto di tutte le altre” [Acta Sanctae Sedis, XII (1879), p. 114].
2. Necessità di studiare san Tommaso nelle sue fonti: “Perché poi non si abbia ad attingere la dottrina pretesa tale, invece di quella autentica, né quella corrotta invece di quella genuina, fate sì che la sapienza di san Tommaso sia attinta alle sue fonti, o, per lo meno, da quei rivi che, usciti dalla stessa fonte, scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Procurate poi di tenere lontani gli animi dei giovani da quei ruscelli che pur si dicono sgorgati di là, ma in realtà si gonfiarono con acque estranee e punto salubri” [Acta Sanctae Sedis, X11 (1879), p. 114]. In questa impresa, così conclude l’enciclica, l’esempio venga ancora dal Dottore Angelico “che non cominciò mai a far lezione o a scrivere se non dopo essersi propiziato il Signore con la preghiera: e che candidamente confessò che tutto quello che sapeva, non tanto era venuto in lui con studio e fatica, quanto come dono divino” [Acta Sanctae Sedis, XII (1879), p. 151. Cfr. C. FABRO, Attualità del Tomismo nell’80’ dell’enciclica “Aeterni Patris”, in Divinitas, 11, 1958]. L’oggetto e il merito proprio dell’enciclica è stato quindi soprattutto nel proclamare san Tommaso come l’unico Maestro che la Chiesa riconosce ufficialmente e di proporlo autorevolmente alle scuole cattoliche.
All’enciclica il Pontefice fece presto seguire alcune disposizioni per la pratica attuazione del programma in essa contenuto.
a) Con lettera al cardinal De Luca, del 15 ottobre dello stesso anno 1879, ordina l’istituzione in Roma dell’Accademia di san Tommaso allo scopo di promuovere negli istituti ecclesiastici superiori romani (in Seminario Romano, in Lyceo Gregoriano, in Urbaniano aliisque Collegiis) lo studio della filosofia secundum mentem et principia Doctoris Angelici. La fondazione dell’Accademia veniva consolidata con la lettera che il Papa inviava il 21 novembre ai cardinali Pecci e Zigliara, Prefetti dell’Accademia stessa, in cui annunziava lo stanziamento di una certa somma per sopperire alle spese necessarie. Le Costituzioni dell’Accademia venivano approvate dal Pontefice il 9 maggio 1895.
b) La preparazione di una nuova edizione critica delle opere di san Tommaso, insieme con i commenti del Gaetano per la Summa theologiae e del Ferrarese per la Summa contra gentiles. In questa seconda gigantesca impresa, ancora in corso di esecuzione, il Pontefice ritornò con il Motu proprio Placere nobis del 18 gennaio 1880 nel quale annunzia la nomina della commissione cardinalizia (De Luca, Simeoni, Zigliara) e lo stanziamento di un fondo di L. 300.000.
c) A distanza di un anno dall’enciclica, il 4 agosto 1880, Leone XIII pubblicava il Breve De sancto Thoma Aquinate patrono coelesti studiorum optimorum cooptando, col quale l’Aquinate veniva proclamato celeste patrono di tutte le scuole cattoliche di qualsiasi ordine e grado.
d) Con un Breve, in data 25 dicembre dello stesso anno 1880, al cardinal Dechamps di Malines, il Pontefice manifesta il desiderio che venga istituito presso l’università di Lovanio un istituto d’insegnamento della filosofia di san Tommaso. Nel 1882 l’istituto ebbe il suo vero fondatore e primo titolare del Corso di alta filosofia di san Tommaso, il professor Désiré Mercier, poi cardinale: da quest’istituto s’irradierà per tutto il mondo il soffio di rinnovamento del pensiero tomista.
Il grande Pontefice verso la fine del suo glorioso pontificato, nell’enciclica Depuis les jours al clero francese dell’8 settembre 1899, ritornava sul programma della Aeterni Patris per arginare quella penetrazione della filosofia moderna nei seminari che assumerà di li a poco il nome di modernismo.
Si può affermare pertanto che il rinnovamento delle dottrine tomiste è stato l’obiettivo principale dei primi anni di tanto pontificato: non c’è occasione, specialmente nella corrispondenza ai vescovi, che Egli non colga per inculcarlo.
e) La mente di Leone XIII era che anche i francescani seguissero san Tommaso e chiari la sua volontà con le gravi parole: “Discedere inconsulte ac temere a sapientia Doctoris Angelici res aliena est a voluntate nostra, eademque plena periculis [ … ]. Sanctum itaque sit apud omnes beati Francisci alumnos Thomae nomen: vereantur non sequi ducem quem bene scripsisse de se Iesu Christus testabatur” (lettera del 27 novembre 1898, al ministro generale dell’Ordine)


