Compendio di Teologia Ascetica e Mistica (1550-1578)


Di Adolfo Tanquerey. Parte seconda. Le Tre Vie. LIBRO III. Capitolo IV. Questioni controverse. § I. Controversia sulla natura della contemplazione. § II. La vocazione universale alla contemplazione. § III. Del momento in cui principia la contemplazione. Conclusioni del libro terzo: direzione dei contemplativi.

1550.
Abbiamo fin qui esposta la
dottrina comunemente accettata nelle varie scuole di spiritualità; e il
lettore si sarà accorto che è pienamente sufficiente a guidare e innalzare le
anime alla più alta perfezione, non avendo Dio voluto legare il progresso nella
santità alla soluzione di questioni liberamente disputate. Ora però crediamo
opportuno di esporre brevemente i principali punti controversi; e lo faremo con
la maggiore imparzialità possibile, non già col pensiero di conciliare le
discordi opinioni (cosa impossibile), ma per tentare un ravvicinamento
fra i moderati delle varie scuole.
1551. Cause di questi dispareri.
Diciamo prima una parola sulle principali cagioni di questa diversità
d’opinioni.
1) La prima viene
certamente dalla stessa difficoltà ed oscurità di cosiffatte
questioni. Non è infatti cosa facile penetrare gli arcani disegni di Dio sulla
universale vocazione dei battezzati alla contemplazione infusa e
determinar la natura di quest’atto misterioso in cui Dio ha la parte
principale e l’anima è più passiva che attiva e dove riceve luce e amore
senza perdere la libertà. Non è quindi da stupire se gli autori che si studiano
di darsi ragione di queste mirabili cose non giungano sempre a uguali
spiegazioni.
2) Altra causa è
la diversità dei metodi. Come dicemmo al n. 28,
tutte le scuole si studiano di conciliare insieme i due metodi
sperimentale e deduttivo; ma mentre gli uni si attengono
principalmente all’esperienza, gli altri si fondano di più sul metodo
deduttivo. Onde conclusioni diverse: gli uni, colpiti dal piccolo
numero dei contemplativi
, spiegheranno la cosa dicendo che non tutti sono
chiamati alla contemplazione; gli altri, considerando che abbiamo tutti un
organismo soprannaturale sufficiente per giungere alla contemplazione, ne
conchiuderanno che, se i contemplativi sono pochi, n’è causa l’esser poche le
anime così generose da fare i sacrifici necessari alla contemplazione.

1552. 3) Il contrasto cresce a cagione del
temperamento, dell’educazione, del genere di vita che si conduce: vi sono
persone naturalmente più di altre atte alla contemplazione, e quando questa
attitudine venga fomentata dall’educazione e dal modo di vivere, si è
spontaneamente inclinati a pensare che la contemplazione sia qualche cosa di
normale; altri invece, d’indole più attiva, trovando nel temperamento e nelle
occupazioni maggiori ostacoli alla contemplazione, facilmente ne conchiudono che
si tratti di uno stato straordinario.
4) Non bisogna
infine dimenticare che i sistemi filosofici e teologici che uno segue sulla
conoscenza e sull’amore, sulla grazia efficace e sulla sufficiente, hanno il
contraccolpo sulla teologia mistica; chi, per esempio, ammette coi Tomisti che
la grazia è efficace per se stessa, è più disposto a vedere nello stato
passivo la continuazione dello stato attivo, perchè anche in quest’ultimo si
opera già sotto la efficace mozione della grazia.
Nessuno quindi si
ha da stupire che su punti così ardui vi siano dispareri, ed è libero di
scegliere quel sistema che gli pare più sodo.
A tre si possono
ridurre le questioni oggi controverse:


  • 1° la
    natura della contemplazione infusa;

  • 2° la
    vocazione
    universale
    a questa contemplazione;

  • 3° il momento
    normale in cui comincia.


