I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: La tristezza

 1. Cause della tristezza.
 2. Danni della tristezza.
 3. Rimedi contro la tristezza 

1. CAUSE DELLA TRISTEZZA. – La tristezza ha la sua culla nell\’accidia, nell\’abbattimento dell\’anima, nella concupiscenza; ha origine dalle grandi cure e sollecitudini e ambasce, frequenti in coloro i quali sono attaccati ai beni della terra. La tristezza nasce molte volte dall\’invidia, benché tutte le passioni possano ugualmente generarla. La tristezza s\’impadronisce facilmente di un cuore debole, indolente, pusillanime. Quelli che cercano la loro soddisfazione nelle creature, nelle ricchezze, nei piaceri, non appena si vedono privati, e anche solo minacciati di essere privi di tali falsi beni, tosto ca­dono nella melanconia e nella tristezza. «La tristezza è la sorte di un cuore depravato» – dice l\’Eccle­siastico (Eccli. XXXVI, 22); e con questo c\’insegna che la tristezza è la compagna indivisibile dei peccatori, nei quali la cattiva coscienza genera il rimorso, questo verme roditore che li divora e loro toglie ogni puro diletto, ogni pace. 
 
 2. DANNI DELLA TRISTEZZA. – Il Savio sentenzia che la tristezza fa al cuore dell\’uomo, quello che fa la tignuola ai panni e il tarlo al legno (Prov. XXV, 20). Per più ragioni la tristezza è paragonata alla ti­gnuola e al tarlo: la Come la tignuola rode a poco a poco il vesti­mento e lo guasta e il tarlo fa danno al legno, così la tristezza rode e consuma il corpo, l\’anima, il cuore… La tristezza, dice S. Giovanni Crisostomo, è un crudele tormento dell\’anima, un certo qual dolore inesplicabile, che è simile ad un insetto velenoso che rovina insieme l\’anima e il corpo. E’ un verme che intacca non solamente le ossa, ma il cuore: è un instancabile manigoldo che strazia l\’anima e la finisce, è una continua densissima notte, un uragano furiosa, una tempesta orribile, una febbre nascosta più ardente del fuoco, è un incessante combattimento (Epist. VIII, ad Olymp.).
 2° Il verme che guasta il panno, si consuma col panno; così la tristezza si nutrisce di se stessa e uccide se stessa. Seneca scrive: Siccome tutti i vizi si gettano a fare strazio dell\’uomo che vigorosamente non li combatte e atterra al primo loro mostrarsi, così la tristezza miserabile e crudele nutre di sua amarezza l\’anima disgraziata che l\’accoglie, e le si fa ad un tempo crudele piacere e tormento.
 3° La veste rosa dalla tignuola non ha più valore, nota Cassiano; il legno tarlato non serve che al fuoco; così l\’anima divorata dal morso della tristezza non è più atta né alla struttura né all\’ornamento del tempio spirituale; perde la sua bellezza ed il suo pregio, e ci espone all\’eterna dannazione (De Instit. renunt.).
 4° La tignuola si attacca più facilmente alle stoffe molli, come per esempio alla lana; così la tristezza si attacca più facilmente a un cuore debole e senza energia.
 Il Savio, dopo di aver detto che la tristezza del cuore è una piaga universale, che infetta tutto l\’uomo, si volge a supplicare Dio che ne lo tenga lontano, perché molta gente fu già da lei uccisa (Eccli. XXV, 17… – XXX, 24-25). Evidenti sono le ragioni di tale sentenza: 1° La tristezza si trova immediatamente e tutt\’intera nello spirito il quale è in noi la parte che sente più al vivo il piacere e il dolore; gli altri tormenti, come le battiture, le ferite, le scottature, e via dicendo, sono nel corpo; e i dolori del corpo non si possono paragonare in nessun modo ai tormenti dell\’anima. 2° La volontà è la più bella facoltà dell\’uomo, perché co­manda alle altre potenze, ai sensi e alle membra; ora la tristezza affliggendo direttamente e soggiogando l\’anima, abbatte e soggioga la volontà; e questa, rovesciata di trono, diventa schiava della ma­linconia. A buon diritto pertanto l\’Ecclesiastico afferma, che è pre­feribile la morte ad una vita triste (Eccli. XXX, 17).
 A molti mali va soggetto l\’uomo, ma di tutti i patimenti il più grave è la tristezza; e per poco che vi si riflettesse, si riconoscerebbe che essa è la più pericolosa e più crudele malattia; tanto che, come osserva S. Gregorio Nazianzeno, essa abbrevia i giorni e anticipa la vecchiaia (In Distich.). Non chiamiamo dunque felice chi ha molte ricchezze, ma colui che si guarda e si preserva dal dente della tristezza. Questa, come dice Apollodoro (In Paralog.), è sorella alla pazzia; perché invece di essere rimedio dei mali, li irrita ed accresce; è un veleno. Il Crisostomo la dice languidezza che oscura la vita fisica e morale: e soggiunge che la più oscura e caliginosa notte è un nulla a para­gone della notte prodotta dalla tristezza; che si radica nel cuore, che è più feroce di ogni tiranna; che è così tenace, che riesce quasi impossibile schiantarla, qualunque mezzo si adoperi, qualunque sforzo si faccia: e la più potente ragione di ciò è che la tristezza cagiona la sfiducia e la sfiducia mette alla disperazione (Epl. VIII, ad Olymp.). Non meno spaventoso quadro ne fa S. Gregorio: Dalla tristezza na­scono la malizia, lo snervamento, il torpore nell\’osservanza dei comandamenti, la divagazione dell\’anima su le cose cattive, la disperazione. La tristezza è una specie di baratro nel quale, caduti una volta, ci rimane più poca speranza di uscirne (Moral. l. XXXI, XVII). La tristezza è un male senza compenso di bene. Oltre il danno che reca al corpo e all\’anima, essa è sempre ed assolutamente inutile. Infatti avete voi scacciato gli affanni e le angosce, o anche solo mi­tigato i patimenti e le croci col rattristarvene e dolervene e cruciarvene? no, ma le avete anzi appesantite e accresciute.
 Di tutte le cattive disposizioni dello spirito, la peggiore è la tri­stezza; funesta soprattutto ai servi di Dio, essa distrugge le loro forze, la speranza, la confidenza, l\’amore; scaccia da essi lo spirito di Dio di cui è nemica sfidata. Vestitevi adunque della gioia cristiana che trova sempre grazia innanzi al Signore e voi sarete felici; perché l\’uomo tranquillo e lieto nell’anima adempie regolarmente i suoi doveri, gusta il bene, disprezza il male. Invece l\’uomo melanconico fa male quello che fa; non trova gusto né conforto in nessuna azione, anche buona, perché contrista le operazioni dello Spirito Santo che ama il cuore contento. La preghiera dell\’uomo in preda alla tristezza non ha forza di salire fino all\’altare del Signore; que­sto è il senso di quella frase di Aronne: «Come ho potuto io piacere al Signore nelle cerimonie, con l\’anima immersa nella melanconia?» – No, l\’anima in preda alla tristezza non può alzarsi fino a Dio; e non innalzandosi più a Dio, cadrà sempre più nella mestizia e nella melanconia. Il demonio non ha mezzo più efficace per tentarci, indebolirci, abbatterci,che la tristezza, perché scacciando essa dall\’,anima lo Spirito Santo, che è lo Spirito della gioia vera e solida, vi chiama lo spirito diabolico che è lo spirito della tristezza, e della disperazione. Perciò S. Giovanni Crisostomo dice: «Più dannosa di ogni altra arte e insidia del diavolo è la tristezza, perché quelli che esso soggioga, li soggioga con la tristezza. Se vincete la prova della tristezza, non potrà più recarvi nessun danno né male (De Provvid. lib. III)».
 Questa tristezza, che fa tante stragi nel corpo e nell\’anima, reca sovente la morte del tempo e dell\’eternità; poiché la tristezza è tale peccato, che diventa grave soprattutto se vi hanno parte la caparbietà, l\’orgoglio, l\’ostinazione. In questo caso essa genera una folla di peccati, di cadute e ricadute gravi; si abbandona tutto col pretesto che non possiamo correggerci, che Dio non ci ascolta più; che si è ritirato da noi: si cade di abisso in abisso, finché si arriva alla disperazione e all\’inferno. In questo senso l\’Ecclesiastico ci avverte che la tristezza affretta la morte, toglie la forza, fa abbassare il capo, e ci esorta a non darle adito nel nostro cuore, ma a tenerla ben lon­tana da noi (Eccli. XXXVIII, 19-21). Insomma, la tristezza è ca­gione di tre gravi mali: 1° strema l\’anima di forze, cioè di virtù; 2° non lascia fare più altro che male; 3° trae al suo seguito la morte. Ora se inorridireste al solo pensiero di uccidere un altro, perché non aver orrore di uccidere voi medesimi con la tristezza? perché essere carnefici di voi stessi? 
 
