I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Impiego del tempo

1. Brevità del tempo.
2. Fugacità del tempo.
3. Il tempo c’inganna.
4. La morte è sempre alla nostra porta.
5. Valore del tempo.
6. Contentezza di chi ha impiegato bene il tempo.
7. Bisogna profittare del tempo presente.
8. Quelli che impiegano bene il tempo.
9. Quelli che abusano del tempo.
10. Conto da rendere del tempo perduto.
11. Mezzi per bene impiegare il tempo.

1. BREVITÀ DEL TEMPO. – Il tempo è un’ombra, un vapore, una vanità, un nulla… È questa la risposta che dà S. Giacomo a chi domanda che cosa è la vita dell’uomo nel tempo (IACOB. IV, 15).
Il tempo è una scena da teatro, in cui si recitano le fiabe di questo mondo; il luogo del teatro è la terra, gli uomini ne sono gli attori che entrano ed escono, man mano che una generazione arriva e l’altra parte (Eccle. I, 4). Due porte mettono su questa scena: la porta della nascita e la porta della morte. Ciascun uomo fa la parte di un personaggio: Chi rappresenta il re, si spoglia ben presto della porpora: come Chi raffigura il pitocco, sveste i suoi cenci. Questa commedia finisce in breve; voglia Dio che non si volga per tanti in una spaventosa tragedia!… Dove è al presente Salomone così saggio, Sansone così forte,
Cicerone così eloquente, Aristotile così intelligente, Alessandro così grande conquistatore, Cesare Augusto così potente monarca? Dove sono oggi tutti quegli uomini che la società guardava come oracoli, quelle numerose schiere sotto i cui piedi palpitava la terra, quella moltitudine di principi, di nobili, di cavalieri, di titolati di cui andavano superbi i regni, quelle brigate di amici che erano l’allegria delle città? Castelli, palazzi, ville, poderi, oro, argento, in mano di quanti padroni siete voi già passati e di quanti ancora passerete? In un batter d’occhio ogni grandezza, ogni potenza, ogni ricchezza è scomparsa. O goccia di rugiada! o vanità! o niente!
Il tempo è il giuoco della fortuna, la spoglia dell’uomo, l’immagine dell’incostanza, l’esempio della debolezza, il soggiorno delle calamità e dell’invidia. Nessuna fermezza, nessuna consistenza, perpetuo moto, instabilità continua, ecco il tempo; esso viene anche figurato in quelle bolle di sapone che i ragazzi fanno per trastullo, e che scompaiono appena hanno preso il largo. Il tempo è una finzione, un sogno che finisce allo schiudersi delle porte dell’eternità. Il tempo è da principio una tomba, poi un fiore, poi di nuovo una tomba.
Il tempo è dal Salmista paragonato ora a un turbine, ora ad una pagliuzza esposta al soffio dei venti (Psalm. LXXXII, 12); ora ad un incendio che si apprende ad una foresta, ora ad una fiamma che investe i monti (Ib. 13); e l’uomo, dice lo stesso profeta, passa su la terra come un fantasma e invano si conturba. Ammassa tesori, e non sa per chi li ammucchia (Psalm. XXXVIII, 6). Con tutta ragione l’Ecclesiaste esclama: «Vanità delle vanità, tutto è vanità» (I, 2), e il Crisostomo afferma, che «tutto nel tempo è ombra e sogno (Epistola V ad Theod. Laps.)».
«Il tempo, scrive S. Gregorio Nazianzeno, è un mare di miserie e di patimenti. Le ricchezze sono agguati, le grandezze sogni; la gioventù è un fiorellino di un giorno; la vecchiaia un ammasso di acciacchi; tutta la vita, povertà, lamenti, lagrime, disdette, sollecitudini, noie, disgusti continui, affanni senza numero, sacrifizi di ogni genere. Le parole volano, la gloria sfuma, la nobiltà è un vecchio sangue, la forza una dote che abbiamo comune col cinghiale. Il matrimonio una catena, la società un mare in burrasca. Il tempo è come una madre circondata da molti figli, che sono le cure, le perdite, i vizi, le debolezze, le malattie, le fatiche, i sudori, il lavoro; tutto è penoso nel tempo, il riso come il pianto, la speranza non meno che il timore; tutto è inerzia, ombra, vento, vapore, insonnia, sogno, onda, passaggio, vestigio, polvere che acceca l’universo, si leva in turbine e svanisce» (Orat. de cura paup.).
Il tempo è una nuvola che prende mille forme e in un attimo scompare; è una scura nuvola gravida di lampi, di tuoni e di tempesta… Il tempo è un nulla; non ha né forma, né consistenza; tutta la sua essenza sta nello scorrere, cioè nel perire del continuo. «Che cosa è la vita del tempo? domanda Bossuet. Il sonno è simile alla morte; l’infanzia è la vita di un essere privo di ragione. Quanti giorni vorrei scancellare dall’adolescenza, e quanti ancora dall’età più matura? Ora che cosa me ne resterà ancora, se tutto quello che ne ho tolto non appartiene alla vita?» (Brièveté de la vie). Conterò forse il tempo in cui ho goduto qualche gioia? Ma dove trovarlo? Se tolgo il sonno, le malattie, le inquietudini e simili, che mi resta ancora della vita? Poi quei diletti, quelle contentezze, le ho io assaporate a un tratto, tutte insieme, o non piuttosto a piccoli sorsi? E se non tutte a un tempo, le ho io almeno godute di seguito? Me le sono io procurate senza disturbi? Ed ora che mi rimane dei piaceri leciti? un inutile ricordo; e degli illeciti? un rimorso, un debito da scontare, o nell’inferno, o con la penitenza.
Il tempo è rassomigliato nella sacra Scrittura: 1° a una bilancia che monta e cala…, 2° ad una stilla di rugiada sul levare del sole…, 3° al fumo; 4° all’ombra…; 5° a un fiore che prontamente avvizzisce…; 6° a un granello di polvere…; 7° a una tela di ragno…; 8° ad un fantasma…; 9° al vento…; 10° ad un torrente gonfio di acque piovane, che in breve tempo è asciutto…; 11° a un corridore veloce, a un naviglio che fende l’acqua, ad un uccello che vola nell’aria, ad una saetta lanciata nello spazio…; 12° al niente… .
Come mai noi ci lasciamo sempre ammaliare dal tempo? «Invano, dice S. Agostino noi ci mostriamo spasimanti per lui. Questo padrone infedele ci grida ad ogni istante, fino a intronarci la orecchie: Io sono laido e ributtante; e voi lo accarezzate con trasporto. Egli grida: Io sono rustico e crudele; e voi lo abbracciate. Egli grida: Io sono instabile; e voi vi stringete a lui solo. Egli è, schietto, poiché candidamente confessa che per poco si tratterrà con voi e che vi mancherà ben presto, come un falso amico, nel mezzo delle vostre imprese; e voi fate assegnamento su di esso quasi che si mantenesse sicuro e fedele a chi gli si affida? Disingannatevi, o mortali; voi che tanto vi adoperate per morire più tardi, deh! fate pure qualche cosa per non morire giammai (Serm.)».