2. SAN PIO X


L’opera di Leone XIII in favore di san Tommaso può riassumersi in due punti: san Tommaso è dichiarato l’unico Maestro ufficiale delle scuole cattoliche di ogni grado; oggetto principale della dichiarazione è la ripresa della filosofia tomistica.
Il suo successore ‑ il quale già da vescovo di Mantova spiegava nel suo seminario la Summa contra gentiles ‑ proseguì nel solco già aperto rinnovando le prescrizioni leonine e precisandole, ad ogni occasione, con particolare vigore. Rileviamo gli interventi principali.
Appena elevato al soglio pontificio in data 23 gennaio 1904, il santo Pontefice indirizzava alla Pontificia Accademia Romana di san Tommaso uno speciale Breve nel quale riassumeva e confermava gli atti solenni di Leone XIII, insistendo che l’obiettivo dell’Accadernia era “explicare, tueri, propagare doctrinam, praesertim de philosophia Angelici Doctoris” [Acta Sanctae Sedis, XXXVII (1904), p. 654].
Sulla natura della deliberazione del santo Pontefice non vi può essere dubbio di sorta: si deve seguire san Tommaso come maestro in filosofia e teologia poiché il “discostarsi da san Tommaso, di un solo passo, principalmente nelle cose della metafisica, non sarebbe senza danno grave”. Quanto al “contenuto” di questo ritorno al tomismo, Pio X ha nominato soprattutto “ciò che nella sua filosofia costituisce i principi e le tesi di maggiore importanza(principia et pronuntiata maiora).
A precisare questo punto, che poteva lasciare nell’imbarazzo, provvedeva a un mese appena di distanza dalla morte del santo Pontefice, la Sacra congregazione degli studi pubblicando, con la firma del Prefetto cardinal Lorenzelli, un elenco di 24 tesi e proposizioni che ad essa avevano sottomesse alcuni professori per averne una garanzia di sicuro tomismo: Approvazione di alcune tesi contenute nella dottrina di san Tommaso d’Aquino e proposte da maestri di filosofia. La motivazione della pubblicazione mostra l’intimo legame del documento con il Motu proprio Doctoris Angelici: Dopo che il Santo Padre Pio X, col suo Motu proprio Doctoris Angelici del 29 giugno 1914, ebbe salutarmente prescritto che in tutte le scuole di filosofia siano religiosamente tenuti i princìpi e i grandi punti di dottrina di san Tommaso d’Aquino, alcuni maestri di vari istituti hanno proposto alla Sacra congregazione degli studi certe tesi ad esaminare, tesi da loro normalmente insegnate e difese come redatte conformemente ai principi più importanti del Santo Dottore principalmente in ciò che riguarda la metafisica. Questa Sacra Congregazione, avendo regolarmente esaminato le tesi ed avendole sottomesse al Santo Padre, risponde che esse contengono apertamente i princìpi e i sommi punti di dottrina del santo Dottore”.
Venuto a mancare Pio X il 20 agosto 1914, e nel 1915 anche il cardinal Lorenzelli, furono sottoposti alla stessa Sacra congregazione degli studi due dubbi che intaccavano direttamente i due punti più vitali del Motu proprio Doctoris Angelici, e cioè: “I. Se la Somma teologica doveva essere presa nelle scuole come testo da consultare o come testo da seguire, almeno per la parte scolastica o dottrinale. 2. Se tutte le ventiquattro tesi filosofiche, approvate dalla Sacra congregazione degli studi, contengono in verità l’autentica dottrina di san Tommaso o, nell’affermativa, se si deve imporle alle scuole cattoliche perché siano da esse tenute”.