 3. RIMEDI CONTRO LA TRISTEZZA. – Primo mezzo: procurate di avere una buona coscienza. Colui che pratica la virtù, scrive S. Ambrogio, è tranquillo, contento, stabile. Dio gli riserba il dono prezioso della pace e della gioia. I cuori virtuosi non sono agitati dalle cose terrene, né turbati dal timore, né abbattuti dalla malinconia, né afflitti dal dolore; stanno come ancorati in porto sicuro, di dove vedono l\’im­perversare della bufera, mentre l\’anima loro è lieta ed immobile (Offic. lib. II, c. V). Schiviamo dunque il peccato, e stiamo allegri nel Signore.
 2° Vuoi tu non essere mai triste? Vivi bene, risponde S. Bernardo; così facendo tu sarai sempre nella gioia (De inter. dom. c. XLV). 3° «Perché, o anima mia, sei triste? dice il Salmista, perché mi conturbi?». E tosto comanda all\’anima sua disperare, essendo questo il rimedio che guarirà la sua tristezza (Psalm. XLI, 12). 4° S. Giacomo ci suggerisce per ri­medio contro la tristezza, la preghiera (IAC. V, 13). 5° la forza del cuore e la rassegnazione alla volontà di Dio. 6° Avere in dispregio gli oggetti terreni, e mirare al cielo. «Si bandisce dal cuore la tristezza, dice S. Gregorio, se si tiene l\’animo intento ai beni celesti (In lib. I, Reg. c. XIV)», perché l\’anima la quale considera. i grandi beni dell\’eternità che le stanno preparati, si sente inondata di allegrezza e va dicendo a se stessa, come già il Salmista: «Io mi sono rallegrato della parola che mi fu detta: Noi andremo nella casa: del Signore» (Psalm. CXXI, 1). 7° Amare il lavoro; occuparsi sempre, principalmente in cose utili alla salute. 8° Pensare spesso alla morte del tempo e dell\’eternità. Questo pen­siero alleggerisce tutti i travagli, i dolori, le ambasce che potrebbero recare malinconia ed anima l\’uomo a intraprendere tutto, a tutto sopportare per fare una buona morte e schivare la dannazione. 9° Non fare caso, ma disprezzare la tristezza.