DIRITTI E DOVERI DELLO STATO (35)

…Il potere da Dio. Organizzazione di governo, politica e uomini politici. Doveri dello Stato verso i cittadini. Gli intermediari dello Stato: i pubblici ufficiali. Diritti dello Stato….

Trattato di Teologia morale


PARTE III


I DOVERI DELL’UOMO NEI SUOI RAPPORTI CON IL PROSSIMO


4. DIRITTI E DOVERI SOCIALI


IV. DIRITTI E DOVERI DELLO STATO



1.  Il potere da Dio.


Come qualsiasi società non può sussistere senza un’autorità che la governi, così senza una tale autorità non può sussistere la società civile. Diversamente dalla Chiesa, Dio non ha qui imposto una forma specifica di esercizio dell’autorità. Anche qui, però, si fa capo a Dio, come in ogni ordinamento inseparabile dalla naturale condizione dell’umanità, Essendo divina istituzione la società, è altresì divina istituzione la potestà civile, senza la quale quella è impossibile. Ecco in che senso viene detto che ” non v’è potere se non da Dio” (Rom., 13, 1), e viene detto pure essere di diritto divino l’autorità.


Non risiede dunque nel popolo la sovranità, né il popolo ne è la fonte. Può solo con le debite forme effettuarne la trasmissione da una persona, da un’istituzione ad un’altra. Ma, fatta dal popolo la designazione o elezione dei suoi capi, questi tengono da Dio il potere e in nome di Dio lo esercitano.



2.  Organizzazione di governo, politica e uomini politici.


” Tuttavia per il fatto che l’autorità deriva da Dio, non ne segue che gli esseri umani non abbiano la libertà di scegliere le persone investite del compito di esercitarla: come pure di determinare le strutture dei Poteri pubblici, e gli ambiti entro i quali l’autorità va esercitata. Per cui la dottrina sopra esposta è pienamente conciliabile con ogni sorta di regimi genuinamente democratici ” (321).


Sorge e s’impone quindi un’altra questione; vedere come l’autorità civile si determina in concreto con la scelta del soggetto e la forma d’autorità.


Senza attardarci in un esame storico o preistorico, è certo che in linea astratta la stessa uguaglianza di diritti tra coloro, i quali intendono costituire lo stato, attribuisce piena libertà di scegliere quella costituzione che meglio aggrada, e così pure di designare quel soggetto che da migliore garanzia di buon successo.


E inoltre i mezzi per raggiungere il fine sociale, non sempre ben specificato, sono svariatissimi, anche rispetto allo stesso fine: è necessario quindi scegliere tra i più adatti. Da ciò sorge la necessità o almeno la grande utilità, specie attualmente, che vi siano alcuni incaricati di studiare la forma di governo, che meglio risponda a quelle determinate condizioni concrete di vita, ne elaborino i programmi, e propongano i mezzi più adatti anche per la designazione delle persone concrete di governo.


La scienza politica da le norme dell’attività politica, cioè la trattazione sistematica e completa dei punti di vista, che vengono in considerazione nella scelta dei mezzi, coi quali in un dato momento i fini dello stato in concreto si possono realizzare il meglio possibile.


Non si tratta di dati stabiliti per sempre, ma di qualche cosa di fluido, di fini mutabili nel senso o che cambi il contenuto dei compiti a causa dell’evoluzione storica, o del progresso, o che cambino le circostanze storiche.


Sebbene il fine principale dello stato è, come si è detto, l’attuazione duratura del bene comune, il modo che conduce a questo fine non è sempre uguale; cambiano i mezzi secondo l’evoluzione dei popoli nelle loro relazioni sociali, economiche, culturali e il più o meno raffinato senso giuridico.


In un dato momento occorrerà rinforzare l’autorità, in un altro proteggere di più la libertà della persona, in un terzo sovvenire ai bisogni, ecc.


In questo senso la politica deve occuparsi della costituzione dello stato, del sistema governativo, studiare di correggere i difetti della democrazia, l’attuazione della rappresentanza nazionale, fare attenzione alla vita sociale, ecc.


Spetta proprio alla politica scegliere ed attuare fra le varie possibili forme di giustizia sociale quella che realizza un massimo di stabilità e di utilità sociale in relazione a particolari condizioni storiche (322).


