I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Perdono delle ingiurie (I)

 1. Obbligo di perdonare.
 2. Gesù Cristo ci ha dato l\’esempio dell\’amore dei nemici.
 3. I Santi imitarono Gesù Cristo.
 4. Esempi di pagani.
 5. Il perdono delle ingiurie è segno di grandezza d\’animo.
 6. Vantaggi del perdono.
 7. Dio farà con noi come noi avremo fatto col prossimo.
 8. Chi non perdona si condanna da se stesso.
 9. Cecità e malvagità di chi non vuole perdonare.
 10. Il vendicarsi è debolezza. 

1. OBBLIGO DI PERDONARE. – Dio ha fatto precetto ai cristiani non solamente di perdonare le ingiurie, di non odiare i nemici, di non fare vendetta, ma anzi di amarli e di fare loro del bene. Sono perentorie quelle parole di Gesù Cristo in S. Matteo: «Avete inteso che vi fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ora io vi dico: Amate i vostri nemici, beneficate quelli che vi odiano, e pregate per chi vi perseguita e vi calunnia» (MATTH. V, 43-44). Né meno esplicite sono queste altre in S. Luca: «Io vi dico che amiate i vostri nemici, che facciate del bene a quelli che vi odiano. Benedite quelli che vi maledicono, pregate per coloro che vi calunniano. A chi vi percuote una guancia, offrite l\’altra» (Luc. VI, 27-29).
Del resto questo precetto di amare i nemici è già contenuto in quell\’altro generalissimo, con cui Dio ci comanda di amare lui con tutto il cuore, con tutta l\’anima, con tutta la mente, essendo questo il primo e principale comandamento; poi di amare il prossimo come noi medesimi. Nei quali due precetti si compendia tutta la legge (MATTH. XXII, 37-40). «Io vi comando, dice ancora il Salvatore in S. Giovanni, di amarvi gli uni gli altri» (IOANN. XV, 17). Perciò questo Apostolo così scriveva: «Noi abbiamo per precetto da Dio, che chi ama Iddio ami anche il proprio fratello» (I Joann. IV, 21). E come mai non ci avrebbe dato questo precetto colui il quale aveva ordinato nella legge del timore, che qualora ad uno accadesse di vedere il giumento del suo nemico caduto sotto la soma, non dovesse passar oltre senza rilevarlo? Exod. XXXIII, 5).
Dice S. Gregorio: «Sopportate i vostri nemici, ma amate come fratelli quelli che sopportate» (Moral.).

2. GESÙ CRISTO CI HA DATO L\’ESEMPIO DELL\’AMORE DEI NEMICI. – Il Salvatore imponendoci il dovere di amare i nostri nemici, ce ne diede pure l\’esempio. Isaia aveva predetto che il Messia avrebbe pregato per i peccatori (ISAI. LIII, 12). Ed ecco che dall\’alto della croce, ai cui piedi vedeva ondeggiare uno sciame di nemici feroci che gli vomitavano contro gl\’improperi più laidi e blasfemi, Gesù pronunzia quella preghiera: «Padre, perdona loro, che non conoscono quel che si fanno» (Luc. XIII, 34). Gesù Cristo imprime su tutto il mistero della sua passione il suggello del suo ammirabile ed ineffabile amore. Dimenticando, in certo modo, i suoi spasimi atroci, dimenticando se stesso, prega per i suoi nemici e pèr coloro che lo crocifiggono. Gesù Cristo c\’insegna così a trionfare del male facendo il bene, a ripagare con servizi i torti ricevuti, ad amare i nostri nemici e vincerli in modo così eroico, da obbligarli a diventare nostri amici e amici di Dio.