Se uno toglie dai suoi giorni l’infanzia e il sonno, nei quali l’uomo non ha coscienza di sé, le malattie, nelle quali non si vive, il tempo male speso o perduto, che cosa gli resta ancora della vita? Che se il tempo paragonato al tempo si riduce a un nulla, anche paragonato con le vite umane più lunghe, che cosa sarà se si confronti con l’eternità che non ha né termine né misura? Contiamo dunque come un niente tutto ciò che finisce, poiché se anche moltiplicassimo gli anni oltre tutti i numeri conosciuti, non possiamo negare che il tempo è un nulla per noi, che siamo al termine fatale… Ma se il tempo è un nulla, perché non disamorarcene, per affezionarci con tutta l’anima a Dio solo che è eterno?

2. FUGACITÀ DEL TEMPO. – Dice S. Gregorio Nazianzeno: «La vita dell’uomo è il passaggio da una tomba a un’altra tomba (Orat. de cura pauper.)», cioè dal seno della madre individuale, nel seno della madre comune. «Il tempo, soggiunge S. Agostino, non è altro se non una corsa continua verso la morte. Ogni giorno, ogni istante moriamo, poiché non passa minuto che non ci sia tolta una particella di vita; anche mentre cresciamo, si accorcia il tempo del nostro vivere; dividiamo con la morte il momento medesimo in cui viviamo. Appena entrati nella vita, noi già camminiamo verso la morte e cominciamo a uscire di vita (De Civit. XIII, c. X)». S. Ambrogio dopo di aver detto, come in un punto tutto passa, e che sovente la gloria del secolo svanisce prima ancora che siasi mostrata, conchiude con quest’osservazione: «Ma che cosa vi può essere di fermo e di stabile nel secolo, mentre i secoli medesimi non sono né fermi né stabili, ma continuamente fuggevoli, e inconsistenti? (Lib I Offic.)». Ed ecco perché il grande Apostolo chiama questo mondo, immagine, fantasma che passa, non realtà né sostanza che dura (I Cor. VII, 31).
«La vita di quaggiù, scriveva S. Gregorio ad Andrea, è più frivola delle fiabe, più veloce di un corridore, più instabile delle onde, senza forza nei disegni, senza costanza nei propositi, viene meno per fiacchezza, non ha mai riposo dalle agitazioni, non cessa mai dal lavoro. I naviganti, siano ritti o seduti, mangino o dormano, sempre camminano spinti dai venti. Tal è la vita nostra: sia che dormiamo, sia che siamo desti, sia che sediamo, sia che parliamo, sia che tacciamo, da volere a non volere, noi andiamo ogni giorno ed ogni istante verso la nostra fine, continuiamo il viaggio nostro all’altro mondo (Lib. V, Epistola XXVI)».
S. Agostino, commentando quel versetto del Salmo CIX, – «Berrà dell’acqua del torrente, passando», dice: «Lo scorrere dei flutti indica la mortalità degli uomini; poiché come un torrente ingrossato da subite e abbondanti piogge, straripa rumoreggia, ma nella sua rapida corsa va diminuendo, se non riceve nuove acque, e non si ferma finché non mette foce al mare; cosi l’uomo nasce, vive un istante, e muore; e con la sua morte cede il luogo ad un altro che morrà anch’egli ben tosto. Nel tempo, che cosa vi è di stabile e che non si logori presto?» (In Psalm. CIX).
La vita dell’uomo è da S. Giacomo paragonata al vapore (IV, 15), e infatti: 1° il vapore sale, si condensa un istante e poi sfuma; tale è la vita di quaggiù. 2° Il vapore è sottile, leggero e quasi invisibile; così è della vita. 3° Il vapore è così leggero che il minimo soffio di vento lo sospinge; così pure è la vita. 4° Il vapore è oscuro; la vita nostra è piena d’ignoranza, di errore, d’imprudenza. 5° Il vapore si scioglie; altrettanto è della vita. 6° Il vapore ritorna e ricade mutato in pioggia su la terra, da cui s’è levato; non diversamente avviene della vita… 7° Il vapore si cangia talvolta in pestifero miasma; oh! volesse il cielo, che così non fosse della vita di tanti uomini!
Suvvia dunque, o uomini ciechi, che avete da morire domani o forse anche oggi stesso, andate e affrettatevi a radunare tesori, a costruire case, ad abbellire ville, a dilatare poteri, a ottenere titoli, a innalzare la famiglia; vi stimate voi eterni? Domani, sì, domani morrete. La morte chiuderà l’ultimo atto della vostra rappresentazione: onori, piaceri, ricchezze, ambizioni, tutto finirà; l’avarizia non troverà più posto; le passioni saranno estinte per sempre. «Il giorno presente scorre e non ritorna, canta un poeta; se per noi spunterà l’aurora di domani e se essa sarà di fatica o di riposo, di affanno o di letizia, chi mai lo sa? Non se ne conosce un frullo. Così passa la gloria del mondo».
«Il tempo fugge, scrive Seneca, e lascia deluso chi gli corre dietro. L’avvenire non mi appartiene, il passato non è più in mio potere, io resto sospeso al momento presente, che nel nominarlo non è già più mio. Noi passiamo come le onde di un fiume; tutto quello che vedete fugge col tempo; nessuna cosa non rimane immobile e mentre parlo di mutare qualche cosa, ecco che io stesso sono mutato (Lib. XVII. Epistola CII)». «Anche mentre noi dormiamo, il tempo fa il suo viaggio (Ambros. in Psalm. I)». Il bambino si cambia in ragazzo; il ragazzo diventa adolescente; l’adolescente passa dalla gioventù alla virilità, e da questa alla vecchiaia: quello che era ieri non è più quest’oggi; quello che è oggi, non sarà più lo stesso domani; niente dura nel medesimo stato; ad ogni istante tutto cangia come un sogno; di modo che a ragione diceva il Savio: «Appena nati, ecco che cessiamo di esistere» (Sap. V, 13).
«O Dio, esclama il profeta, voi riducete l’uomo in polvere; voi dite: Figli degli uomini, ricomparite. Mille anni sono agli occhi vostri come il giorno di ieri che è passato, come una vigilia della notte. La vita dell’uomo è come un torrente che scorre, come un sogno, che scompare, come erba che, il mattino fiorisce e la sera giace falciata e secca nel campo» (Psalm. LXXXIX, 6). «I miei giorni svanirono come fumo, e le mie ossa inaridirono come legno tarlato» (Psalm. CI, 4). «I miei anni sparirono come ombra ed io inaridii come fieno» (Ib. 12).
«I miei giorni, esclama Giobbe, corsero più veloci di un corridore, fuggirono e non videro ombra di bene; passarono come nave che fende l’oceano come aquila che si scaglia sulla preda» (IX, 25-26). «Ricordatevi o Signore, che la vita mia è un soffio» (VII, 7). «L’uomo che nasce di donna, vive brevissimo tempo e in mezzo a mille generi di miserie; sboccia come un fiore del prato ed è calpestato, fugge come ombra e non si ferma un istante in un medesimo stato. E sopra un essere così miserabile tu degni, o Signore fissare il tuo sguardo?» (Id. XIV, 1-3). E nella Sapienza leggiamo pure «che la nostra vita passa come la traccia di una nube; scompare come nebbia ai raggi solari; che i nostri anni sono il passaggio di un’ombra» (Sap. II, 3-5). Altre volte la sacra Scrittura paragona la vita dell’uomo ad una freccia scagliata con forza, al volo di un uccello, alla folgore, al lampo.
