I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Povertà

 1. La felicità è il patrimonio del povero.
 2. Ricchezza della povertà.
 3. Esempi di Gesù Cristo e dei Santi.
 4. La povertà è un onore e una gloria.
 5. I poveri sono i favoriti di Dio.
 6. vantaggi della povertà.
 7. Al povero non manca nulla.
 8. Come si può avere il merito della povertà.

1. LA FELICITÀ È IL PATRIMONIO DEL POVERO. – Dio non s\’inganna, e non può ingannarsi. Ora egli dichiara formalmente che i ricchi vanno incontro alla disgrazia, all\’infelicità (LUC. VI, 24); al contrario, assicura che la benedizione, la felicità, il regno dei cieli è la porzione, il retaggio dei poveri (MATTH. V, 3). La Verità parla, scrive S. Bernardo, quella verità che non può né ingannarsi né essere tratta in errore, parla e grida: Beati i poveri! Stolti figli di Adamo, voi cercate, voi anelate le ricchezze; mentre la felicità dei poveri è proclamata da Dio, annunziata al mondo, creduta dalle anime su le quali discendono i lumi della grazia. Che desideri le ricchezze il pagano il quale vive senza Dio; che le cerchi il giudeo il quale ha ricevuto le promesse terrene, è cosa che si comprende; ma come mai ardisce desiderarle, cercarle il cristiano, dopo che Gesù Cristo ha dichiarato felici e beati i poveri? (Serm. in Fest. Omn. Sanct.). L\’oro e le ricchezze sono grave peso che opprime chi le porta.
«Beati i poveri di spirito!» (MATTH. V, 3); cioè, secondo l\’interpretazione dei santi, Gerolamo, Basilio, Bernardo: Beati i poveri che sono tali per una volontà inspirata loro dallo Spirito Santo. L\’espressione povero di spirito indica lo scopo della povertà; significa che lo spirito deve disprezzare le ricchezze terrene, non amare che i beni spirituali, questi desiderare e cercare. «Lazzaro il mendico venne a morte e fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo, disse Gesù cristo. Morì anche il ricco e fu sepolto nell\’inferno» (Luc. XVI, 22). Ditemi, ora, dove si trova la felicità, secondo queste parole del divin Maestro?… «Il povero, dice S. Agostino, si è comprata la felicità accattando; il ricco si è procacciato un eterna supplizio, possedendo. (Serm. CCXXVII)». Voi avete veduto Lazzaro nel vestibolo del ricco, dice S. Giovanni Crisostomo, vedetelo ora nel seno di Abramo; l\’avete osservato quando i cani gli lambivano le piaghe, osservatelo ora attorniato dagli Angeli; l\’avete visto nella sua immensa miseria, guardatelo ora nell\’abbondanza di ogni bene; l\’avete visto languire di fame, vedetelo ora tra le delizie; l\’avete visto nella lotta, vedetelo ora cinto della corona dei vincitori; l\’avete visto nella fatica, vedetelo ora esultare per la mercede. Perché Lazzaro fu poverissimo e dispregiatissimo su la terra, perciò è ricchissimo ed onoratissimo nel cielo (Conc. II de Lazaro).
Desiderate voi, o ricchi, di essere felici? ascoltate il Profeta che canta: «Lieto e avventurato l\’uomo, il quale compatisce all\’infelice e lo solleva! egli non patirà mai disdetta» (Psalm. CXI, 5). «Egli ha sparso i suoi doni sul misero; la sua giustizia sarà ricordata per tutti i secoli, la sua virtù coronata di gloria» (Ib. 9). Ecco la strada che devono tenere i ricchi, per giungere alla felicità. Non saranno mai felici se non per mezzo dei poveri… Consolatevi voi, o poveri, dice S. Agostino, voi che andate limosinando, rallegratevi; la vostra tribolazione sarà mutata in gioia, e il vostro dolore in gaudio. Non considerate la vostra povertà come una disgrazia e non mormorate contro il Signore; perché Dio è giusto e misericordioso in tutte le sue opere. Egli ha fatto il povero, affinché tollerando un\’indigenza di pochi giorni, possa acquistare la vita eterna; egli ha fatto il ricco, affinché distribuisca abbondanti elemosine e ottenga con questo mezzo il perdono delle sue colpe. Perciò pazientate ed attendete il Signore (Serm. VII).
Il povero beve a piccoli sorsi il calice dell\’amarezza che gli è versato; ma berrà a larga vena ed eternamente al fiume di vita. La sua povertà si muterà in ricchezza eterna. Invece della gioia che prova il ricco nel possedere terre, oro, case, il povero riceverà, dice Cassiano, anche fin da questo mondo, beni che non hanno nulla da invidiare, ma grandemente sopravanzano a tutte le gioie dei denarosi. Adottato in figlio di Dio, egli possederà tutto ciò che possiede il Padre, sia in amore, sia in forza; ad imitazione di Gesù Cristo Figlio di Dio egli potrà dire: «Tutto quello che spetta al Padre, a me spetta» (IOANN. XVI, 15). Pieno di letizia e di sicurezza, egli avrà le ricchezze medesime di Dio che l\’Apostolo enumera allorché dice: «Tutto a voi appartiene, sia il mondo, sia la vita, sia la morte, sia le cose presenti, sia le future: tutto è vostro: e voi siete di Cristo, e il Cristo è di Dio» (Collect.). Ah il povero che sta sottomesso alla volontà di Dio, è veramente felice!

