Il Grande Giubileo e il tempo

…Il Giubileo e i problemi dell’ora presente, di P. Lorenzo, monaco eremita camaldolese…  

Il grande Giubileo e il problema dell’ora presente


Fra Lorenzo, monaco sacerdote


Carissimi. Finalmente il Grande Giubileo dell’Anno 2000 è giunto e anche noi dell’Eremo desideriamo unirci al coro della Chiesa per ringraziare e lodare il Padre della luce, dal quale discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto (cf Gc 1,17); il Figlio che si fece carne, venne ad abitare in mezzo a noi e sul cui volto è la luce della conoscenza della gloria divina (cf 2Cor. 4,6); lo Spirito Santo che manda a noi dal cielo un raggio della luce fluente della divinità, luce beatissima che invade nell’intimo il cuore dei fedeli (cf Sequenza di Pentecoste).


Quella luce è apparsa, splendendo nelle tenebre, quando, 2000 anni fa, nella grotta di un piccolo paese della Giudea, Betlemme, è nato Gesù da Maria Vergine. E’ l’avvenimento che la Chiesa si appresta a celebrare varcando la soglia del terzo millennio: “L’incarnazione del Figlio di Dio e la salvezza che egli ha operato con la sua morte e risurrezione sono il vero criterio per giudicare la realtà temporale e ogni progetto che mira a rendere la vita dell’uomo sempre più umana” (Bolla di indizione del Grande Giubileo, Incarnationis mysterium, 1).
E’, così, anche il motivo centrale del Giubileo, che riprende l’invito – richiamo che il S. Padre rivolge a tutta la cristianità e al mondo intero dall’inizio del suo pontificato: lasciatevi riconciliare con Dio, fate penitenza e convertitevi al vangelo!


E’ inutile ricordare la straordinaria importanza di questo Anno Santo: già molti lo stanno facendo; importanza accresciuta dal fatto che la Chiesa riverserà sui suoi figli, con abbondanza, la grazia dei perdono di Colui che è ricco di misericordia attraverso il dono dell’indulgenza. Ma non inutile, mi sembra, ricordare che non si tratta solo della straordinarietà di un anno giubilare, ma anche dell’ora presente.
“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. (Gv 1,5.11).
L’apparire di questa luce non ha solo fatto avanzare la notte e avvicinare il giorno, risvegliando nell’uomo il desiderio della cerca della figliolanza divina; ha anche scatenato le tenebre che hanno fatto apparire il drago che: “si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato”. (Ap 12,4)


Nell’ora presente stiamo assistendo ad uno scatenamento delle tenebre tale che, forse, mai prima d’ora era avvenuto in 2000 anni di cristianesimo. Fosse anche solo per il fatto che grazie ai mezzi di comunicazione sociale sempre più sofisticati ormai “tutto il mondo è paese”, è in gioco l’avvenire di tutta quanta l’umanità!
Sua Santità Papa Giovanni Paolo Il pubblicò nel 1986 l’Enciclica sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e dei mondo affermando che: “La resistenza allo Spirito Santo, che S. Paolo sottolinea nella dimensione interiore e soggettiva come tensione, lotta, ribellione che avviene nel cuore umano, trova nelle varie epoche della storia e, specialmente, nell’epoca moderna la sua dimensione esteriore, concretizzandosi come contenuto della cultura e della civiltà, come sistema filosofico, come ideologia, come programma di azione e di formazione dei comportamenti umani. Essa trova la sua massima espressione nel materialismo…che “in linea di principio e di fatto esclude radicalmente la presenza e l’azione di Dio, che è spirito, nel mondo e soprattutto nell’uomo…” (DV 56).
Da questo materialismo derivano, così, modi di pensare e di agire; questi “nella nostra epoca sono riusciti a penetrare fin nell’intimo dell’uomo, in quel santuario della coscienza, dove lo Spirito Santo immette di continuo la luce e la forza della vita nuova secondo la libertà dei figli di Dio…”; inoltre, tali modi di pensare e di agire, “anziché favorire lo sviluppo e l’espansione dello spirito umano, finiscono per strapparlo alla genuina verità del suo essere e della sua vita per sottometterlo al principe di questo mondo” (DV60).


Non si assiste oggi, forse, a qualcosa di più? Ad una, cioè, cosciente e quasi irresistibile volontà di liberarsi una volta per sempre della persona del Signore Gesù?
L’umanità vive profondamente immersa nella mondanità, in quello spirito del principe di questo mondo richiamato dal Papa; l’uomo è più che mai intento alla costruzione dei suoi paradisi artificiali e virtuali e delle sue torri di Babele. L’ultima? Si sta indaffarando in una località chiamata Maastricht!