a) Il 22 e il 24 febbraio 1915, la Sacra congregazione, dopo due sedute plenarie, alle quali si trovò presente il cardinale Mercier, decise che la Somma teologica doveva essere il testo da leggere, da tenere fra le mani, da spiegare; che le ventiquattro tesi filosofiche tutte esprimono la pura dottrina di san Tommaso e debbono essere proposte come norme direttive sicure (eaque proponantur veluti tutae normae directivae). Subito dopo, il 25 febbraio, in una solenne udienza concessa al Segretario della Sacra congregazione, il nuovo Pontefice, Benedetto XV, ratificava e confermava, con la sua suprema autorità, la decisione degli eminentissimi cardinali, decisione resa pubblica il 7 marzo, festa di san Tommaso d’Aquino
Queste celebri tesi sono state subito ampiamente commentate da tomisti insigni (Mattiussi, Hugon) e bisogna convenire che esse esprimono veramente i punti basilari del tomismo: si potrà discutere su aspetti particolari, circa l’ordine seguito, la fedeltà dell’espressione quanto alle formule o il numero stesso, ma sulla qualità stessa dell’elenco e del contenuto nessuno può dubitare.
b) Scosso dalla minaccia del modernismo, avanzante su tutti i fronti della cultura, san Pio X precisò ancora il richiamo leonino nel senso che il ritorno si doveva fare a san Tommaso e non a qualsiasi tipo di filosofia scolastica: “Ciò che importa anzitutto è che per “filosofia scolastica“, che Noi ordiniamo di seguire, si debba principalmente intendere quella di san Tommaso d’Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il nostro Predecessore stabili, intendiamo che rimanga in pieno vigore e, se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato” [Acta Sanctae Sedis, XI, (1907), p. 640].
c) L’atto più solenne del santo Pontefice a favore del tomismo è senza dubbio il Motu proprio Doctoris Angelici del 29 giugno del 1914 , quasi alla vigilia della sua morte. In esso iniziava ricordando l’enciclica dell’1 settembre 1910 Sacrorum antistitum, nella quale dichiarava autorevolmente all’episcopato cattolico il significato preciso del ritorno a san Tommaso e si lamentava protestando che alcuni avessero inteso il praecipue della Pascendi nel senso di “non unicamente”, quasi fosse permesso insieme di seguire gli altri dottori scolastici in qualche punto di filosofia anche se fosse in contrasto con quelli tomisti.
Di conseguenza:
1) Rinnovava le precedenti disposizioni: “Ciò che importa anzitutto è che per “filosofia scolastica“, che Noi ordiniamo di seguire, si debba principalmente intendere quella di san Tommaso d’Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il nostro Predecessore stabili, intendiamo che rimanga in pieno vigore e, se è necessario, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia osservato da tutti. Qualora nei seminari ciò fosse trascurato, toccherà ai vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai superiori degli ordini religiosi” [Acta Apostolicae Sedis, VI (1914), p. 336].