Gesù Cristo è uno specchio vivente di misericordia, ed il suo esempio è il più potente stimolo per indurci a perdonare. Per le viscere. della sua misericordia, egli si è levato su le altezze dei cieli per visitarci (Luc. I, 78). Egli è venuto per alleviare e guarire le moltissime e gravissime nostre miserie. Quantunque fossimo suoi nemici, egli sparse a larga mano sopra di noi i tesori tutti della sua bontà, sia nell\’incarnazione, sia durante la sua vita, sia principalmente su la croce. Volete voi una viva immagine della tenerezza, della misericordia, della carità di Gesù Cristo? contemplatelo su la croce, dov\’è tutto miseria, dolori, ferite, perché è tutto carità, tenerezza, misericordia. Né solamente nell\’incarnazione, in vita e in morte, egli profuse sopra di noi questi tesori, ma ancora dopo la risurrezione, e continuerà a spargerli nei secoli dei secoli: egli è stato, è, e sarà tutto amore, bontà, misericordia. Gesù, secondo la bella frase di S. Tommaso, nella sua nascita, si è fatto a noi fratello e compagno; verso il fine di sua vita, ci si è dato in cibo; alla sua morte, si diede in prezzo del nostro riscatto; nel cielo dove regna, ci aspetta per farsi nostro premio (In off. sanctissimi Sacram.).
Dice S. Bernardo: «Gesù Cristo è battuto con verghe, coronato di spine; mostra le mani e i piedi trapassati da chiodi; sta affisso alla croce, saziato di obbrobri, e intanto dimenticando tutti questi patimenti, grida: Padre mio, perdonate loro perché non sanno quello che fanno. Oh! come è pronto a dimenticare e perdonare le ingiurie! O quanto sono grandi, Signore, le vostre misericordie! Come diversi sono i vostri. pensieri dai nostri! Come avete pietà dell\’empio! Cosa singolare! Gesù esclama: Perdona loro; e i Giudei gridano: Sia crocefisso. – O Giudei, voi avete cuori di macigno; voi battete la misericordia incarnata dalla quale esce l\’olio della carità. Quali delizie farete gustare, o Signore, ai vostri amici in cielo, voi che spargete l\’olio della vostra misericordia su coloro che vi crocifiggono maledicendovi! (Serm. de pass.). Ah! la carità ignora, come dice il Crisostomo, quello che sia obbrobrio e disonore; ella copre con le sue ali d\’oro i vizi di tutti coloro che abbraccia» (In Catena).

3. I SANTI IMITARONO GESÙ CRISTO. – E i Santi, non seguirono essi le orme di Gesù Cristo? non ci .offrono forse stupendi esempi di perdono ai nemici? Osservate il casto ed amorevole Giuseppe, e non potrete fare a meno di esclamare con S. Ambrogio: «Egli è veramente degno di ammirazione Giuseppe il quale, prima ancora della predicazione del Vangelo, si condusse in modo che offeso, perdonò; assalito e venduto, non si vendicò, ma ripagò con benefizi le ingiurie. Questo che dal Vangelo tutti abbiamo imparato a fare, o quanto pochi in realtà lo facciamo! (Offic. lib. II, c. VII)».
Ciechi di furore, i Giudei si sbracciano a lapidare Stefano; ed egli cadendo in ginocchio esclama: «Signore, non imputare loro questo misfatto» (Act. VII, 58-59). Ah! Potessimo anche noi ripetere con l\’Apostolo: «Siamo maledetti, e benediciamo; siamo perseguitati, e soffriamo; siamo ingiuriati, e preghiamo» (1 Cor IV, 12-13). Questo certamente poteva dire S. Ambrogio del quale attesta S. Agostino, che rendeva sempre bene per male e non si vendicava delle ingiurie che con benefizi.