Ma allora se è così da sempre, se ripercorrendo la storia troviamo che l’uomo ha sempre tentato di costruirsi torri le cui cime toccassero il cielo (Cf Gn 11,4), si può ripetere il detto del saggio: “non c’è niente di nuovo sotto il sole!” (Qo 1,9); perché allora allarmarsi tanto?


Eppure, forse, a qualcosa di nuovo stiamo assistendo. Qualche pensatore di questo secolo ha cominciato a parlare di una sorta di “mutazione qualitativa dell’uomo”!
L’uomo ha fatto della mondanità non più solo una filosofia, un’ideologia, ma una vera e propria fede, nel senso che si dà al concetto di fede nella dottrina cristiana.
Vive la sua vita spirituale – pseudo vita spirituale – nutrendolo di quella fede – pseudo fede – partecipando così non della luce – verità divina, ma delle tenebre di un mondo nettamente separato dalla sua Origine divina.
Alla fine si è come rivestito delle forme e della materialità dello spirito mondano e secolarizzato.
E’ questa la “mutazione qualitativa “, esito ultimo di tale processo: l’uomo non diventa disperato nel corso della sua vita in seguito ad esperienze negative; nasce disperato!


Alla disperazione esistenziale segue inevitabilmente la tristezza; la leggiamo in modo sempre più evidente sui volti delle persone, perfino su quelli dei bambini: si nasce disperati, tristi e si muore. “La tristezza dei mondo produce la morte” (2 Cor 7,10).
A questo genere di tristezza, S. Paolo, contrappone una tristezza che produce la vita: “la tristezza secondo Dio produce un pentimento, irrevocabile che porta alla salvezza” (2 Cor 7,10).
E’ precisamente il primo passo che siamo chiamati a compiere per passare dal peccato alla grazia, ed è uno degli elementi di cui è ricco lo spirito del Grande Giubileo.
L’uomo deve sinceramente pentirsi di essersi privato della comunione con Dio, di aver frantumato quella con il fratello, di essersi attaccato in modo malsano alle creature per mezzo del peccato (cf Incarnationis mysterium, 10); deve riallacciare la sua vita al Padre, sorgente della Vita, ricostruire la comunione nell’amore con il fratello, riportare il mondo creato al suo Creatore; purificarsi dalle tenebre della mondanità accogliendo la luce della grazia sanante del sacramento della riconciliazione. Deve chiedere perdono!
“Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano i tuoi occhi aperti giorno e notte verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: Lì sarà il mio nome! Ascolta e perdona” (1 Re 8,29-30).


Questo passo pone l’uomo nel pellegrinaggio, segno che l’Incarnationis mysterium pone quale principale attestazione della fede del popolo cristiano e come elemento peculiare, del Grande Giubileo.
Esso ricorda all’uomo la sua condizione di pellegrino sulla terra, in cammino verso la sua vera patria: la casa del Padre. Noi ” non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14). Non dobbiamo però considerare questa condizione umana prima di tutto come qualcosa di esteriore, poiché designa invece l’intima costituzione dell’essere della creatura, il profondo “non ancora” che tende ad un compimento. Ed è proprio qui che si innesta la speranza, antidoto a quella disperazione nella quale viene a trovarsi il “neonato mondano”.
La speranza che assicura all’uomo che il suo compimento si realizza nella felicità e che questa si trova in Dio e nella partecipazione della sua vita beata, della Luce che viene dall’alto: la Bellezza divina. “Vidi poi un nuovo cielo e una terra nuova… Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che diceva “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Non ci sarà più la morte, ne lutto, ne lamento, ne affanno. Non ci sarà più maledizione, non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada ne di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli”. (cf Ap 21,1-4, 22,3-5).


Il pellegrino che ha iniziato il suo itinerario e che ha intravisto la meta, a questo punto non può fare a meno del nutrimento del pane celeste, l’Eucaristia: anticipazione e pregustazione della Luce e della Bellezza divina, “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Cv 6,56); non può fare a meno del libro che sempre ha con se un pellegrino: la Bibbia; non può non farsi prendere per mano dalla dolce Guida, Colei che nell’obbedienza piena al Padre ha generato nella carne il Figlio, accogliendo il seme divino dello Spirito Santo; Colei che, proteggendolo nel santo viaggio, lo libera dalle insidie del drago e gli indica la via che conduce al Figlio.


Così pieno di inesprimibile gioia corre, il pellegrino, dimentico del passato e proteso verso il futuro, gridando incessantemente: “Vieni, Signore Gesù”. “Sì, verrò presto. Amen” (Ap 22,20).


© Eremo camaldolese B. V. del Soccorso – 55034 Minucciano LU
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