Contro Theilard (12 di 16)

R. Th. Calmel o. p., Realismo ed Evoluzionismo da "Nouvelles de Chrétienté". FALSO PRESTIGIO DELL\’EVOLUZIONISMO. Restiamo fedeli all\’insegnamento tradizionale. Questo insegnamento non ha niente di sclerotico, di coagulato, di statico; tiene conto dei mutamenti, ed i mutamenti possono essere dei progressi, anche molto grandi; infatti noi non abbiamo affatto esaurito le possibilità che Dio ci ha dato; anzi, poiché il progresso spirituale è molto difficile, dobbiamo rispondere a tutte le grazie che Dio ci concede. Ma nel progresso materiale che cosa facciamo se non scoprire le leggi fisse di Dio? E nel progresso spirituale che cosa facciamo se non tendere verso un modello che ci è stato dato, verso l\’imitazione di Cristo, verso la perfetta unione con colui che non si sta formando, che non può essere chiamato il Divenire, ma con colui che, venuto, continua a venire senza interruzione?

R. Th. Calmel o. p.

Realismo ed Evoluzionismo da "Nouvelles de Chrétienté"

Restiamo fedeli all\’insegnamento tradizionale. Questo insegnamento non ha niente di sclerotico, di coagulato, di statico; tiene conto dei mutamenti, ed i mutamenti possono essere dei progressi, anche molto grandi; infatti noi non abbiamo affatto esaurito le possibilità che Dio ci ha dato; anzi, poiché il progresso spirituale è molto difficile, dobbiamo rispondere a tutte le grazie che Dio ci concede.
Ma nel progresso materiale che cosa facciamo se non scoprire le leggi fisse di Dio? E nel progresso spirituale che cosa facciamo se non tendere verso un modello che ci è stato dato, verso l\’imitazione di Cristo, verso la perfetta unione con colui che non si sta formando, che non può essere chiamato il Divenire, ma con colui che, venuto, continua a venire senza interruzione?
Pensiamo al fatto che l\’uomo di oggi potrebbe incontrare Omero e conversare con lui; al di là delle evoluzioni esistenziali ciò che ci colpisce è la permanenza, quella permanenza che rivela Dio: sì, Dio, la cui creazione sotto un certo aspetto non è mai finita, ma che non si sviluppa che nell\’obbedienza a leggi fondamentali per nulla soggette a mutazioni e per ciò stesso suscettibili sia di concorrere ai veri progressi sia di spiegare e riparare le decadenze.
Niente è più flessibile della visione del mondo tradizionale. Niente è più adatto all\’uomo di oggi, poiché tutti i suoi sforzi per salire convergono, ma egli non sale che per i sentieri tracciati da lungo tempo, non certo nel vuoto dei sogni orgogliosi o eccessivamente ingenui.
È fare opera di progresso richiamare gli uomini alla propria elevazione nell\’obbedienza e nell\’umiltà. Se il Vangelo, se la vita di Gesù ha un senso è proprio quello. Humilavit…, propter quod et Deus exaltavit illum. Chi si innalza sarà umiliato, chi si umilia sarà innalzato. In questo caso umiliarsi non ha il senso di svilirsi; e innalzarsi, salire, ha il senso di inorgoglirsi. È estremamente pericoloso dire che tutto ciò che sale converge, poiché non tutto ciò che sembra salire in effetti sale. È questo il realismo cristiano. La dottrina tradizionale rifiuta il pessimismo e l\’ottimismo generalizzato, l\’idealismo e il materialismo, che sono cugini germani e che si susseguono. senza tregua. Rifiuta l\’immobilismo come l\’evoluzionismo che fanno andare da Scilla a Cariddi. La verità non si raggiunge fabbricando strane misture: in tal modo si rischia di allontanarsene ancora di più. Infatti tutti vengono ingannati, l\’ambiguità è dovunque, dovunque lo squilibrio; e la strada è aperta a tutte le perversioni dello spirito, quindi presto o tardi a tutte le cadute.

FALSO PRESTIGIO DELL\’EVOLUZIONISMO

Non si può creare, checché se ne dica, un nuovo tipo di cristiano, poiché il modello che è il Cristo non è più da scoprire. Egli non è solamente l\’Omega, ma l\’Alfa, e non c\’è progressione da Questo a Quello, se non nel numero che Egli aggrega, per mezzo della grazia e non altrimenti, per radunare il suo Regno definitivo. Noi non possiamo ritrovare niente della nostra grandezza perduta se non rimodellando noi stessi senza posa, col suo aiuto, sul Nuovo Adamo che non cambia, sul Cristo che era ieri, che è oggi e che sarà sempre. «Tu autem permanes» (Ps. 101).