2. RICCHEZZA DELLA POVERTÀ. – Coloro che non hanno né case, né poderi, né denari, agli occhi imbambolati del mondo, figurano poveri, ma agli occhi limpidi e chiari di Dio, sono ricchi… Sono poveri dei beni del secolo; ma ricchi di quelli di Gesù Cristo… Le vere ricchezze non consistono nei tesori di questa terra… ma bensì nella grazia, nella virtù, nell\’amicizia di Dio… Chi si deve chiamare povero? «Quegli è vero povero, risponde San Gregorio Papa, che ha bisogno di quello che gli manca, poiché è ricco colui che, non avendo nulla, non desidera nulla. La povertà consiste nell\’indigenza dell\’anima più che nella mancanza di possessioni. Infatti, non si può dire povero colui che si adatta lietamente alla povertà» (Lib. XVI, epist. CXC). Ricchissimo è il mendico che ha la fede e le opere; all\’opposto, poverissimo è il ricco che si regola male, che è avaro, empio, scandaloso, e via dicendo.

3. ESEMPI DI GESÙ CRISTO E DEI SANTI. – Di quanti beni, di quanti tesori contiene la terra, Gesù Cristo prese per sé due sole cose, un presepio alla nascita ed una croce alla morte!… Nacque povero in una greppia, m una capanna diroccata, e passo la sua vita intera in una nudità assoluta; come egli stesso disse: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi; ma il Figliuolo dell\’uomo non ha dove posare il capo» (Luc.. IX, 58). Povera è la sua santissima madre; miserabile è la casa che abita, e non vuole dei ricchi per suoi apostoli. Quello che il mondo ha d\’insensato, scriveva S. Paolo, Dio lo ha scelto per confondere quello che vi è di accorto su la terra; e quello che il mondo ha di debole, per abbattere quello che vi è di forte; e quello che il mondo ha di basso e che non è, per distruggere quello che vi è di elevato e che è; affinché nessuno non si vanti dinanzi a lui (I Cor. I, 27-29). Il Redentore, gli Apostoli, i primi cristiani praticavano la povertà nel più stretto senso: «Quando noi abbiamo di che nutrirei e vestirci, siamone contenti» – scriveva l\’Apostolo delle genti a Timoteo (1, VI, 8). E gli Atti Apostolici dicono del contegno dei primi cristiani: «Nessuno chiamava sue quelle robe che possedeva, ma tutto mettevano in comune» (Act. IV, 32).
Guardate i principi della santità, un S. Antonio, un S. Francesco d\’Assisi, un S. Ignazio di Loyola, un S. Francesco Borgia, una Santa Elisabetta d\’Ungheria, e mille altri, in quale stima non tennero la povertà, e come non la preferirono a tutti i beni della terra! Guardate gli ordini religiosi in sul loro nascere; si trova forse povertà più assoluta della loro? e quando alcuno fra di loro cadde, per permissione di Dio, nella rilassatezza, la causa ne fu sempre l\’amore delle ricchezze, insinuato si in loro… Nel punto stesso in cui l\’argento e l\’oro entrano in un chiostro, n\’escono sbanditi l\’amore di Dio, i beni della grazia e della vocazione celeste… Osservate il buon cristiano quante elemosine distribuisce.
«Gesù Cristo ascese nudo su la croce, scrive S. Ambrogio; quegli adunque che si prepara a combattere il mondo, si spogli anch\’esso e non cerchi le vestimenta, cioè i beni del secolo. Adamo che cercò vestirsi, fu vinto: Giuseppe che seppe abbandonare il suo mantello, riuscì vittorioso (Offic. lib. I, c. IV)». «Voi conoscete, scriveva S. Paolo ai Corinzi, voi conoscete la tenerezza del Signor nostro Gesù Cristo, il quale essendo ricco si è fatto povero per voi, affinché per la sua povertà voi diventaste ricchi» (II Cor. VIII, 9). «Ora che cosa saranno mai, esclama S. Agostino, le ricchezze di colui la cui povertà medesima ci ha arricchiti? (In Epist. II Corinth.)». Gli uomini del buon tempo, dice il medesimo Padre, desiderano le ricchezze che loro sono perniciose, Gesù Cristo invece ha voluto essere povero (De vera relig. c. XV).
Ma per compendiare tutto in uno, ecco il ritratto che dei buoni cristiani dei suoi giorni abbozzò San Giustino: «Ogni contrada anche straniera è loro patria, ed ogni patria è per loro come terra straniera. Hanno un corpo di carne, ma non vivono a seconda della carne; dimorano su la terra, ma la loro mente abita nei cieli; sono poveri, ed arricchiscono gran numero di persone; mancano di ogni cosa, e abbondano di tutto (Epist.)».
