I corpi morali sotto l’influenza del teorema della libertà economica.

Di p. L. Taparelli d'Azeglio S.J.  – 13. Doppio centralismo: il violento. – 14. L'unità naturale – 15. Il vizioso mira al bene proprio e sacrifica gli amministrati. – 16. Se ne trae una regola di giusta libertà. – 17. Il centralismo belgico nella abolizione degli Octrois. – 18. Modello di unità sincera il governo della Chiesa. – 19. Influsso di questo governo in favore della libertà Comunale. – 20. Facilità di fallire a questa regola. – 21. Danni che ne consieguono in favore della rivoluzione. – 22. Centralismo politico, larghezza amministrativa. – 23. Riserve in favore del diritto censorio. – 24. Conclusione. – 25. Spiriti diversi dell'unità cattolica e del centralismo eterodosso.

I CORPI MORALI SOTTO L'INFLUENZA DEL TEOREMA DELLA LIBERTÀ ECONOMICA
«La Civiltà Cattolica», 1860, a. 12, Serie IV, vol. IX, pp. 257-273

§. II. Il Centralismo.
SOMMARIO

13. Doppio centralismo: il violento. – 14. L'unità naturale – 15. Il vizioso mira al bene proprio e sacrifica gli amministrati. – 16. Se ne trae una regola di giusta libertà. – 17. Il centralismo belgico nella abolizione degli Octrois. – 18. Modello di unità sincera il governo della Chiesa. – 19. Influsso di questo governo in favore della libertà Comunale. – 20. Facilità di fallire a questa regola. – 21. Danni che ne consieguono in favore della rivoluzione. – 22. Centralismo politico, larghezza amministrativa. – 23. Riserve in favore del diritto censorio. – 2i. Conclusione. – 25. Spiriti diversi dell'unità cattolica e del centralismo eterodosso.

13. Formato colle precedenti considerazioni un giusto concetto della ragionevole indipendenza dei corpi, ossia persone morali che costituiscono l'organismo di una società, ne sgorga per legittima conseguenza la vera idea di due specie di Centralismo che formano nella Società ora l'unità necessaria e naturale, ora l'unità perniciosa e violenta.
Accade in tale materia, come per tutt'altrove, che la bontà di una merce sveglia la brama di falsificarla. Si falsificano le monete, le carte, le medaglie, le edizioni… tutto insomma che possa aver pregio: il perché? Perché le vere sono stimate un tesoro. Ora il massimo dei tesori per una moltitudine qualunque è il potersi ridurre ad unità; il massimo dei vanti per chi ama la patria è il procacciargliela, giacché cotesta unità moltiplica le forze, moltiplica i beni che con esse si consieguono, moltiplica la sicurezza di possederli. Qual meraviglia che si ami l'unità sociale? Qual meraviglia, che l'ambizione e il dispotismo tentino di contraffarla? E se l'intera società ne gode, quanto più dee goderne un governante, ambizioso che, raccolte in sua mano tutte le redini, senta concentrate nel suo pugno tutte le forze di milioni di cittadini! Dall'immenso bene adunque dell'unità sociale è nato il desiderio d'un incentramento violento, specialmente quando si è mirato il bene sociale coll'occhio dell'utilista; il quale, non conoscendo altro bene che il materiale, che si ottiene principalmente coll'indefinito aumento delle forze fisiche, quante più braccia può congiungere in uno sforzo, tanto maggior bene crede aver conseguito per la patria, qualunque poi sia lo sconcerto morale con cui lo ha conseguito. (Vedete, dicono certi politici, immensa forza che acquistò la Francia dopochè Napoleone I, sottrattala, materia informe ed inorganica, al macello dei Giacobini, organò quel meccanismo sterminato di ufficii e di ufficiali, che prende il nome infrancesito di burocrazia!» (1). Così dissero fra gl'Italianissimi quegli unitarii che, vanno fabbricando l'unità italiana colla abolizione, dicono, delle grettezze municipali. «Se a noi riesce di congiungere in uno 26 milioni d'uomini, che sì che anche l'Italia saprà far rispettare i suoi confini e la sua bandiera. A dir vero sarà mestieri per questo sacrificare a migliaia le vittime, violare sfrontatamente ogni diritto calpestare scelleratamente la religione e il suo Gerarca. Ma che importa? L'Italia sarà fatta, sarà grande, sarà forte, perché sarà una». Ecco, come vedete, una unità che calpesta il diritto ed offende per conseguenza la natura umana: ecco un'idea mostruosa e gigantesca di quello, che suol dirsi nel mal senso, il centralismo. Esso peraltro non arriva sempre a coteste enormità: la condizione sua ordinaria e l'essenza che la costituisce dimora nel formare una unità violenta, calpestando il diritto delle parti senza colliderlo.

