FEDE E RAGIONE

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Da J. COLLANTES (a c. di), La fede della Chiesa Cattolica. Le idee e gli uomini nei documenti dottrinali del Magistero. Tra i due estremi del razionalismo e del fideismo, la Chiesa ha sempre difeso le prerogative della ragione e la sua capacità di conoscere con certezza l’esistenza di Dio e della rivelazione, cioè i preamboli della fede. Ha però anche sostenuto con uguale fermezza il carattere soprannaturale della rivelazione e l’oggettività dei suoi contenuti intellettuali, alcuni dei quali superano ogni intendimento razionale (misteri propriamente detti) anche dopo la manifestazione fattane da Dio.

FEDE E RAGIONE


Il cristianesimo si autodefinisce religione rivelata: non è un ritrovato della ragione umana, ma dono di Dio che si comunica all’uomo per fargli conoscere il suo mistero di salvezza.
Questa rivelazione divina è detta storica, perché si attua nelle vicissitudini della storia: attraverso segni intelligibili, parole o fatti interpretati dall’ispirazione profetica, Dio comunica con l’uomo per insegnargli gli arcani del proprio essere divino e i destini trascendenti del genere umano (1). È anche progressiva, perché portata al suo compimento per tappe successive. Il traguardo di questo processo è stato raggiunto nella piena e definitiva rivelazione di Cristo, Parola vivente di Dio, il quale comunicò agli uomini tutto ciò che aveva udito dal Padre (cf Gv 15,15). E infine soprannaturale, perché non richiesta dalla natura né attingibile dalla sola ragione umana; di più, non può essere pienamente intesa e penetrata neppure dopo che è stata conosciuta (cf 2 Cor 5,7).
Se dunque Dio si comunica all’uomo, questi è tenuto ad accettare la testimonianza divina in tutta la sua portata, anche se non riesce ad afferrare l’evidenza intrinseca di quanto Dio gli rivela. Tale atto di accettazione è un ossequio dell’uomo, del suo intelletto e della sua volontà a Dio, infinitamente verace, che non può né ingannarsi né ingannare. Questo è quello che chiamiamo fede soprannaturale.
La fede è quindi per prima cosa soggettiva e personale, abbandono di persona a persona, dell’uomo tutto intero al Dio vivo, nel quale ha fiducia totale e assoluta. Ma è anche oggettiva, perché se si riconosce l’autorità di Dio che merita fiducia, si devono necessariamente accogliere tutte le verità da lui rivelate. Tuttavia essa rimane libera, perché queste verità non si impongono all’intelligenza per una propria intrinseca evidenza, ma per la fiducia che si ha in Dio. Alla volontà, sorretta dalla grazia, rimane quindi un largo margine di libertà per respingere l’invito del Padre oppure affidarsi a lui.
Questo però non significa che la fede sia un movimento cieco della volontà. Al contrario, tanto il tessuto razionale della persona umana che le fonti della rivelazione esigono che la fede, questo salto nel buio dell’uomo che si affida a Dio, sia ragionata (cf Rm 12, 1): egli ha il diritto di accertarsi prima di tutto che sussistano motivi validi per accettare ciò che si presenta come comunicazione divina. Queste motivazioni (preamboli della fede) possono e devono essere scoperti dalla propria ragione naturale, cosicché l’adesione alla fede è razionale, e di conseguenza veramente umana (2).
Quanto abbiamo accennato pone necessariamente la questione della relazione tra fede e ragione. È un problema di sempre, che si è andato particolarmente acuendo nel sec. XIX con le prese di posizione poco equanimi sia degli idolatri della ragione che dei suoi detrattori.
a) Da una parte sta il razionalismo di tutti i tempi, che esalta l’intelletto fino a dichiararlo unica fonte della conoscenza opponendosi per definizione ad ogni religione rivelata e soprannaturale. Il razionalista non potrà mai ammettere la rivelazione come intervento divino esterno all’uomo; dirà tutt’al più che si tratta di una intuizione, alla quale la fede risponde come attitudine esistenziale della vita. I dogmi della fede non vanno quindi visti come realtà esteriori al soggetto, ma piuttosto come espressioni poetiche della realtà (Hegel) o sentimenti mistici espressi in formule (modernisti).
Il razionalismo riesce a costruire un cristianesimo di stampo umano, quanto mai attraente, nel quale sono radicalmente soppresse le tensioni fede-scienza e ragione-rivelazione. A rigor di termini, non esiste una rivelazione: esiste soltanto la ragione, né ci può essere fede soprannaturale, ma solo la scienza e il sentimento religioso.
Oggi si può constatare un certo influsso razionalistico nella valorizzazione corrente dell’elemento soggettivo della fede e nella riduzione o negazione dei suoi contenuti intellettuali. La fede, si dice, non è una “informazione”, ma un atteggiamento di fronte alla vita, il cui modello insuperabile è Gesù di Nazaret. Paolo VI ha denunciato più d’una volta questa tendenza (3).
b) Sul versante opposto si erge la sfiducia nel pensiero umano, che si ritiene incapace di dimostrare i preamboli della fede (esistenza di Dio, della rivelazione ecc.). Proprio per questo i primi riformatori eliminarono la teologia naturale (4) privando la fede di supporto razionale e aprendo la strada al fideismo (unica giustificazione della fede è la fede stessa) o al tradizionalismo assoluto (unica giustificazione della rivelazione è la stessa rivelazione, che viene a noi attraverso la tradizione).
Ancor oggi serpeggiano sintomi che conducono al fideismo nel deprezzamento o nello scarso rilievo che si dà all’apologetica cattolica (5).
c) Tra i due estremi del razionalismo e del fideismo, la Chiesa ha sempre difeso le prerogative della ragione e la sua capacità di conoscere con certezza l’esistenza di Dio e della rivelazione, cioè i preamboli della fede. Ha però anche sostenuto con uguale fermezza il carattere soprannaturale della rivelazione e l’oggettività dei suoi contenuti intellettuali, alcuni dei quali superano ogni intendimento razionale (misteri propriamente detti) anche dopo la manifestazione fattane da Dio.