2) Rettificava il significato di “praecipue”: “Giacché, poi, avevamo detto in tale occasione che bisognava seguire principalmente la filosofia dell’Aquinate, e non dicemmo unicamente, alcuni credettero di obbedire, o comunque di non opporsi al Nostro volere, insegnando la filosofia di uno qualunque tra i dottori scolastici, per quanto opposta ai principi di san Tommaso. Però si sbagliarono completamente. E’ chiaro che, stabilendo san Tommaso come principale guida della filosofia scolastica, intendevamo riferirci soprattutto ai suoi principi, su cui questa filosofia poggia” [Acta Apostolicae Sedis, VI (1914), pp. 336 ss.].
3) Sottolineava l’efficacia del tomismo contro gli errori moderni: “Tanto più per il fatto che, se la verità cattolica fosse privata del valido aiuto che questi principi le prestano, invano, per difenderla, si cercherà qualche elemento nella filosofia che condivide, o per lo meno non respinge, i princìpi erronei su cui poggiano il materialismo, il monismo, il panteismo, il socialismo e le diverse specie di modernismo. I punti più importanti della filosofia di san Tommaso non devono essere considerati alla stregua di opinioni, discutibili sotto ogni aspetto, bensì come fondamenta su cui poggia tutta la scienza del naturale e del divino: se si respingono o in qualunque modo si corrompono tali punti capitali, ne seguirà necessariamente che coloro che studiano le scienze sacre non potranno nemmeno cogliere il senso delle parole con cui il Magistero della Chiesa espone i dogmi rivelati da Dio” [Acta Apostolicae Sedis, VI (1914), pp. 337 ss.].
Un’ammonizione, quest’ultima, di particolare importanza metodologica. Pertanto, concludeva quasi accorato il santo Pontefice: “Noi vogliamo ammonire tutti coloro che si occupano dell’insegnamento della filosofia e della teologia che se si allontanassero anche di un passo (si ullum vestigium), specialmente in metafisica, dall’Aquinate, ciò non sarà senza gran nocumento” [Acta Apostolicae Sedis, VI (1914), p. 338].
Un’altra novità dell’insigne documento è l’ingiunzione [la formula è categorica: “Nos volumus, iubemus, praecipimus … ”, e la sua forza risalta, per maggior contrasto, dal mite carattere del Sommo Pontefice] che nelle università, facoltà e altri istituti superiori sia pubblici come appartenenti a ordini religiosi, che abbiano ricevuto il potere di conferire i gradi accademici (in teologia), venga adottata come testo ufficiale la Somma teologica di san Tommaso. Al riguardo il santo Pontefice ricordava il detto di Giovanni XXII, che aveva canonizzato nel 1323 ad Avignone il “buon fra Tommaso”: “Ipse (Thomas) plus illuminavit Ecclesiam, quam omnes alii doctores: in cuius libris plus proficit homo uno anno, quam in aliorum doctrina toto tempore vitae suae”.
Possiamo concludere che Pio X ha seguito con ogni fermezza la linea leonina. Possiamo anzi aggiungere che per sua opera il ritorno a san Tommaso assume un carattere più preciso e risoluto per un tomismo integrale senza sbandamenti.