14. Spieghiamoci. Abbiamo detto più volte non essere possibile unità sociale, senza qualche sacrifizio di libertà: giacché dall'un canto la congiunzione non può farsi senza vincolo che congiunga: dall'altro chi si congiunge con altri a formare unità dee rassegnarsi ad esser parte, e per conseguenza a perdere l'indipendenza totale di azione. Quando dunque il governante chiede alle corporazioni secondarie quel sacrifizio di libertà necessario a congiungerle in una sola operazione politica, il suo diritto, o piuttosto il diritto che esse hanno a costituire cotesta unità politica collide quel che avrebbero, isolate, ad usare tutta la pienezza della libertà (2). E poiché il primo diritto prevale al secondo, e per la grandezza del bene che si ottiene e perché questo si estende a tutti gl'individui associati, nella collisione il primo diritto fa tacere il secondo. In tal caso dunque l'unità sociale chiede un sacrifizio che non offende la natura umana, ossia la ragione, il diritto.

15. Nel centralismo all'opposto che cosa accade? Accade che il potere centrale ordina il sacrifizio delle parti, non già al bene delle parti medesime considerate nel tutto, ma al bene dell'Io STATO (l'état c'est moi) che vuole ottenere a qualunque costo una insuperabile onnipotenza all'arbitrario suo volere. Ed ecco il vizio finale, il primo gran vizio del centralismo: Siccome poi a questa onnipotenza ogni diritto può riuscire ostacolo, ostacolo possono riuscire anche quei diritti che costituiscono l'essenza medesima delle società inferiori (il diritto p. e. della famiglia ad educare la prole, del Comune a provvedere colle proprie ricchezze ai proprii interessi) (3).
In questi casi l'intolleranza di qualsivoglia resistenza ai suoi capricci conduce il despotismo centrale a calpestare ogni diritto, e per conseguenza a distruggere, come pocanzi abbiamo notato, le corporazioni appunto (famiglia, comune, associazioni religiose ecc.) che egli dovrebbe congiungere in unica società; val quanto dire, gli elementi stessi o le parti integranti della propria esistenza (4)

16. Dimenticanza del fine legittimo, distruzione delle membra costitutive, ecco i due difetti gravissimi, pei quali il centralismo si distingue dalla legittima unità sociale; e che possono somministrare qualche regola per segnare i limiti fra la giusta libertà e l'indebita indipendenza in economia come in tutto l'ordine politico. L'intromissione del Governo nelle cose economiche mira ella a formare quella unità politica, senza cui la società verrebbe meno? Impone p. e. le tasse necessarie pel mantenimento degli ufficiali, dell'esercito, della magistratura, dell'amministrazione pubblica? Queste sono funzioni tutte proprie del potere centrale: il fine è di assoluta necessità pel bene dell'unità sociale; dunque egli opera legittimamente, purché sieno salve nelle essenziali loro funzioni le parti integranti della società. Vuole egli all'opposto assumere o rendere impossibili quelle funzioni, da cui dipende resistenza e l'essere delle parti integranti della famiglia, del Municipio ecc. ? Egli offende il diritto che hanno queste ad esistere ed operare. Il principio è così evidente, che eziandio gl'Italianissimi, in quel loro mostruoso dispotismo unitario, di che abbiamo testé favellato, credettero necessaria la commedia dei suffragii universali, delle annessioni volontarie, per serbare almeno in apparenza un qualche rispetto ai diritti delle società preesistenti.