Le figure, i paragoni, i simboli sotto i quali le sacre pagine ci rappresentano il tempo, sono quanto vi è di più espressivo per denotare la brevità, la velocità, l’instabilità. E quanto dura infatti la più lunga vita dell’uomo? Dai settanta agli ottant’anni. Quello che oltrepassa questo limite, non è più un vivere, ma un lento morire. Ben pochi poi arrivano a questa età; ma ad ogni modo, che cosa sono ottanta, cento, anche mille anni, in confronto dell’eternità?
Ah! quando mai riconosceremo, e confesseremo che il tempo è breve, che fugge e vola? Quando mai penseremo sul serio che i giorni s’incalzano, che le ore passano veloci, e che di questo tempo così breve e così rapido non abbiamo un istante sicuro! Tutta la nostra esistenza dipende da un momento; ecco che cosa mi separa dal nulla: uno se ne va ed io ne prendo ancora un altro; essi si seguono; io li congiungo ingegnandomi di asso curarmeli, e non mi accorgo che mi trascinano insensibilmente con loro e che io mancherò al tempo, non già il tempo a me. O anima mia! è dunque così grande cosa la presente vita? e se essa è così misera cosa, perché passa, che cosa saranno mai i piaceri i quali non occupano che qualche minuto della vita e svaniscono in un attimo? Vale dunque la spesa il faticare e il sudare tanto per innalzarsi? Per così poco, vale la pena di dannarsi?
La vita umana è paragonata da Bossuet, ad una strada che finisce in un precipizio; fino dai primi passi ne siamo avvertiti, ma è legge impenetrabile che bisogna andare avanti. Io vorrei, a un dato punto, tornarmene indietro; non mi è permesso, ed una voce grida: Avanti, avanti. Una potenza irresistibile, un peso invincibile ci trascina, è giocoforza procedere innanzi sempre verso l’abisso. Mille incagli, mille inciampi ci sbarrano la via, ci stancano nel cammino: ah! se potessimo arrestarci ancora ed evitare il precipizio! ma no; bisogna camminare, anzi correre, tanta è la rapidità degli anni. Qualche ristoro intanto ci viene offerto, di quando in quando, lungo la via: ora limpide acque correnti, ora verdi prati smaltati di fiori; ora è un palazzo, ora è una foresta che ci da una piacevole distrazione. Ci piacerebbe fermarci; ma no: la voce grida; Avanti, avanti. E in questo mentre si ode cadere alle spalle, con spaventoso fracasso, tutto quello che si era veduto passando! Una goccia di consolazione ci porge talvolta conforto, perché si raccoglie sul passaggio qualche fiore che ci appassisce tra le mani, dal mattino alla sera, perché si spicca qualche frutto che ci perde, mangiandolo: incanto! Sempre trascinati, gia noi ci avviciniamo all’orrenda baratro; già tutto comincia a svanire; i giardini compaiono meno fioriti, i prati meno ridenti, i fiori meno splendidi, i colori meno vivi, le onde meno chiare, le campagne meno gaie, tutto si appanna, tutto si oscura; l’ombra della morte si fa innanzi; già si comincia a sentire la vicinanza del gorgo fatale. Ma bisogna arrivare fino all’orlo; già l’orrore rimescola il sangue, sconcerta i sensi, scombuia la mente, spegne la vista; ma bisogna andare avanti. Ben si vorrebbe ritrarne il piede, ma tutto è inutile, non vi è più scampo; ogni cosa è caduta, fuggita, scomparsa (Sur le motif de la joie).
Il tempo è breve, se voi non vi staccate dal mondo, il mondo si stacca da voi. Nient’altro rimane dunque a fare, se non quello che suggerisce l’Apostolo: che cioè «l’ammogliato viva come se non avesse donna; chi piange, come se non piangesse; chi ride, come se non ridesse; chi compra, come se non comprasse; e chi si giova di questo mondo, come se non ne usasse, perché la figura di questo mondo passa» (I Cor. VII, 29-31).
Perché ostinarvi a rimanere in quello che passa? Voi stimate che un corpo sia una realtà; mente di più falso; è una figura, un’ombra che passa e scompare. Perciò, qualunque sia la vostra condizione, voi non fermatevi mai. Tutto trova la sua dissoluzione nella morte: le angosce cessano non meno che le gioie; quel che voi credete di possedere vi sfugge di mano; qualunque prezzo vi costi, non potete trattenerlo; tutto se ne va quello che è venuto.

3. IL TEMPO C’INGANNA. – Il tempo ci sorprende, perché arriva come un ladro nelle ore della notte, dice Gesù Cristo, perciò bisogna stare sempre in guardia. Iddio ha cosi disposto il corso del tempo, che ci fugge senza che noi lo sentiamo, ci spoglia senza che ce ne accorgiamo, di maniera che l’ultima ora sempre ci sorprende. È cosa utile per noi dare un’occhiata a questa illusione ingannatrice del tempo, e al modo con cui si fa giuoco della debole nostra immaginazione.
Il tempo, nota S. Agostino (In psalm. IX) è una sbiadita immagine dell’eternità. Questa rimane sempre la medesima; ora quello che il tempo non può imitare nella consistenza, cerca di imitarlo per la successione. Mentre ci ruba un istante, con sottilissimo stratagemma gliene sostituisce un altro simile al primo, cosicché ci toglie di rimpiangere quello che ci fu sottratto. Con questo giuoco, il tempo si burla di noi e ci tiene nascosta la sua velocità. Ed è forse in ciò che consiste quella malizia del tempo, di cui ci avvisa S. Paolo con quelle parole: «Riscattate il tempo, perché i giorni sono cattivi» (Eph. V, 16), cioè ingannatori e perfidi. Il tempo, infatti, sempre c’inganna; quantunque egli incessantemente si muti, mostra tuttavia quasi sempre la stessa faccia e l’anno che se ne è andato, sembra risuscitare in quello che è venuto, Il che però non toglie che a lungo andare non si scopra l’impostura. I capelli che incanutiscono, le rughe che solcano la fronte, gli acciacchi dicono chiaro quanto grande porzione del nostro essere sia già stata ingoiata nell’abisso. In tutti questi notabili cambiamenti, il tempo simula però sempre qualche imitazione dell’eternità; infatti è proprio dell’eternità mantenere le cose nel medesimo stato; ora il tempo, non se ne spoglia che a poco a poco e leggermente; ci mena all’estremità opposta per sì dolce e quasi insensibile china, che noi ci troviamo tra le ombre di morte, prima ancora che ci siamo accorti del nostro cambiamento. O quanti, come Ezechia, non si accorgono che i loro giorni corrono e giunti al quarantesimo anno si credono di nascere allora, e vedendosi colti dalla morte, esclamano: (ISAI. XXXVIII, 12) «la morte ha reciso la trama dei miei anni, quando appena l’avevo cominciata». Perciò la malignità del tempo fa sì che noi cadiamo a un tratto e alla sprovveduta tra gli artigli della morte.