3. LE “XXIV TESI TOMISTIHE”


A poca distanza dal Doctoris Angelici, cioè il 27 luglio 1914, con la firma del cardinal Lorenzelli, Prefetto della Sacra congregazione degli studi e per ordine del Papa veniva pubblicato, come già accennato, un elenco di 24 tesi nelle quali si conteneva un sostanziale compendio della filosofia tomista [la formulazione delle tesi è attribuita al gesuita Giuseppe Mattiussi (vedi il suo commento: Le XXIV tesi della filosofia di S. Tommaso d’Aquino, Roma, 1925)] . Neanche un mese dopo, il 20 agosto, il Sommo Pontefice, affranto dal dolore per gli orrori della guerra mondiale, lasciava questa terra.
L’intento preciso della pubblicazione era di formulare i princìpi fondamentali della speculazione tomista in re praesertim metaphysica che servissero come linea direttiva nell’insegnamento: bisogna convenire che, a distanza di quasi un secolo di studi e ricerche, la sostanza di queste theses potrebbe rimanere, alla condizione di una rielaborazione per liberarle dai residui del razionalismo scolastico.


4. IL CODICE DI DIRITTO CANONICO (PUBBLICATO DA BENEDETTO XV NEL 1917)


BENEDETTO XV, nel Motu proprio del 3 dicembre 1914 in favore del collegio teologico di Bologna, si era così espresso: “Noi sappiamo perfettamente che in questo luogo è in onore, come si deve, san Tommaso, i cui insegnamenti sono stati oggetto delle massime lodi da parte dei Nostri illustri predecessori Leone XIII e Pio X, i quali ordinarono che i detti insegnamenti fossero religiosamente mantenuti nelle scuole cattoliche”. Poi il Sommo Pontefice concedeva al suddetto collegio la facoltà di conferire i gradi, “osservando con cura le prescrizioni della Sacra Congregazione degli Studi, soprattutto il decreto Doctoris Angelici del 29 giugno dello stesso anno, che si riferisce ai primi princìpi di san Tommaso in filosofia da conservare santamente, e alla “Somma teologica” la quale deve essere il tema delle lezioni nelle scuole di teologia; e inoltre osservando le altre cose prescritte e da prescrivere dalla Sede Apostolica”.
Può essere ascritta a merito del Sommo Pontefice anche la disposizione inserita nel Codice ufficiale delle leggi della Chiesa di cui egli ordinò la compilazione, seguendo personalmente i lavori della commissione. Can. 1366, § 2: “I professori, nelle loro ricerche di filosofia razionale e di teologia e nell’insegnare agli alunni tali discipline, siano fedeli al metodo, alla dottrina e ai principi del Dottore Angelico, tenendoli in grande venerazione [Acta Aposto1icae Sedis, IX (1917), pars II, p. 265]. A esso fa riscontro per le scuole dei religiosi il Can. 589, § 1: “I religiosi, dopo essere stati istruiti convenientemente nelle discipline inferiori, allorché compiono gli studi di filosofia della durata di almeno un biennio, e di sacra teologia della durata di almeno un quadriennio, aderendo alla norma del canone 1366, § 2, si applichino con diligenza alla dottrina di san Tommaso, secondo le istruzioni della Sede Apostolica” [Acta Apostolicae Sedis, IX (1917), pars II, p. 128].


5. LA LETTERA ENCICLICA “STUDIORUM DUCEM” DI PIO XI (29 GIUGNO 1923)


Pubblicata in occasione del VI centenario della canonizzazione del santo dottore, il solenne documento richiama con energia le precedenti disposizioni di Leone XIII e Pio X con le ricordate disposizioni del Codex iuris canonici. Il Pontefice precisa che ciò non abolisce la ricerca né proibisce la discussione per quei punti che ancora rimanessero controversi. Il medesimo grande Pontefice, nella costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus del 24 maggio 1931, stabiliva:Art. 29 a: Nella facoltà teologica il posto d’onore sia riservato alla sacra teologia. Inoltre, questa disciplina deve essere insegnata sia con il metodo positivo sia con quello speculativo; perciò, una volta esposte le verità della fede, e una volta dimostrate a partire dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, se ne ricerchi e se ne spieghi l’intima natura razionale secondo i principi e la dottrina di san Tommaso d’Aquino.
Art. 29 b: Si insegni la filosofia scolastica, e in maniera tale da educare gli uditori con una completa e coerente sintesi della dottrina in conformità al metodo e ai princìpi di san Tommaso d’Aquino. Partendo poi da questa dottrina si esaminino e giudichino i diversi sistemi degli altri filosofi” [Acta Apostolicae Sedis, XXIII (1931), p. 253].


6. L’ENCICLICA “HUMANI GENERIS” DI PIO XII (12 AGOSTO 1950)


 Di fronte al dilagare delle nuove filosofie atee, materialiste, esistenzialiste, evoluzioniste, il Pontefice si richiama alla prescrizione del Codex iuris canonici che nelle scienze filosofiche siano seguiti il metodo, la dottrina e i principi del Dottor Angelico: “Giacché, come ben sappiamo dall’esperienza di parecchi secoli, il metodo dell’Aquinate si distingue per singolare superiorità tanto nell’ammaestrare gli alunni quanto nella ricerca della verità; la sua dottrina poi è in armonia con la rivelazione divina ed è molto efficace per mettere al sicuro i fondamenti della fede come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti di un sano progresso