 
§
I. Controversia sulla natura della contemplazione.
1553. Tutti ammettono che la
contemplazione infusa o mistica è gratuito dono di Dio, che ci
mette nello stato passivo e ci dà di Dio tal conoscenza ed amore che noi non
abbiamo che da ricevere. Ma in che propriamente consiste questa conoscenza? Ella
è certo distinta da quella che acquistiamo col lume della fede; è, a comune
parere, sperimentale o quasi sperimentale, n. 1394.
Ma è poi immediata, senza intermedio, oppure mediata, con specie o
acquisite od infuse? Ecco quindi due sistemi.
1554.Teoria della conoscenza
immediata.
Questa teoria che s’appoggia sull’autorità del Pseudo Dionigi,
della scuola di S. Vittore e della scuola mistica fiamminga, afferma che la
contemplazione infusa è una percezione o intuizione o visione
immediata
, benchè oscura e confusa, di Dio; essendo
immediata, si distingue dalla ordinaria conoscenza della fede; essendo
oscura, differisce dalla visione beatifica. Vi sono poi piccole sfumature
nel modo di esporla.
Così il P.
Poulain
 1554-1, fondandosi sulla teoria del sensi
spirituali
, pensa che l’anima contemplativa senta direttamente la
presenza da [sic] Dio: “Durante quest’unione, quando non è troppo alta, siamo
come chi sta presso un amico ma in luogo intieramente oscuro e in silenzio. Non
si vede, non si ascolta l’amico, si sente soltanto che c’è
per mezzo del tatto, perchè lo teniamo per mano. E si sta così pensando a lui e
amandolo”.
1555. Il P. Maréchal, avendo
rilevato che i mistici affermano, nello stato di alta contemplazione, di
avere un’intuizione intellettiva di Dio e dell’indivisibile Trinità, pensa che
l’alta contemplazione inchiuda un elemento nuovo, qualitativamente distinto
dalle attività normali e dalla grazia ordinaria… la presentazione attiva, non
simbolica, di Dio all’anima, con ciò che psicologicamente le corrisponde,
l’intuizione immediata di Dio da parte dell’anima” 1555-1. Il che, aggiunge, non deve parere poi
troppo strano, chi ammetta (come dissi più sopra) che l’intuizione dell’essere
è, a così dire, il centro di prospettiva dell’umana psicologia.
Questa teoria è
perfezionata dal P. Picard 1555-2. Dopo aver detto che, sotto l’aspetto
naturale, un afferramento o intuizione immediata, ma
confusa ed oscura, di Dio non è impossibile, dimostrata che ne sia
con le classiche prove l’esistenza, fa l’applicazione della teoria alla
contemplazione mistica. Questo Dio, la cui presenza si è fatta sentire
nell’intimo dell’anima, “ora se ne impossessa traendola per le facoltà
conoscitive che concentra su di sè, nel silenzio, nell’ammirazione e nella pace;
ora l’afferra da padrone per la volontà e per le potenze affettive… quando
cotesta presa da parte di Dio si fa sentire all’anima piuttosto per le facoltà
conoscitive, abbiamo l’orazione di raccoglimento; quando invece l’anima si sente
afferrata per le potenze volitive ed affettive, è allora nell’orazione di
quiete”. L’autore poi mostra che, a mano a mano che Dio accresce il vigore della
sua stretta e le dà più assoluto, più esclusivo, più profondo impero, l’anima va
progredendo nei gradi superiori della contemplazione.
Osserva infine
che questa teoria è cosa ben distinta dall’ontologismo; perchè afferma
che il concetto di essere nasce dalla percezione dell’essere finito, che
è concetto analogo, e che non può essere applicato a Dio se non dopo
dimostratane l’esistenza. E rigetta pure la visione in Dio; perchè è la
nostra mente finita ed imperfetta, che, con le sue sole idee ed atti finiti ed
imperfetti, afferra tutte le verità che viene a conoscere; ma poi cotesta
intuizione è essenzialmente confusa ed oscura.
1556.Conoscenza mediata.
L’opinione però comunemente ammessa è che la conoscenza del
contemplativo, per quando perfetta, sia mediata e insieme confusa
ed oscura, benchè quasi sperimentale. Nei primi gradi Dio si
contenta di irradiar la sua luce, la luce dei doni, su concetti che già
abbiamo, sia con l’attirar vivamente la nostra attenzione su una data idea sia
col farci trarre da due premesse una conclusione che ci fa viva impressione, n. 1390;
negli stati superiori poi, come nell’unione estatica, ci infonde nuove specie
intelligibili
che rappresentano le divine verità assai più vivamente che non
facciano i nostri concetti; e avviene allora il ratto dell’anima
percependo verità che le erano finallora sconosciute. E poichè gusta e assapora
queste verità, ne ha una conoscenza quasi sperimentale. E quindi sempre
conoscenza di fede, ma molto più viva e soprattutto molto più
affettuosa della conoscenza ordinaria; la differenza sta in questo che è
conoscenza ricevuta da Dio, perchè l’anima riceve nello stesso
tempo conoscenza ed amore e non ha che da acconsentire all’azione divina
che produce in lei questi così preziosi doni.
1557. Teniamo anche noi questa dottrina,
già esposta nel capitolo secondo, parendoci che salvi meglio la differenza
essenziale che deve correre tra la contemplazione, che resta mediata ed
oscura, per speculum et in ænigmate, e la visione beatifica, che è
immediata e chiara. Ma siamo ben lontani dall’accusare di
ontologismo coloro che tengono per probabile l’opinione d’una intuizione
immediata, dal momento che la dicono confusa ed oscura e rigettano il principio
fondamentale dell’ontologismo affermando che la mente si innalza a Dio dalle
creature 1557-1.
Certo alcuni
mistici usano espressioni ardite che, a prima vista, paiono supporre che siano
in immediato contatto con la sostanza divina e che vedano Dio; ma, quando se ne
esamina il contesto, si vede che sono espressioni da riferirsi piuttosto agli
effetti che l’azione divina produce nell’anima 1557-2. Col dono della sapienza noi gustiamo
l’amore, il gaudio, la pace spirituale, che Dio ci mette
nell’anima; onde il nome di gusti divini dato da S. Teresa
all’orazione di quiete. Coi tocchi divini pare ai mistici che sia
investita la stessa sostanza dell’anima loro, tanto profonda è l’mpressione
dell’amor di Dio! Ma quando si fanno a specificar le proprie impressioni, le
descrizioni che ne danno si riducono ai vari effetti d’un amore ardente e
generoso. Si può quindi arguire che, se adoprano espressioni così forti, ne è
causa la povertà dell’umano linguaggio nel descrivere le impressioni della
grazia
nell’anima.
 
§ II. La
vocazione universale alla contemplazione.