Che più? perfino alcuni pagani conobbero il pregio della povertà e ne diedero esempio. Avendo il nemico preso d\’assalto Priene, patria di Bione, questo filosofo se ne ritirò senza portare nulla con sé; fattogliene osservazione da taluno, egli rispose: « Io porto con me tutti i miei beni» (DIOG. LAERZ. Vit. filosof.). Alessandro il Macedone mandò a Focione, che viveva poveramente, un regalo di cento talenti. Avendone questi dimandato la ragione e il fine, gli fu risposto: avere il re ciò fatto perché lo stimava il solo uomo dabbene e virtuoso tra gli Ateniesi. ..Se è così, riprese Focione, dite al re che mi permetta di essere creduto tale e di esserlo in fatti, e gentilmente rifiutava il dono (Eliano, lib. II). Anche Epaminonda viveva povero; di lui si narra che avendogli Artaserse, re di Persia, inviato ricchi donativi per ottenere l\’alleanza dei Tebani, non permise nemmeno che gli fossero presentati e rispose all\’ambasciatore: Se il vostra padrone non chiede che cose utili alla patria mia, torna inutile che mi solletichi con regali; se poi le intenzioni sue sono contrarie ai miei doveri; ditegli che non è abbastanza ricco per comprare il mio voto (PLUT.). Il celebre Aristide non lasciò di che pagare i suoi funerali (Id).

4. LA POVERTÀ È UN ONORE E UNA GLORIA. – Essere povero, dice Minuzio Felice, non è infamia, ma gloria. Chi non desidera nulla, non è povero, ma ricco in Dio (OCTAV.). È vero, dice il Damasceno, che esso tende la mano ad accattare, ma Dio è quegli che riceve (Parallel. III, c. XXXVII). È pure vero quello che osserva S. Ambrogio, che cioè non tutti i poveri sono santi e non tutti i ricchi sono malvagi; tuttavia come per l\’ordinario il vizio disonora le ricchezze, così la santità sovente s\’accompagna alla povertà e la rende commendevole (In Matth). Oh quanto sublime è la dignità del mendico! esclama S. Giovanni Crisostomo, Dio s\’è nascosto sotto le spoglie del povero! (Ap. Maxim. serm. XII).
Agli occhi dei saggi, agli occhi della Chiesa, i poveri vestono una dignità speciale; si possono loro applicare le parole del Vangelo: «Gli ultimi saranno i primi» (MATTH. XIX 30). La Chiesa dà ai poveri la preminenza, poiché ammette i ricchi al suo seno solo a patto che servano i poveri. A questi riserva i suoi favori più segnalati, a questi le benedizioni più elette. La Chiesa è la città dei poveri, il paese dei liberti. L\’indigenza e le tribolazioni, quando siano religiosamente sopportate, rendono l\’uomo, veramente grande ed onorevole; perciò Gesù Cristo disse ai suoi messi: «Fate entrare in casa mia i poveri e gli sciancati, i ciechi e gli infermi » (Luc. XIV, 21). È cecità deplorevole il non onorare i poveri, ai quali Dio medesimo ha fatto quest\’onore di dare loro la preminenza nella sua Chiesa… Così fece Abramo il quale anzi, al dire del Crisologo, vedendo i poveri, dimentica che è padrone, e si fa loro servo. Già questo gran patriarca rispetta Gesù Cristo nella loro persona (Serm. VII).
I poveri sono i portinai del paradiso, a loro appartiene il privilegio di aprirlo e di chiuderlo ai ricchi… Gesù Cristo si è sposato alla povertà e per ciò l\’ha nobilitata. Scegliendo la povertà per suo retaggio, il Salvatore l\’ha resa degna di lode, di riverenza, di onore; quando pertanto onoriamo i poveri, noi onoriamo in essi il Redentore degli uomini. Parecchie ragioni apporta S. Ambrogio per dimostrare che bisogna concedere favori e benefizi ai poveri prima che ai ricchi: 1° Gesù Cristo, osserva questo Padre, vuole che noi invitiamo alle nozze i poveri, non i ricchi. 2° Quando s\’invitano i ricchi, essi ricambiano l\’invito, ma i poveri non avendo di che rendere, incaricano Dio di ricompensarci, quel Dio che si è fatto loro mallevadore e debitore. 3° Bene spesso il ricco disdegna il benefizio e non si cura di mostrarne gratitudine; il povero invece riceve con riconoscenza il più piccolo favore. 4° Il povero rende più di quello che riceve; perché prega per i suoi benefattori e loro ottiene la remissione dei peccati che hanno commesso, molteplici grazie e la gloria eterna (Offic. I, Il, c. III).
Il povero è onnipotente; vedetene la prova in S. Pietro: «Io non ho né oro, né argento, dice allo zoppo che gli chiede elemosina, ma quello che ho te lo dono: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina» (Act. III, 6).

5. I POVERI SONO I FAVORITI DI DIO. – «Non ha forse Iddio eletto i poveri, scrive S. Giacomo, affinché siano ricchi nella fede ed eredi del regno che Dio ha promesso a quelli che la amano?» (IAC. II, 5). Dio ha scelto quelli che erano spogli dei beni di quaggiù ed ha loro prodigato i tesori della fede; quelli che non hanno di che pagare il tributo, ed ha loro dato l\’intelligenza delle cose divine. Si raccoglie dalle parole dell\’Apostolo che l\’oro e l\’argento non sono veri beni, ma solamente la fede e le virtù ch\’ella fa nascere; come pure che non la mancanza delle ricchezze periture, ma la cupidigia e l\’empietà costituiscono la povertà e i poveri. O quanti ricchi sono mendichi e quanti poveri sono ricchissimi!…
I poveri sono, per sentenza di Gesù Cristo, gli eredi del regno di Dio… «Ora se il regno di Dio appartiene ai poveri, chi mai, esclama S. Ambrogio, è più ricco di loro? (Serm. X)». Le cagioni poi per le quali Dio ha voluto assicurare piuttosto ai poveri che ai ricchi i beni della fede e l\’eredità del suo regno, sono evidenti. La prima sta in ciò che la conveniente distribuzione dei doni esige che coloro cui mancano le ricchezze terrene, abbiano quelle del cielo in compenso: e che, al contrario, quelli che abbondano delle ricchezze di quaggiù siano privi ai quelle avvenire…
La seconda è, che le ricchezze troppo facilmente generano l\’ambizione, l\’avarizia, la lussuria, l\’orgoglio, la vanità e tutti i vizi che trascinano all\’inferno; mentre la povertà inspira l\’umiltà, la sobrietà, la continenza, la castità, la modestia e tutte le virtù che conducono al cielo… La povertà, dice S. Bernardo, è fornita di grandi ali con cui s\’innalza rapidamente fino alla casa dei Santi (Serm. IV, de Advent.).