NOTE


(1) “Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cf. Gv. 1, 3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cf. Rom. 1, 19-20). Inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza (cf. Gen. 3, 15), ed ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro, i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cf. Rom. 2, 6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cf. Gen. 12, 2-3), che dopo i patriarchi ammaestrò per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscessero come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stessero in attesa del salvatore promesso. In tal modo preparò lungo i secoli la via al vangelo” Concilio Vaticano II, Costituzione Dei Verbum, I,3.

(2) Cf Gran Enciclopedia Rialp, Madrid 1971-76, 9, 780-784 (C. POZO).

(3) Cf soprattutto Insegnamenti di Paolo VI, 5, Città del Vaticano 1967 744.787; discorso a Bogotà (24.8.1968): AAS 60(1968)639-641; esortaz. Quinque iam anni (8.12.1970): AAS 63[1971]99-100)

(4) Questa sfiducia viene dall’idea che il peccato originale ha lasciato la ragione “ferita nelle sue stesse facoltà naturali”. Nella Formula concordiae 1,3 è detto che per la caduta di Adamo l’uomo è vittima di una inscrutabilis corruptio totius naturae et omnium virium, imprimis vero superiorum, et principalium animae facultatum: Die Bekenntnisschriften der evangelische-lutherischen Kirche, Gottingen 1956/3, 848.

(5) Paolo VI ha deprecato “il vuoto causato dalla perdita della fiducia nei grandi maestri del pensiero cristiano ” e ” nella validità dei principi fondamentali della ragione, cioè della filosofia perenne”: discorso a Bogotà: 24.8.1968: AAS 60[1968]642.

Testo tratto da: J. COLLANTES (a c. di), La fede della Chiesa Cattolica. Le idee e gli uomini nei documenti dottrinali del Magistero, Città del Vaticano 1993, pp. 45-47.