1558. Non si tratta qui della vocazione
individuale e prossima alla contemplazione infusa, di cui dicemmo
al n. 1406;
su questo punto si è tutti d’accordo e si accetta da tutti la dottrina del
Taulero e di S. Giovanni della Croce. Ma si tratta della vocazione remota sufficiente e
generale; in altre parole si chiede: se
tutte le anime in stato di grazia siano, in modo generale, remoto e sufficiente,
chiamate alla contemplazione infusa.
Su questo determinato punto ci sono due
opposte soluzioni, che derivano, almeno in gran parte, dal diverso concetto che
uno si fa della contemplazione.
1559.La vocazione universale,
remota e sufficiente, è oggi, con sfumature diverse, ammessa da gran numero di
autori appartenenti a vari Ordini Religiosi, come Domenicani 1559-1 e Benedettini 1559-2; da alcuni pure tra i
Francescani 1559-3, Carmelitani 1559-4, Gesuiti 1559-5, Eudisti 1559-6 e da sacerdoti del clero
secolare 1559-7; si fondarono Riviste,
specialmente la Vie Spirituelle, per propugnare e propagare questa
opinione. — Il P. Garrigou-Lagrange espone vigorosamente questa tesi,
studiandosi di provare che la vita mistica è lo sviluppo normale della
vita interiore e che quindi tutte le anime in stato di grazia vi sono
chiamate. Ecco in breve i suoi argomenti:
a) Il
principio radicale della vita mistica è lo stesso di quello della vita
interiore comune: la grazia santificante o la grazia delle virtù e dei doni. Ora
questi doni crescono con la carità, e giunti che siano al pieno sviluppo,
operano in noi secondo il loro modo sovrumano, mettendoci nello stato
passivo
o mistico. Onde il principio della vita interiore contiene in
germe la vita mistica, che è quaggiù come il fiore della vita soprannaturale.

1560. b) Nel progresso della vita
interiore
, la purificazione dell’anima non diventa intiera che con le
purificazioni passive. Ora queste purificazioni sono di ordine mistico.
Quindi la vita interiore non può conseguire l’intiero suo progressivo sviluppo
che con la vita mistica.
c) Il
fine della vita interiore è lo stesso che quello della vita mistica, cioè
una perfettissima disposizione a ricevere il lume della gloria subito dopo
morte, senza passare per il purgatorio. “Ora la disposizione perfetta a ricevere
la visione beatifica subito dopo l’ultimo respiro, non può essere che
l’intensa carità di un’anima pienamente purificata, e l’ardente
desiderio di veder Dio
, quale si ha nell’unione mistica e specialmente
nell’unione trasformativa. Questa dunque è veramente quaggiù l’ultimo grado di
sviluppo della vita della grazia” 1560-1.
1561.Teoria d’una vocazione
speciale e limitata.
Non tutti però sono convinti di questi argomenti: un
gran numero d’autori spirituali, Gesuiti, come il Card. Billot, i PP. de
Maumigny, Poulain, Bainvel, G. de Guilbert; Carmelitani Scalzi, come il
P. Maria-Giuseppe del Sacro Cuore; e altri fuori di queste scuole, come
Monsignor Lejeune e Monsignor Farges, pensano che la contemplazione infusa sia
un dono gratuito che non viene dato a tutti, e che del resto non è
necessario per giungere alla santità.
Ne compendiamo qui gli
argomenti 1561-1.
a) La
precedente teoria è una magnifica costruzione teologica, non c’è che dire; però
le pietre di quest’edifizio non paiono tutte ugualmente solide. Così non è
dimostrato “che i sette doni corrispondano a sette distinti abiti
infusi anzichè a sette ordini di grazie diverse al cui ricevimento le facoltà
dell’intelletto e della volontà vengano preparate ognuna da un solo
abito.
E poi, quand’anche ciò fosse dimostrato, bisognerebbe ancora provare
che i doni della Sapienza e dell’Intelletto non possano esercitar pienamente il
loro ufficio se non nella contemplazione e non anche nel ricevimento delle
grazie di luce che non inchiudono necessariamente questa particolar forma
d’orazione; cosa anche questa che non è fuori di controversia 1561-2.

Parimente non è
dimostrato che i doni operino sempre nel modo sovrumano; il Card.
Billot 1561-3 pensa che questi doni operino in doppio
modo, ora in modo ordinario, adattandosi al nostro modo umano di operare,
e ora in modo straordinario, producendo in noi la contemplazione infusa.

1562. b) Pare, è vero, che le
prove passive siano il più potente mezzo a purificare un’anima,
facendola passare per un vero purgatorio; ma non è forse possibile che, in
questa valle di lagrime dove tante sono le occasioni di soffrire e di
mortificarsi, si giunga, con la dolce rassegnazione alla volontà di Dio e con
mortificazioni positive fatte sotto la guida dello Spirito Santo e d’un savio
direttore, a fare il proprio Purgatorio su questa terra? È forse dimostrato che
le grazie della contemplazione siano la sola forma di grazie privilegiate? Tutti
ammettono che vi sono anime, non ancora innalzate alla contemplazione infusa,
che pure sono più perfette di altre che Dio, per sua libera scelta, innalza alla
contemplazione appunto per renderle migliori, n. 1407;
ora se sono più perfette, ne viene che siano anche più purificate. Potrebbe
quindi accadere che, al punto della morte, la loro purificazione fosse completa.

