I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Parola di Dio (II)

 7. Chi è colui che annunzia convenientemente la parola di Dio.
 8. Eccellente predicatore è la croce
 9. Necessità di ascoltare e di praticare la parola di Dio.
 10. È facile praticare la parola di Dio.
 11. Tutti intendono la parola di Dio,
 12. Come sono ciechi, colpevoli e infelici quelli che non ascoltano e non praticano la parola di Dio.
 13. Perché non si ascolta la parola di Dio e non se ne trae profitto.
 14, Castighi riservati a coloro che non odono e non praticano la parola di Dio.
 15. Disposizioni e mezzi per trarre profitto dalla parola di Dio.
 

7. CHI È COLUI CHE ANNUNZIA CONVENIENTEMENTE LA PAROLA DI DIO. ­ Il predicatore abbia scolpito in mente quell'avviso di S. Paolo: «Sia il vostro discorso condito col sale della grazia, di maniera che sappiate come rispondere a ciascuno» (Coloss. IV, 6); e non dimentichi mai quelle parole di S. Gerolamo a Nepoziano, che un ragionamento, per quanto sia ricco e profondo ed eloquente ed acconcio, non approderà mai a nulla, se vi manchi il soffio dello Spirito, il quale dà vigore alle parole; e che chi insegna nella Chiesa, deve cercare di provocare non gli applausi, ma i gemiti, e che il pianto degli uditori formi il suo elogio (Ad Nepot.). E questo otterrà più facilmente, se prima di parlare agli altri, mediti egli medesimo nel suo cuore quello che deve dire, perché secondo l'osservazione di S. Agostino: «Invano fa rimbombare al di fuori la parola di Dio, colui che non l'ascolta egli per il primo, in fondo all'anima sua (Epistola CXXXII)».
Le prediche non troppo lunghe sono più volentieri udite, e meglio gustate, e più facilmente ritenute. Esponete in modo chiaro, preciso e breve quello che ordina il Signore, affinché le anime docili lo sappiano e se ne ricordino. Non abbiate la pretesa, dice Vincenzo Lirinese, di voler dire cose nuove, ma dite le cose vecchie in forma nuova (In Vita), parlate cioè in modo, da cattivarvi l'attenzione e la benevolenza degli uditori.
Narrano gli Atti Apostolici, che Erode, vestito con pompa regale e seduto in trono, arringò con tanta eloquenza e grazia i deputati di Tiro e di Sidone, che il popolo si levò unanime a gridare: «È questa la voce di un Dio e non di un uomo». In quell'istante l'Angelo di Dio lo percosse, perché non aveva reso gloria al Signore, e morì divorato dai vermi (Act. XII, 21-23). Non dovrebbero mai i predicatori dimenticare questo fatto che torna loro di grande ammaestramento.
«Chi ha la scienza del cuore, sarà eloquente», dice il Savio (Prov. XVI, 21). Perché un discorso sia eloquente conviene: 1° che sia informato a prudenza e sapienza…; 2° che sia adatto alla circostanza e agli uditori; che tutte le sue parti siano disposte con ordine, che riesca chiaro, solido, facile a intendersi…; 3° che piaccia…; 4° che venga da un cuore pieno di fede, di dolcezza, di bontà, di carità, ecc… Nelle prediche, scrive S. Agostino, si deve badare alla verità delle sentenze, non alla ricercatezza delle parole: – In verbis verum amare, non verba (In Psalm. VII). «Un discorso troppo studiato e forbito, dice S. Prospero, toglie forza ed importanza a quello che si predica: non i pensieri per le parole, ma le parole furono stabilite per servire ai pensieri (In Sentent.)».