La terza è che, disprezzando il mondo, i poveri comprano da Dio l\’eternità beata. Siccome per amore di lui essi rinunziano ad ogni cosa e specialmente al desiderio di avere, egli si costituisce loro debitore e loro concede il regno dei cieli. Ecco perché S. Gregorio Nazianzeno dice: «Beato colui che spende tutta la sua fortuna a comprare Gesù Cristo! (Carm. de Beatit.)». E si può dare azione più gloriosa per l\’uomo, che quella di vendere i suoi beni e procacciarsi Gesù Cristo? (Serm. S. Augustin. ult. de Divers.).
La quarta è, che Dio cerca un cuore vuoto delle cose della terra, per entrarvi e possederlo tutt\’intero. Ora il ricco che pensa solo all\’oro ed all\’argento, poco si cura dei beni eterni; ma il povero il quale non può occuparsi dei beni di quaggiù, perché non li possiede, volge il pensiero e l\’opera a quelli del cielo, che spera.
Così il Profeta esprime la posizione del povero in faccia a Dio: «Il Signore non si è scordato delle grida dei poveri» (IX, 13). «Il povero non sarà mai dimenticato per sempre, la pazienza spiegata dai poveri non andrà perduta» (Id. 19). «Il Signore è il rifugio del povero, il suo aiuto nei bisogni, nei giorni di tribolazione. A lui è stato abbandonato il mendico, egli sarà il sostegno dell\’orfano. Egli ha esaudito il voto del povero, la sua orecchia ha inteso la preghiera del loro cuore» (Psalm. X, 10, 14, 17). «Il Signore solleva il povero dalla polvere, e lo solleva dal fango per collocarlo fra i principi del suo popolo» (Psalm. CXII, 7-8).
«Opprimere l\’indigente, è un insultare chi l\’ha creato, dIce lo Spirito Santo avere pietà del povero è un onorare Iddio» (Prov. XIV, 31). Dio prende sotto la sua tutela i poveri che il mondo rifiuta e opprime, e ne ha la cura che una madre ha dei figli. I poveri hanno per tutore ed economo quel Dio che governa i cieli e innanzi al quale si prostrano i signori del mondo. Perciò Gesù Cristo dice: «Vi assicuro in fede mia, che quanto farete a benefizio di uno dei più miseri tra i miei fratelli, l\’avete fatto a me stesso» (MATTH. XXV, 40). Quindi nel giorno del giudizio, pronuncerà sentenza di benedizione su coloro che avranno avuto cura dei poveri, e sentenza di maledizione sui ricchi avari che non li avranno curati… Incarnandosi e venendo al mondo, il Verbo eterno ha onorato, consecrato e quasi deificato la povertà, unendola ipostaticamente a sé nella sua umanità. Il povero è dunque, come dice S. Francesco d\’Assisi, la viva e schietta immagine di Gesù Cristo povero (Regul. c. VI).
Dio, che basta a se stesso, è infinitamente al di sopra di tutte le creature; il povero che è umile, che vilipende le cose della terra, che desidera solamente quelle del cielo e che si riposa in Dio, è superiore alla maggior parte degli uomini, miseramente schiavi dei possessi terreni… La bocca del povero è la bocca di Dio, e l\’orecchio di Dio è l\’orecchio del povero: Dio lo ascolta e lo esaudisce sempre, e questo lo rende onnipotente presso di lui. Gesù Cristo promette il suo regno ai poveri, la consolazione a quelli che gemono, il cibo a quelli che hanno fame, la gioia eterna a quelli che soffrono. Tutti i diritti, tutti i favori, tutte le grazie, tutti i privilegi del Vangelo sono per i deboli, per gli indigenti, per quelli che soffrono.

6. VANTAGGI DELLA POVERTÀ. – S. Giovanni Crisostomo chiama la povertà un porto sicuro e tranquillo (Homil. Ultim. in Matth.), e mentre S. Bernardo ci avvisa di non fermare il nostro cuore in beni il cui possesso è un peso, il cui amore insozza, e la cui perdita ci cruccia (Epist.). S. Gregorio Papa ci avverte, che ci tocca lottare nudi coi demoni che sono nudi. Infatti, soggiunge il Santo, se un uomo vestito lotta con un nudo, presto egli è gettato a terra, porgendo all\’avversario il destro di afferrarlo. Ora tutti i beni della terra non sono altro che un certo qual vestimento del corpo (Hom. 1. XXII, in Evang.).