c) È vero
che il fine della vita interiore come della vita mistica è di prepararci alla
visione beatifica, e che l’unione trasformativa è, per certe anime, la
preparazione migliore. Ma è poi l’unica? Vi sono anime che restano nell’orazione
discorsiva ed affettiva e che pure sono modelli di virtù eroiche, comparendo sia
esternamente come agli occhi di chi le conosce a fondo, anche più virtuose di
altre che sono contemplative. È forse provato che i doni dello Spirito Santo non
intervengano in modo eminente in quelle migliaia di giaculatorie, fatte da certe
persone ogni giorno mentre attendono alle loro occupazioni, e nell’esercizio
costante e soprannaturale dei doveri professionali, che per la loro continuità
richiedono un coraggio eroico? Eppure, interrogando queste persone, non si trova
vestigio di contemplazione propriamente detta, almeno abituale. — Non si dovrà
quindi confessare che Dio, il quale sa adattare le sue grazie al carattere,
all’educazione, alla posizione provvidenziale di ognuno, non guida tutte le
anime per le stesse vie, e che, pur volendo da ciascuna perfetta docilità alle
ispirazioni dello Spirito Santo, si riserva di santificarle con mezzi diversi?

1563.Tentativo di
avvicinamento.
Riflettendo sulle ragioni recate da una parte e dall’altra,
ci pare che le due opinioni possano avvicinarsi.
A)
Rileviamo prima di tutto i punti comuni sui quali i moderati delle due
opinioni convengono.
a) Ci
furono e ci possono essere contemplativi di ogni temperamento e di
ogni condizione; ma nel fatto ci sono temperamenti e generi di
vita più atti di altri alla contemplazione infusa. La ragione è che,
quantunque la contemplazione sia un dono gratuito e Dio la conceda a chi
vuole e quando vuole, n. 1387,
Dio per altro suole adattare le grazie all’indole e ai doveri professionali di
ciascuno.
b) La
contemplazione non è la santità ma uno dei mezzi più efficaci per
giungervi; la santità infatti consiste nella carità, nell’intima e abituale
unione con Dio. Ora la contemplazione è certo in sè la via più
corta
per arrivare a quest’unione, ma non l’unica, e vi sono anime non
contemplative “che possono essere più progredite nella virtù, nella vera carità,
di altre che ricevettero più presto la contemplazione infusa” 1563-1.

c) Abbiamo
tutti ricevuto nel battesimo un’organismo soprannaturale (grazia
abituale, virtù e doni) che, giunto al pieno suo sviluppo, conduce
normalmente alla contemplazione, nel senso che ci dà quella
pieghevolezza e quella docilità onde Dio può metterci nello stato
passivo quando e come vuole. Ma in pratica, vi sono anime
che, senza lor colpa, non giungono quaggiù alla contemplazione 1563-2.