7. DOCUMENTI DEL VATICANO II E DEL POST-CONCILIO


a) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, decreto Optatam totius, n. 16: “[…] Inoltre, per illustrare integralmente quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso per mezzo della speculazione, avendo san Tommaso per maestro”.
b) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, dichiarazione Gravissimum educationis, n. 10: “[…] Si coltivino le singole discipline secondo i propri principi e il proprio metodo, in quella libertà propria della ricerca scientifica […] e […] si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrino nell’unica verità seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente san Tommaso d’Aquino”.
c) SACRA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (1970), n. 86: “[ … ] Ritengano san Tommaso d’Aquino come uno dei massimi maestri della Chiesa [ … ]”.
d) Il nuovo Codice di diritto canonico (1983) sancisce le dichiarazioni del Concilio Vaticano II, trattando dell’istruzione dei chierici: “Vi siano lezioni di teologia dogmatica, radicata sempre nella parola di Dio e nella sacra Tradizione, mediante le quali gli alunni imparino a penetrare più intimamente i misteri della salvezza, seguendo soprattutto la dottrina di s. Tommaso” (Can. 252, § 3).




LE “XXIV TESI TOMISTICHE” APPROVATE DA SAN PIO X



Si approvano alcune tesi contenute nella dottrina di san Tommaso d’Aquino e proposte da alcuni professori di filosofia (Sacra Congregazione degli Studi, 27 luglio 1914).
I. La potenza e l’atto esprimono l’ente in modo che tutto ciò che è, o è atto puro oppure necessariamente risulta di atto e potenza come principi primi e intrinseci.
II. L’atto, poiché è la perfezione, non è limitato se non dalla potenza, la quale è capacità di perfezione. Pertanto nell’ambito in cui l’atto è puro, non può essere che illimitato e unico: ove invece è finito e molteplice, si trova realmente composto con la potenza.
III. Pertanto Dio in quanto è assolutamente lo stesso esse, sussiste in sé unico e semplicissimo; tutte le altre cose, che partecipano dello stesso esse, hanno una natura per la quale l’esse è limitato e pertanto risultano di essenza e di esse come principi realmente distinti.
IV. Il termine “ente”, preso come il participio di esse, non si dice di Dio e delle creature né univocamente né equivocamente ma analogicamente, di un’analogia tanto di attribuzione come di proporzionalità.
V. C’è pertanto in ogni creatura una composizione reale del soggetto sussistente con le forme che la completano e queste, alla loro volta, non si comprendono se non come distinte realmente dalla sostanza.
VI. Oltre gli accidenti assoluti c’è anche la relazione o ad aliquid. Benché l’ad aliquid non significhi, nella sua propria ragione, una realtà inerente alla sostanza, spesso però ha la sua causa nelle cose e pertanto un’entità reale distinta dal soggetto.
VII. La creatura spirituale è nella sua essenza assolutamente semplice. Ma rimane in essa una duplice composizione di essenza ed esse, di sostanza e accidenti.
VIII. Invece la creatura corporale è nella sua stessa essenza composta di potenza e atto, i quali, nella sfera dell’essenza, vengono indicati con i termini di materia e forma.
IX. Nessuna di queste due parti ha un esse proprio indipendente, né si produce o distrugge senza l’altra e ciascuna può essere indicata (in senso derivato) come il principio sostanziale.
X. Benché l’estensione in parti integrali appartenga alla corporeità, tuttavia nei corpi sostanza e quantità non s’identificano. La sostanza infatti, nella sua essenza, è indivisibile non però come un punto matematico, ma come una realtà diversa dalle dimensioni. La quantità poi, che conferisce l’estensione alla sostanza, si distingue realmente dalla sostanza ed è un suo accidente in senso proprio.
XI. La materia, in quanto si estrinseca nella quantità, è il principio d’individuazione ossia della distinzione numerica di un individuo dall’altro nella stessa natura specifica che non può avere luogo negli spiriti puri.
XII. E’ in virtù della stessa quantità che un corpo occupa il suo luogo e uno soltanto, comunque ciò possa avvenire.