Prima di attaccare battaglia contro Eugenio, l\’imperatore Teodosio emanò un editto col quale perdonava tutte le ingiurie che altri avesse potuto commettere contro la sua persona, sia in parole sia in fatti. Se per indiscreta leggerezza, egli diceva, uno ha sparlato di noi, non gli si deve badare; se è per follia, dobbiamo compatirlo; se per mal animo, dobbiamo perdonargli (SOCRATE, Storia eccles. L VII, c. XXII). Gli abitanti di Antiochia essendosi sollevati contro il medesimo imperatore, a cagione di una nuova imposta da lui decretata per la guerra contro il tiranno Massimo, spinsero l\’insolenza a tale eccesso, che trascinarono ignominiosamente per le contrade le statue dell\’imperatore, dell\’imperatrice, dei suoi due figli, e di suo fratello. Teodosio stabilì di farne severa vendetta. Allora Flaviano, vescovo di Antiochia, assunte le parti di paci ere, cercò di calmare la collera del sovrano e recatosi a lui, fra le altre cose disse che egli si presentava al suo cospetto in qualità di deputato degli abitanti di Antiochia, per implorare dalla sua misericordia il perdono di cui essi si confessavano indegni; ma che veniva anche a nome del Signore degli angeli e degli uomini, per dichiarargli che se egli perdonava le colpe
commesse contro di lui, anche Dio gli perdonerebbe i suoi peccati. A differenza degli altri inviati, i quali si presentano con ricche offerte, egli si presenta a lui con la sola legge di Dio, e per esortarlo ad imitare l\’esempio datogli dal Salvatore spirante sulla croce. Al che l\’imperatore, commosso fino alle lagrime, rispose: Se Gesù Cristo nostro Signore ha perdonato ai suoi carnefici ed ha pregato per loro, devo io esitare a perdonare a quelli che mi hanno offeso, io che sono un uomo mortale come loro, e servo del medesimo padrone? (Id. Ib.).
Non si può, diceva S. Pemene, cacciare il male col male; quando uno vi la del male, voi fategli del bene, affinché possiate vincere il male col bene (Vit. Pat.). Come sono belle le parole profferite da San Leone martire mentre veniva tormentato più crudelmente! Signore che non volete la morte ma la conversione dei peccatori, fate che gli autori della mia morte vi conoscano, e ottengano il perdono dei loro misfatti, per i meriti del vostro unigenito Figliuolo Gesù Cristo, nostro Salvatore (In Vita).
Alcuni miserabili monaci traviati avevano messo del veleno nel bicchiere di S. Benedetto. Prima di avvicinare la bevanda alle labbra, il Santo fece, secondo suo costume, il segno di croce sul bicchiere il quale si spezzò in sull\’istante. Conobbe il santo Abate, a questo miracolo, che la bevanda era avvelenata; ma invece di punire i colpevoli, si contentò di dire con dolcezza a quei mostri: Dio vi perdoni (SURIUS. In Vita). S. Antonino perdonò generosamente ad un sicario che gli aveva vibrato un colpo di spada (SURIUS. In Vita). San Ubaldo fu stramazzato a terra da un uomo furioso; il popolo indignato minacciava dimettere a brani il colpevole il quale,non trovando altro scampo, si gettò ai piedi del santo. Questi, per tutto castigo, lo abbracciò e lo salvò dal furore della plebe. Chi non sa il fatto di S. Giovanni Gualberto il quale vedutosi ucciso il fratello, giurò di vendicarsi a qualunque costo. L\’occasione non tardò a presentarglisi propizia poiché l\’uccisore venne a incontrarsi con lui in una via stretta e deserta. Giovanni mette tosto mano alla spada; l\’uccisore vedendosi a mal punto, gli si getta ai piedi, e per la passione di Gesù Cristo lo scongiura a dargli la vita. Era il Venerdì Santo. A tale spettacolo Giovanni gli dice: Io non posso negarvi quello che mi domandate in nome di Gesù; vi concedo non solo la vita, ma anche la mia amicizia; e se lo stringe al seno. Benedetto da Dio, principalmente per questa generosa azione, Giovanni Gualberto divenne un gran santo e il fondatore di un Ordine celebre nella Chiesa, sotto il nome di Vallombrosa (In Vita).

4. ESEMPI DI PAGANI. – Nel libro dodicesimo delle sue Storie diverse, Eliano racconta che Focione, generale ateniese, condannato, quantunque innocente, a morire di veleno, e interrogato, mentre gli veniva offerta la coppa fatale, se non avesse nulla da raccomandare al figlio, rispose: Gli raccomando che non ricordi la bevanda che gli Ateniesi oggi mi dànno da bere. Demostene essendo stato insultato da uno dei suoi rivali, gli disse per tutta vendetta: Mi guardi il cielo dall\’ingaggiare con voi una lotta nella quale è meglio essere vinto che vincitore (PLUTARCO, Vite). Ad un tale che lo ingiuriava, il filosofo Aristippo da Cirene disse: Voi avete il potere di oltraggiarmi, ma io ho quello di ascoltarvi con calma (Id. Ib.).