17. Coteste peraltro le sono lustre ed ipocrisie: il partito liberalesco è, come pocanzi abbiamo notato col Bechard, essenzialmente centralizzatore, essenzialmente dispotico. Egli non sarebbe disposto a concedere larghezze di libertà, se non in quanto fosse certo che non potranno usarsi per esautorarlo. Or qual è quel partito che possa sperare di perpetuarsi al governo, concedendo a tutti gli altri partiti una libertà verace? Il centralismo dunque dee promuoversi ovunque i libertini trionfano: e senza cercarne altri esempii nella politica della Spagna o del Piemonte, ne abbiamo ad uso degli economisti un memorando spettacolo nella legge testé stanziata dal Parlamento belgico per sopprimere tutti i dazii comunali. Quale spettacolo, sclamava in quelle camere il Thibaut, quale spettacolo vedere i Comuni che si rallegrano d'essere ridotti alla servile condizione di stipendiati! Dei consigli comunali che gioiscono al vedersi posti sotto tutela! Aveano meritato cotesto smacco i Comuni del Belgio? interrogava nel 1856 un altro Deputato: questi Comuni che colle libere istituzioni del medio evo amministrandosi da sé medesimi, tanti monumenti ai posteri tramandarono e materiali e morali nell'ordine civile e religioso che formano l'ammirazione della generazione presente! Il diritto di far da sé medesimi i proprii interessi è pel Comune come per la nazione la più vitale delle libertà, base delle altre tutte: e il ridurre i consigli municipali alla meschina funzione di ricevere dalle mani del Governo più o men copiosa la pietanza da distribuire è, diceva Orazio Say, un passo di più nel sistema del Comunismo, a cui ci sospinge pur troppo l'incentramento amministrativo (5).
Sì purtroppo, i Governi si sono ormai accollata tutta l'attività che era in altri tempi distribuita o per incitamento di natura, o per umane istituzioni sulle spalle di tutta la popolazione: essi combattono pel popolo nell'esercito, moraleggiano per lui nella polizia, per lui pensano nel giornalismo, per lui amministrano nel debito pubblico, per lui educano nel pubblico insegnamento, per lui fabbricano religione al Ministero dei culti, per lui fanno carità nella pubblica beneficenza: insomma siamo giunti al punto che tutta l'attività sociale risale al centro, per ricaderne in rugiada benefica sulle membra privilegiate. Togliete ai Comuni ogni imposta e ogni esazione per concedere anche questo al Governo, e vedete quale avanzo d'esistenza indipendente potrà rimanere al popolo. Certamente, dice il lodato Passy, la libertà locale non dee nuocere al bene comune: ma neppure la difesa del bene comune dee giungere alla soppressione d'ogni iniziativa locale. La commune ne peut, en vue de pourvoir à sa vie intérieure, prendre des mesures qui aient un caractère général. L'État ne peut pas davantage, sous le couvert du bien général, prendre des mesures d'un caractère communal (pag. 443).
L'abolizione dei così detti Octrois era certamente, conclude il Passy col Puynode, un gran bene, non essendovi peggior dazio di cotesto; ma il bene dell'abolirlo non compensa a pezza la perdita delle libertà comunali. Si potea lasciare ai Comuni stessi la cura di sostituire altra gravezza agli Octrois; si poteva introdurre un sistema di tasse locali specificate per modo, che ad ogni tassa si vedesse contrapposto l'impiego utile a cui è destinata: si potea rilasciare ad ogni Comune il proprio testatico. Ogni altro modo insomma poteva adoperarsi, anziché l'incentramento: e sia detto a lode degli oppositori, essi mostrarono una condiscendenza edificante nell'offerirsi pronti ad ogni equa composizione. Solo il Ministro, gli rimprovera il Dumortier, nel corso della lunga discussione ricusò costantemente ogni concessione, quasi volesse che la sua legge passasse qual monumento cui niuno fuor di lui avea posto la mano. L'intento è ottenuto; ed egli ha fatto prova di perseveranza, d'ingegno, di potenza. Ma ha egli provato del pari amor patrio, moderazione e prudenza?

18. Così conclude il Passy quella bella scrittura intorno al trionfo del centralismo nel libero Belgio, la quale noi raccomandiamo agli studiosi di economia sociale che bramano vedere nella pratica l'importanza delle dottrine che qui andiamo spiegando. A chi poi bramasse, non un esempio dei vizii, in cui può degenerare il centralismo, ma un bel modello di quell'unità sociale che tutte collega strettamente le parti, lasciando frattanto a ciascuna quella libertà pienissima che nelle faccende proprie naturalmente le compete; qual modello più perfetto potremmo noi additare che l'organismo di quella società universale, cui la Sapienza infinita istituì sulla terra, e lo spirito di verità e di giustizia avviva, conserva e governa? In essa le autorità della famiglia, del Comune, della Provincia, dello Stato hanno il loro riscontro perfettissimo nel parroco (6), nel Vescovo, nel Metropolitano, nel Primate o Patriarca; sottoposti tutti quanti a quell'autorità suprema del Pontefice Romano, in cui tutti riconoscono un diritto che non ha pari sulla terra, il diritto di regolare infallibilmente le opinioni, oltre quell'autorità sì riverita di condurre praticamente e senza appello la disciplina della cristiana società. Potreste voi, non dico trovare sulla terra, ma solo ideare maggiore potenza? Eppure . sotto il Governo di una tale autorità, tutte le società minori sono sì libere a muoversi nell'orbita lor propria, che i nemici del Papato hanno adoperata come arma cotesta libertà per negare nei primi secoli l'autorità stessa del Pontefice: ed anche dopo le erudite dimostrazioni degli apologisti cattolici, degli Orsi, dei Bianchi, dei Zaccaria, dei Bolgeni ecc. sorgono a dì nostri erudituzzi da trivio a novellarci che l'autorità papale incominciava in Ildebrando, in Innocenzo o simili. Avvezzi a non conoscere autorità, se non dove è un esercito di ufficiali burocratici e una tutela che inceppa ogni movimento dei sudditi, costoro prendono la libertà di questi nella Chiesa per una anarchica indipendenza. Ma il vero è che, quando il superiore rispetta tutti i diritti dei subordinati, egli viene esonerato da questi di mille pesi inutili che opprimono il centralismo, serbando peraltro tutta la forza della unità sociale, ottenendo colla autorità la cooperazione di tutti all'ordine universale.