1564. B) Non ostante l’accordo su
questi punti importanti, rimangono disparità provenienti, a nostro
parere, da tendenze più o meno favorevoli allo stato mistico e dal carattere più
o meno ordinario o straordinario che si attribuisce a questo stato. Esporremo
modestamente la nostra soluzione che comprende due affermazioni:
a) la contemplazione infusa è in sè una normale
continuazione
della vita cristiana; bnel fatto però non
pare che tutte le anime in stato di grazia siano chiamate a questa
contemplazione, compresa l’unione trasformativa.
a) La
contemplazione infusa, considerata indipendentemente dai fenomeni mistici
straordinari che talvolta l’accompagnano, non è qualche cosa di miracoloso e di
anormale, ma risulta da due cause: dalla coltura del nostro organismo
soprannaturale, massime del doni dello Spirito Santo, n. 1355,
e da una grazia operante che in sè non ha nulla di miracoloso. S’è detto
infatti che l’infusione di nuove specie intellettive non è necessaria nei
primi gradi di contemplazione, n. 1390.
Si può pure aggiungere, con Congresso Carmelitano di Madrid, che la
contemplazione è in sè il più perfetto stato di unione tra Dio e l’anima
che si possa conseguire in questa vita; è l’ideale più alto e come l’ultima
tappa della vita cristiana in questo mondo nelle anime chiamate alla mistica
unione con Dio;
è la via ordinaria della santità e della virtù abitualmente
eroica 1564-1. Questa pare la dottrina tradizionale
quale si trova negli autori mistici da Clemente Alessandrino a san Francesco di
Sales.
1565. b) Però da tali premesse
non ne viene necessariamente che tutte le anime in stato di grazia
siano
veramente chiamate, sia pur remotamente, all’unione trasformativa. Come
vi sono in paradiso diversissimi gradi di gloria, “stella enim a stella
differt in claritate
” 1565-1, così vi sono sulla terra diversi gradi
di santità a cui le anime sono fin da questa vita chiamate. Ora Dio, sempre
libero nella distribuzione dei suoi doni, e che sa adattare la sua azione al
temperamento, all’educazione e al genere di vita di ciascuno, può per vie
diverse
elevare le anime al grado di santità a cui le destina.
A quelle che, per
l’indole più attiva e per le occupazioni più gravi, paiono fatte più per
l’azione che per la contemplazione, largirà grazie per esercitare principalmente
i doni attivi: tali anime vivranno nell’intima e abituale unione con Dio,
qualche volta anzi moltiplicheranno le giaculatorie oltre quanto parrebbe
umanamente fattibile; e soprattutto adempiranno, alla presenza di Dio e per suo
amore e con eroica assiduità, i mille piccoli doveri quotidiani, costantemente
docili alle ispirazioni della grazia. Onde conseguiranno il grado di santità a
cui Dio le destina anche senza l’aiuto, almeno abituale, della contemplazione
infusa. Vivranno nella via unitiva semplice, quale abbiamo descritta al
n. 1303 ss.
Si dice, è vero,
che queste sono eccezioni e cha la via normale della santità è la
contemplazione 1565-2. Ma quando tali eccezioni sono
numerose, non se ne ha forse da tener conto nel problema della vocazione
remota, dacchè il temperamento e i doveri del proprio stato sono elementi che
aiutano a sciogliere la questione della vocazione?
In fondo si è più
d’accordo che non paia al vario modo di parlare. Gli uni, guardando la cosa
sotto l’aspetto astratto e formale, ammettono numerose eccezioni
alla vocazione universale, tenendo però fermo il principio dell’universalità;
gli altri, stando piuttosto ai fatti, preferiscono dire senz’altro che la
vocazione non è universale, quantunque la contemplazione sia normale
continuazione della vita cristiana.
1566. c) La soluzione da noi
proposta ci pare consona alla dottrina tradizionale. 1) Per un verso
quasi tutti gli autori spirituali, da Clemente Alessandrino a S. Francesco
di Sales, trattano della contemplazione come di normale coronamento della vita
spirituale 1566-1. 2) Per altro verso sono pochi fra
costoro quelli che esaminino esplicitamente la questione della vocazione
universale alla contemplazione; chi lo fa, si rivolge per lo più ad anime
elette, viventi in comunità contemplative o almeno molto fervorose. Quindi,
quando asseriscono che tutti o quasi tutti possono arrivare alla fonte d’acqua
viva (la contemplazione), intendono dei membri della loro comunità e non di
tutte le anime in stato di grazia. Del resto, a partire dal secolo XVII, che è
il tempo in cui s’incomincia a determinar meglio le cose, un gran numero
d’autori richiedono per la contemplazione infusa una vocazione speciale,
e molti esplicitamente affermano che si può arrivare alla santità senza questa
contemplazione 1566-2.
Onde s’hanno da
tener distinte le due questioni; e si può ammettere che la contemplazione sia la
normale continuazione della vita spirituale senza asserire che tutte le anime in
stato di grazia siano chiamate all’unione trasformativa.
1567. Aggiungiamo che l’acquisto della
santità e la direzione delle anime che vi tendono, non dipendono dalla soluzione
di questo così arduo problema. Insistendo sulla cultura dei doni dello Spirito
Santo e sul perfetto distacco da sè e dalle creature, guidandole a poco a poco
all’orazione di semplicità, ammaestrandole ad ascoltare la voce di Dio e a
seguirne le ispirazioni, si pongono le anime sulla via della contemplazione; il
resto spetta a Dio, che solo può afferrar queste anime e, secondo il grazioso
paragone di S. Teresa, collocarle nel nido, cioè nel riposo
contemplativo.
 
§ III. Del
momento in cui principia la contemplazione.

1568. Col comune degli autori pensiamo che
la contemplazione infusa appartenga alla via unitiva. Vi sono, è vero, casi eccezionali in cui Dio innalza alla contemplazione anime meno perfette,
appunto nell’intento di perfezionarle più efficacemente, n. 1407;
ma non è questo l’abituale suo costume.
Vi sono però
gravi autori, come il P. Garrigou-Lagrange, che collocano nella via
illuminativa
la purificazione dei sensi e l’orazione di
quiete. Si fondano sopra S. Giovanni della Croce, che nella Notte
oscura
scrive 1568-1: “La notte o purificazione sensitiva è
comune, e accade a molti e questi sono i principianti… Uscì l’anima a
principiare il cammino e la via dello spirito, che è quello dei
proficienti e progrediti, e che con altro nome chiamano la via
illuminativa o di contemplazione infusa, con cui Dio da sè va pascendo e
ristorando l’anima, senza discorso nè aiuto attivo con industria della stessa
anima”. È testo che conosciamo da molto tempo, ma coll’Hoornaert 1568-2, traduttore del grande mistico, ne
diamo interpretazione diversa. S. Giovanni della Croce non parla nelle
varie sue opere che della contemplazione infusa, distinguendovi i
principianti e i perfetti: i principianti sono per lui
quelli che stanno per entrare nella purificazione passiva dei sensi; ecco
perchè ne parla fin dal primo capitolo della Notte oscura; i
progrediti sono quelli che entrarono nella contemplazione infusa, la
quiete e l’unione piena; i perfetti sono quelli che
passarono per la notte dello spirito e si trovano nell’unione estatica o nella
trasformativa. È quindi un diverso aspetto.
1569. Del resto, la ragione
didattica, che deve dominare in un Compendio, vuole che si
raggruppi insieme tutto ciò che riguarda i vari generi di contemplazione, onde
farne spiccar meglio la natura e i vari gradi. Ecco perchè ci parve bene di
conservare il disegno comunemente tenuto. Noto però subito che Dio, le cui vie
sono molteplici e mirabili, non si attiene sempre ai quadri
logici
che noi andiamo tracciando; l’importante per il direttore è di
assecondare i movimenti della grazia e non di precederli.
1570. Ecco perchè terminando diremo
coll’Ami du Clergé 1570-1 che: “queste vive discussioni teoriche
sulla Mistica non impediscono che si sia sicuri sopra molte regole pratiche
essenziali… Come per giovarsi delle virtù medicinali d’una pianta non è
assolutamente indispensabile il conoscerne la famiglia e il nome scientifico,
così è della contemplazione. Non si è pienamente d’accordo nè sulla definizione
nè sul posto che le conviene nelle classificazioni teologiche… Ma i sacerdoti
nostri confratelli, senza aspettare i risultati tecnici e teorici di queste
discussioni, ne sanno abbastanza per conoscere la meta a cui sono avviate le
anime generose e predestinate e per aiutarle a conseguirla”. Il che si vedrà
anche meglio dalle conclusioni che ora trarremo.
 