Il re Antigono era solito dire che il perdono era più potente che la vendetta (Anton. in Meliss.). Cinna aveva tramato alla vita di Cesare Augusto. Questi, avendolo saputo, lo chiamò a sé e gli disse: Cinna, io vi lascio la vita, ancorché sappia che voi siete stato prima mio nemico, poi cospiratore e parricida; gli offerse anzi il consolato. Tanta generosità commosse Cinna così che da quel punto fu sempre affezionatissimo ad Augusto il quale, morendo, gli lasciò parte della sua fortuna privata (SENECA, De Clement.).

5. IL PERDONO DELLE INGIURIE È SEGNO DI GRANDEZZA D\’ANIMO. – Ecco che cosa pensavano i filosofi pagani: «Il savio, dice Seneca, è superiore all\’ingiuria» – Sapiens iniuria superior est (De Clement.); e a lode di Giulio Cesare scriveva Cicerone: «Nessun\’altra cosa suole dimenticare, fuorché le ingiurie» (Orat. pro Marcello). I mondani stimano atto vile e vergognoso il perdonare un\’ingiuria; essi sbagliano, perché è onorevolissima azione cogliere l\’occasione di esercitare un atto di virtù eroico, qual è quello di perdonare, di riconciliarsi, di amare il proprio nemico. Ecco perché l\’uomo che sa dimenticare e perdonare un\’offesa è senza dubbio un uomo superiore agli altri. Padrone della sua collera e della sua vendetta, egli merita gloria e stima.
Da un nulla, dice Euripide, la lingua imprudente fa nascere alterchi, risse, odi profondi, deplorabili lotte; ma l\’uomo saggio si guarda bene dal suscitare litigi, o provocare offese; con la sua magnanimità spegne le più infocate ire (PLUT. Vite). «Cosa più utile e più degna di un grand\’animo, dice Musonio, è perdonare un affronto, che vincere una lite (Anton. in Melus.)». Chi sa tacere in faccia a chi lo insulta, e non ribatte parola a chi lo provoca, costui, al dire di Valerio Massimo, riporta una vittoria difficile e gloriosa (PLUTUARC.). Infatti l\’uomo che così opera, trova la sua ricompensa e la sua gloria nella sua pazienza e nella guarigione del prossimo. Come è cosa da insensato rimbeccare un furioso, così è bellissima ed utilissima azione il mantenere il silenzio in mezzo alle provocazioni: l\’uomo sensato e grave non si commuove per detti ingiuriosi che un mascalzone gli rivolga; egli ricorda la sentenza di Seneca: «Il biasimo dei ribaldi è lode» (De Clement.). Anzi, tanto grande e rara cosa parve a Plutarco il saper tacere in mezzo agli insulti, che la disse azione da Socrate e da Ercole; perché l\’uno e l\’altro disprezzavano, come ronzio d\’insetti, le parole ingiuriose (Anton. in Meliss.).
Pitagora giudicava grande abilità quella di poter sopportare l\’inesperienza degli altri (PLUTARC. Vite). «Chi si vendica a proprio danno di un nemico, diceva Teofrasto, punisce più se stesso che l\’altro: non fate dunque contro i vostri nemici tale vendetta, che noccia più a voi che non a loro (PLUTARC. Id.)». Leggiamo ancora che Pittaco, uno dei sette sapienti della Grecia, avendo occasione di vendicarsi di un\’ingiuria, non volle giovarsene, dicendo: «Il perdono vale meglio della vendetta; quello è proprio di un animo dolce, questa non piace che ad un cuore feroce (Ita LAERTIUS)».
Di questa grandezza d\’animo, di questa vittoria che perdona le ingiurie, così parla il Crisostomo: «Nei combattimenti olimpici consacrati al demonio, è legge che si vinca facendo del male all\’avversario: assai diversamente avviene nella lizza aperta da Gesù Cristo. Qui non colui che percuote e ferisce deve essere coronato, ma colui che è percosso e ferito. Se noi siamo pieni di mitezza e di mansuetudine, siamo invincibili, e nessuna offesa può ferirci. Domandate al vostro nemico se non soffre e non si sente umiliato e vinto, quando vi vede ridere e non badare alle sue contumelie? (Homil. ad pop.)». Quindi il medesimo Santo conchiudeva: «Nulla ci rende tanto degni di rispetto e venerazione, quanto il saper sopportare un\’ingiuria (Moral.)». Ed il Nazianzeno: «Le offese dànno materia ad esercitare la virtù, le avversità le dànno lustro e splendore. Niente vince in fortezza coloro che sono disposti a tutto sopportare (In Distich.)». S. Ignazio di Loyola ci anima a tenerci saldi come incudini sotto i colpi degli oltraggi; perché è proprio di generoso atleta essere battuto e vincere (In eius vita).