Noi sentiamo la o nostra fine solo quando vi siamo giunti; e quello che aggrava la colpa nostra si è che vediamo sempre dinanzi a noi del tempo. Sì, il tempo sta veramente dinanzi a noi, ma vi potremo noi arrivare?
Perché mai aggrapparci così al tempo? Che cosa vediamo in esso, che ci possa soddisfare? I falsi piaceri dietro i quali corrono pazzamente gli uomini stolti, che cosa sono poi, se non un’illusione di corta durata? Non appena si è calmato un poco quel primo bollore che ne forma il solletico, anche i più avidi del godere stupiscono spesso essi medesimi, di avere così ardentemente bramato ciò che lascia poi vuoto il cuore. L’età e l’esperienza mostrano quanto sono vane le cose dietro cui più ci siamo consumati; senza contare poi quanto sono rari nella vita anche questi miseri piaceri… Poi qual è la gioia che non sia avvelenata da amarezza o da angoscia? Ma concedete anche agli amatori del secolo, che l’oggetto dei loro amori è proprio degno d’invidia; quanto dura questa felicità? Ah! fugge in un baleno, fugge come un fantasma che, dopo di aver ci inebriati per quel momento che con noi si trattenne, ci lascia inquieti e tristi.
Questa rigogliosa giovinezza non deve durare eternamente; verrà l’ora fatale che reciderà con irrevocabile sentenza ogni fallace speranza; la vita ci mancherà, come un falso amico, nel più bello delle nostre imprese: a quel punto tutti i nostri pensieri svaniranno, i più superbi disegni cadranno come castelli fatati. I ricchi della terra, che godono vivendo dell’illusione di un bel sogno e s’immaginano di possedere grandi beni, svegliandosi ad un tratto nel giorno dell’eternità, rimarranno attoniti ed incresciosi di trovarsi a mani vuote. La morte trascinerà dietro al funebre suo carro nell’oblio e nel nulla i piaceri, gli onori, i tesori tutti. O buon Dio! non si ode parlare d’altro che di passare il tempo; e infatti il tempo passa, e noi passiamo con esso; e quello che passa per noi, insieme col tempo che corre, entra nell’eternità che non passa più.

4. LA MORTE È SEMPRE ALLA NOSTRA PORTA. – L’uomo è ben poca cosa e tutto ciò che finisce è un nulla. Verrà giorno in cui quest’uomo il quale oggi vi pare gran cosa, non sarà più, sarà un nulla: sia pure lungo il tempo, dal momento che si vive nel mondo, fosse pure anche di mille anni, bisogna venire a quel punto. Io non mi differenzio da ciò che non mai fu, se non per il tempo della mia vita; ora questa differenza è ben poca cosa, poiché alla fine io sarò di nuovo confuso con ciò che non è; e questo avverrà quel giorno in cui non si vedrà nemmeno che io sono stato, e in cui poco m’importerà quanto tempo io sarò vissuto, perché non esisterò più per questo mondo. Io entro nella vita con la legge di uscirne; vengo a rappresentare la mia parte, a fare mostra di me come gli altri, dopo di che bisogna scomparire. Io vedo altri passarmi dinanzi, ed altri vedranno me passare davanti a loro. La mia vita è breve e non è sicura di un istante, perché la morte non si allontana mai dal mio fianco; essa è con me nel sonno, nella veglia, nei viaggi, nel cibo, in ogni età. Breve è la mia vita, e sempre minacciata da morte. Breve è la mia vita; e quanto tempo vi fu in cui io non era! e quanto ve ne sarà, in cui io non sarò più! e come piccolo e quasi invisibile è il luogo che occupo nell’immenso abisso degli anni! Io sono un nulla; questo piccolo intervallo di tempo che mi è dato, non basta a farmi distinguere dal nulla in cui bisogna che io vada. Io non sono venuto se non per fare numero, e si sarebbe potuto fare benissimo anche senza di me; la commedia umana non avrebbe scapitato punto, se io me ne fossi rimasto dietro le quinte.
Il tempo è un ospedale, una prigione, con una sola porta di uscita, che è la morte. Tutti gli uomini stanno chiusi in questa prigione, e tutti n’escono per la medesima porta.

5. VALORE DEL TEMPO. – Il tempo ha un valore infinito, perché costa il sangue di Gesù Cristo… Il tempo è di un valore immenso, perché solo con questo si può comprare l’eternità beata… «Il tempo, in certo qual senso, vale quanto Iddio medesimo, dice un antico padre, perché il tempo speso ci mette al possesso di Dio». In un momento di tempo ci possiamo guadagnare la vista e il godimento intero e perpetuo di Dio; mentre l’eternità intera non ci potrà mai dare né il Cielo, né Dio. L’eternità è fatta perché godiamo il cielo, la somma felicità, non perché ce la procuriamo…
Ma se con un solo minuto bene speso possiamo guadagnarci il cielo e Dio medesimo, in un solo momento possiamo perdere il cielo e Dio e precipitare nell’infelicità eterna. Da un istante adunque, bene o male impiegato, dipende la nostra eternità felice o infelice. E se un solo momento tanto vale, quanto varranno le ore, i giorni; le settimane, i mesi, gli anni, e la vita intera dell’uomo! E’ dunque opera da savio fare buon uso del tempo ed è somma pazzia lo sciuparlo…
Volete sapere quanto valga il tempo? Interrogate i reprobi: essi darebbero tutti i tesori, si stimerebbero oltre misura fortunati di soffrire mille tormenti, di patire ogni genere di martirio, di sacrificare mille vite, a questo solo prezzo che loro fosse dato un giorno, un’ora, un istante da poter uscire dall’inferno e assicurarsi il paradiso. Si assoggetterebbero perciò a inaudite e non mai più vedute penitenze… Dite il medesimo delle anime purganti… Interrogate i beati nel cielo, ed essi diranno: O fortunati mortali! ah! se voi conosceste il valore del tempo, quanti meriti potreste acquistarvi, come sottilmente lo traffichereste e con quanta cura cerchereste di non perderne un momento! Oh! se ci fosse concesso di ritornare nel tempo per aumentare i nostri meriti, saremmo disposti a comperare un ora a prezzo dei più duri supplizi, del ferro, del fuoco!… Sì, se gli eletti potessero invidiarci qualche cosa, questa sarebbe la fortuna che noi abbiamo di poter accrescere ad ogni momento la corona dei nostri meriti. O momenti preziosi dai quali dipende la nostra salute e, la nostra eternità!
«Veneranda è la vecchiaia, dice il Savio; ma essa non si deve misurare con la lunghezza o il numero degli anni, bensì dalla costumatezza delle azioni: bella vecchiaia, lunga vita, è una vita senza colpa» (Sap. IV, 8-9). S. Ambrogio ad encomio di S. Agnese scriveva: « Giovinetta di anni, era molto avanzata per santità e assennatezza (Serm.) ».