Non si deve mai dimenticare, però, che il fondamento dell’ordine sociale sta nel rispetto assoluto della persona umana, che ha come prerogativa essenziale la libertà, presupposto inderogabile per la tutela dei diritti fondamentali e dei doveri correlativi dell’individuo. L’ordine nelle relazioni sociali nasce dal rispetto della persona umana. E tutte le persone hanno diritti e doveri fondamentali che sono assolutamente uguali e, quindi, ugualmente rispettabili (323).


Anche l’autorità va rispettata, come il fondamento del convivere sociale. È necessario però procedere con cautela, per non invadere i diritti dei cittadini e non fare il male sotto pretesto del pubblico bene.


Nessuno può offendersi quando l’autorità colpisce con giustizia. Anzi si deve assegnare un limite anche all’indulgenza del potere politico, e gli si deve contestare il diritto di amnistiare, quando ciò significasse compromissione di sicurezza e passaporto dato al delitto.


Ma con tutto il rispetto all’autorità, con tutta la tutela dell’ordine da parte dello Stato, i cittadini devono potersi muovere come loro piace salvi i diritti altrui e le esigenze del convivere sociale.



3. Doveri dello Stato verso i cittadini.


Il primo e fondamentale limite ai poteri dello Stato viene dalla dignità dell’uomo, dignità che è somma. L’uomo non deve mai considerarsi come un mezzo, ma come fine. La società, come è stato già notato, è un aggregato morale, un organismo, in cui le parti ed i membri non perdono la loro autonomia personale, non diventano quello che sono in forza dello Stato, mentre è proprio lo Stato che diventa quello che è, e che deve essere, per mezzo dei cittadini, a vantaggio dei medesimi.


a) Certamente, per essere fedele alla sua missione, lo Stato dovrà costantemente preoccuparsi di non promuovere che i valori che siano autenticamente valori umani. Ed è in funzione dell’uomo che egli dovrà concepire la politica; in funzione dell’uomo tale quale egli è nella complessità della sua natura; tenendo conto non solamente della diversità, ma anche della gerarchia delle attività umane.


Per es. nella sua politica economica, lo Stato non potrà fare astrazione dagli aspetti sociali, culturali, morali e religiosi dei problemi che egli tocca. Lo stesso quando egli sarà messo in procinto di ingaggiare un conflitto internazionale, egli dovrà scegliere la parte che gli sembri meglio servire la causa della civilizzazione. Se egli agisse diversamente, non si potrebbe dire veramente servire il bene comune, né, per conseguenza, la persona umana.


b) Fra i valori umani, ai quali lo Stato deve interessarsi, uno dei più essenziali è la libertà degli individui. È vero d’altra parte che la libertà, in certe sue manifestazioni, è uno dei beni che l’individuo può essere legittimamente chiamato a sacrificare. Ciò però non impedisce che, in tutta la misura in cui essa è compatibile con le esigenze superiori del bene comune, la libertà sia un bene che lo Stato deve rispettare, proteggere ed incoraggiare. Così l’esige il bene comune stesso, che trova il suo vantaggio nel regime, in cui la libertà umana dispone di tutte le sue risorse d’iniziativa e d’invenzione.


c) E’ dunque giusto dire che la missione dello Stato è, nella sua interezza, suppletiva in rapporto agli sforzi individuali. L’oggetto naturale di ogni intervento in materia sociale è d’aiutare i membri del corpo sociale.


Questa affermazione non significa affatto che lo Stato deve attendere, prima di intervenire, che i singoli abbiano abusato della loro libertà o fatto appello esplicitamente all’aiuto dei pubblici poteri. In realtà, noi dobbiamo riconoscere allo Stato una missione molto più estesa. Essa non deve solamente frenare gli abusi, colmare occasionalmente le lacune: egli deve prevedere, organizzare, coordinare, armonizzare, stimolare e prendere le iniziative che tutti questi atti comportano; è con questa estensione che bisogna prendere i termini ” promuovere e garantire ” il bene comune. Ma ciò che resta veramente, è che tutte le iniziative dello Stato, sotto quelle forme che si presentano, verranno a supplire alle insufficienze dei singoli, per assicurare questo bene. L’amministrazione ed il funzionamento delle istituzioni legali, l’esercizio dell’autorità, particolarmente in via di coazione, tutto questo diventa inutile ed abusivo quando, senza di essa, gli individui ed i gruppi intermedi provvedono sufficientemente alle necessità del bene comune. Perciò giustamente osserva il Concilio ecumenico Vaticano II: ” Ai tempi nostri, la complessità dei problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella libertà, il bene completo dell’uomo. II rapporto tra la socializzazione e l’autonomia e il progresso della persona può essere concepito in modo differente nelle diverse regioni del mondo e in base alla evoluzione dei popoli. Ma dove l’esercizio del diritti viene temporaneamente limitato a causa del bene comune, quando le circostanze sono cambiate, si ripristini il più presto possibile la libertà. È inoltre inumano che l’autorità politica assuma forme totalitarie oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della persona o dei gruppi sociali ” (324).