La povertà sbriga l\’uomo da un mondo di pensieri e d\’inquietudini… Lo allontana dalle creature, per portarlo a darsi al Creatore nel quale è la somma felicità. A quel punto egli può dire col Salmista: «Il Signore forma la porzione della mia eredità e della mia sorte. Siete voi, o Signore, che mi renderete la mia eredità» (Psalm. XV, 5). «Che cosa mi aspetto io in cielo, e che cosa ho io desiderato da voi su la terra? se non voi, il Dio del mio cuore, che siete la mia porzione in eterno» (Psalm. LXXII, 25-26). La povertà volontaria è la strada della salute, la nutrice dell\’umiltà, la radice della perfezione… Quando non si guardano i beni della terra, si ottengono quelli del cielo… Il povero volontario è libero…, signore…, vincitore…, re…, felice…, infinitamente ricco…, riposando in Dio va esente da ogni sollecitudine… La povertà è una regina che cammina insieme con Gesù Cristo.
Noi siamo poveri, scriveva S. Paolo, eppure facciamo ricchi gli altri; noi non abbiamo nulla, eppure possediamo tutto (II Cor VI, 10). La povertà è, per sentenza di S. Francesco d\’Assisi, un tesoro nascosto, per comprare il quale mette conto vendere tutto il resto, e vilipendere quello che non si può vendere (Reg. c. VI); secondo che disse Gesù Cristo medesimo a quel giovane: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi ogni bene, distribuiscine il prezzo ai poveri e avrai tesori nel cielo; poi vieni e seguimi» (MATTH. XIX, 21). «O com\’è grande, dice S. Agostino, la fortuna di quei cristiani, ai quali è dato di acquistarsi il regno dei cieli a prezzo della povertà! Deh! non vi sia in uggia la povertà, se siete poveri, perché nulla può trovarsi di più prezioso. Volete conoscere quanto vale? pensate che compra il cielo (Serm. XXVIII, de verbo Apost.)». Qual follia è dunque la nostra, esclama il Crisostomo, di collocare i nostri tesori là dove non ci fermiamo che di passaggio, e non depositarli là dove dimoreremo per sempre! Ah collochiamo ed impieghiamo le sostanze nostre nella nostra patria che è il cielo! (Homil. XLVIII).
Notate che Gesù Cristo non disse già: Beati i poveri, perché loro sarà dato il regno dei cieli, ma: «Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli» (MATTH. V, 3). Il cielo appartiene loro fin dal presente, è loro dovuto, ne hanno la certezza. Gesù Cristo mette la povertà tra le otto beatitudini, e le assegna il primo luogo. L\’anima del povero che volontariamente si sottopone alla povertà, splende come l\’oro; brilla come il diamante, spira l\’olezzo della rosa… La povertà non teme né tignola, né ladri; non geme schiava del demonio; non si schiera tra i cortigiani dei potenti; ma prende posto tra i servi di Dio e colloca il suo tesoro non su la terra, ma nel cielo… Il mendico non ha, è vero, né carrozze, né cavalli, né passi, né adulatori; ma ha forse bisogno di tutto questo colui che s\’innalza al di sopra delle nubi e che deve ascendere al cielo, portatovi da mani angeliche? Egli deve abitare con Gesù Cristo; che altro gli occorre? Né il Salvatore, né gli Apostoli non ebbero nessuna di tali cose, e frattanto la Chiesa splendette di viva luce, il mondo pagano spezzò i suoi idoli, abbatté i suoi santuari e si convertì al Cristianesimo; perché i primi cristiani s\’imbevettero dello spirito di povertà, rinunziarono ai beni della terra e li distribuirono ai poveri, il mondo vide tante meravigliose mutazioni.
La povertà conduce alla perfezione ed al paradiso, come la cupidigia mena ad ogni male ed all\’inferno. La povertà, l° ci guarda dalle ricchezze, dagli onori, dai piaceri, sorgenti ed alimento di tutti i vizi; 2° genera l\’umiltà, principio e fonte della santità; 3° è la strada alla salute, la madre di ogni virtù, la radice di tutti gli alberi che portano buoni frutti; 4° non conosce le cure e le inquietudini, essendo occupata interamente della pratica del bene, come ape intenta solo alla composizione del miele; 5° la perfezione sta nell\’amor di Dio e del prossimo; ora nulla meglio della povertà conduce all\’acquisto di queste due virtù, poiché da una parte toglie via il mio e il tuo, dal che provengono le risse, gli odi, le inimicizie, le liti, le frodi, le ingiustizie, le guerre; da un\’altra parte, allontanando l\’uomo dalla ricerca e dall\’amore dei beni terreni, lo attacca a Dio solo e lo porta a non volere altro che lui, e quando si ha Dio, nulla manca, nulla resta a desiderare, nulla a lamentare.
Altri opporrà forse che ad avere il merito della povertà volontaria, non è punto necessario rinunziare ai beni, ma basta non mettervi il cuore. Ciò è vero; conservare le ricchezze della terra e non attaccarvi il cuore è una specie di povertà che ha il suo merito; ma rimane sempre inferiore alla povertà reale, che sacrifica l\’amore delle ricchezze, e la ricchezza medesima. Infatti, riesce cosa molto ardua il non avere un certo affetto ad una cosa che si conserva. L\’uomo che viene legato mentre è immerso nel sonno, solo al suo svegliarsi si accorge dello stato in cui si trova; così quelli che sono attaccati per un segreto affetto alle ricchezze loro, non se ne accorgono se non nel punto in cui le perdono o le abbandonano.