Un medesimo discorso non è adatto a tutti, perché non tutti sono di una medesima età, intelligenza, condizione e pietà; non tutti hanno il medesimo carattere e i medesimi costumi. Vi sono cose che nocciono agli uni mentre giovano agli altri; come vi sono erbe che nutriscono certi animali e ne uccidono altri. Un leggero fischio ferma il cavallo e irrita il leone; il rimedio che guarisce una malattia, ne aggrava un'altra; il pane che fortifica l'uomo, ucciderebbe l'infermo o il bambino lattante. Bisogna dunque preparare e distribuire con discernimento i propri insegnamenti, per dare a ciascuno quello che gli conviene, senza però allontanarsi dalle regole generali…
Non senza ragione la Sacra Scrittura paragona un discorso ad un favo di miele. Infatti, 1° il miele è dolce, l'oratore dev'essere tutto dolcezza nelle sue parole…; 2° Il miele è il delizioso risultato del lavoro delle api che sono esse medesime il modello e il simbolo della prudenza e della castità; il discorso deve partire da un'anima prudente e pura…; 3° Le api compongono il miele col succo di fiori e di erbe odorifere; bisogna che il predicatore componga i suoi discorsi col succo e col profumo dei fiori raccolti nel giardino della Sacra Scrittura e dei santi Padri…; 4° Il miele ha tre proprietà: rinforza, addolcisce, guarisce; tre effetti analoghi deve produrre il predicatore: istruire, piacere, commovere. S. Agostino, il quale aveva tanto studiato e possedeva a meraviglia l'arte oratoria, dice: «Un uomo eloquente ha detto, e ha detto il vero, che è eloquente colui che riesce ad istruire, a dilettare, a commovere. Istruire è necessità, dilettare è soavità, commovere è portare vittoria» (Epl. XXXII). 5° Le api formano il loro miele con mirabile arte; e l'oratore deve disporre il suo discorso con prudenza, ordine e metodo; il che dà alla sua parola una potente attrattiva e una dolce efficacia.
Studiate, dice S. Ambrogio, di ricavare dalla parola di Dio che è tutto fuoco, tre effetti che sono, purificare, illuminare, infiammare; ma chi vuole procurare agli uditori questi tre beni, deve avere la parola di Dio nella bocca, nel cuore, nelle opere. La parola divina deve rischiarare l'intelletto, stimolare la volontà e ornare la memoria (In Psalm. CXVIII). «La forza degli oratori sacri, dice S. Gregorio, suona e brucia: brucia per il desiderio del bene che comunica; suona per la parola che fa intendere. Una predicazione animata somiglia dunque ad un bronzo infocato (Homil. III in Ezech.)». S. Bernardo insegna che è dovere dei predicatori ritirarsi sul monte con Gesù Cristo, cioè tendere al cielo coi sospiri dell'anima e con la santità della vita, e sforzarsi di giungere alla perfezione delle virtù (In Psalm.). Il medesimo Santo enumera sette gradi per i quali deve salire chi vuole rendersi idoneo ad annunziare la parola divina, e sono: 1° la contrizione; 2° la divozione; 3° la penitenza; 4° l'esercizio delle opere di pietà; 5° l'amore della preghiera; 6° l'abitudine della contemplazione; 7° la pienezza dell'amor di Dio.
Meditino i sacri oratori le raccomandazioni di S. Francesco d'Assisi ai predicatori del suo Ordine. lo voglio, carissimi fratelli, che i ministri della parola di Dio siano tali che dedicandosi agli studi spirituali, non si occupino più di altro, perché voi siete scelti dal gran Re per banditori dei suoi oracoli ai popoli. Deve pertanto il predicatore attingere nella fervida preghiera interiore, il sentimento che poi manifesterà nei suoi discorsi sacri; bisogna che prima di parlare, sia acceso di amor di Dio, perché venerabile è il ministero della parola e bisogna tenerlo in venerazione. I predicatori sono gli avversari dei demoni e la luce del mondo. Tra di loro sono lodevoli quelli che pensano a se stessi e praticano essi i primi ciò che insegnano agli altri; ma cattivi operai sono coloro che tutto dànno alla predicazione, niente alla divozione, e non si potrà mai piangere abbastanza la triste sorte di coloro che vendono per una lode, le fatiche loro al demonio. Accetto sopra tutti è al Padre delle misericordie il ministero della predicazione, principalmente quando si abbraccia per solo spirito di carità e vi s'impiega l'esempio più che le parole, le preghiere frequenti più che le frasi altisonanti. Oh! come si dovrebbe piangere su l'oratore che cercasse le lodi anziché la salute delle anime! e su quello che distruggesse con una vita sregolata, l'autorità dei suoi ammaestramenti; sarebbe mille volte da preferirsi un predicatore di pochi talenti ma di molta virtù, perché da lui sarebbe da aspettarsi un bene infinitamente maggiore. Il predicatore che tende alla vanagloria, si guardi bene dal vantarsi di qualche po' di frutto che per avventura produca, perché per quanto ne produca, tutto è per lui perduto: ma ordinariamente egli è affatto sterile per gli altri come per se stesso; giacché Dio non benedice né lui né il suo ministero (Opusc. collat. XVII).