XIII. Due sono i regni del mondo corporale: i minerali senza vita e i viventi. Nei viventi, al fine di avere nello stesso soggetto parti che muovono e altre che sono mosse, l’anima, che è la forma sostanziale dei viventi, esige una struttura di organi ossia di parti eterogenee.
XIV. I principi vitali (anime) della sfera vegetale e sensibile non hanno una propria sussistenza né una propria origine, ma sono soltanto il principio che fa essere e vivere il corpo dal quale dipendono completamente e perciò cessano di essere con la corruzione del corpo.
XV. Al contrario l’anima umana è per sé sussistente, la quale è creata da Dio e viene infusa nel corpo che si trova nelle disposizioni richieste e per sua natura è incorruttibile e immortale.
XVI. La stessa anima razionale si unisce al corpo in modo da esserne l’unica forma sostanziale dei medesimo, sì da conferire all’uomo di essere uomo a un tempo, e animale e vivente e corpo e sostanza ed ente. Pertanto è dall’anima che l’uomo riceve tutti i gradi essenziali di perfezione; inoltre, l’anima comunica al corpo l’atto di essere che essa ha in sé.
XVII. Dall’anima procedono per emanazione naturale facoltà di due ordini: quelle organiche e quelle inorganiche; le prime, che riguardano i sensi, hanno per soggetto il composto, le seconde l’anima soltanto. Pertanto l’uomo gode di una facoltà intrinsecamente indipendente dall’organismo.
XVIII. All’immaterialità consegue necessariamente l’intellettualità, così che maggiore è l’immaterialità e maggiore è, di conseguenza, l’intellettualità. L’oggetto adeguato dell’intendere è in genere lo stesso ente. L’oggetto proprio dell’intelletto umano nel presente stato di unione è costituito dalle quiddità astratte dalle condizioni materiali.
XIX. Quindi noi riceviamo la conoscenza dalle cose sensibili. Poiché poi il sensibile non è intelligibile in atto, tocca ammettere nell’anima ‑ oltre l’intelletto che intende formalmente ‑ una facoltà che astragga le specie intelligibili dai fantasmi.
XX. Queste specie ci fanno conoscere direttamente gli universali; i singolari li attingiamo sia con i sensi sia anche con l’intelletto mediante la collaborazione delle rappresentazioni; alle realtà spirituali poi ci eleviamo per analogia .
XXI. All’intelletto fa seguito, non precede, la volontà, la quale di necessità tende a ciò che l’intelletto le presenta come bene e che soddisfa appieno la sua aspirazione; ma fra i molti beni che con criterio mutevole le vengono proposti, essa sceglie liberamente. La scelta poi consegue l’ultimo giudizio pratico, ma che sia l’ultimo, ciò dipende dalla volontà.
XXII. Che Dio sia, non lo percepiamo con un’intuizione immediata, né lo dimostriamo a priori, ma propriamente a posteriori, cioè a partire dalle cose create, argomentando dagli effetti alla causa: cioè dalle cose che si muovono e non possono essere il principio adeguato del proprio movimento, al primo motore immobile; dalla subordinazione delle cause che si osserva nella natura, alla prima causa incausata; dalle cose corruttibili, che perciò possono essere e non essere, all’Ente assolutamente necessario; dalle perfezioni di essere, vivere, intendere che si presentano secondo gradi di più e meno, a Colui che è, vive e intende in grado supremo; infine dall’ordine dell’universo a un Intelletto separato che ha ordinato le cose, le ha ordinatamente disposte e le dirige al loro fine.
XXIII. L’essenza divina, in quanto è identica al suo stesso esse in atto, ossia in quanto è sussistente in forza di questo ipsum esse, viene a noi bene proposta nella sua ragione metafisica, la quale a sua volta ci dà anche la ragione dell’infinità delle sue perfezioni.
XXIV. Pertanto Dio si distingue da tutte le cose finite grazie alla purezza del suo esse. Da questo consegue anzitutto che il mondo non ha potuto derivare se non per creazione; di conseguenza a nessuna creatura finita può essere comunicabile la virtù creativa che per sé e anzitutto produce l’ens in quanto ens; infine, nessun agente creato può influire sull’esse di qualsiasi effetto se prima non è mosso dalla Causa prima.