4. Gli intermediari dello Stato: i pubblici ufficiali. Essendo lo Stato una persona morale, non può assolvere per sé e da sé questi compiti, ma ha bisogno di persone fisiche che, debitamente investite, assolvano gli obblighi della società e ne curino il soddisfacimento dei diritti. Questa funzione adempiono i pubblici ufficiali.


La distribuzione delle funzioni è fatta in base alle leggi e varia da Stato a Stato. Si richiedono ordinariamente per essere eletti ad un pubblico ufficio alcune condizioni, tra cui la cittadinanza, il godimento dei diritti civili e politici ed una determinata età, proporzionata all’importanza dell’ufficio. Nel campo strettamente giuridico il pubblico ufficiale non è di per sé soggetto di diritti, giacché questi sono pertinenti allo Stato, tuttavia si parla di diritti del pubblico ufficiale, intendendo con ciò quei diritti di natura, per così dire, riflessa, in quanto la persona viene considerata non come persona, ma per ragione della funzione che esercita o che ha esercitato o che potrebbe esercitare. Varie sono quindi le attribuzioni e relativi diritti a seconda delle funzioni esercitate nello Stato e per lo Stato e a seconda degli Stati.



a) Ceto burocratico (325).


I pubblici ufficiali, specialmente i più stabili nel ruolo amministrativo, tendono quasi insensibilmente a differenziarsi dalle altre classi ed a costituire quasi una classe a sé, i cui membri hanno in comune, oltre interessi ed attività, anche una specie di forma mentis, il rispetto esagerato della formula legale, dell’autorità dello Stato ed altre abitudini. Si sentono, e lo sono effettivamente, i depositari delle funzioni tecniche permanenti dello Stato, al di sopra ed al di fuori delle fluttuazioni dei governi, espressi dai partiti.


Ciò dà origine al formarsi di un ceto burocratico con pregi e difetti, che si fa tanto più forte, quanto si consolida l’autorità dello Stato e tanto più rilassato quando l’autorità dello Stato si fa debole. Esso però non può, né deve degenerare in una specie di casta, che si segreghi ingenerosamente dal popolo e voglia regolare tutto assolutamente dall’alto, mutandosi in un duro, ingiusto e grave meccanismo che pesi come un incubo sull’intera vita pubblica.


Oltre gli obblighi strettamente giuridici, essi hanno tutto un complesso di diritti e di doveri, che sgorga dallo stesso diritto naturale, antecedente ad ogni ordinamento giuridico positivo.


b) Diritti. Una volta legittimamente eletti, i pubblici ufficiali hanno di fronte allo Stato il diritto: di reggere il loro ufficio conformemente alle leggi divine e umane, senza che nessuno possa impedirli nel libero esercizio delle loro mansioni; di ricevere (a meno che per legge il pubblico ufficio sia di prestazione gratuita) un adeguato compenso, proporzionato al servizio prestato, in modo da poter vivere convenientemente conforme al proprio grado ed al servizio prestato; di rimanere nel proprio ufficio per il tempo fissato, purché si mostrino fedeli al proprio dovere; di possedere i diritti del riposo settimanale e delle ferie, come delle retribuzioni assistenziali, ecc.


c) Doveri. Il pubblico ufficiale, oltre l’obbligo comune a tutti i cittadini di adoperarsi per il bene comune, contrae un obbligo specifico di stretta giustizia (326) verso la società di bene amministrare quei beni che gli siano stati commessi.


Verso i singoli cittadini, oltre l’obbligo di giustizia legale di distribuire secondo equità oneri e onori, può anche contrarre obbligazioni di stretta giustizia commutativa. Il che può avvenire principalmente per tre motivi e cioè: nel caso che la società abbia assunto obblighi contrattuali, come persona privata o abbia inteso obbligarsi per stretta giustizia verso i singoli cittadini, come nel caso di assegnazione di posti per concorso; e nel caso, in cui il bene di un cittadino esiga che questi non si trovi a dover sopportare verso lo Stato maggiori oneri degli altri per le esigenze del convivere sociale.