19. Ed è questo appunto il bel tipo che ci viene somministrato dal reggimento della Chiesa cattolica: il cui spirito ridondando, come è naturale, anche nel governo temporale produsse la gran riverenza alle istituzioni municipali che dal Tournon, giudice sicuramente imparziale, vennero tanto ammirate negli Stati pontificii cui quegli governò sotto l'usurpazione napoleonica. Egli dopo averci detto che il Buon Governo in Roma non seulement independant du pouvoir ministeriel, mais souvent en opposition avec lui, forme une institution fort remarquable sous un gouvernement absolu; parlando poi delle altre città e comuni soggiunge: les autres villes et villages jouissent d'un veritable regime municipal; puisque etc… Ce mode d'administration municipale, evidemment emprunté au système français (oh! davvero?), étonnera ceux qui croient que dans là Etats du Pape tout est soumis à l'arbitraire et au bon plaisir. Compatite quell'emprunté che tutti i Francesi certamente non ammetteranno: nel rimanente voi vedete come la libertà cristiana trasudasse naturalmente nella libertà civile per confessione anche di chi conobbe gli Stati pontificii quarant'anni prima del regno di Pio IX (7) E la ragione intima la possiamo avere dal Béchard di anzi citato, il quale nel capo sesto (pag. 78 e seg.) ragiona saviamente dell'analogia che passa fra parrocchia e Comune: analogia che splende anche nel fatto storico che ci dimostra i paesi governati a Comune molto più remoti, dic'egli, dalle eresie del secolo XVI, che gli Stati governati più strettamente a ragione feudale. L'Angleterre et l'Allemagne en furent surtout infestees. La France en fui atteinte à demi; l'Italie et l'Espagne en furent complétement préservees, tant il est vrai qu'il y a entre l'esprit de cité et l'esprit religieux, entre la paroisse et le municipe, une étroite liaison!… (pag. 80 e 81). Se tanta è l'analogia fra lo spirito religioso della parrocchia e quel del Comune, qual bisogno avea Roma di cercare un modello in Francia? E se ve l'avesse cercato, che cosa avrebbe ella trovato? Continua a dirvelo il Béchard medesimo (pag. 86). En France… la paroisse n'est pas plus libre que la commune. Les intérets de la religion y sont comme ceux de la cité, sous la dépendance presque exclusive des agents du pouvoir central. Tutto è centralismo in Francia. Non dunque dalla Francia, ma dalla naturale propensione della Chiesa a rispettare ogni diritto, nacque negli Stati Pontificii la conservata libertà dei Comuni: e sarà questo sempre il genio della Chiesa; sarà questo per lei un vanto di perpetua preminenza per una ragione evidente ed intima: la Chiesa comanda alle coscienze, e però ha molto minor bisogno d'incatenare con legami amministrativi.

20. La mancanza della debita riverenza ai diritti delle inferiori comunanze è uno di quei difetti che più caldamente vorremmo raccomandati alla meditazione dei politici e dei pubblicisti, se agli occhi loro giungessero queste nostre considerazioni; non solo per la grande facilità di fallire a tal debito, ma eziandio per le gravissime conseguenze che da questi falli risultano.
Facilissimo è in primo luogo trasandare questi doveri per quella naturale inclinazione che ha ogni uomo a pretendere influenza, ogni influenza a dilatare la sua sfera. Questa naturale inclinazione all'ingrandirsi, che degenera sì facilmente in ambizione, ha nei governanti: una grande apparenza di bene, di zelo, di necessità; cotalchè lungi dal recarselo a coscienza è facilissimo che si rechino a coscienza il non eccedere: essendo evidente che ad ogni colpa che si commette nella comunanza, un governante bramoso del pubblico bene dice tosto a sé medesimo: «Io non avrei permesso un tal fallo. Dunque debbo intromettermi nelle società inferiori, affine d'impedirne la ripetizione»: quasi chi disapprova i difetti altrui fosse perciò subito sicuro di ripararvi, senza cadere in altri peggiori. Così le intrusioni non hanno termine essendo nel gran numero delle società inferiori necessariamente frequenti le mancanze; e coteste continue intramettenze producono l'inceppamento universale; sempre pel desiderio, e spesse volte sincero, di ottenere il maggior bene.
E così crediamo (senza esserne grandi ammiratori) procedessero forse i due Lorenesi Re Sacrestani; né oseremmo assolutamente negare che Giuseppe II e Leopoldo I sperassero di fare il bene, quando contavano le candele che faceano accendere in chiesa e i tocchi della campana che lasciavano dondolare sul campanile. I dabben uomini non contano, anzi non veggono i molti sconci che si accoppiano a quel menomo vantaggio: e specialmente non comprendono essere assai minor male tollerare qualche abuso di un diritto, che violarne l'esistenza; giacché i falli di chi abusa il proprio diritto; salvando il principio del diritto medesimo, danno campo alla correzione; laddove chi rapisce il suo diritto al proprietario perché non ne abusi, distrugge il principio stesso della proprietà ed insegna a calpestare il diritto: insegna a facere mala ut eveniat bona.