Il tempo è il miglior medico per tutti i mali. Il tempo mitiga la collera, spegne l’odio, smorza la concupiscenza… Il tempo svela i segreti, mette in luce la verità o nascosta o trafugata… il tempo procura l’esperienza, il consiglio, la prudenza.
Il tempo, calcolato per ore, giorni, anni, è nulla; ma in quanto mette capo all’eternità ed è strumento per procurarci il godimento di Dio per mezzo della grazia, poi della gloria, ha un valore inestimabile. Il tempo in se stesso è niente, ma intanto si perde tutto, quando si sciupa; perché questo tempo che è niente, fu stabilito da Dio. per servire di passaggio all’eternità. Perciò Tertulliano chiamò il tempo un grande velo disteso innanzi all’eternità (Lib. de Resurr.). Per arrivare a questa, bisogna passare per quello; col buon uso del tempo noi acquistiamo diritto a quello che sta oltre il tempo.
Per mezzo dell’incarnazione del Verbo, l’eternità si è collegata col tempo, affinché coloro che sono soggetti al tempo, possano aspirare all’eternità… Quello che noi facciamo nel tempo, va all’eternità, perché il tempo è dominato dall’eternità e a lei fa capo. Io non godo dei piaceri se non nel punto del loro passaggio e benché passino, io debbo renderne conto come se rimanessero. Non basta il dire: Sono passati, io non ci baderò più; sono passati sì, per me; non però dinanzi a Dio il quale me ne chiederà conto.
Poiché piacque a Dio, per consolare i miseri mortali della perdita continua a cui soggiace la loro terrena esistenza per i furti del tempo, che questo tempo il quale fugge portandosi via le nostre spoglie, fosse un passaggio all’eternità che resta, assicuriamoci per mezzo del tempo le preziose ricchezze dell’eternità beata; non ci sfugga. mai di mente che a questo fine Dio ci ha posti nel tempo… Ricordiamo che se tutti i momenti, in se stessi considerati, sono meno di un soffio, di un’ombra, in quanto però mettono all’eternità, diventano di un valore infinito (II Cor. IV, 17), e che per ciò è gravemente colpevole chi riceve invano tale grazia. O momento da cui dipende l’eternità! o eternità che dipende da un momento!

6. CONTENTEZZA DI CHI HA IMPIEGATO BENE IL TEMPO. – Il tempo bene speso riempie il cuore di consolazione. A colui che ha fatto buon uso del tempo si può applicare quel detto della Sapienza: «Tolto da prematura morte, egli ha percorso una lunga carriera» (Sap. IV, 13); al contrario chi sciupa il tempo, si vede costretto ad esclamare con Giobbe: «I miei giorni fuggirono, i miei pensieri svanirono, lasciandomi nel cuore il rimorso» (IOB. XVII, 11). Oh! come è dolce al buon cristiano il poter ripetere sul letto di morte col grande Apostolo: «Ho combattuto nel buon arringo, ho compito la mia corsa, ho mantenuto la fede. Altro non mi resta se non aspettare la corona della giustizia, che mi sta riservata e che mi darà il Signore, giusto giudice, in quella giornata» (III Tim. IV, 7-8).
Di coloro che impiegano bene il tempo si può dire col profeta, che mentre vivono, vanno seminando tra il pianto e i singhiozzi; ma giunti in fine di vita gioiscono sotto il dolce carico dell’abbondante loro messe (Psalm. CXXV, 7-8). Essi portano al letto di morte due covoni, quello dell’onore e quello della virtù; a quel punto sarà loro aggiunto il terzo, che è quello dell’eterno riposo, della felicità e della gloria… Costoro, come diceva Giobbe, ascoltano e osservano la legge del Signore, perciò compiranno i giorni loro nella felicità e vedranno coronati di gloria i loro anni (IOB. XXXVI, 11). La loro morte è la morte dei giusti; felici quelli che muoiono di tale morte!
Poi quale ineffabile gioia e contentezza non prova chi pensi alle grandi ricompense con cui Dio premia chi fa buon uso del tempo! Per farsene una idea basta ricordare la parabola dei talenti nella quale il padrone che aveva dato i suoi denari da trafficare, vedendosi innanzi i servi che gli restituivano cresciuti del doppio gli averi ricevuti, loro disse che stessero di buon animo, perché avendo, come servi diligenti e leali manifestata in cosa di piccolo pregio la loro fedeltà, li costituiva sopra molte, ed entrassero nel gaudio del loro Signore (MATTH. XXV, 14-23).
«Se la terra, scrive S. Ambrogio, vi rende moltiplicato quello che le affidate, quanto più abbondante sarà la ricompensa che riceverete dalla misericordia divina per quello che avrete dato! poiché Dio è infinitamente più liberale della terra e della natura (Serm.)». Per un istante di pena, un eternità di gaudio… Per una goccia di pianto, un oceano di delizie… «Ah no, dice l’Apostolo, i patimenti di questa vita non hanno nessuna proporzione con la gloria che deve un giorno risplendere in noi» (Rom. VIII, 18).

7. BISOGNA PROFITTÀRE DEL TEMPO PRESENTE. – Ma raggiunge questa mèta e ottiene questa esuberante mercede solo chi può dire con San Paolo: «Non invano sono corso, non invano ho lavorato» (Philipp. II, 16). Imitiamo i negozianti; essi esaminano le mercanzie, le prendono in cambio o le comprano, se ne fanno padroni. Il tempo presente è tempo di mercato; comperiamo, vendiamo, facciamo cambi; vendiamo la terra, comperiamo il cielo… «La vita nostra, dice il Nazianzeno, è un mercato; se ne lasciate passare il giorno senza provvedervi, non troverete poi più tempo da comprare quello che vi bisogna (In Sentent.)».
«Corriamo, si dicevano a vicenda gli anacoreti di S. Giovanni Climaco, corriamo, fratelli; ci vuole una corsa da atleti, perché siamo caduti, per causa del peccato, dal grado nostro; corriamo, non risparmiamo questa carne di peccato, questa carne d’iniquità; uccidiamola nella corsa, poiché essa ci ha uccisi nel riposo» (Vit. Patr.). Questo dobbiamo dire anche noi; ma dobbiamo anche farlo, ad esempio di Davide che affermava di se stesso: «Io l’ho detto, e tosto mi vi sono messo» (Psalm. LXXVI, 10). Ci serva di modello nell’impiego del tempo la condotta del figliuol prodigo il quale, non appena ebbe deciso di partire e andarsene al padre, mise tosto in esecuzione la sua risoluzione e, levatosi, fece ritorno al genitore (Luc. XV, 18, 20).