CONCLUSIONI DEL LIBRO TERZO:
DIREZIONE DEL CONTEMPLATIVI.

Abbiamo già nel
corso del libro toccato più volte delle regole da tenere in questa direzione;
conviene ora darvi uno sguardo complessivo indicando quale debba essere la
condotta del direttore per preparare le anime alla contemplazione, per
guidarle fra gli scogli che vi s’incontrano, per rialzarle se
avessero la disgrazia di cadere.
1571. 1° È dovere pel direttore che
dirige anime generose, il prepararle a poco a poco alla via unitiva e
alla contemplazione. Qui però si devono schivare due eccessi: quello di volere
indistintamente e sveltamente spingere tutte le anime pie alla
contemplazione, e quello di credere cosa inutile l’occuparsene.
1572. A) A schivare il primo
scoglio: a) il direttore rammenti che normalmente non si può pensare
alla contemplazione se non quando si siano lungamente praticate l’orazione e le
virtù cristiane, la purità di cuore, il distacco da sè e dalle creature,
l’umiltà, l’obbedienza, la conformità alla volontà di Dio, lo spirito di fede,
di confidenza e di amore.
Ripenserà
all’insegnamento di S. Bernardo 1572-1: “Se vi sono tra i monaci dei
contemplativi, non sono certo i novizi nella virtù che, morti di recente al
peccato, lavorano tra i gemiti e il timore del giudizio a guarirsi le ancor
fresche piaghe. Ma sono coloro che, dopo lunga cooperazione alla grazia, fecero
veri progressi nella virtù, non hanno più da volgere e rivolgere nella mente la
triste immagine dei loro peccati, ma si dilettano ormai di meditare giorno e
notte e praticare la legge di Dio.
b) Se
notasse desideri troppo solleciti e presuntuosi per la
contemplazione, dovrebbe cercare di calmarli, facendo osservare che nessuno vi
si può ingerire da sè e che del resto le dolcezze dell’orazione sono
ordinariamente precedute da dure prove.
c) Baderà
bene di non confondere le consolazioni sensibili degl’incipienti o anche
le spirituali dei proficienti coi gusti divini, n. 1439,
e aspetterà, per dichiarare che si è entrati nello stato passivo, di scorgere i
tre segni distintivi esposti ai nn. 1413-1416.

1573. B) A schivare il secondo
scoglio, rammenti che Dio, sempre liberale dei suoi doni, si comunica
generosamente alle anime fervorose e docili.
a) Senza
parlar direttamente di contemplazione, formerà le anime buone non solo alle
virtù, ma anche alla devozione allo Spirito Santo; parlerà sovente
dell’abituazione di questo divino Spirito nell’anima, del dovere di pensare
spesso a lui, di adorarlo, di seguirne le ispirazioni, di coltivarne i doni.

b) Le
aiuterà a poco a poco a renderne l’orazione più affettiva, a prolungare gli atti
di religione, di amore, di dono di sè, di abbandono alla volontà di Dio, atti
che spesso ripeteranno nella giornata con semplice elevazione di cuore, senza
trascurare i doveri del proprio stato e la pratica delle virtù. — Ove notasse
che sono portate a starsene silenziosamente alla presenza di Dio per ascoltarlo
e farne la volontà, ve le animerà dicendo che è ottima e fruttuosissima
orazione.
1574.Entrata che l’anima sia
nelle vie mistiche, fa d’uopo al direttore di somma prudenza per guidarla
fra le aridità e le divine dolcezze.
A) Nelle
prove passive bisogna confortar l’anima contro lo scoraggiamento e le
altre tentazioni, come abbiamo indicato nei nn. 1432-1434.

B) Nella
contemplazione soave si può essere esposti alla ghiottoneria spirituale o
alla vana compiacenza.
a) A
schivare il primo difetto, conviene rammentar continuamente che non i gusti
divini ma Dio solo bisogna amare, che le consolazioni sono soltanto
mezzo per unirci a lui, e che si deve essere pronti a rinunziarvi di
cuore non appena gli piaccia di privarcene: Dio solo basta!
b) Qualche
volta pensa Dio stesso ad impedire i sentimenti d’orgoglio, imprimendo vivissimo
nell’anima il sentimento del proprio nulla e delle proprie miserie e mostrandole
chiaramente che questi favori sono un puro dono di cui non si può in
alcun modo prevalere. Ma quando le anime non furono intieramente purificate
dalla notte dello spirito, hanno bisogno, come dice S. Teresa, di
esercitarsi continuamente nell’umiltà e nella conformità alla volontà di Dio,
nn. 1447, 1474.
Converrà premunirle specialmente contro il desiderio di visioni, di rivelazioni
e altri fenomeni straordinari: cose che non è mai permesso desiderare e
che i santi per umiltà premurosamente respingono, n. 1496.