Quando infine, oltre la pubblica funzione si ha l’impiego, il rapporto e le obbligazioni giuridico-morali traggono vita anche dalla stipulazione di un contratto sottoposto alle comuni norme del contratti, comprese quelle riflettenti la causa, il consenso, la capacità di contrarre, la tecnica, ecc. (327).


Nei gradi interdipendenti ha il dovere grave della subordinazione gerarchica verso i superiori, in cose riguardanti l’ufficio. Quindi è tenuto alla fedeltà così nel lavoro come nel segreto (segreto professionale). Non va confusa però la subordinazione con il servilismo, che avalli anche le ingiustizie dei superiori, pur di carpirne la benevolenza ed aprirsi la carriera.


d) II pubblico ufficiale e la funzione legislativa. Negli odierni Stati costituzionali la funzione di legislatore viene assolta dalle Camere legislative, i cui membri sono o deputati o senatori.


Il legislatore è tenuto ad assolvere bene il suo compito di cooperazione per la formazione di buone leggi prima di tutto per giustizia legale; ma ha pure un obbligo che deriva dalla giustizia commutativa, che consegue l’accettazione dell’ufficio stesso. Non può quindi un pubblico ufficiale cooperare ad una legge apertamente ingiusta, cioè una legge il cui oggetto sia intrinsecamente cattivo, poiché l’ingiustizia non potrà mai essere sancita e fatta legge esecutiva, sia che ridondi a danno della religione, come della famiglia o dei singoli membri della società o del buon costume (328).


e) II pubblico ufficiale e la funzione amministrativa. Anche tutti costoro sono tenuti per obbligo di giustizia legale e commutativa verso lo Stato, per l’incarico assunto; anzi, alla persona pubblica, come è lo Stato, si deve maggior diligenza che non ai privati.


Forme di corruzione più comuni in questo campo sono l’illecito favoritismo e la vendita di immunità dalle leggi.


1) II favoritismo. Fuori dei parlamentari che vengono eletti dal suffragio popolare, tutti gli altri pubblici ufficiali vengono assunti negli uffici da altri funzionari, già assunti precedentemente in servizio. Gli uffici pubblici debbono essere conferiti in base ai meriti e non per altre meno oneste ragioni.


Se si indice un concorso, il vincitore del quale acquista il diritto alla nomina, vi è obbligo di giustizia commutativa di scegliere a quell’ufficio il vincitore stesso. E se questi non viene eletto, si commette una grave ingiustizia con l’obbligo per gli elettori di restituzione verso il vincitore e verso lo Stato, che subisce un danno con l’elezione di un meno degno.


Se invece non si indice il concorso, molti pensano ugualmente che vi sia ancora l’obbligo di eleggere il più degno. Qualche altro, distinguendo a questo proposito tra uffici od incarichi pubblici propriamente detti, ed uffici secondari, nei quali propriamente gli ufficiali sono soltanto aiutanti (come per es. i segretari, gli scrittori e gli altri addetti), asserisce che i primi si dovrebbero conferire al più degno; quanto ai secondi sarebbe sufficiente che fossero eletti coloro che sono semplicemente degni.


Colui infine che conferisce un ufficio ad un meno degno, quando l’assegnazione non è fatta per concorso, non è tenuto alla restituzione verso il più degno, perché è lesa solo la giustizia distributiva. Ma se un danno reale viene arrecato allo Stato, allora sorge l’obbligo della restituzione verso di questo, perché si tratta di violazione di giustizia commutativa.


2) Evasioni legali. Se un pubblico ufficiale favorisce, dietro compenso, un’evasione dalla legge, è sempre tenuto alla restituzione verso lo Stato. È tenuto poi alla restituzione anche al privato, se è stato richiesto compenso di denaro. Non è invece tenuto, se il denaro è stato concesso spontaneamente.


Un pubblico ufficiale di grado inferiore, al quale il superiore comandi di avvallare un’evasione dalla legge, è tenuto a resistere in tutte le forme possibili. Può solo subire l’ingiusto comando, quando, opponendosi, si trovasse egli stesso a subire un grave incomodo. Non è possibile in pratica una buona amministrazione senza una burocrazia efficiente, coscienziosa, e diligente.