«Nessuno, diceva S. Bernardo, disprezzi un solo momento, sciupandolo in vane ciance. La parola fugge e non si può più ritirare, il tempo vola e non si può più riparare: soltanto lo stolto non si accorge di quello che perde. Non sarà lecito divertirsi, dice qualcuno, per passare un’ora? Come? per passare un’ora! e non badate, che quest’ora vi è concessa dall’indulgenza del creatore per fare penitenza, per ottenere il perdono dei vostri peccati, per acquistare la grazia, per meritare la gloria? Dunque voi fate così poco conto del tempo, che credete una cosa da nulla lo sciupare un’ora nel divertirvi? di quel tempo, che avreste dovuto impiegare nel rendervi propizia la misericordia di Dio, nel prepararvi per la società degli angeli, nel sospirare all’eredità perduta, nello scuotere la volontà sonnolente, nel piangere i vostri peccati! Niente è così prezioso come il tempo; eppure niente, o Dio, è peggio strapazzato del tempo. Il giorno della salute passa, e dov’è chi vi pensi? Chi seriamente riflette che il tempo perduto non lo ricupererà mai più? Ma intanto, come non si perderà un sol capello della testa, così non sfuggirà a Dio un solo momento perduto (Serm. de triplici Custod.)».
«Lèvati prontamente» (Act. XII, 7), disse l’angelo a Pietro che giaceva incatenato in prigione; così dice anche a noi sonnecchianti nell’ozio e nella pigrizia: Scotetevi e profittate del tempo che vi è dato. «Affrettatevi a seminare per voi nella giustizia, a mietere nella misericordia; coltivate la vostra terra; è tempo di cercare il Signore» (OSE. X, 12). «Siate spirituali coltivatori, e seminate quello che vi dia vantaggio (Offic. lib. I)», dice S. Ambrogio. Ricordiamo l’avviso di S. Paolo, che è venuto il tempo, che è giunta l’ora di svegliarci dal sonno (Rom. XIII, 11). È questa l’ora della grazia, della fede, della salvezza… Non rimandiamola al domani; il domani non è in nostro potere… «Chi di voi, chiede S. Giacomo, sa quello che sarà di lui domani? Nessuno certamente, perché la nostra vita è un vapore il quale in un batter d’occhio compare e sfuma» (IACOB. IV, 14-15).
Non possiamo profittare del tempo passato, perché non è più; non del tempo futuro, perché non l’abbiamo e forse non l’avremo; non ci rimane dunque a disposizione altro tempo che il presente il quale ci fugge come il baleno… Il tempo di rendere conto a Dio è vicino, dice l’Apocalisse (Apoc. I, 3). «Ecco ch’io giungo, dice il Signore, custodite bene quello che avete affinché nessuno non vi tolga la vostra corona» (Ib. III, 11).
Invece di tenersi pronte ad accogliere lo sposo, le vergini stolte di cui parla il Vangelo, non sapendo l’ora in cui sarebbe giunto, cominciarono a sonnecchiare, poi si addormentarono. – Batte la mezzanotte; lo sposo arriva e trovate le vergini sagge che stavano deste e pronte ad aspettarlo, le introduce nella sala del banchetto. Giungono finalmente anche le stolte che avevano perduto il tempo quand’era in loro potere; trovarono la porta chiusa. Hanno un bel gridare: Aprici, Signore; la porta non si apre più, né a loro è concesso di prendere parte alla festa (MATTH. XXV, 11-12).
Il tempo è moneta che Dio ci dà con l’obbligo di trafficarla e di restituirgliela con usura dei beni eterni, quando egli si presenti a chiedercene conto (Luc. XIX, 13). Mentre adunque abbiamo il tempo, serviamocene per fare del bene (Galat. VI, 10), e non dimentichiamo mai che non cl è dato altro tempo che il presente…

8. QUELLI CHE IMPIEGANO BENE IL TEMPO. – «Mentre stai attendendo la mia venuta, applicati alla lettura, all’esortare, all’insegnare» (I Timoth. IV, 13). «Esercitati nel santo combattimento della fede, lavora a guadagnarti la vita eterna alla quale sei chiamato» (Ib. VI, 12). «Diportati come buon soldato di Cristo; perché anche quelli che lottano nei pubblici giuochi, non ottengono la corona, se non dopo che hanno combattuto da valorosi ed è giusto che il coltivatore lavori, prima che raccolga» (II Tim. II, 3, 5-6). Ora fa buon impiego del tempo, chi pratica questi insegnamenti dell’Apostolo…
La virtù, non consiste nella quantità, ma nella qualità delle opere: un solo giorno passato senza colpa vai meglio che un’intera vita tiepida e rimessa. «Tu devi fare conto, scrive Eusebio, di essere solamente vissuto quel giorno in cui rinnegasti la tua volontà, resistesti alle tue passioni e non commettesti nessuna violazione della legge. Fa’ conto di essere vissuto soltanto quel giorno, che vide in te risplendere la chiarezza della purità e il fuoco della santa meditazione (In Chronic.)».
Seminiamo nella grazia, ci esorta S. Bernardo, e mieteremo nella gloria; seminiamo su la terra con pianto e mieteremo nel cielo con gaudio. Poiché le opere nostre non vanno perdute, ma quello che si semina nel tempo è seminato per l’eternità. Lo stolto che non semina, o semina male, stupirà vedendo il giusto raccogliere esuberante messe dalla buona e abbondante sua seminagione. Seminiamo il buon esempio con le buone azioni; seminiamo seme di grande allegrezza agli angeli, per mezzo di segreti sospiri… Seminiamo anche noi ad esempio di tanti altri che seminarono prima di noi; profittiamo della loro seminagione, avendola essi fatta per noi (Serm. in Cantic.). O figli di Adamo; dice il medesimo dottore, oh! quanti hanno seminato in voi, e quanto preziosa è la loro semenza! O Dio! come disgraziatamente, ma giustamente perirete, se andrà perduta in voi una così preziosa semente, insieme con la fatica dei zelanti seminatori! La Trinità ha seminato nella nostra terra; vi seminarono gli angeli, gli apostoli i martiri, i confessori, le vergini. Il Padre celeste vi ha seminato il pane del cielo; il Figlio vi ha seminato la verità; lo Spirito Santo la carità (Serm. in Cantic.).
Dice S. Gregorio: «Non gli onori, non le ricchezze, cose transitorie e caduche, noi dobbiamo cercare; ma se desideriamo i veri beni, amiamo quelli che possederemo in eterno; se temiamo i mali, temiamo quelli che i reprobi soffriranno senza fine (Homil. XV in Evang.)». Seguire questi consigli, praticare tali avvertimenti è un fare buon uso del tempo.
Chi si può dire che impieghi bene il tempo? Colui che essendo giusto e santo, studia di divenirlo di più, ed osserva quel precetto di S. Paolo: «Portatevi in modo da arricchirvi sempre più per il cielo» (I Thess. IV, 1). Si mostra perfetto, secondo la sentenza di S. Bernardo, soltanto colui che desidera sempre di crescere in perfezione (Epistola). Quelli che andranno di virtù in virtù, come dice il Salmista, troveranno i giorni loro pieni di benedizioni, perché li colmarono, vivendo, di buone opere (Psalm. LXXXII, 7); (Psalm. LXXII, 10).