21. Di che ognuno vede, la colpa di cui ragioniamo, benché facilissima a palliarsi, essere però gravissima e nocevolissima, né crederemmo renderci colpevoli di esagerazione, se asseverassimo l'intramettenza indebita dei superiori negl'interessi degli inferiori essere una forse delle cause più efficaci a trarre anche i dabbene a parteggiare per l'odierno scompiglio sociale. E ciò in primo luogo perché, secondo il detto poc'anzi, quell'intramettenza è disordine, scompiglio, rivoluzione in sé stessa, essendo quasi un'abolizione del principio di ordine ipotattico: «se tu mi togli il mio, dice al governante la società inferiore, perché non posso io togliere il tuo?»
E questa ritorsione d'argomento, che il popolo non farebbe forse per via di raziocinio, viene a lui ispirata dal sentimento, ogni qualvolta si accorge che con proprio danno i suoi interessi domestici, municipali, religiosi ecc., vengono liberamente maneggiati dal potere politico. «Se tutto ciò che mi tocca più da vicino (dice in cuor suo il rozzo, il campagnuolo) tutto viene disposto dal governante supremo, hanno dunque ragione quei barbassori politici che, nella farmacia del mio villaggio o sulle panche del nostro caffè, insegnano toccare al popolo. regolare i governanti supremi. Se io non mi prendo questa briga, come potranno costoro dalla Capitale regolare i miei interessi, a cento o ducento miglia di distanza, meglio di me che li veggo e tocco sul luogo stesso?» Ed ecco nascere nel popolo la smania di poteri politici per le soverchie intromissioni del potere politico nelle faccende comunali.
E di vero, che cosa è l'amministrazione sotto le influenze del centralismo? Ne abbiamo una descrizione, rispetto alla Francia, nel Béchard, di cui compendieremo qui alcuni tratti. Dopo averci detto come il Ministro corrisponde con tutti i Prefetti: qual sarà, domanda, l'amministrazione incentrata nella prefettura? Il suo ufficio Bureau è un picciolo ministero, anzi un compendio di tutti i ministeri, giacché con tutti i Ministri corrisponde il Prefetto. Né solo per le faccende civili, essendo egli inoltre e principalissimamente un uomo politico, un uomo di parte, un procuratore di elezioni. Straniero al dipartimento a cui appena si mostra, tracciando fortuna migliore, egli si fa stromento d'intrighi ministeriali e macchina da firme. Con tanto ingombro di faccende, è mai possibile che egli entri nelle minutezze innumerevoli, in cui si diramano le generali sue attribuzioni? Sarebbe stoltezza il pensarlo. No, non è il Prefetto quel che amministra, sono i commessi, scelti, pagati, licenziati ad libitum. Gli stessi capi d'officio secondarii non reggono alla mole degli scartafacci loro commessi; cotalché cadendo d'una mano in altra, gli affari arrivano finalmente a regolarsi dall'infimo di quegli stipendiati, i quali tutto riducono ad una materiale regolarità, ma senza alcuna premura pei diritti, per gl'interessi dei loro amministrati. Cotesti eserciti di salariati consumano i loro giorni a registrare domande e pareri, corrispondenze e controlli. Privi d'autorità, d'iniziativa, d'indipendenza ed affrancati d'ogni responsabilità, pure di tutto decidono, mentre i Ministri soli responsabili spendono tre o quattr'ore a firmare documenti che non hanno letto, o ad ascoltare sollecitatori, di cui neppure conoscono il nome, Così, non ostante la geometrica regolarità delle scritture, tutto va in rovina nei Comuni, strade, ponti, canali, istruzione, beneficenza ecc. senz'altro vantaggio, che di empire l'erario coi sudori del popolo spandendoli poscia in pioggia benefica sopra 500 mila ufficiali, mentre milioni di lavoranti gemono nell'inerzia (8). Qual meraviglia che il popolo in Francia se la prenda col Governo e voglia da sé regolare gli affari politici colla speranza di rimediare alle disdette economiche. L'argomento del diritto sarebbe per sé calzante: aggiungeteci l'affetto, la passione, l'interesse; e vedrete qual forza deve acquistare nel cuore del rozzo, del campagnuolo. Se a costoro non si fosse parlato mai d'altro che delle vaporose idee di unione federativa, di nazionalità, di sedere al banchetto delle nazioni, vorremmo vedere se i popoli si sarebbero commossi. Ma quando si tocca il sale e il macinato, i dazi comunali, la tassa del pane, il linguaggio è intelligibile a chicchessia e l'intelligenza partorisce la commozione.
Sicché se volete chiudere l'era delle rivoluzioni, chiudete quella delle indebite ingerenze, e lasciate (ve ne dà oggi (9) un bell'esempio il Governo austriaco) lasciate che ogni legittimo consorzio secondario, guidato dalla propria ragione ordinatrice, ottenga liberamente coll'uso dei mezzi suoi proprii il fine legittimo, al quale aspira. E ne avrete l'altro emolumento preziosissimo, che dall'imo al sommo della scala sociale si formeranno a poco a poco abili governanti. I quali come potrebbero formarsi, se non hanno l'esercizio del governo?
O come avere quest'esercizio, se non ne hanno il diritto? De méme, dice il Passy nel citato Corréspondant (pag. 440) qu'on abandonne aisément le droit de faire ce qu' on ne se sent pas le courage ou le talent de bien faire, de méme on désapprend promptement l'art de bien faire ce qu'on n'a pas entièrement le droit de faire.
Questi minori governanti poi, ciascuno nel grado suo proprio, avendo un appagamento legittimo della naturale ambizione, saranno affezionati all'ordine presente, né brameranno perderne il bene certo per un incerto avvenire. Laonde saviamente il Bechard (Cap. 8, pag. 107): «l'affrancamento dei Comuni (i quali in Francia sono poco meno che incatenati dal Governo centrale) può procurare alle classi laboriose quei vantaggi che si domanderebbero indarno allo Stato e al suo bilancio; e divenire rispetto all'ordine politico una specie di sfogo per le passioni sovvertitrici.» Un capo di confraternita che padroneggi liberamente dal suo banco in chiesa, un consiglio comunale che provveda realmente ai bisogni del Comune, governano ciò che da vicino li tocca e si credono per conseguenza uomini di prima importanza. Né forse hanno torto: ché in fine dei conti, che importa all'uomo governare ciò di che non sente alcuna influenza e non raccoglie alcun frutto?