«Chiunque, dice Gesù Cristo, abbandonerà la casa, o i fratelli, o le sorelle, o il padre, o la moglie, o i figli, o i poderi, per il mio nome riceverà il centuplo e avrà la vita eterna» (MATTH. XIX, 29). Per il centuplo S. Ambrogio intende Iddio; perché Dio si fa padre, madre, fratello e sorella di chi rinuncia al mondo: e l\’uomo che ha Dio per suo retaggio, possiede la natura tutta. Dio è il suo podere, e tale che non se ne trova altro né più vasto, né più fertile, né più ricco; esso solo gli basta ad ogni bisogno, perché produce sempre frutti abbondanti, squisitissimi, imperituri; Dio è la sua dimora, e gli basta, perché è il palazzo dell\’eternità. Che tesoro vi è più prezioso di Dio? quale abitazione più splendida del cielo? qual felicità è paragonabile a quella che reca il possesso del cielo? (In Matth. C. XIX).
Ecco perché S. Agostino sentenzia che chi è ricco secondo Dio, è povero d\’oro (Serm. XXVIII, de Verb. Apost.), e il Venerabile Beda ci ammonisce che se ci preme essere ricchi in Dio, non dobbiamo tesoreggiare ma distribuire ai poveri quanto possediamo (In Evang. Luc. c. XII). Il cielo appartiene ai poveri ed essi vi mandano i loro benefattori… «Chi non ha niente in terra, è ricco nel cielo; è un essere celeste, angelico, divino, scrive S. Cipriano. Infatti, gli Angeli e i Santi guardano dall\’alto dei cieli con occhio indifferente questo piccolo punto che noi chiamiamo terra, e di tutti i suoi beni, di tutte le ricchezze sue si ridono, poiché è proprio di un\’anima grande e generosa non ammirare che Dio (Epist. ad Martyr.)».
Questo ci spiega i magnifici elogi che fecero della povertà in ogni tempo i santi Padri e i Dottori, e le calde esortazioni con che animarono sempre i fedeli ad abbracciarla.
La povertà, dice S. Giovanni Climaco, è una rinunzia alle cure del secolo, un cammino senza ostacoli verso Dio, l\’espulsione di ogni tristezza, il fondamento della pace, la purezza della vita; essa ci esime dalla cura delle cose terrene e ci conduce all\’obbedienza perfetta dei comandamenti di Dio (Grad. XVII). La povertà, soggiunge S. Francesco d\’Assisi, è la strada alla salute, il fondamento dell\’umiltà e della perfezione. L\’oro non è altra cosa che un serpente pieno di veleno, è il demonio medesimo (Reg. c. VI). «Per mezzo della povertà, nota S. Gerolamo, noi rinunziamo a oggetti di nessun valore ed entriamo al possesso di beni di un prezzo infinito» (Lib. sup. Matth.). Per essa noi voliamo a Dio, senza toccare la terra, posto che niente in essa desideriamo (S. GREGOR., Homil. XVIII, in Ezech). Abbandoniamo dunque, dirò con S. Agostino, abbandoniamo le cose terrene e riceveremo le celesti: perché la povertà compra il regno dei cieli (Serm. CCXXXIII, de Temp.). E se poco o nulla possediamo, dirò con S. Gerolamo, godiamone, poiché siamo liberi da un peso enorme; seguiamo, spogli di ogni cosa, il nudo Gesù (Epist. ad Rusticum). Diciamo col Salmista: «Io sono povero e vo mendicando, ma il Signore ha cura di me» (Psalm. XXXIX, 18). «Nella vostra dolcezza, o Signore, avete apparecchiato al povero quello che gli è necessario» (Psalm. LXVII, 11).
Dio ha disposto che la maggior parte degli uomini siano poveri, sia affinché acquistino il merito della pazienza e una piena confidenza in Dio, sia affinché siano obbligati a lavorare, a coltivare i campi, a esercitare le arti meccaniche, in mancanza delle quali la vita umana e l\’ordine dell\’universo non potrebbero sussistere. Infatti, come già osservava S. Giovanni Crisostomo, se la povertà scomparisse dalla terra, l\’ordine sociale sarebbe distrutto e sarebbe sconvolto ogni genere di vita; non ci sarebbe più né pilota, né marinaio, né tessitore, né bifolco, né muratore, né calzolaio, né falegname, né sarto, né pittore, né operaio qualunque; e mancando questi vari operai, tutto l\’edifizio sociale verrebbe a perire. La povertà è una padrona necessaria per invitare e, occorrendo, costringere ciascuno ad adempire l\’opera che gli è assegnata. Quando tutti gli uomini fossero ricchi, vivrebbero tutti nell\’ozio e nella pigrizia e quindi si corromperebbero e perirebbero tutti. Succederebbe una povertà, una fame, una rovina completa ed universale (Homil. antepen. t. V).