L\’evoluzionismo o il mito del progresso continuo, trasportati nel dominio morale, facilitano un orgoglio che degrada l\’uomo. Nella rivista Le Chef, del maggio 1956, consacrata al pensiero ed all\’insegnamento del Padre Forestier che fu per molti anni elemosiniere generale, Michel Rigal citava un testo in cui il domenicano inseriva una lunga e bella pagina, che gli pareva ammirevole, «del rimpianto Odon Casel, monaco benedettino di Maria-Laach». Dopo aver sottolineato il considerevole progresso della scienza e della tecnica, Don Casel non esita a dire:
«… In realtà, noi non siamo progrediti rispetto ai primi anni della nostra povera storia umana. Quando per mezzo delle sue proprie forze l\’uomo si credeva diventato simile a Dio, quando per mezzo della sua propria intelligenza credeva di distinguere il bene ed il male, quando pensava di prendere coscienza della sua personalità, di avere infine raggiunta la sua maggiore età e di non avere più bisogno di una direzione paterna, fu proprio allora che i suoi occhi si aprirono e che egli conobbe la propria nudità. Egli vide la sua regalità disonorata, il suo trono perduto. Questo primo peccato non si estende solamente, come un velenoso contagio, a tutte le generazioni umane, ma si rinnova continuamente, ed ogni volta il risultato finale è lo stesso: la ribellione conduce alla schiavitù. Forse mai come oggi l\’uomo è stato schiavo, proprio quando si crede liberato da tutti i legami…» (p. 61).
… Proprio adesso che è diventato il padrone del mondo. Proprio quando continua a parlare così tanto di grandezza e non ha mai esaltato tanto la sua libertà e la sua ragione…
«La nostra povera storia umana»: Don Casel non usa mezzi termini. Ecco una concezione ben diversa dall\’inno di Teilhard all\’evoluzione. Eppure nella storia degli uomini non si dà progresso indefinito; ci sono degli alti e bassi perpetui. Si ha nello stesso tempo progresso in qualche cosa, regresso altrove. Tutto procede a passi diversi e discontinui sulla trama di fondo di una permanenza. Dio ha donato una grande potenza all\’uomo che ha creato a sua propria immagine; ciò spiega delle grandissime cose che sarebbe da stolti non ammirare, poiché in definitiva fanno onore a Dio. Ma Dio è Dio ed è l\’Unico; l\’uomo ha peccato e continua a farlo; l\’orgoglio è il più grave dei peccati perché è quello che non riconosce la propria colpa e che mette l\’uomo al posto di Dio. La Storia dimostra nello stesso tempo la grandezza dell\’uomo, la sua finitezza e la sua caduta. La presentazione tradizionale delle cose, per opera dei più grandi pensatori cristiani, dal sant\’Agostino della Città di Dio al Bossuet del Discorso sulla Storia Universale, concorda con la realtà. In Bossuet per esempio, eco fedele della tradizione, conoscitore eccezionale dei Padri, non mancano i passaggi che, come nel sermone per la Natività di Maria (Lebarcq, III, 50), ci spiegano che
«né l\’arte, né la natura, né Dio stesso non producono all\’improvviso le loro opere. Si traccia prima di dipingere, si disegna prima di costruire, ed i capolavori sono preceduti dai tentativi. La natura agisce nello stesso modo; e coloro che sono curiosi dei suoi segreti sanno che ci sono delle opere in cui sembra che essa si diverta, o piuttosto che eserciti la propria mano per fare qualche cosa di più compiuto. Ma, ciò che è più ammirevole, è che Dio segue la stessa linea di condotta».
Bossuet cita anche una «bella meditazione di Tertulliano nel libro che ha scritto sulla Resurrezione della carne».
«Dio, creando il primo uomo, pensava a tracciare il modello di quel Gesù che doveva un giorno nascere».
Eppure in Bossuet non c\’è niente di evoluzionista; egli sa solamente, come ogni uomo di buon senso, che Dio nella sua saggezza si proporziona all\’uomo e al tempo, che la sua Provvidenza rispetta degli intervalli. Mentre nel suo famoso sermone sulla morte fa l\’elogio del progresso materiale in termini che potrebbero colmare di gioia i sapienti del nostro tempo, non tralascia di dire:
«Io non sono uno di quelli che danno grande importanza alle conoscenze umane».