22. Ecco perché oggigiorno in Francia, dopo lunghe e miserande esperienze di centralismo e di anarchia, si esclama da molti savii pubblicisti: «centralismo in politica, larghezza nell'amministrazione!» (10) Questo grido dell'esperienza può dirsi una formoletta che compendia queste nostre dottrine, colle quali all'ordinatore supremo sono raccomandati gl'interessi che riguardano l'intera comunanza, a condizione che lasci gl'interessi particolari ai particolari provveditori.

23. Ben inteso che tra i provvedimenti della prima specie vuolsi annoverare eziandio quel potere moderatore o censorio, con cui l'autorità suprema dee contenere nell'ordine, come poc'anzi udimmo dal Passy, le secondarie. Il che è uno dei grandi vantaggi che queste ottengono quando si congiungono per formarne una più vasta. La famiglia può trovare nel Comune un rimedio ai disordini di un padre snaturato o prodigo: il Comune nello Stato un correttivo al fallo del suo sindaco o dei suoi oligarchi: uno Stato nella Confederazione un freno ad eccessi di potere nel Principe o nei Ministri ecc. Ma tutte coteste ingerenze sono accessorie, o eccettuative, come il castigo dei privati: i quali non cessano di essere liberi nella persona e padroni della borsa, benché per qualche delitto sia lecito al governante. incarcerarli e multarli (11)

24. Conchiudiamo dunque che quella ragione stessa, per cui ogni persona umana è indipendente in quelle operazioni che riguardano la conservazione e i bisogni della propria natura, può colle debite proporzioni applicarsi all'operazione di ogni persona morale. Colle debite proporzioni diciamo, per riguardo alla gran differenza che passa in ragione di origine ossia di causa efficiente fra coteste due specie di persone. Fra le quali la persona fisica, ricevendo immediatamente dalla mano creatrice la propria esistenza, non può riceverne altro che bene (12): né si può per conseguenza pretendere di correggere ciò che per natura a lei si appartiene. Le persone morali all'opposto, avendo bensì nella natura la causa mediata, ma dipendendo immediatamente dalla volontà umana, possono sortire e nel nascere, e nel decorso della loro esistenza gravi magagne che ricerchino dei, correttivi alla libertà delle loro operazioni. I diritti dunque che nascono immediatamente dalla natura dell'individuo non possono mutarsi per l'abuso che se ne faccia, benché quest'abuso possa essere punito anche col sospenderne l'uso al reo. All'opposto i diritti che nascono mediatamente dalla natura, ma immediatamente dal fatto umano possono all'uopo mutarsi ed obbligare l'uomo a mutare il suo fatto, senza che perciò debba condannarsi l'autorità di centralismo soverchio. Così per cagione d'esempio se un padre abusa del diritto di educare, potrà punirsi col confidare la prole a educatore onesto; ma gli altri parenti non perderanno per questo il diritto di educare i figli secondo il dovere imposto loro dalla natura. Se all'opposto una istituzione sociale (la feudalità, per esempio, il servaggio) in certe determinate società divenisse causa, per sé o per le condizioni dei tempi di gravi delitti e frequenti, apparirebbe improvvida l'istituzione, e mutata questa per vie legittime, cesserebbero i diritti che ne risultavano, senza che l'autorità suprema possa accusarsi di usurpazione.