Chi fa buon uso del tempo? Colui che pratica questi suggerimenti dell’Apostolo: Esercitatevi nella pietà, che vuol dire nella pratica delle virtù religiose (I Tim. IV, 7). Meditate i vostri doveri, consacratevi all’adempimento dei medesimi, affinché il vostro profitto sia manifesto a tutti (Ib. IV, 15). Lavorate notte e giorno senza mai stancarvi di fare il bene (I Thess. II, 9); (Galat. VI, 9). Io dimentico, afferma di sé il medesimo Apostolo, quello che mi sta dietro, e mi slancio con tutto vigore verso ciò che mi sta dinanzi, e mi sforzo di raggiungere la mèta e di ottenere la mercede cui Dio mi ha chiamato dall’alto per mezzo di Gesù Cristo (Philipp. III, 13-14). Ecco il modello di chi impiega bene il tempo. Per questo bisogna fuggire anche le inutili conversazioni (I Tim. IV, 7); evitare le mondane allegrie, il peccato mortale anzi tutto, il veniale per quanto è possibile; …guardarsi dall’abuso delle grazie.

9. QUELLI CHE ABUSANO DEL TEMPO. – «E’ volontà del cielo, scrive Sant’Agostino, che noi camminiamo su questa bassa terra. Ora, tre sorta di persone tra questi viaggiatori odia Iddio: colui che si arresta, colui che indietreggia, colui che abbandona la via. Chi non avanza, è come se non desse un passo; chi si ritrae dalle buone risoluzioni e riprende il male già una volta detestato, indietreggia; chi abbandona la fede, non è più su la strada. Ma chi è che non avanza? colui che si crede saggio e dice tra sé: A me basta il rimanere come sono» (Lib. da Cant. nov. c. IV).
Chi è che non avanza? il tiepido, il pigro spirituale… Chi retrocede? colui che cade nel peccato mortale… Chi è fuori di strada? chi si ostina nel male e vuole restarvi e rifiuta di correggersi. Ora queste tre sorta di persone sciupano il loro tempo. Non progredire nella via della santificazione e della salute, è un perdere il tempo… Retrocedere sul cammino della virtù, è ancor più grave perdita di tempo… Sviarsi dal buon sentiero è un tempo interamente perduto. Quanti non si trovano, per loro sventura, in una di queste tre classi! Quante persone non consumano, come dice il Salmista, i giorni loro nella vanità e gli anni nell’irrequietezza! (Psalm. LXXVII, 33).
Tutto il tempo che si dà alle ciance, all’ozio, alla vanità, alla tiepidezza volontaria, al peccato, all’amore del mondo e dei piaceri colpevoli, è un tempo che appartiene alla morte e non alla vita. Tutte le ore che si consacrano al mondo sono ore perdute…
«Non si vive, dice S. Giovanni Damasceno, se non quel tempo che si vive bene (De Virtute)». «Non rallegriamoci, soggiunge S. Gregorio, di altro tempo da noi vissuto fuori di quello che abbiamo passato nell’innocenza e nell’umiltà; perché il tempo che abbiamo speso nelle sciocchezze del mondo, nelle cure terrene e carnali, è un tempo perduto del quale non si terrà conto per pagarcene la mercede, ma per sentenziare il castigo (Moral.)». Quindi quel detto di S. Agostino: «Tu ami il secolo e il secolo ti affogherà (Tract. II in Epist. I S. Ioann.)».
«Per quelli che si regolano male, dice Seneca, il tempo è perduto: perduto per gli oziosi; perduto interamente per quelli che si occupano di tutt’altra cosa da quella di cui dovrebbero occuparsi. Chi si perde in frivolezze e baldorie, non fa nulla. Molti lasciano le loro occupazioni e si abbandonano al riposo, altri cangiano le cose serie in frascherie. Siete voi di quelli che si perdono dietro agli onori, alla gloria, al potere? se arrivate ad afferrarli, stringete un pugno di mosche. Vi struggete di golosità e libidine? non prendete che un sudicio insetto. Vi invaghite di abiti belli e sfarzosi? voi vagheggiate tele di ragno. Non sono forse tutte queste e altre simili cose, vere inezie? Ciò non di meno quante persone perdono e sciupano in tali vanità un tempo che Dio ha loro dato perché si meritino l’eternità! (Epist. 1 ad Lucill.). Chi crederebbe che sia di un pagano un tale linguaggio?
Dice la Sapienza, che il fascino della frivolezza oscura i beni (Sap. IV, 12). Il piacere ingannatore abbaglia la mente; non se ne considera né la vanità, né la falsità, né la degradazione; e più non si hanno occhi per vedere la bellezza e il pregio della virtù… Prova e testimonio ne è S. Agostino il quale confessa che era allacciato da inezie e che le vanità sue vecchie amiche, gli facevano perdere tutto il suo tempo (Confess. lib. VIII, c. 11). Ah! voi siete creati per l’eternità e vivete per il tempo che è sì poca cosa! Perché non vivere per l’eternità? Destinati al cielo, perché inchiodarvi alla terra? Eletti a possedere Dio, perché desiderare le false ricchezze del mondo?
Quelli che abusano del tempo, possono veramente dire che ordirono gli anni loro come tela di ragno (Psalm. LXXXIX, 10). Osservate questo insetto mentre ordisce la sua tela; è un continuo andare e venire di su e di giù, un passare di qua e di là, un lavorare senza tregua; e qual è l’effetto di un tanto lavoro? vedere in un attimo ridotta a nulla tutta la sua fatica. Non altrimenti avviene della vita di chi abusa del tempo; va, viene, sempre in cerca di godimenti e di ricchezze; si alza, si curva, si prostra, corre, suda, trafela, si consuma, si uccide per raccogliere materia da godere la vita, ma ordisce tele di ragno e giunto alla fine resta a mani vuote.
Gli uomini dicono la verità e fanno giustizia di se stessi quando dicono che cercano di passare il tempo e ci scoprono casi con quale leggerezza lo sprecano. Ma perché mai l’umanità, naturalmente così avara ed avida di tenersi aggrappata alla sua fortuna, si lascia sfuggire di mano, con tanta noncuranza, uno dei più preziosi tesori? Due ne sono le cause, a mio parere, delle quali l’una dipende da noi, l’altra dal tempo.
In quanto a noi, si comprende che tanto facilmente il tempo ci sfugge, perché non vogliamo considerarne di proposito né la brevità né la fugacità. Infatti, sia che, osservandone la durata, sentiamo avvicinarci la nostra fine e vogliamo tenere lontana da noi questa rattristante immagine; sia che, per effetto di una certa infingarda stoltezza, non sappiamo impiegare il tempo, sta il fatto che noi temiamo di doverci accorgere del suo corso. Come non ci riescono gravi quelle giornate di cui andiamo contando tutte le ore e tutti minuti! Come non sentiamo duri e pesanti quei giorni, la cui lunghezza rattrista e abbatte! Quindi il tempo diventa per noi insopportabile aggravi o quando ce lo sentiamo pesare su le spalle. E per ciò non lasciamo nulla d’intentato per distrarci anche dal pensarvi e mettiamo ogni studio nel farlo passare.