L\’anima in cui regna la clemenza e la carità somiglia al cielo. Come il cielo spaziosissimo cinge la terra, la scalda coi raggi del sole, la innaffia con benefiche piogge, la rinfresca con dolci rugiade, la feconda; così un\’anima sublime abbraccia, nella sua generosità, gli abitanti di tutto il mondo, siano barbari, siano anche nemici; fa del bene a quanti più può; bagna come di pioggia celeste, con la sua misericordia, i più aridi luoghi, i più inospiti deserti, cioè i cuori pieni di odio e di vizi, e ne fa il campo fertile di Gesù Cristo. Poi, come il firmamento e tutti gli astri conservano sempre la loro purezza e splendore, come le più oscure nubi, i venti e le tempeste, la folgore, il tuono non possono contro di loro, così un\’anima grande e caritatevole sta al di sopra di ogni offesa e di ogni irritazione; niente di tutto questo arriva fino a lei.
Ah! Intendetela bene, non vi è nulla di più grande, di più nobile, di più generoso che dimenticare un affronto. Al mondo cieco sembra un paradosso la sentenza che inculca di vendicarsi perdonando e amando: eppure è questa la più bella delle vendette, è una vendetta gloriosa e divina; è la vendetta che prese Gesù Cristo del genere umano colpevole; è la vendetta che alla loro volta fecero tutti i Santi. No, non vi è cuore così grande, né così nobile, né così venerando, come quello che è sempre tanto spazioso da dare luogo in ogni incontro al perdono. Non vi è cuore più vile, più gretto, più spregevole di quello che mai non seppe perdonare.

6. VANTAGGI DEL PERDONO. – Meditiamo queste parole di Gesù Cristo: «Se voi perdonerete agli uomini le loro offese, il vostro Padre celeste rimetterà a voi le vostre; ma se voi non perdonate agli altri, il Padre vostro non perdonerà nemmeno a voi» (MATTH. VI, 14-15).
Chi c\’insulta, ci porge l\’occasione di praticare un atto di grande virtù e di molto merito; ci mette in grado di riportare un\’insigne vittoria e di guadagnare una splendida corona; non ci fa dunque un male, ma ci procura un bene, purché però sappiamo tollerarlo con pazienza. Ecco la ragione per cui i Santi dicono che l\’offensore non deve incontrare da parte nostra odio e rancore, ma piuttosto riconoscenza, ringraziamento, amore. Quelli che ci assalgono con parole o con fatti, non si devono chiamare nemici, ma intrecciatori di corone; invece di nuocere, ci giovano.
Coloro che soffrono rassegnati un affronto, escono vincitori del demonio, che ha dato origine all\’insulto e che li spinge alla vendetta; dell\’offensore che vede cadere a vuoto il suo assalto; di se medesimi che avrebbero potuto cedere alla voglia di punire il loro avversario. Trionfano dinanzi a Dio che li ripaga con sceltissime grazie e con l\’eterna gloria; davanti a quelli che vedono e ammirano la prudenza, la calma, la carità, la pazienza… «Quando uno vi oltraggia, dice il Crisostomo, non badate a lui, ma al demonio che lo muove, e fate cadere su questo tutta la collera vostra; quanto all’infelice che ne è lo zimbello, compatitelo (Homil. ad pop.)».
Noi dobbiamo soffrire tutto per Iddio, affinché egli ci tolleri. Sopportiamoci gli uni gli altri con pazienza, affinché Iddio ci sopporti tutti con indulgenza e misericordia. «Utile cosa, scrive S. Gregorio Nazianzeno (In Distich.), è l\’incatenare l\’audacia con la mitezza e rendere migliori quelli che ci offendono col tollerare pazienti quello che ci fanno soffrire».