S. Giovanni Climaco dice che un povero monaco, nella sua grande povertà, è in qualche modo il padrone del mondo; e che avendo posto in Dio solo ogni sua speranza, può riguardare le nazioni come sue schiave. Il santo abate aggiunge che, da vero servo di Dio, il povero non ama seriamente nessuna cosa del mondo. Infatti, quello che ha e quello che può avere, non esiste, a casi dire, per lui; e se lo perde, non se ne turba (Grad. XVII). In questo senso S. Bernardo, spiegando quel detto del Salvatore: «Quando sarò levato di terra, trarrò a me ogni cosa» (IOANN. XII, 32), asserisce con ragione, che i veri cristiani fanno il medesimo, allorché si distaccano da tutte le cose periture. E’ certo, egli dice, che quanto meno altri desidera le ricchezze, tanto più è libero, padrone di se stesso, e veramente ricco. L\’uomo staccato da tutto, possiede tutto e lo possiede pienamente: poiché l\’avversità, come la prosperità, dipende da lui e coopera al suo bene. L\’avaro ha fame delle cose terrene appunto come un mendico; mentre il fedele le disprezza, come un padrone. Possedendole, il primo le mendica; disprezzandole, il secondo le possiede (Serm. XXI, in Cantic.). «Val meglio» leggiamo nei Proverbi, modesta fortuna col timor di Dio, che sfondolate ricchezze con la brama di aumentarle» (Prov. XV, 16). Una condizione umile tiene l\’uomo modesto umile, sobrio, casto, laborioso; grandi possessi lo rendono gonfio, petulante, geloso, impudico, accidioso. Perciò il Savio pregava Dio che non gli desse né miseria né ricchezza, ma solo un tale stato in cui non gli mancasse il necessario (Prov. XXX, 8). «La povertà, dice S. Giovanni Crisostomo, è asilo sicuro, porto tranquillo, sicurezza perpetua, felicità esente da pericoli, godimento reale; procura una vita senza turbamento e non esposta a naufragi (Homil. de recipiendo Sever.)». Per Ugo da S. Vittore la povertà volontaria è una specie di martirio; infatti, egli dice, che spettacolo più meraviglioso e qual più acerbo supplizio è patire la fame ad un desco lautamente imbandito, tremare dal freddo avendo facilmente di che vestirsi, restare povero in mezzo alle ricchezze che il mondo presenta, che il demonio offre, e la nostra concupiscenza appetisce? È cosa portentosa toccare il fuoco e non bruciarsi, maneggiare spine e non pungersi, portare pietre e non iscalfirsi. Ora le ricchezze sono a un tempo fuoco, spine, pietre (Instit. monast.). O povertà volontaria e paziente, come sei preziosa, come sei rara! I poveri sono preservati dai più gravi mali, lasciò scritto un pagano; perché non hanno da temere né le insidie, né l\’invidia, né l\’odio, cose tutte dalle quali i ricchi non possono andare esenti (Anton. in Meliss. part. I, serm.).

7. AL POVERO NON MANCA NULLA. – «Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato per giunta», disse Gesù Cristo (MATTH. VI, 33): e il profeta Davide dice: «Lascia al Signore la cura di te stesso, ed egli ti sosterrà» (Psalm. LIV, 23). «I ricchi patirono miseria e fame, mentre a quelli che cercano il Signore non mancheranno mai beni in abbondanza» (Psalm. XXXIII, 11). Perciò il Salvatore ci ammonisce di non accumulare tesori su la terra dove la ruggine e la tignola li consumano, o i ladri li rubano; ma di ammassarcene in cielo dove sono sicuri e dai ladri e dalle tarme (MATTH. VI, 19-20). S. Gerolamo dice: Badate che l\’anima vostra non si sotterri nell\’oro, ma innalzatela al cielo (Epist.).
Questa lezione del divin Maestro avevano bene appreso gli Apostoli, a cui encomio il Nazianzeno diceva, che «la loro vita era la ricchezza nell\’indigenza, la possessione nel pellegrinaggio, la gloria nel disprezzo, la pazienza nelle prove (Orat. XII)». Ed a proposito di quelle parole di S. Paolo: «Noi siamo guardati come poveri, e facciamo ricchi gli altri; non abbiamo niente, e possediamo tutto» (II Cor VI, 10), il Venerabile Beda scrive: «Tutti i buoni fedeli sono ricchi: nessuno si stimi meno di quel che vale. Il fedele è povero di denaro, ma ricco di virtù; egli dorme più tranquillo coricato su la nuda terra, che non il denaroso l\’avvolto nella porpora (In II Epistola ad Corinth.)». S. Gregorio ci predica: «Non andate a caccia di onori e di ricchezze, che dovremo un giorno abbandonare; se abbiamo fame di beni, cerchiamo quelli che possederemo in eterno (Moral.)».
«Le ricchezze tornano a bene per colui che ha la coscienza monda di colpa la povertà e cosa pessima per l\’empio che mormora», sentenzia lo Spirito Santo (Eccli. XIII, 30); Tobia diceva a suo figlio: «E’ vero che meniamo una vita povera, ma grandi ricchezze avremo se temiamo Dio, ci asteniamo da ogni peccato e procuriamo di fare il bene» (TOB. IV 23). Non solamente nella vita futura, ma anche nella presente, noi avremo l\’onore ed il merito di avere praticato la virtù, e non esserci scostati dal sentiero del bene… Nel senso materiale non meno che nello spirituale si avverano quelle parole del re Profeta: «I poveri mangeranno a sazietà, e loderanno il Signore» (Psalm. XXI, 27).
Come Dio è ricco in grazia e in forza, così il povero lo è in intelligenza soprannaturale… O come è ricco, esclama S. Ambrogio, colui che conosce Dio, che. si occupa per l\’eternità, che aduna tesori, non già di oro o di argento o di cose preziose, ma di virtù! Non vi pare ricco chi ha la pace dell\’anima, la tranquillità, il riposo? chi non desidera nulla, di nulla si turba, non si annoia di ciò che da lungo tempo possiede, e non va cercando cose nuove? (Serm. X). Il povero, dice S. Giovanni Crisostomo, non teme nulla e gode della più piena sicurezza; al contrario, il ricco e il potente sempre temono qualche pericolo (Homil. XXX, in Matth.). Il mendico umile invidia quello che è lecito invidiare: la purità, la santità, la perfezione che rendono l\’uomo accetto a Dio; cerca di conformare la volontà sua alla volontà divina; vuole quel che vuole il suo Creatore, come se facesse una sola cosa con lui; e così facendo imita la stabilità e l\’eternità di Dio.