Ma se noi cerchiamo d’ingannarci, il tempo a sua volta ci aiuta, col tenerci nascosto quello di cui ad ogni istante ci spoglia e ci acceca; ci fa contare e quasi ci sopraffà, schierandoci innanzi l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la virilità, la vecchiaia, la decrepitezza… O illusi mortali che contate i vostri anni invece di pesarli!
I piaceri e gli affari si dividono tutte le nostre ore; per l’attacco ai piaceri l’uomo non pensa e non appartiene a Dio; per l’angosciosa sollecitudine cui si applica agli affari, non appartiene a se stesso. Tal è la vista dell’uomo di mondo; e così facendo egli perde il suo tempo e perde in conseguenza Dio medesimo… Quelli che si arrestano a ciò che è attorno di loro, come le creature, le ricchezze, i diletti, gli onori, perdono il loro tempo… Quelli che si arrestano in se stessi per orgoglio, vanità, compiacenza, egoismo, perdono il loro tempo… Quelli che passano le ore nell’ozio, perdono il loro tempo; quelli che lavorano, ma lavorano male, o solo per fini umani, perdono il loro tempo; quelli che non hanno Dio per guida e scopo nei loro lavori, perdono il loro tempo; quelli che si occupano d’altro, fuorché del loro dovere, perdono il loro tempo; quelli che non fanno le cose al tempo debito, perdono il loro tempo… Finalmente, tempo perduto è tutto quello che si passa nel peccato mortale.

10. CONTO DA RENDERE DEL TEMPO PERDUTO. – Nel Vangelo vi sono due parabole che bastano da sole a darci un’idea del rigore con cui ci sarà chiesto conto del, tempo perduto. Verrà giorno in cui ad ognuno di noi sarà detto, come già al fattore dal padrone evangelico: «Orsù, rendimi ragione della tua gestione» (Luc. XVI, 2). Ma quello che conta di più, si è che quanto fa l’uomo per sciupare il tempo, se ne va e passa col tempo; ma dinanzi a Dio, non passa, resta ed è da lui riposto nei tesori della sua collera. Quello che avrò posto nel tempo, lo troverò; se non ci metto che iniquità, non troverò che severissimo giudizio. Quello che fa nel tempo, passa dal tempo nell’eternità, per esservi irrevocabilmente giudicato… Io non godo di quest’ignobile e vietato piacere se non un istante; esso passa presto, ma il conto che avrò da renderne, avrà suo effetto in eterno.
Ricordando poi anche come noi siamo i servi di Dio, ci deve colpire di salutare spavento il modo con cui l’evangelico padrone, figura di Dio. trattò il suo servo inutile ed infingardo il quale nascose sotterra il talento ricevuto e al giungere del signore credeva sottrarsi ai suoi rimproveri ed anzi essere lodato come avveduto, restituendoglielo sano e intatto. Infatti alla scusa ch’egli balbettò di non aver trafficato il talento, che cioè lo sapeva un padrone duro il quale voleva mietere dove non aveva seminato e che temeva di essere punito se per disgrazia il talento affidatogli si fosse perduto, si udì rispondere: «Dalle tue stesse parole io ti giudico, servo infedele» (Luc. XIX, 22). Gittatelo adunque, voi servi miei fedeli, nella buia prigione che sta al di fuori di questa casa; e abbia colà per compagni eterni il piangere senza consolazione ed il fremere dei denti (MATTH. XXV, 30). Ecco la sorte che spetta a coloro i quali perdono il tempo loro in vanità e inezie!

11. MEZZI PER BENE IMPIEGARE IL TEMPO. – Impiega bene il tempo colui che. secondo il suggerimento di S. Paolo, sia che mangi, sia che beva, sia che faccia qualunque altra cosa, tutto indirizza a gloria di Dio; che e nelle parole e nelle opere rende omaggio al nome di Gesù Cristo, porgendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui (I Cor X, 31), (Coloss. IlI, 17). «Badate, dice il medesimo Apostolo, a camminare cauti, non da stolti ma da savi, riscattando il tempo, perché i giorni volgono cattivi» (Eph. V, 15-16). E per riscattare il tempo, dobbiamo entrare di quando in quando in noi medesimi e nel raccoglimento pensare a Dio e agli affari dell’anima. Tale è il consiglio di S. Agostino (De coelesti Vita), al quale possiamo aggiungere quello di S. Gerolamo: «Viviamo come se avessimo da morire subito; lavoriamo come se non avessimo mai da morire (Epist.)»; confessando a noi medesimi, ad esempio dei patriarchi antichi, che siamo stranieri e pellegrini su la terra (Hebr. XI, 13).
L’apostolo S. Pietro scriveva: «Vi scongiuro, o carissimi, che vi considerate quali passeggeri ed estranei» (1, II, 11). E infatti, l’anima nostra essendo celeste, deve aspirare al cielo, guardando la terra come luogo di passaggio. Per liberarci da questo basso esilio e per condurci alla patria, Gesù Cristo discese su la terra, nacque in una stalla, visse come straniero e spirò su di un patibolo…
Ora se il cristiana su la terra è un pellegrino che va verso il cielo, deve imitare il contegno del pellegrino che va verso la patria. E quindi: 1° questi vede tutte le cose, ma non vi si ferma, così deve fare il cristiano… 2° Il viaggiatore se ne va e lascia ad altri il suo luogo; lo stesso avviene di noi… 3° Il viaggiatore va direttamente alla sua mèta, senza perdersi in altro, contentandosi del vitto e del vestito; imitiamolo… 4° Il pellegrino desidera di arrivare alla patria e per giungervi incontra e sopporta con coraggio e perseveranza le fatiche del cammino, il freddo, il caldo, la fame, la sete, ecc. Ecco il nostro modello… 5° Il passeggero non solleva ostacoli al suo cammino; tratta con onestà e giustizia; non insulta nessuno, ma si mostra rispettoso e cortese con tutti; tale è il dovere del cristiano… 6° Lo straniero considera tutti gli uomini come stranieri, il suo cuore è nella sua patria, la sua anima si trova coi genitori, coi figli, con gli amici; tale dev’essere la condotta del fedele… 7° Il pellegrino porta un mantello ed un bastone; il cristiano deve vestirsi di Gesù Cristo, indossare il mantello della preghiera, della pazienza, della modestia e portare la sua croce… 8° Il viaggiatore non si carica d’inutili pesi, ma si limita al puro necessario: il buon uso del tempo questo richiede dal cristiano… 9° Il viaggiatore non si ferma per via, ma va sempre avanti verso la mèta del suo viaggio. Facciamo noi lo stesso e per animarci ripetiamo con S. Antonio: «Oggi comincerò a servire Dio con tutta l’anima; perché oggi può essere l’ultimo mio giorno» (Vit. Patr.).
«Volete voi, scrive Seneca, essere libero del vostro corpo, non impacciato da questo pesante fardello? Abitatelo come se ne doveste ad ogni ora sloggiare; guardatelo come straniero e al punto di morte ve ne separerete senza rammarico» (Epist. XXIV). Non vi pare di udire in queste parole una lontana eco di quelle altre di S. Paolo: «Non abbiamo, quaggiù in terra, ferma e stabile dimora, ma andiamo in cerca della fortuna» ? (Hebr. XIII, 11).