Di lui poi attesta S. Bonaventura, che la sua parola era fuoco ardente il quale penetrava in fondo ai cuori e si traeva dietro meravigliati gli uditori. Nelle sue istruzioni non traspariva nulla di arte umana, ma si sentiva il soffio delle inspirazioni e rivelazioni divine. Predicava la verità con imperturbabile confidenza: non conosceva certe delicatezze, con cui talvolta bisogna dire che si scusi anzi che si sferzi il vizio; affrontava con fermezza il peccatore e non lo lusingava, non si stancava di tenergli dietro in tutti i ripari in cui si trincerasse, per abbatterlo e farne un santo (In Vita).
Bisogna che il predicatore degno di un tal nome, gia un dardo e per i suoi esempi e per le sue parole; allora egli penetrerà sicuramente nel cuore dei suoi uditori; la sua vita intera sarà una predicazione incessante. Fate, o divino Gesù, che noi siamo frecce ardenti, vigorose e penetranti per i peccatori, affinché possiamo dire con la sposa dei Cantici: «Voi avete ferito il mio cuore; io muoio di amore» (Cant. IV, 3; II, 5).
Quelli che annunziano il Vangelo per mestiere, con freddezza, indifferenza, o timore; quelli che vagheggiano nella predicazione altro frutto che non sia la conversione degli uomini ed il loro profitto spirituale, mostrano di non comprendere né quello che è la parola di Dio, né la dignità del ministero di Gesù Cristo, né il carico che loro grava la coscienza. Gli apostoli, degni di questo nome, portano Dio con sé; lo offrono e lo dànno agli altri: quale uffizio è paragonabile a questo?…
I predicatori della parola divina devono essere: 1° inviati da Dio e servirgli di strumento…; 2° uniti a Dio con l'orazione e con una perfetta obbedienza…; 3° attivi e zelanti…; 4° pieni di forza e di unzione…; 5° scevri di vizi e splendIdi. di virtù, per diventare, come il Battista, fiaccole ardenti e lucenti…; 6° lanciare davvero le loro saette direttamente al bersaglio, cioè colpire nel cuore, insinuarvi il timore e l'amor di Dio e non contentarsi di piacere soltanto all'orecchio. Dono inestimabile è una lingua saggia ed eloquente; bisogna pregare ogni giorno il Signore che ce la conservi e dire col Salmista: «Signore, voi aprirete le mie labbra, e la mia bocca dirà le vostre lodi» (Psalm. L, 16).
S. Gregorio dice che Dio apre le labbra a colui che pensa non solamente a quello che dirà, ma in qual tempo e a quali persone lo dirà. Siano dunque tutti i nostri discorsi pesati alla bilancia della giustizia, affinché siano informati a gravità e nel senso, e nelle parole, e nell'azione oratoria. Non parliamo se non quando è utile; esaminiamo che cosa conviene dire e che cosa conviene tacere; se l'occasione è propizia a trattarne; finalmente se non ci scostiamo in nessun modo dalle regole della prudenza, della saviezza, della modestia, della carità (In Psalm. L). Un medico abile e compassionevole che desidera guarire una crudele ferita, non risparmia nel solo intento di risparmiare; non ha pietà del paziente unicamente per averne pietà; così deve fare il predicatore (In Psalm. XVII).
Finalmente sia come corona di tutti gli avvisi la sentenza del Nazianzeno: «L'opera vale meglio della parola» (Orat. XXVII). «Predicare con l'esempio; ecco la migliore delle prediche. Insegnare e non fare, scrive S. Gregorio, non solamente non porta nessun vantaggio, ma riesce di danno a molti. Severa condanna pende sul capo di colui che studia di comporre i suoi sermoni, ma non si dà pensiero di corroborarli con le opere. È debito del predicatore di mostrare egli il primo in sé quello che insegna agli altri. Non avrà mai famiglia spirituale quel predicatore che uccide con l'esempio coloro cui ha dato vita con le parole (Mor, lib. X)».