5. Diritti dello Stato.


 a) Qualunque governo nello Stato ha il diritto di difendere l’esercizio della propria funzione e quindi di reprimere con la forza i tentativi, individuali o collettivi, che si possono fare per sottrarsi alla sua autorità o per minacciarla con mezzi violenti, Particolarmente uno Stato democratico ha il diritto e il dovere di prevenire l’azione di coloro che mirano a distruggere la base stessa di un tale Stato, cioè il principio della libertà politica, non avendo costoro diritto di organizzazione in uno Stato democratico. L’esercizio della propria funzione pero può essere diversamente difesa a seconda che si tratti di governo di diritto o di governo di fatto. Si chiama governo di diritto o legittimo quello che possiede il potere per un’investitura diretta o indiretta del popolo, effettuata secondo forme che hanno il consenso dello stesso popolo, almeno in maniera tacita, esso cessa di per sé di esser governo di diritto, quando diviene abitualmente tirannico (tirannia) e resta solo governo di fatto. È detto pure governo di fatto quello che arriva al potere senza osservare le forme di cui sopra, quando sia riuscito a consolidarsi con una certa stabilità Oppure il governo di occupazione militare, In questi casi pure, la necessità che ci sia un governo, importa l’obbligo morale dei cittadini di rispettarlo entro certi limiti, II rispetto che gli si deve non si estende naturalmente quanto quello che è dovuto a un governo di diritto (329). La norma generale è che si deve obbedire ai provvedimenti presi per la conservazione dell’ordine pubblico e per le più immediate necessità sociali (approvvigionamento, commercio ordinario, ecc.).


b) Dovendo unire gli sforzi di tutti per il raggiungimento del fine, lo Stato ha il diritto di usare dei mezzi relativi allo scopo e cioè: fare leggi, imporle ed esigerne il rispetto, purché giuste; amministrare la giustizia e punire i trasgressori delle leggi (a questo potere va connesso il diritto di infliggere anche la pena di morte, di cui si è parlato); il diritto di decidere la pace e la guerra (di cui si è parlato già in altra parte di questo lavoro) secondo le esigenze del bene comune e la difesa da nemici esterni (il diritto di esigere il servizio militare, di cui si è già parlato, è qui connesso); il diritto di amministrare i beni della comunità e di esigerne dei nuovi attraverso contribuzioni dei singoli per sopperire alle necessità comuni (se ne tratterà parlando dei doveri civici).





NOTE


321        Enciclica Pacem in terris, n. 51; AAS 55 (1963) 271, Cfr, D. LALLEMENT, Principes catholìques d’action civique, Paris 1935; L. STURZO, Politique et théologie morale, in Nouv. Rev. Théol., 65 (1938) 947-965; P. FORESI, Teologia della socialità, Roma 1963; R. SPIAZZI, Politica e morale, Roma 1967; I. V. CALVEZ, La comunità politica in La chiesa nel mondo contemporaneo, Brescia 1966; G. MATTAI, Morale e politica, Bologna 1971; Autorità e libertà nel divenire della storia. Atti del convegno di studio tenuto a Roma nei giorni 23-25 maggio 1969, II Mulino, Bologna 1971.


L’esperienza ci dice che varie sono le forme di governo; sorte e tramontate nel travaglio storico di millenni attraverso crisi, rivoluzioni, cristallizzazioni di consuetidini ecc.; monarchia (assoluta e costituzionale), repubblica, oligarchia, democrazia, dittatura ecc.


322        Qui si scorge la peculiarità della politica e la gravità del suo compito. Compito che sarebbe in un certo senso facile se si potesse prescindere dagli eterni principi morali. Ma invece nella composizione armonica delle esigenze morali con le necessità reali della vita dello stato la genialità ed abilità dell’uomo politico si deve cimentare come in poche altre imprese umane. Sarà compito questo dell’uomo politico specificamente inteso. Da ciò la sua grande responsabilità; di lasciarsi guidare da principi morali e di non cimentarsi senza una vera competenza. Lo Stato non deve essere né debole, né prepotente, ma forte a beneficio dei cittadini, non schiacciante a danno di tutti. Vanno allontanate pretese di assolutismo e delittuose acquiescenze.


A questo proposito osserva il Vaticano II: “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità.


Affinché la responsabile collaborazione dei cittadini, congiunta con la coscienza del dovere, possa ottenere felici risultati nella vita politica quotidiana, si richiede un ordinamento giuridico positivo, che organizzi una opportuna ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad una protezione efficace e indipendente dei diritti.


I diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi e il loro esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e promossi, non meno dei doveri ai quali ogni cittadino è tenuto. Tra questi ultimi non sarà inutile ricordare il dovere di apportare alla cosa pubblica le prestazioni, materiali e personali, richieste dal bene comune” (cost. past. Gaudìum et spes. n, 75).


323 Cfr. enc. Pacem in terris, passim: AAS 55 (1963) n. 259.


324      Cost, past, Gaudium et spes, n. 75. Quanto ai gruppi sociali la costituzione prosegue:


“Si guardino i governanti dall’ostacolare i gruppi familiari, sociali o culturali, i corpi o istituti intermedi, ne li privino della loro legittima ed efficace azione, che al contrario devono volentieri e ordinatamente favorire. Si guardino i cittadini dall’attribuire troppo potere all’autorità pubblica, né chiedano inopportunamente ad essa eccessivi vantaggi, col rischio di diminuire così la responsabilità delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali”.


Tutto questo però non ci autorizza ad accettare come valide certe tesi della cosiddetta teologia politica, che ha avuto il maggiore esponente in J. B. METZ (Sulla teologia del mondo, Brescia 1968) e che predica un atteggiamento critico che si opponga ad ogni ordine costituito, non escluso quello “istituzionalizzato” nella chiesa.


Secondo queste tesi la chiesa dovrebbe rinunciare ad essere maestra, per essere agitatrice e rivoluzionaria. Cfr., per una sintesi di queste idee, non sempre definibili in concreto; L. SPALLACCI, Politica Teologia, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, 2a ed,, 730-739,


325       Cfr. V. VUOLI, Il carattere etico-giuridico della scienza dell’amministrazione, Roma 1923; M. PRELOT, Burocreatie, in DS IV, 341-45; C. COLONNETTI, Dalla scuola alla professione, Milano 1936; G. PASQUARIELLO, La magistratura, Roma 1940; C, PETROCCHI, Il problema della burocrazia, Roma 1941; A. AMORTH, La concezione dello Stato, in l’ordine interno degli Stati, Milano 1945, 138 ss.; F. I. COUNEL, Morals in politics and professions, Westminster Maryl. 1946; C. RIZZARDI, Moralità amministrativa, in Studium, 42 (1946) 246-248; La vita nella comunità politica, in La chiesa e il mondo contemporaneo nel Vaticano II, Torino 1968, 991-1054.


326         Secondo il VERMEERSCH si tratta di obbligo di giustizia commutativa (Theol. mor., II, n. 507, p. 494). Cfr. contro: SERAPHINUS A LOIANO, Inst. theol. mor., III, Torino 1937, n. 730,


327         a) Per intraprendere qualsiasi ufficio, si richiede una preparazione adeguata per assolverne convenientemente i compiti. Così ancora per 1 pubblici unici. Chi, pur riconoscendosi inadatto all’ufficio, tuttavia lo accetta, agisce dolosamente, violando il tacito accordo di un minimo di capacità, implicito in ogni offerta ed accettazione di incarico, Basta però una capacità comune, non è richiesta la massima. In caso di dubbia capacità, l’ufficio non può essere accettato, perché nessuno può costituirsi causa probabile dell’altrui danno.


In conseguenza chi senza sufficiente capacità accetta un ufficio, pecca gravemente ed è tenuto sub gravi o alla rinunzia immediata o ad acquistare quanto prima possibile l’istruzione proporzionata ed intanto giovarsi del consiglio di altri: altrimenti si è tenuti al risarcimento dei danni. Così pure è tenuto a rinunziare chi in tempo posteriore venga meno nella capacità di assolvere convenientemente al proprio compito.


b) Una volta accettato l’ufficio, deve essere espletato con la dovuta diligenza, così che ogni grave negligenza è un grave peccato contro la giustizia ed importa l’obbligo della riparazione dei danni.


Anche qui però, nell’adempimento dei propri compiti basta una diligenza ordinaria a meno che non sia siate diversamente pattuito per convenzione espressa o tacita, o il bene comune stesso esiga qualche cosa di più, La diligenza va anche commensurata allo stipendio che si riceve, qualora il pubblico ufficiale sia retribuito. In caso di negligenza, anche grave, l’impiegato e funzionario fa suo ugualmente lo stipendio, col quale però deve rispondere dei danni.