25. Dal fin qui detto intorno al centralismo rileverà facilmente il lettore, essere questo una delle tante forme di tirannia che dai principii eterodossi istillati nella società dallo spirito protestante naturalmente germogliano, e scorgerà con evidenza i due diversissimi spiriti da cui viene formata or l'unità cattolica, ora il centralismo eterodosso.
Il punto fondamentale della libertà economica sta, può dirsi, quasi interamente in questa quistione: L'individuo è egli per la società o la società per l'individuo?
Questa viene risoluta in senso contrario dal paganesimo degli utilitarii e dalla ragione cattolica. Il pagano, non avendo un Dio giusto. ed onnipotente né in lui la viva fiducia del cattolico, vede l'individuo perduto quando non ottenga l'assistenza della forza sociale: la società è per lui un dio protettore; ed in fatti il Romano adorava la divinità di Roma, la patria. Non ha dunque altro aiuto che nella unione compatta della maggiore pluralità possibile; e però qualunque esistenza individuale debb'essere disposta a sacrificarsi con tutti i suoi opinamenti, interessi, diritti ed affetti, purché la patria sia grande e gagliarda. Divinizzare la patria, assorbire nella patria l'individuo, tiranneggiare con questa forza tutte le genti vicine, ecco in sostanza tutto il loro gius civile, politico e internazionale.
La ragione cattolica, riconoscendo un Dio giusto ed onnipotente, in cui chi si affida non può andare deluso, vede bensì nella società un sussidio per congiungere gli sforzi al bene e per reprimere gli indomiti nel male: ma, anche indipendentemente da questo, vede in ogni individuo il diritto, ingagliardito dalla divina assistenza, mediante il quale ciascuno forma una esistenza compiuta, che nelle condizioni regolari della società ha tutta la forza morale per ottenere ciò che le è dovuto; come ha l'inclinazione morale a compiere ciò che è dovuto agli altri.
Con questo movimento intestino di ciascuna molecola ad amare e beneficare le altre, il corpo sociale nel Cattolicismo nasce e dura spontaneamente e le istituzioni sociali servono solo di rincalzo e di tutela. Nel paganesimo all'opposto le molecole tenderebbero a disgregarsi con continue usurpazioni scambievoli, se la forza prevalente del Comune non le costringesse al sacrifizio dell'individuo. Qui dunque in faccia alla legge l'individuo è per la società e serve alla società, laddove nel Cattolicismo la società è per l'individuo e serve all'individuo.
Quindi due correnti opposte nelle due legislazioni. La legislazione cattolica riverisce l'individuo, ne rispetta tutti i diritti antecedenti e solo incomincia a mettervi qualche restrizione, quando li trova collisi da altri diritti. La società non dice all'individuo: «cedi a me che comando», ma «il tuo diritto è minore di quello dei tuoi concittadini». Finché questi non si contrappongono, la società non vede che un uomo libero di fare qualsivoglia bene.
All'opposto nel paganesimo la società non vede che sé stessa, cui i cittadini vanno debitori di quanto sono, di quanto hanno; e però, invece di misurare le leggi ai diritti anteriori del cittadino, misura i diritti del cittadino dalle leggi colle quali ella crede averli creati e conceduti.
Siccome il protestantesimo altro non fu che un ritorno al pagane­simo, ritorno iniziato già dal Cesarismo alemanno; così dall'epoca del Cesarismo e del protestantesimo la giurisprudenza laicale inclinò sempre ad assorbire l'individuo con ogni sua appartenenza civile, religiosa ed in parte ancora domestica.
Tale è lo spirito del centralismo, naturale antagonista, nella società eterodossa, di quella demagogia che taluni prendono per libertà, come gli avversarii loro nel centralismo credono ravvisare l'unità. Libertà ed unità false ugualmente entrambe, ma necessariamente germinanti dal falso principio dell'assoluta indipendenza umana che, ribellatasi dalla Chiesa e ridottasi così alla impossibilità di conoscere con certezza la rivelazione divina, resta abbandonata in balìa ­della forza. Se questa forza prevale nel dispotismo di un solo, l'oppressione eccita le moltitudini a ribellione, e gridasi libertà. Sfrenatesi poi colla libertà tutte le passioni, gli orrori dell'anarchia chiedono per rimedio un principio d'unità, e tornasi a sospirare il centralismo. Tale è la perpetua alternativa delle società che hanno perduto l'idea della dipendenza da un Dio creatore e della forza morale che quindi nasce di doveri e di diritti; forza dominatrice ugualmente dei forti e dei deboli, degli imperanti e dei sudditi, dei pochi e dei molti. Fuori di questo diritto divino, centralismo e anarchia sono inesorabilmente l'alternativa di tutte le società umane, senza che esse mai trovino riposo o nell'uno o nell'altro.
Detto così del come si applichi il teorema fondamentale alla persona o fisica o morale del suddito, passeremo, nei seguenti articoli, ad applicarlo a quella del governante.

NOTE

1) Osserva il signor Carlo Remusat che in Francia, ove continuamente si parla per mania di libertà contro il centralismo, tali però se ne sentono i vantaggi nel fatto materiale, che niuno saprebbe consentire a sperperarlo (Revue de deux mondes 15 Ottobre 1860).