Gli esempi di coloro che fanno così, distruggono gli effetti che i loro insegnamenti potrebbero aver prodotto Apostoli di umiltà, sono guidati dall'orgoglio; raccomandano del continuo come virtù necessarie, ammirabili e facili l'obbedienza, la purità, la rassegnazione, la carità, e via dicendo: inculcano più fortemente ancora con i loro scandali il contrario e condannano ora con le opere le loro parole, ora con le parole le loro opere. Perciò, dal complesso della loro vita esce una sentenza di condanna; e nel giorno del giudizio saranno condannati tante volte, di loro propria bocca, quante avranno esortato il loro prossimo alla pratica di una virtù che loro fu sconosciuta. Ah! udite, dice il profeta Aggeo, quello che dice il Signore degli eserciti: «Applicate i vostri cuori alla vostra condotta: avete seminato molto e mietuto poco… Quelli tra di voi che ammassarono tesori, li hanno deposti in una borsa forata» (AGG. l, 5-6).
Aristotele dichiara che coloro i quali non cercano di conformare le loro azioni alle parole, distruggono la verità (Anton. in Meliss.); secondo Seneca, nessuno, è tanto nocivo agli uomini e meritevole di castigo, quanto coloro che vivono diversamente da quello che insegnano (In Prov.).

8. ECCELLENTE PREDICATORE È LA CROCE. – «La parola della croce, scrive S. Paolo, è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che giungono a salvezza, a noi, è la virtù di Dio» (I Cor. I, 18). Noi predichiamo, continua il medesimo Apostolo, Gesù crocefisso, scandalo per i Giudei, follia per i Greci, ma sapienza e virtù di Dio per gli eletti; siano Giudei o Greci, perché più saggia degli uomini è la follia di Dio, e più potente di loro la debolezza di Dio (Ib. 23).
Che cosa ci dice la croce? che cosa ci predica? La caduta dell'uomo…; l'amore infinito di Dio…; i delitti, le miserie, i castighi, la ristorazione del genere umano…; il pregio e la necessità della penitenza, dei patimenti, della rassegnazione, del distacco del mondo e della povertà…; il nulla del mondo e della vita, la bruttezza del peccato, la bellezza della virtù, il valore dell'anima, la necessità della salute…; ci addita la via del cielo, e c'insegna che cosa dobbiamo fare per giungervi.

9. NECESSITA' DI ASCOLTARE E DI PRATICARE LA PAROLA DI DIO. – «Beati coloro, disse Gesù Cristo, che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Luc. XI, 28). L'uomo è nato per la felicità e ne sente il bisogno; ora se per assicurazione di Gesù Cristo, la felicità consiste nell'udire la parola di Dio e nell'uniformare la nostra condotta a questa parola, ne risulta che dobbiamo ascoltarla e praticarla, sotto pena di essere infelici.
«Non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, scrive l'apostolo, ma quelli solamente saranno giustificati, che compirono la legge» (Rom. II, 13). Questa sentenza del discepolo dice in altri termini quello che già aveva detto il Maestro con quelle parole: «Non tutti coloro che gridano: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli; ma solamente quelli che fanno la volontà del Padre mio celeste, entreranno nel regno dei cieli» (MATTH. VII, 21) E chi è che fa la volontà di Dio, se non colui il quale regola la sua vita a norma dei suoi insegnamenti?
S. Paolo ci avverte di non volgere le spalle a colui che ci parla dal cielo (Hebr. XII, 25); S. Giacomo ci dice che sarebbe un ingannare noi medesimi, l'udire la parola di Dio senza metterla in pratica (IAC. I, 22). Infatti dà del mentitore a se stesso, come dice S. Giovanni, chi afferma di conoscere Gesù Cristo e intanto non ne osserva la parola (I IOANN. II, 4). Infatti, senza la conoscenza del suo Creatore, l'uomo è un bruto, dice S. Gerolamo (Comm. in Ioann.). Ora è la parola di Dio che svela Dio all'uomo e glielo fa conoscere; deve dunque l'uomo uniformarvisi; sotto pena di uguagliarsi al bruto e di vivere da bruto.
Perciò il Salmista ci esorta ad accogliere premurosi la voce di Dio, in qualunque tempo ed occasione si faccia a noi sentire (Psalm. XCIV, 8); e si proponeva di meditare sempre la parola del Signore e di non lasciarla mai cadere in oblìo (Psalm. CXVIII, 16). Anche l'Ecclesiaste avverte, che bisogna vigilare sui propri passi entrando nella casa di Dio, ed avvicinarsi per udire la sua parola (Eccle. IV, 17).