Nessun incomodo intrinseco all’espletazione delle proprie mansioni scusa dal fedele servizio; ciò non solo perché la pubblica utilità è da preferirsi al bene individuale, ma anche perché tutto ciò è compreso in una specie di tacita promessa, che si fa coll’accettazione dell’ufficio.


c) Molteplici sono gli obblighi del pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Uno di essi è di far rispettare nella propria persona quella dello Stato e di rendersi utile allo Stato ed ai particolari cittadini.


Come compilatore, esecutore, custode. delle leggi non può abusare del proprio mandato, ma deve mirare al bene pubblico con giustizia, assoluto disinteresse, attenzione e vigilanza.


Il  pubblico ufficio non è un piedistallo per dominare od arricchire. Quindi chi gestisce un pubblico ufficio non può estorcere denari o doni ad altri a motivo della prestazione dei suoi uffici a meno che ciò non sia consentito da legge o consuetudine. Un simile modo di agire è sempre molto pericoloso, perché da ansia alla avarizia e all’accezione di persona.


Si potrebbero solo accettare se si trattasse di piccoli doni, fatti spontaneamente, piuttosto per consuetudine o per urbanità che per altro.


In caso di estorsione diretta, sorge l’obbligo della restituzione; in caso di accettazione, dietro offerta quest’obbligo non c’è, se non dopo la sentenza del giudice. Questi obbliga e le relative evasioni o lesioni acquistano una specifica configurazione nelle varie categorie di pubblici ufficiali.


Quando il pubblico ufficiale è per ragione del suo ufficio, a contatto con il pubblico, si richiede in esso uno spirito di carità e di comprensione per tutti.


328     Ciò premesso, se alcuno da il voto in favore di una legge che nuoce al bene comune, commette peccato ed è tenuto alla riparazione.


Molto più gravemente pecca poi colui che riceve denaro per dare il proprio voto ed ancor più colui che lo esige e richiede, Questa azione infatti produce un grave danno allo Stato, anche a prescindere se la legge sia giusta o no.


Se si riceve denaro per dare il proprio voto ad una legge giusta, non si deve restituire allo Stato, che non ha Subito nessuna ingiuria, almeno immediata; ma vi è l’obbligo di restituzione verso colui che ha versato il denaro, poiché l’obbligo di votare la legge giusta esisteva già nel contratto fatto con lo Stato, nell’atto stesso di assumere l’ufficio. Se invece il voto è stato dato per una legge ingiusta, allora è obbligatoria la restituzione verso lo Stato: ma non pare che vi sia uguale obbligo anche verso chi ha sborsato il denaro; si applica allora il principio: melior est conditio possidentis.


Qualora la legge ingiusta riguardi la Chiesa, questa può anche comminare pene contro chi emani leggi o decreti o disposizioni contro la libertà od i diritti suoi. In simili pene incorrono i deputati che votano a favore di tali leggi, Le autorità giudiziarie invece od amministrative statali, che accolgono ricorsi contro l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica od applicano le predette misure, pur peccando per l’illecita cooperazione, non incorrono in tali censure. L’avallamento di leggi ingiuste può essere causato anche con atteggiamento passivo: sono le forme di cooperazione negativa (non obstans, dicono i moralisti), Queste forme si riducono all’astensione, quando invece sarebbe obbligatorio votare od all’assenza materiale dalle Camere legislative, quando il parlamentare potrebbe e dovrebbe essere presente. A questo proposito si ricorda quanto sopra è stato detto, cioè che ogni pubblico ufficio dev’essere espletato con normale diligenza, pur non richiedendosi una diligenza straordinaria. Questa comunque dovrà essere oculata e tenere conto dell’importanza delle sedute, delle premure fatte dall’opinione pubblica, dei capi responsabili e, soprattutto, qualora si esprimesse, delle norme tracciate dall’Autorità ecclesiastica.


329      Non è lecito ubbidire a leggi immorali ed alla loro esecuzione si può opporre resistenza passiva. Si può anche respingere con la forza una violenza aperta, purché vi sia fondata speranza di riuscita ed il bene comune non ne abbia maggiore danno.


Per alcuni teologi è anche lecita in casi estremi, esauriti tutti gli altri mezzi, la deposizione dei governanti ed il cambio di governo. Cfr. M. DE LA TAILLE, Insurrection, in DAFC, IX, 907 ss.; P. GUIDI, La legge ingiusta. Roma 1948.