1575. C) Non dimenticherà che
l’estasi è illusione quando non sia accompagnata dall’estasi della vita,
secondo l’espressione di S. Francesco di Sales, vale a dire dalla pratica
delle virtù eroiche, n. 1461.
Grave illusione sarebbe il trascurare i doveri del proprio stato per aver più
campo di attendere alla contemplazione; il P. Baldassarre Alvarez, che era
stato confessore di S. Teresa, dichiara nettamente che bisogna lasciare la
contemplazione per adempiere il proprio ufficio o soccorrere il prossimo nei
suoi bisogni; e aggiunge che Dio dà a chi sa così mortificarsi maggior lume ed
amore in un’ora d’orazione che ad altri in più ore 1575-1.
1576. Illusione anche più grave sarebbe il
credere che la contemplazione conferisca il privilegio
dell’impeccabilità.
La storia mostra che i falsi mistici i quali, come i
Begardi e i Quietisti, si credevano impeccabili, caddero nei più grossolani
vizi. S. Teresa insiste sempre sulla necessità della vigilanza a schivare
il peccato, anche quando si sia giunti ai più alti gradi della contemplazione; e
S. Filippo Neri soleva dire: “O mio Dio, non vi fidate di Filippo, chè
altrimenti vi tradirà”. Non possiamo infatti perseverare a lungo senza una
grazia speciale; grazia che è concessa agli umili, i quali diffidano di sè e
pongono tutta la loro fiducia in Dio.
1577. 3° Bisogna quindi prevedere il caso
di anime contemplative che cadessero in peccato. Tali cadute possono provenire
da parecchie cause:
a) L’anima
era stata innalzata alla contemplazione prima di avere sufficientemente
signoreggiate le passioni; e, in cambio di continuar vigorosamente la lotta, si
addormentò in dolce riposo; insorsero violenti tentazioni e, troppo fidente di
sè, la poveretta è miseramente caduta. — Il rimedio è la compunzione, è
il ritorno a Dio con cuore contrito ed umiliato, è una lunga e laboriosa
penitenza; quanto più si è caduti dall’alto e tanto più umili e costanti devono
essere gli sforzi per risalire il pendìo e riguadagnar la vetta. Sta al diretore
il rammentarle sempre con bontà e fermezza questo dovere.
b) Vi sono
contemplativi che, dopo aver lottato vigorosamente a dominar le cattive
inclinazioni ed esservi riusciti, pensando che la lotta sia ormai finita,
rallentano gli sforzi, mancano di generosità nell’adempimento di certi doveri
considerati come meno importanti, e cadono in una specie di progressivo
rilassamento che potrebbe generar la tiepidezza. — Si deve por freno a questo
retrogrado movimento, facendo osservare che quanto più il Signore si mostra
generoso con loro, tanto più devono essi raddoppiar di fervore; e che le minime
negligenze degli amici di Dio feriscono sul vivo Colui che prodiga loro i suoi
favori. Si leggano nell’autobiografia di S. Margherita Maria i severi
rimproveri che Nostro Signore le rivolgeva per correggerla delle minime
infedeltà, delle mancanze di rispetto e di attenzione nel tempo dell’ufficio e
dell’orazione, dei difetti di rettitudine e di purità d’intenzione, della vana
curiosità, delle piccole infrazioni d’ubbidienza, anche che si trattasse di
imporsi maggiori austerità; e se ne prenda lezione per ricondurre queste anime
al fervore.
1578. c) Altri poi s’aspettavano di
trovar nella contemplazione, passate le prime prove passive, soltanto soavità e
gusti divini; e Dio invece continua ad alternare le desolazioni e le
consolazioni a fine di più efficacemente santificarli; onde, disanimandosi, sono
in pericolo di cadere nel rilassamento e nelle funeste sue conseguenze. — Il
gran rimedio è d’inculcare continuamente l’amor della croce, non perchè
la croce sia amabile in se stessa ma perchè ci rende più conformi a Gesù
crocifisso.
Del resto, diceva
il S. Curato d’Ars 1578-1, “la croce è il dono che Dio fa ai suoi
amici. Bisogna chiedere l’amor delle croci e allora le croci diventano dolci. Ne
ho fatto l’esperienza… Avevo molte croci io, ne avevo tante che quasi non le
potevo portare! Mi diedi a chiedere l’amor delle croci e diventai felice… E
veramente la felicità sta soltanto lì”.
Per dir tutto in
breve, il direttore delle anime contemplative deve studiare le opere e le
biografie dei mistici, e chiedere a Dio il dono del consiglio per non dir
nulla a queste anime se non dopo aver consultato lo Spirito Santo.
 
NOTE
1550-1 A. Saudreau,
L’Etat mystique,
c. IX, XI, XIV e le Appendici; A. Poulain, Delle grazie
d’Orazione
, 2ª ediz. ital. con introd. del P. De Guibert
(Marietti, Torino); Mgr. Lejeune, art. Contemplation nel Dict. de
Théologie; Mgr. A. Farges, Phén. mystiques e Controv. de
la Presse;
P. Joret, La contemplation mystique; P. Garrigou-Lagrange,
Perfect.
et contemplation.