Tertulliano dice: «Se con pazienza sopporto le ingiurie, non ne soffro né mi rattristo; se non ne soffro e non mi rattristo, non mi viene il pensiero di vendicarmi. Dio si fa egli medesimo depositario di quello che gli consegna la pazienza. Se voi gli date in deposito l\’offesa che vi fu fatta, egli ne sarà il vendicatore; se il danno che vi fu recato, egli lo riparerà; se il dolore che vi fu cagionato, egli lo guarirà; se la morte sofferta senza lamenti, egli vi risusciterà (De patientia, cap. IX et XC)».
Tre notevoli vantaggi derivano dalla pazienza, che mostriamo verso coloro che ci offendono: riportare vittoria sul nostro nemico, edificare il prossimo, meritare le ricompense del Signore. Così Saulle, tocco da un benefizio di Davide, riconobbe i suoi torti e gli disse: Voi siete migliore di me; perché voi mi avete fatto del bene, ed io vi ho ricambiato con ingratitudini… Se voi tenete buon contegno col vostro nemico, mandate scornato e confuso il diavolo, vero autore delle inimicizie che vi professa il vostro avversario. La nostra carità e pazienza affliggono e torturano il demonio, divorato da astio, invidia, malizia ed odio…
Le persone crudeli e vendicative sono esposte alla vendetta di tutti; ad ogni passo devono temere la loro rovina, perché la loro iniquità le precede, e l\’odio di Dio non meno che quello degli uomini le segue; all\’opposto, le persone mansuete e misericordiose che sanno perdonare non hanno da temere né ingiuria né violenza, perché la loro dolcezza, la grazia di Dio, l\’amicizia del prossimo le precedono, accompagnano e seguono…
Ascoltate ancora Gesù Cristo: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi vogliono male, pregate per coloro che vi calunniano e perseguitano; affinché siate veri figli del Padre vostro celeste, il quale fa nascere il sole sui buoni e sui cattivi, e versa la pioggia sui beni dei tristi non meno che su quelli dei giusti. Perché se voi amate solamente quelli che vi amano, qual mercede ne avrete? Questo non fanno forse anche i pubblicani? E se voi non salutate altri che dei fratelli, forse che anche i pagani non fanno altrettanto? Siate dunque perfetti, come perfetto è il Padre vostro celeste» (MATTH. V, 44-48).
Dobbiamo dunque conchiudere, con S. Giovanni Crisostomo, che la misericordia è veramente regina, perché rende simili a Dio (Moral.); che il non perdonar le ingiurie è per un cristiano un delitto; «Chiunque odia suo fratello è omicida» – dice in termini formali S. Giovanni (I, III, 15). Egli lo uccide nel proprio cuore scacciandonelo, e augurandogli del male. Il perdono delle ingiurie non può stare con l\’odio, e l\’odio del prossimo non può stare con l\’amore di Dio: «Se qualcuno dice, scrive il medesimo Apostolo: Io amo Dio, e intanto odia il suo fratello, egli mente, perché se non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede?» (I, IV, 20). Colpevolissimo è l\’uomo che nutre odio, dice S. Basilio (Homil.).

7. DIO FARÀ CON NOI COME NOI AVREMO FATTO COL PROSSIMO. – Il non perdonare è una mancanza che provoca da Dio verso di noi il medesimo trattamento: il perdonare è atto di tanto merito, che adempiendolo, noi siamo sicuri del perdono. Dio si regola con noi come noi ci diportiamo col prossimo: se noi perdoniamo, Dio ci perdona; se noi ci vendichiamo, Dio si vendica. Egli ha così lasciato a noi la scelta del giudizio che ci aspetta; dolce se perdoniamo, severo ed inesorabile se nutriamo odio verso il prossimo che ci ha offeso. Gesù, come già abbiamo udito, ce lo disse in termini chiari e precisi: «Se voi perdonate agli altri le loro offese, il Padre vostro celeste vi perdonerà le vostre; ma se voi non rimettete agli altri i loro mancamenti, nemmeno il vostro Padre celeste vi rimetterà i vostri» (MATTH. VI, 14-15).