« Custodite nella vostra mente, dice S. Gregorio, la parola di Dio che ricevete dalla bocca del predicatore: perché la parola di Dio è l'alimento dell'anima; chi non conserva nel suo cuore gl'insegnamenti apostolici, somiglia a quell'infermo che rigetta il cibo: ma è certamente sfidato di salute colui che non ritiene più il cibo (Homil. XIII, in Evang.)». Chi vuole avere la saggezza, deve desiderare e amare le parole di Dio (Sap. VI, 12).
Non vi distolga dall'accogliere questa parola, il vedere che qualche volta vi venga da persona che non la rispetti nei suoi costumi. È questo il caso di dire con S. Agostino: «Prendi il frutto e lascia stare la spina; dà orecchio a chi ti predica buone cose, non imitarlo se ne fa delle cattive (Tract. XL VI, in Ioann.)». Si disprezza forse l'oro, dice il Crisostomo, perché lordo di terra? No certo, ma si sceglie l'oro e si lascia la terra; e, così voi, ricevete la dottrina e non badate ai malvagi costumi. Le api succhiano i fiori e non guardano al gambo; e voi pure cogliete il fiore della sana dottrina, senza inquietarvi del rimanente.

10. E FACILE PRATICARE LA PAROLA DI DIO. – «Dolce è il mio giogo, afferma Gesù Cristo, e leggero è il peso» (MATTH. XI, 30). E contro l'affermazione di Dio chi vorrà sostenere il contrario? Oltre che la parola di Dio è soave e non impone nulla che non sia facile, la grazia cammina sempre con lei e con lei entra nel cuore di chiunque la riceve: e con la grazia nulla riesce difficile all'uomo. «Iddio, secondo la sentenza di S. Agostino, non comanda nulla d'impossibile; ma comandando ci avvisa di fare noi quello che possiamo e di dimandare quello che non possiamo, ed egli ci aiuta affinché possiamo (In Epl. ad. Rom.)».

11. TUTTI INTENDONO LA PAROLA DI DIO. – «Andate, disse Gesù agli apostoli, e ammaestrate tutte le genti» (MATTH. XXVIII, 19). «Sarete vestiti della forza dello Spirito Santo che verrà sopra di voi, e voi mi renderete testimonianza in Gerusalemme, nella Giudea, in Samaria, e fino alle estremità della terra» (Act. I, 8). Ed ecco che pochi lustri dopo, già S. Paolo poteva scrivere ai Romani, che la loro fede si annunziava in tutto l'universo (Rom. I, 8). E che venendo la fede per l'udito, già la voce degli apostoli, annunziatrice della parola di Dio, era risonata per tutto il mondo, e i loro discorsi avevano echeggiato fino nei più remoti angoli del globo (Rom. X, 17-18). Dagli apostoli fino al presente l'Evangelo non ha mai cessato di divulgarsi e di diffondersi per ogni spiaggia della terra. La storia delle persecuzioni è la storia della diffusione della parola di Dio.
Gesù Cristo è morto per la salute di tutti gli uomini, ed è volontà di Dio che tutti vengano a conoscere la verità e si salvino» (II Cor V, 14), (1 Tim. II, 4), scriveva S. Paolo; e S. Pietro diceva apertamente ai Giudei: «Quel Gesù che fu da voi posto in croce, è la pietra che, rigettata da voi architetti, divenne la testata dell'angolo e ricordatevi che non vi è salute in nessun altro, né si dà sotto il cielo altro nome, con cui si possa ottenere salvezza» (Act. IV, 11-12). Se Gesù è morto per tutti gli uomini, se li vuole tutti salvi, se non.vi è salute in nessun altro nome, ne segue che Gesù Cristo, fornisce a tutti i mezzi sufficienti per conoscerlo, amarlo e servirlo. Ma i demoni, il mondo, le passioni, i cattivi esempi, i pregiudizi fanno ostacolo alla salute di parecchi.
Come mai vi può essere gente nel mondo, la quale non intenda la parola di Dio, mentre l'universo intero è una voce che di lui incessantemente e pubblicamente ci parla? Non è il sole un grande oratore che parla a tutti i luoghi, a tutti i secoli, a tutte le generazioni? La luna, i pianeti, le stelle non cantano forse che sono l'opera di Dio? La terra, il mare, i monti, le valli, gli alberi, i fiori, gli uccelli e gli insetti non pubblicano ad alta voce la potenza e la bontà del Creatore? Sì, l'universo e le sue meraviglie testimoniano l'esistenza di Dio, la sua provvidenza e i suoi attributi; eccitano l'uomo ad adorarlo, temerlo, amarlo e servirlo… La legge naturale non ci fa intendere la parola divina?… E la rivelazione, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, non è una voce irresistibile, non è la voce pubblica di Dio?..