1554-1 Delle Grazie d’orazione, c. VI,
n. 16, (Marietti, Torino).
1555-1 La mystique chrétienne, nella
Revue de
Philosophie
, 1912, t. XXX, p. 478.
1555-2 La saisie immédiate de Dieu dans les états
mystiques
, 1923.
1557-1 Quest’accusa sarebbe particolarmente ingiusta
rispetto a coloro che, come il Farges, (Phén. mystiq., p. 95
ss., e Réponses aux controverses, ch. V-XII), ammettono che la
contemplazione avviene fin dal primo grado per mezzo di specie impresse
infuse
, e la chiamano immediata, perchè la specie impressa non
è id quod videtur e nemmeno id in quo videtur, ma id quo res
ipsa videtur.
Si può censurare questo modo di vedere ma non vi si può
scorgere l’ontologismo.
1557-2 A
meglio giudicar di questo linguaggio, si leggeranno volentieri i passi raccolti
dal P. Poulain, Delle Grazie d’orazione, c. V-VI,
confrontando le interpretazioni date da lui con quelle che ne dà in senso
contrario A. Saudreau, L’Etat mystique, Appendice II.

1559-1 I
PP. Arintero, Garrigou-Lagrange, Joret, Janvier, ecc.
1559-2 Don Louismet, Don Huyben, ecc.

1559-3 P. Ludovico di Besse.

1559-4 P. Teodoro di S. Giuseppe,
Essai
sur l’oraison selon l’école carmélitaine
, 1923. — Si vedano per altro le
sue restrizioni, p. 128.
1559-5 L. Peeters, Vers l’union divine per
les Exercices de S. Ignace
, 1924.
1559-6 Il
P. Lamballe, La contemplation.
1559-7 M. A. Saudreau, L’Ami du Clergé,
ecc.
1560-1 P. Garrigou-Lagrange,
op. cit.,
p. 450.
1561-1 Questi argomenti si troveranno esposti dal
P. R. di Maumigny, Pratique de l’oraison mentale,
t. II, P. Vª; Mgr Farges, Phénomènes mystiques,
P. Iª, c. IV; Contr. de la Presse, c. IV; G. de Guibert,
Rev. d’Ascétique et
de Mystique
, Gennaio 1924, p. 25-32.
1561-2 G. de Guibert, l. cit.,
p. 26.
1561-3 De virtutibus infusis, tesi VIIIª.

1563-1 P. Garrigou-Lagrange,
op. cit.,
t. II, p. [78].
1563-2 “Il che può provenire, dice il
P. Garrigou, op. cit.,
t. II, p. [75], non solo dal poco propizio ambiente e da mancanza di direzione,
ma anche del temperamento fisico. Ed è bene qui ricordare con
G. Maritain, che, secondo molti Tomisti, come Bannez, Giovanni di S.
Tommaso e i Carmelitani di Salamanca, anche le doti fisiche sono, nel
predestinato, effetto in un certo senso della predestinazione.
1564-1 Congrès carmélitain, 1923, thème V. — Il
Congresso non volle dichiararsi sulla questione della vocazione
universale
alla contemplazione, certo perchè la teneva come dubbia.

1565-1 I Cor., XV, 41.
1565-2 P. Garrigou-Lagrange,
op.
cit.
, t. II, p. [71-79].
1566-1 Molti documenti si possono trovare nelle opere
seguenti: Onorato di Sta Maria, Tradition des Pères et des auteurs
ecclésiastiques sur la Contemplation;
A. Saudreau, La Vie d’union
à Dieu
, 3ª ed. 1921; P. Garrigou-Lagrange, op.
cit.
, t. II, p. 662-740; P. Pourrat, La Spiritualité
chrétienne.
Rimane però da fare lo studio critico-storico di questi
documenti sotto l’aspetto speciale della vocazione universale alla
contemplazione.
1566-2 Ci
pare che sia questa la soluzione di Don V. Lehodey, Le vie
dell’orazione
, P. IIIª, c. XIII (Marietti, Torino), Le saint Abandon,
P. IIIª, c. XIV; di Mgr Waffelaert, R. A. M., gennaio 1923,
p. 31, e nelle varie sue opere; della Scuola Carmelitana e di quelli
che ammettono uno stato di contemplazione acquisita sia pure di poca
durata. S’accosta a quella del P. M. de la Taille, L’oraison
contemplative
, come pure alla soluzione proposta da G. Maritain,
Vie spirituelle, marzo 1923, che si trova nell’opera del P.
Garrigou,
t. II, p. [58-71].
1568-1 Notte oscura, l. I, c. VIII, n. 1, e c.
XIII, n. 1 (alias c. XIV).
1568-2 Note sulla Notte Oscura, p. 5-6.

1570-1 Ami du Clergé, 8 dic. 1921, p. 697.

1572-1 In Cantica sermo LVII, n. 11; compendiamo
qui il pensiero del Santo.
1575-1 Vita scritta dal P. Da Ponte, c.
XIII, c. XLI, 5ª difficoltà.
1578-1 Monnin, Vita del Curato d’Ars, l.
III, c. III (Marietti, Torino).