Il povero che ha in uggia la povertà, vive misero ed infelice; all\’opposto, quello che non solamente la tollera con rassegnazione, ma ne è contento, vive felice. Il povero ha lo stato che egli stesso si fa: se si rattrista, s\’impazienta e si ribella, trascina giorni laboriosi, miseri, infelici: ma se si rassegna, pazienta, e volentieri si adatta alle necessità, i suoi mali si alleggeriscono e scompaiono… Il povero che ha la coscienza pura, è infinitamente più ricco di quello che tale non l\’ha… Udiamo molti lagnarsi della povertà, mormorarne contro Dio e prendersela contro i possidenti: certamente, finché si agisce così, la povertà riesce peso insopportabile ed opprimente e non ha merito… D\’altronde, quanti non s\’incontrano che della loro povertà devono incolpare se stessi? Voi sciupate al gioco e nei bagordi quello che nel fiore dell\’età andate guadagnando; non risparmiate nulla e date fondo a tutto; più tardi languite nell\’indigenza e nella miseria: non è opera tutta vostra?.. Avete una famiglia; invece di prendervene cura e fare risparmi, voi scialacquate tutte le vostre entrate in spese. inutili e di lusso; a poco andare vi trovate sul lastrico, coi figli vostri nei cenci; non siete voi gli artefici dell\’infelice vostra condizione?.. O quanti poveri vivrebbero agiati, se fossero stati cristianamente allevati! Ma invece di essere benedetta da Dio questa povertà è da lui maledetta. La grazia, si allontana da coloro che volontariamente vi caddero; essi soffrono senza consolazione e senza merito, perché non la volontà di Dio, ma le perverse loro passioni li condussero a tale misero passo…
Questo lo compresero anche alcuni, dei saggi pagani, e fra gli altri Seneca, il quale scrivendo a Lucillo dice: che degna di onore e di riverenza è la povertà tollerata con lieto animo, la quale però non si deve chiamare povertà, ma piuttosto ricchezza di cuore. Il vero povero non è quegli che ha poco, ma quegli che vorrebbe avere più che non abbia. Che importa che gli scrigni dell\’avaro siano colmi, che i suoi granai rigurgitino, che accumuli ogni giorno più con usura, s\’egli desidera beni altrui, se non pago di quello che possiede, vorrebbe quello che gli manca? Tu mi chiedi, del modo di arricchire? Questo sta primieramente nell\’avere il bisognevole, e poi nel trovarlo sufficiente (Epist. ad Lucil. II). E in altro luogo osserva che il male della povertà non consiste nella povertà, ma nel povero, cioè nello spirito dell\’uomo. Quegli che accetta di buon grado la povertà, è ricco; quello che rende penosa e dura la povertà, toglie anche alle ricchezze tutto il loro fascino. Come poco importa ad un infermo, e a nulla gli giova l\’essere coricato su un letto d\’oro piuttosto che in uno di legno, e che dovunque lo si adagi porta con sé il suo male, così poco importa che uno spirito malato d\’avarizia nuoti. tra le ricchezze, o languisca in mezzo alla povertà; il suo male non l\’abbandona (De Remed. fortunae, lib. I).

8. COME SI PUÒ AVERE IL MERITO DELLA POVERTÀ. – Chi vuole avere il merito della povertà: 1° rinunzi all\’amor proprio ed alla vanità; 2° non si fidi al suo intendimento, è non ascolti esclusivamente il suo giudizio e la sua volontà; 3° si figga in mente come nulla abbia da per se stesso, ma che tutto gli viene da Dio; 4° mediti sul niente dei beni mondani; 5° si persuada di meritare pene ben più gravi che non la povertà; 6° tenga l\’occhio alla ricompensa promessa ai poveri volontari e rassegnati; 7° non si attacchi ad altro fuorché a Dio; 8° pensi sovente alla morte; 9° offra a Dio le privazioni e i patimenti cui soggiace… È necessario che il povero, sia paziente, non mormori, non diffidi della provvidenza, non si scoraggi…
S. Giovanni, Crisostomo, parlando di quel mendico, per nome Lazzaro, del quale racconta il Vangelo che stava, coperto di ulceri, sdraiato su la porta di un ricco avaro, nota in lui nove crudeli afflizioni: 1° la povertà; 2° una grave malattia; 3° l\’abbandono; 4° la sua giacitura su la porta di un ricco che vestiva splendidamente e banchettava sontuosamente; 5° la crudeltà di quel ricco; 6° la mancanza di ogni persona amica; 7° la speranza dei beni che deve apportare la risurrezione, meno salda di quello che non sia dopo Gesù Cristo; 8° la lunga durata dei suoi malanni; 9° la fame, la sete, la nudità, il freddo (Homil. l, de Lazzaro). Difficilmente s\’incontra altro pezzente più derelitto, più misero di Lazzaro; eppure chi più di lui rassegnato e tranquillo?.. Sia egli dunque il modello dei poveri…