2) Spiega con molta chiarezza questa dottrina il Passy, nel bello articolo che citeremo più volte intorno alla abolition Des octrois en Belgique (pag. 441) La libertà, dice, delle società secondarie, come quella degli individui, non può permettere per niun conto che esse abbiano il diritto di danneggiare gli altri. E poi soggiunge: Le maintien meme de la liberté de chacun exige que chacun respecte la liberté des autres; et le role, du gouvernement est, précisément, at uniquement, de veiller à ce maintien de la liberté de chacun. La liberté genérale qui lui est confiée se compose de l'ensemble des libertés particulières, assurées par leur respect réciproque.. (Correspondant 25 Novembre 1860).

3) Il Saint- Marc Girardin reca di questo despotismo un esempio che, ha del comico (Revue des deux Mondes 15 Novembre 1860, p. 403). Dopo aver dimostrato ciò che da noi venne spiegato in altro articolo (La libertà tirannia Vol. VIII, pag. 617), carattere dominante della politica novella e in pratica e in teorica essere la tirannia contro i deboli, «potrei, soggiunge, citarne esempii in grande, ma preferisco prenderne uno in miniatura che ha del comico benché tirannico, che sembra inavvertito benché recentissimo. Lessi pocanzi un decreto, per cui i proprietarii del cerchio (rondpoint) negli Elisi saranno obbligati ad avere innanzi alle loro case giardinetti tutti distribuiti e decorati uniformemente, mantenendovi fiori d'ogni stagione: al che se falliscono potranno essere spogliati del fondo per pubblica utilità. Dando altra volta il voto per la legge che dovea regolare tali espropriazioni, mai non mi passò pel cervello che una tale applicazione fosse possibile. Non la biasimo, badate: essa seconda il genio del nostro tempo, piace ai Parigini; piace anche più ai provinciali che vengono a Parigi come s'andrebbe al teatro. Dico solo che a certe vecchie teste parea bastare l'uniformità nei pesi e misure, senza che s'introducesse nelle case e nei giardini, e molto meno nelle idee». E il Girardin ha ragione: se s'incomincia ad introdurre che ogni abbellimento voluto dal corpo municipale sia tale utilità pubblica, cui debba cedere il diritto fondamentale della società umana, la base dell'esistenza di ogni famiglia, il sacro diritto di proprietà, se ne avrà per termine lo spogliamento.

4) Où n'arriverait-on pas d'ailleurs en suivant ce raisonnement? La centralisation s'étendrait de proche en proche, et ne s'arréterait sans doute que lorsque la nation entière ne formerait plus qu'une seule commune. Les démagogues sont des centralisateurs effrénés. BECHARD pag. 92, cap. VII.

5) Le Correspondant 25 Nov. 1860, pag. 447 e segg..

6) Parve al Béchard che citeremo fra poco, la parrocchia doversi riscontrare non già colla famiglia, ma col Comune: e se riguardisi la quantità numerica il paragone è ragionevole. Ma se si miri al carattere essenziale vale a dire qual sia quella società spirituale che provvede ai bisogni quotidiani della vita spirituale, come la famiglia ai quotidiani della corporea; si vedrà essere questa la parrocchia, in cui ogni cristiano trova il pane quotidiano dell'Eucaristia, la veste della grazia nel battesimo, la medicina nella penitenza, l'assistenza all'infermità nell'estrema unzione ecc. Nella Diocesi poi gli si offre dal Vescovo l'arruolamento militare nella confermazione che lo fa soldato di Cristo, e il maneggio delle pubbliche magistrature nel Sacramento dell'ordine con cui diviene membro della gerarchia.

7) TOURNON Etudes statistiques sur Rome Tom. 2° pag. 39 e 44 seconda edizione.

8) BÉCHARD Du pauperisme pag. 140 e 143.

9) I giornali odierni a dir vero rimettono in dubbio questo ritorno al diritto storico: Dio benedica le rette intenzioni di chi governa!

10) La liberté à la base et l'unité au sommet, c'est-à-dire la commune affranchie et l'État centralisé, voilà le double principe de la réforrne administrative qu'il s'agit de mettre en action dans le double intérét du pouvoir et du peuple etc., BÉCHARD Du paupérisme cap. V, pag. 77.

11) Terminato appunto quest'articolo venne a nostra notizia l'opera del signor Dupont-White La Centralisation, suite à l'Individu et l'État, e i due articoli ch'ella ha suggeriti alla Revue des deux mondes 15 Ottobre e­ al Journal des Economistes Ottobre 1860: nei quali potrà attingere chi bramasse o vedere chiaramente i due partiti opposti che combattono in tal materia, o le applicazioni pratiche a cui questi sistemi potrebbero condurre; e che noi secondo il programma nostro appena potremo toccare quando l'opportunità si presenti.

12) Vidit Deus cuncta quae fecerat et erant valde bona. Gen. I, 31.