Sant\’Agostino, da parte sua, nella Città di Dio non dimentica, parlando del peccato originale, l\’idea che in esso ci sia stata «esperienza del comando trasgredito» (XIII, 21), che Adamo aveva, prima della colpa, «l\’inesperienza delle punizioni divine». Ma che il peccato dell\’uomo sia stato necessario (per nulla evolutivo è il senso del «O necessarium Adae peccatum» del nostro Exultet, infatti necessario perché? per mostrare l\’amore di Dio poiché non poteva mostrarsi perdonando o riparando la malefatta di un fanciullo) per quest\’esperienza, gli pareva un\’opinione assurda.
E se «il decadimento dell\’uomo non l\’ha privato di tutto l\’essere, l\’ha ridotto però a possedere meno essere di quanto non avesse quando era unito a Colui che è l\’essere sovrano» (XV, 13). Tutti convengono che la prospettiva teilhardiana non s\’accorda con la concezione agostiniana e tradizionale del peccato originale. Tanto per Bossuet che per sant\’Agostino il mondo non è concepibile come una sorta di Sisifo condannato a ricominciare senza tregua la sua vita, senza beneficiare dei beni acquisiti tradizionali che hanno una specie di irreversibilità. Non si ritornerà più all\’età della pietra o, come si diceva allora, all\’età dell\’oro. Non esiste il perpetuo ritorno e non è così che bisogna intendere l\’Ecclesiaste.
«Che cos\’è ciò che è stato? Ciò che sarà. Che cos\’è ciò che è stato fatto? Ciò che deve ancora essere fatto. Niente di nuovo sotto il sole. Chi oserà dire: Ciò è nuovo? È già stato nei secoli fluiti prima di noi» (cf. De Civ. Dei, XIII, 13).
Ma malgrado tutto ciò, quale equilibrio nei pensatori tradizionali, quale senso di ciò che permane e di ciò che si evolve! Mai l\’esistente soppianta l\’essente. E ancor meno viene tutto rimescolato in una strana fede nel divenire.
Gli errori, è bene ricordarsene, nascono sempre da uno squilibrio, cioè da una verità ingrandita a spese delle altre, tolta dal suo ordine e dalla sua importanza relativa. Senza dubbio anche questo arbitrio può presentare dei vantaggi, poiché, per confutarlo, i valori reali dovranno essere affermati più esplicitamente. Ma il danno è anche molto grande, poiché per raddrizzare l\’albero che cresce storto in una direzione è necessario spingerlo in quella opposta. Il trattamento è rude, necessariamente. E le vittime che l\’hanno subito per loro colpa, se ne ricordano, se ne lamentano e se ne fanno forti a scarico di coscienza.
In ogni modo non bisogna aver paura di sottolineare i principi essenziali e fondamentali. È ciò che faremo a costo di dire cose ovvie; che non sono poi tanto ovvie se nella prospettiva teilhardiana sfumano pericolosamente. Siamo giunti al punto che un discepolo di Laberthonnière, che considera ancora erroneamente la filosofia tomista come un imprigionamento della fede in un sistema razionale, per non dire razionalista («Naturalizzazione della verità rivelata», osava affermare Laherthonnière ne Archivio de filosofia, luglio 1933, p. 10, contro il parere della Chiesa tante volte affermato: «La filosofia di San Tommaso resta sempre la filosofia della Chiesa», Pio XII), Claude Tresmontant, loda in modo esagerato il sistema theilhardiano accusato, giustamente, di sottomettere la fede cattolica al naturalismo evoluzionista, quasi che ciò potesse renderla più ammirevole o credibile per gli uomini del nostro tempo. In verità ci si domanda se certe persone hanno ancora una testa sulle spalle.
Certo, c\’è una storia che sale irresistibilmente. Ma non ce n\’è che una: quella del Corpo Mistico, di quel Corpo Mistico che non è per nulla il mondo ma la Chiesa; inoltre non bisogna concepire questo innalzamento come un accrescimento di santità o di verità; lo sviluppo dei dogmi non fa che esplicitare ciò che è contenuto nella Rivelazione; non è un accrescimento, un\’evoluzione propriamente detta. L\’unico aumento è quello del numero degli eletti, secondo i meriti, fino al compimento del Corpo Mistico. Ma noi sappiamo per nostra propria esperienza che ciò si opera nella sofferenza e nella lotta; cioè incontrando nel mondo degli ostacoli, poiché la Città di Dio è in lotta perpetua con la Città del Mondo. Noi sappiamo che alla fine gli ostacoli saranno ancor più grandi, che l\’ostilità contro il Cristo sarà portata al suo massimo dall\’Anticristo; noi abbiamo sentito Nostro Signore domandare: «Quando ritornerò, ci sarà ancora fede sulla terra?». Ebbene, fedele alla logica del suo sistema, ecco al contrario come il P. Teilhard immagina il termine finale:
«Nell\’impossibilità d\’essere, d\’agire, di pensare da solo, l\’uomo ripiegherà su se stesso razionalmente, economicamente, mentalmente ad una velocità costantemente accelerata. Il compito ultimo dell\’evoluzione si farà per mezzo di una maturazione generale della carità.