12. COME SONO CIECHI, COLPEVOLI, E INFELICI QUELLI CHE NON ASCOLTANO E NON PRATICANO LA PAROLA DI DIO. – Dice il Venerabile Beda: «Quanto è misera e infelice la coscienza di chi, udita la parola di Dio, si crede insultato! (In Evang.)». Perché i Giudei precipitarono in quell'abisso di cecità e di malizia e di miseria, che è un mistero a spiegare? Perché, risponde S. Paolo, non potevano più sopportare la divina parola (Hebr. XII, 20). Ai giorni nostri, quanti predicatori sono voci che gridano nel deserto (ISAI, XL, 3); o perché la gente non va ad udirli, o perché piccolissima è la parte di coloro che profittano dei loro insegnamenti!
O quanto sono da compiangere quei ciechi e sventurati cristiani che non ricavano frutto dalla predicazione! Gesù Cristo disse: «Chi mi disprezza, e non ascolta le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che io gli ho fatto intendere, sarà il suo giudice nell'ultimo giorno» (IOANN. XII, 48). Il Signore protesta che la sua parola non ritornerà mai a lui vuota di frutto, ma compirà i suoi disegni (ISAI. LV, 11). Essa produce frutti di benedizione nel cuore di coloro che sono ben disposti, che l'ascoltano docili e la praticano fedelmente: porta frutti di maledizione nell'anima di quelli che ne abusano.
Il santo vecchio Simeone, parlando di Gesù Cristo, disse: «Questi è venuto a rovina e a risurrezione di molti» (Luc. II, 34). Lo stesso può dirsi della sua divina parola: essa riesce a salvamento di quelli che l'ascoltano e la praticano: ma riesce a dannazione degli increduli, degli indifferenti, degli empi che la fuggono e la disprezzano. Come la luce del sole rallegra e rinforza le pupille sane, mentre ferisce gli occhi deboli e infermi; come il fuoco purga loro e incenerisce la paglia; così la parola di Dio piace all'anima sana, le dà vigore e la purifica, mentre annoia, stanca e rende più colpevole l'anima inferma, malvagia e maledetta.

13. PERCHÈ NON SI ASCOLTA LA PAROLA DI DIO E NON SE NE TRAE PROFITTO. – «Chi non mi ama non osserva le mie parole. Chi è da Dio ascolta le parole di Dio, ora voi non le ascoltate, perché non appartenete a Dio», disse Gesù Cristo (IOANN. XIV, 24) ; (IOANN. VIII, 47). Non si ama Dio, ecco perché si fa poco conto della sua parola. Ciascuno interroghi se medesimo, dice S. Gregario, se egli riceva nel suo cuore la parola di Dio, e da ciò comprenderà a chi egli appartenga. Gesù Cristo dichiara che il segnale della predestinazione divina sta nell'intendere la parola divina e obbedire alle sante sue inspirazioni; ma segno di riprovazione è rigettarla (Homil XVIII, in Ioann.).
«Io sono il buon pastore, disse Gesù Cristo, e conosco le mie pecore, ed esse conoscono me. Voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono; io dò loro la vita eterna, ed esse non periranno mai e nessuno le strapperà di mia mano» (IOANN. X, 14, 26-27). Stanno bene su la bocca dei predicatori quelle parole dell'apostolo S. Giovanni: «Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ci ascolta, chi non appartiene a Dio non ci dà retta: a questo segno si distingue lo spirito di verità dallo spirito di errore» (I 10ANN. IV, 6).
«Io per ciò sono nato e venuto in questo mondo, diceva il Salvatore a Pilato, per rendere testimonianza al vero; chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce». (IOANN. XVIII, 37). Pilato gli chiese che cosa fosse la verità e ciò detto usci fuori (Ibid. 38). Notate l'ignoranza di Pilato e la sua indifferenza; non sa che cosa sia la verità, lo dimanda a Gesù Cristo, e intanto senza attendere o badare alla risposta, se ne parte! Vero modello di tanti cristiani i quali si sottraggono alla luce, all'unzione, alla potenza della parola divina.