Un\’altra volta, sotto la figura di un padrone che chiama a rendiconto il proprio servo, dice a costui che duramente si era diportato con un suo compagno: «Servo malvagio, io ti ho condonato il tuo debito, perché me ne hai pregato. Non era giusto che tu usassi col tuo compagno quella bontà che io ho usato con te? E giustamente sdegnato, lo consegnò agli esecutori della giustizia, finché avesse saldato tutto il suo debito. Così, conchiude Gesù, farà a voi il Padre mio celeste, se non perdonate di cuore ai vostri fratelli» (MATTH. XVIII, 34-35): «voi riceverete con quella misura che avrete adoperato con gli altri» (MATTH. VII, 2).
Udite e tremate, o vendicativi: «Giudizio senza misericordia, esclama S. Giacomo, aspetta colui che non ha fatto misericordia» (IACOB. II, 13). «Chi vuole vendicarsi, dice l\’Ecclesiastico, incontrerà la vendetta di Dio il quale terrà conto dei peccati che avrà commessi. Perdonate adunque al prossimo che vi danneggia, e quando pregherete i vostri peccati vi saranno rimessi » (Eccli. XXVIII, 1-2). Dio non perdona a chi non perdona al suo prossimo: l\’odio è dunque un delitto.

8. CHI NON PERDONA SI CONDANNA DA SE STESSO. – Se noi nutriamo odio contro il prossimo, pronunziamo di propria bocca la nostra condanna, quando diciamo a Dio nel Pater, che perdoni a noi come noi perdoniamo ai nostri fratelli che ci hanno offeso (MATTH. VI, 12). Infatti è come se dicessimo: se noi non perdoniamo, non perdonate neppure a noi, o Signore. Ah sì che in quell\’atto Iddio può dire al vendicativo, all\’odiatore: «Servo iniquo, io ti condanno per le tue medesime parole» (Luc. XIX, 22). «Nessuno adunque, dirò col Crisostomo, se cova nel cuore rancori e vendette, osi avvicinarsi con la preghiera a Dio (Moral)». Qui fanno proprio al caso i detti dell\’Ecclesiastico: «L\’uomo conserva la sua ira contro l\’uomo, e chiede a Dio la sua guarigione? Egli non ha compassione di un uomo simile a lui, e intercede per le sue proprie colpe? Egli, il quale non è che carne, cova l\’ira, e implora la clemenza di Dio? Chi mai implorerà perdono per i peccati di lui?» (Eccli. XXVIII, 3-5).
L\’odio è paragonato alla vespa la quale per vendicarsi pianta il suo pungiglione nel corpo di colui che perseguita, e non potendolo ritirare, perde col pungiglione la vita. Così chi non vuole perdonare, mormora, strepita, si dimena e per vendicarsi e ferire il suo prossimo, ferisce se stesso, dando morte all\’anima sua col peccato. A questo pensava il Salmista quando scrisse: «Mi attorniarono come sciame di api» (Psalm. CXVII, 12).

9. CECITÀ E MALVAGITÀ DI CHI NON VUOLE PERDONARE. – Chi afferma di vivere nella luce (della ragione, del Vangelo, della fede, della grazia) e intanto nutre astio contro il suo fratello, cammina fra le tenebre, scrive S. Giovanni. Chi ama il suo fratello (e mostra quest\’amore perdonandogli le offese) dimora in mezzo alla luce, e non vi è in lui oggetto di scandalo. Ma chi odia il proprio fratello è nelle tenebre e cammina al buio, senza sapere dove vada, perché le tenebre lo accecano» (I, II, 9-11).
«Se è vero che hai cominciato ad essere uomo di luce, scrive San Cipriano, règolati come conviene a un discepolo di Cristo, perché il Cristo è luce e giorno. Perché mai, abbandonandoti alla cecità dell\’odio, spegni in te ogni luce di pace e di carità? Perché fai ritorno al demonio al quale avevi detto addio? Perché somigli tu a Caino? (De Unit. Ecclesiae)». S. Basilio poi dice chiaramente che siccome chi ha la carità, ha Dio in sé, così chi cova odio, alberga il demonio (Homil. in Epl. S. Ioannis).