«In una prima ipotesi, esprimente delle speranze verso le quali in ogni caso conviene orientare i nostri sforzi come verso un ideale, il Male sulla Terra raggiungerà un minimo. Vinte dalla Scienza, noi non dovremo più temere, sotto le loro forme acute, né la malattia né la fame. E, vinte dal senso della Terra e dal Senso umano, l\’Odio e le Lotte intestine spariranno ai raggi sempre più caldi d\’Omega. L\’umanità regnerà sull\’intera massa della Noosfera. La convergenza finale s\’opererà nella pace. Una tale conclusione, certamente, sarà armoniosamente conforme alla teoria».
A questo proposito la Sacra Scrittura ha qualcosa da dirci: e precisamente che la fine del mondo non avverrà nella pace. Mentre la storia si avvia irreversibilmente e naturalmente verso il suo termine, contemporaneamente si avvia anche verso l\’Anticristo, che prepara il ritorno di Colui la cui santa opera, costantemente ostacolata, si svolge sotto lo stesso velo delle vicissitudini temporali. Le strutture sociali, politiche ed economiche possono in parte essere purificate della loro ingiustizia e migliorare nel loro ordine (e ciò è molto importante, al pari del progresso economico e tecnico), ma gli uomini che le erigono, che le sfruttano e che le applicano potranno sempre erigerle, sfruttarle ed applicarle nel bene come nel male, confondendo così sino alla fine ruoli e personaggi sulla scena del teatro di questo mondo.
Il dramma avrà un ultimo atto terribile, pieno di violenze, di bestemmie, di tradimenti. Sarà l\’abominio della desolazione. Ammettiamo pure che ci sia qualcosa di esagerato e di truculento in certi passi del Vangelo e dell\’Apocalisse; però la fine dei tempi sarà orribile per la Chiesa. E lo stesso momento della sua sconfitta apparente sarà l\’annuncio della sua gloriosa resurrezione.
Nessuno, nemmeno il Figlio dell\’Uomo, conosce il giorno e l\’ora di questo termine finale. La Gerusalemme Celeste «discenderà dai cieli» come il Verbo «è disceso dai cieli». Ciò significa che il ritorno di Cristo non sarà soltanto il termine di uno sviluppo coerente e continuo, promosso dall\’uomo che è giunto alla «super-coscienza», che ha raggiunto un «punto di maturazione e di evasione». Essa avrà come causa esteriore un libero intervento di Dio, Signore della storia, il quale abbrevierà quei tempi di angoscia a causa degli eletti e manifesterà così l\’onnipotenza della sua misericordia, facendo nascere da tutto il male, che si è accumulato durante i millenni, il bene superiore che egli si proponeva non per Se stesso – poiché è già il Bene -, ma unicamente per l\’uomo, la sua creatura riscattata,
Padre Teilhard ammette questa ipotesi. È tuttavia la prima ipotesi in accordo con tutto il suo sistema. Egli lo confessa: «Simile conclusione sarebbe senz\’altro quella più armoniosamente conforme alla teoria». L\’altra ipotesi ha il merito, aggiunge con lealtà, di essere più conforme alle «apocalissi tradizionali». Non ha forse piuttosto il merito «di essere l\’unica conforme alla Rivelazione, cioè di non essere una ipotesi?» (cf. Action Fatima-France, numero speciale: Teilhard de Chardin, pp. 6-7).
Anche se vera, la «visione della storia» di P. Teilhard non sarebbe, dopo tutto, molto apologetica. Che la storia dell\’uomo abbia corsi e ricorsi nonostante i grandi momenti ed i progressi parziali, mostra più chiaramente e la sua grandezza e la grandezza di Dio. In tal modo possiamo cogliere l\’incommensurabile differenza, poiché il Cristo e Lui solo, calato nella nostra storia, prosegue la sua marcia liberatrice e, malgrado le sconfitte e le difficoltà, la porterà a termine nel trionfo. Non sarà un trionfo del mondo ma di colui che ha detto: «Io ho vinto il mondo».
Questa visione delle cose è perfettamente «religiosa». Affermando la Signoria di Dio, essa non svilisce la sua creatura; non svilisce che il suo orgoglio e ciò è un bene soprattutto oggi in cui l\’uomo, inebriato da una scienza in effetti mirabile, tende piuttosto ad inorgoglirsi. Questa apologetica non è affatto antiquata; per quanto sia tradizionale, essa è anzi molto attuale.