I figli d'Israele, dice il Signore, dicono ai profeti: Non guardate, ed a quelli che stanno attenti alle mie parole: Non date orecchio a questi discorsi severi; parlateci cose che ci piacciano. – Adulateci, teneteci discorsi che accarezzino le nostre passioni (ISAI. XXX, 10). Ecco come parlano anche oggidì gli avari, gli ambiziosi, gli orgogliosi, i lussuriosi, i partigiani del mondo e della vanità… Per loro è troppo dura e incomoda la morale evangelica; la vorrebbero più morbida e pieghevole, perché essi sono la debolezza e la viltà in persona.
Da tutto ciò si raccoglie che le cause per le quali non si ode o non si pratica la parola di Dio, sono le seguenti: 1° la mancanza di amar di Dio; 2° il non abbracciare le parti di Gesù Cristo, ma quelle del demonio; 3° il difetto di conoscenza di Dio; 4° la mancanza di fede; 5° l’avversione o l'indifferenza per la verità; 6° la corruzione del cuore, le passioni e in primo luogo la superbia. «La parola di Dio, nota S. Cirillo, che correggendo gli umili li migliora, riesce insopportabile agli orgogliosi (Homil.)».

14. CASTIGHI RISERVATI A COLORO CHE NON ODONO E NON PRATICANO LA PAROLA DI DIO. – «Quelli che non ascoltano la voce di Dio, diceva Giobbe, saranno dati al taglio delle spade e morranno nel loro accecamento» (IOB. XXXVI, 12). E diceva bene, perché queste sono parole del Signore nel Deuteronomio: «Io mi vendicherò di colui che non
vorrà ascoltare le parole dell'inviato che parlerà in mio nome» (Deut. XVIII, 19); e per mezzo di Samuele aveva detto al popolo di Giuda: «Se non darete retta alla voce del Signore, ma renderete vane le sue parole, la mano di lui peserà sul vostro capo, come già sul capo dei padri vostri» (I Reg. XII, 15).
Non disse forse il medesimo Samuele a Saulle: «Perché tu hai rifiutato la parola del SIgnore, il Signore ha rifiutato te da parte sua?» (I Reg. XV, 26). E un figliuolo di un profeta non predisse al re Acabbo, che sarebbe stato ucciso da un leone, perché aveva ricusato di udire la voce del Signore? (III Reg. XX, 36). La stessa minaccia fa il Signore a quanti chiudono le orecchie alla sua divina parola. Il leone che farà scempio di loro è il demonio che gira attorno agli uomini, pronto a divorarli.
Il mio popolo, dice Dio per bocca del Salmista, non ha ascoltato la mia voce; Israele non mi ha dato ascolto ed io li ho abbandonati ai desideri dei loro cuori, essi cammineranno su la traccia dei loro pravi disegni. Se Israele mi avesse dato retta, io avrei umiliato e annientato coloro che lo calpestano, avrei costretto i suoi nemici a rendergli omaggio, l'avrei nutrito di puro frumento, e fatto colare per lui il miele dalle rocce. Ma perché non si curò della mia parola, i suoi nemici trionferanno di lui, lo percuoterò e sarà infelice, patirà la fame, e invece di miele avrà assenzio.
Finalmente Gesù Cristo medesimo protesta che se alcuno non dà orecchio alla sua parola o la trascurerà, non egli lo condannerà, perché è venuto non per condannare il mondo ma per salvarlo: ma sarà la sua parola medesima quella che lo condannerà nell'ultimo giorno.

15. DISPOSIZIONI E MEZZI PER TRARRE PROFITTO DALLA PAROLA DI DIO. ­ Per profittare della parola di Dio bisogna: 1° averla in alto pregio…; 2° portarle grande rispetto…; 3° prepararsi a udirla…; 4° ascoltarla con attenzione…; 5° riceverla e occuparsene per ciò che è in sé stessa come parola di Dio, senza guardare alla bocca che l'annunzia, e in qual modo ci sia comunicata se eloquentemente o alla buona…; 6° meditarla…; 7° applicarvi la memoria, l'intelletto e specialmente la volontà…; 8° farne regola della propria condotta…; .9° non lasciarla cadere in oblio…; 10° ringraziare Dio del benefizio che ci ha fatto facendoci intendere i suoi insegnamenti.