Chi perseguita suo fratello, cammina nelle tenebre e non sa dove vada: «Infatti egli va, senza saperlo, all\’inferno, commenta S. Cipriano. Ignorante e cieco, egli corre al proprio castigo, perché si allontana dalla luce di Cristo che lo avverte e gli dice: Io sono la luce del mondo, chi viene dietro a me, non cammina nelle tenebre, ma avrà luce di vita (De Unit. Ecclesiae)»… E\’ certo che non si dà vizio il quale più oscuri e travii la ragione e renda l\’uomo più triste, della collera, della gelosia, dell\’odio, del desiderio di vendetta… Le vere cause delle ingiurie che facciamo agli altri e del rifiuto di perdono stanno nella cecità dello spirito e nella malvagità del cuore.

10. IL VENDICARSI È DEBOLEZZA. – Questa verità la proclamò Aristotele il quale disse: «Come è segno ed effetto di stomaco debole il non poter sopportare alimenti un po\’ sostanziosi, così è indizio di animo pusillanime e abbietto il non saper digerire una parola un po\’ pungente e dura (Lib. IV, c. 3)». Che cosa giova, dice Seneca, essere forte al male? non è forse questa la potenza della peste? (De Clement. l. I).
«O vergogna! esclama S. Agostino: Sarà mai vero che mentre tanti uomini e donne e ragazzi e tenere fanciulle, tollerarono magnanimi il fuoco, il ferro, le belve, noi diciamo che non possiamo sopportare le ingiurie degli uomini? Per me non so intendere con qual fronte, con quale coscienza desideriamo partecipare, in compagnia dei Santi, all\’eterna beatitudine, noi che ci scusiamo di seguirne gli esempi nelle più piccole cose (Serm. LXI, de Temp.)». In fatto di oltraggi e di strapazzi, il vincitore si mostra più debole e più miserabile del vinto, nota San Basilio; perché esce dalla lotta carico di peccati (Regol. Brev. CLXXVI). «Mette più conto, dice il Nazianzeno, essere vinto conservando la decenza, che vincere con rischio ed ingiustizia. Quelli che amano i litigi cercano la loro gloria in cosa evidentemente malvagia, e si vantano del loro disonore (In Distich.)».
Ponderate questa sentenza di S. Ambrogio: «Chi si lascia facilmente commuovere da un insulto, mentre vuole mostrare che non lo merita, prova che gli sta bene. Chi non bada alle ingiurie è ben più degno di stima che non colui che se ne lagna. Perché chi le disprezza, le sdegna come se non le sentisse; mentre chi se ne lamenta, fa capire con questo che ne è tormentato (Offic, lib. I, c. XXVI)». Anche S. Basilio scrive: «Se t\’incollerisci contro chi ti oltraggia, provi che ben ti sta l\’oltraggio che ti è fatto. Infatti, qual cosa più insensata della collera? Se al contrario ti mantieni calmo, copri di vergogna e di rossore chi t\’insulta (In Reg. brev. CLXXVI)».
L\’impaziente, l\’odiatore, il vendicativo, è così fiacco e vile che è
vinto 1° da un\’ingiuria…; 2° da colui che gliela scaglia…; 3° dalla collera…; 4° dal demonio…; 5° dai testimoni della sua dappocaggine, che lo biasimano e condannano…; 6° da Dio che lo abbandona e lo destina a pene eterne… Dice S. Gregorio Nazianzeno: «Nessuno è così forte, come chi è risoluto a tutto soffrire; nessuno è tanto debole e dappoco, quanto colui che nulla può soffrire, nemmeno una parola» (Distich.) .
Ben diversamente dagli uomini, si diporta Iddio negli insulti! L\’uomo studia la vendetta; Dio prepara il perdono e la riconciliazione. L\’uomo fa il cattivo per perdere; Dio fa il severo per correggere e salvare. L\’uomo obbedisce alla passione, alla collera, all\’odio; Dio opera senza turbamento e per ragione. L\’uomo si vendica; Dio esercita la sua giustizia, la clemenza, la dolcezza. L\’uomo opera da impetuoso e da cieco; Dio lentamente e con intelligenza. L\’uomo non pesa né quanto dice, né quanto fa; Dio tutto ordina in peso e misura.