Breve storia delle eresie (2/10)

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CAPITOLO II. LE ERESIE DEL IV SECOLO. Ario e la sua dottrina. L’arianesimo sotto Costantino. Il Fotinianismo. Il Semi-Arianesimo. Varie forme di semi-Arianesimo. Gli Pneumatomachi

CAPITOLO II. LE ERESIE DEL IV SECOLO


 


ARIO E LA SUA DOTTRINA


Le controversie provocate nel III secolo dagli errori antitrinitari avevano portato ad una recisa condanna dei patripassiani. Ma gli scrittori cattolici non avevano sempre saputo evitare il subordinazionismo. I papi senza dubbio non avevano mai accettato questa dottrina così poco logica. Paolo di Samosata era stato condannato dal Concilio di Antiochia verso il 268 per avere fatto di Cristo un semplice, figlio adottivo di Dio. Sembra che il prete Luciano di Antiochia abbia tuttavia conservato qualcosa di questa dottrina sotto la forma seguente: in Gesù l’anima che vivifica il corpo dell’uomo era sostituita dal Verbo, che si può chiamare Dio poiché è il primogenito di Dio, ma che è inferiore a Dio, poiché è stato creato e da lui tratto dal nulla. E’ probabilmente questo Luciano di Antiochia che si deve considerare come il vero padre dell’arianesimo.


Ario era nato in Egitto verso il 256. Era prete e aveva ricevuto l’incarico di reggere una importante chiesa della metropoli di Alessandria, una delle più splendide dell’Impero romano.


Era un uomo austero, distinto, alto e magro, eloquente e abile, molto popolare nella sua parrocchia, quella di Baucalis. Era però ambizioso, pieno di sé e molto ostinato nelle proprie idee. Verso il 318 si verificò un conflitto dottrinale tra lui e il suo vescovo, Alessandro. Quest’ultimo, dopo aver tentato invano metodi di persuasione e di dolcezza, riunì, verso il 320-321 lui concilio, che contò un centinaio di vescovi dell’Egitto e della Libia. Ario vi fu condannato e dovette lasciare la parrocchia. Ma si rifugiò in Palestina e quindi in Asia, dove si procurò dei seguaci. Aveva composto una raccolta di canti popolari, intitolata Thalia, per propagare le sue idee. Ad Alessandria aveva conservato amici devoti. Si cantavano i suoi cantici contro i cattolici. Questi rispondevano energicamente, e i pagani si divertivano a quelle dispute incresciose.


Proprio in quel tempo, l’imperatore Costantino aveva sconfitto il suo rivale Licinio e ricostituito, sotto la sua autorità, l’unità dell’Impero romano. Le dispute che avevano luogo ad Alessandria, a Nicomedia, in Palestina e in Siria erano troppo scottanti per non attrarre la sua attenzione. Dietro il consiglio del vescovo Osio di Cordova, decise di riunire un concilio generale perché si pronunciasse definitivamente sulla dottrina di Ario.


Questa dottrina era la seguente: Dio è uno e eterno; il Verbo o Logos è la sua prima creatura ed è stato da lui tratto dal nulla; egli se ne è servito per creare il nostro mondo. Il Verbo è quindi superiore e anteriore a tutte le altre creature, ma non lo si può chiamare Dio se non in quanto creatore, del mondo. In realtà, non è che un Figlio adottivo di Dio. Lo Spirito Santo a sua volta è la prima creatura del Figlio e perciò stesso è a lui inferiore. Fu il Verbo che venne ad animare il corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria. Per questo si legge in san Giovanni: ” Il Verbo, si è fatto carne” e non già “si è fatto uomo”. Il Verbo sostituisce, in Gesù, l’anima umana e ne tiene il posto.


Il Concilio di Nicea, riunito nel 325 ad opera dell’imperatore Costantino, adottò, sotto l’influsso del diacono Atanasio, il più insigne teologo del vescovo di Alessandria dove era sorta l’eresia di Ario, il termine consostanziale per affermare categoricamente la perfetta uguaglianza del Verbo e del Padre. Due soli vescovi rifiutarono di sottoscrivere il Simbolo di fede votato nel Concilio, e che noi chiamiamo Simbolo di Nicea.


Tutti i seguaci di Ario furono deposti e deportati.


 


L’ARIANESIMO SOTTO COSTANTINO


Ma Costantino non seppe mantenere con fermezza la dottrina definita a Nicea. La sorella Costanza, più o meno guadagnata all’arianesimo, lo spinse a richiamare dall’esilio il vescovo Eusebio di Nicomedia, che acquistò la sua piena fiducia. Eusebio riuscì a fargli credere che il termine consostanziale aveva un sapore di sabellianismo e che cancellava ogni distinzione reale tra il Padre e il Figlio. Grazie a questi equivoci, Ario fu richiamato dall’esilio verso il 329-330, dopo aver emesso una confessione di fede del tutto insufficiente. L’arianesimo puro trovò il modo di rivestirsi di forme mitigate e la polemica si trascinerà ancora a lungo, di simbolo in simbolo, senza giungere ad una soluzione precisa.


Un nome tuttavia incarnava l’ortodossia: quello di Atanasio che, nel 328, era succeduto al proprio vescovo in Alessandria. Fu dunque contro Atanasio che gli amici di Ario e di Eusebio di Nicomedia concentrarono i loro sforzi. Si cercò di perderlo. Avendo Ario sottoscritto una formula imperfetta, ma che si volle ritenere come ortodossa, l’imperatore intimò ad Atanasio di riabilitarlo e di restituirgli la parrocchia. In seguito al suo rifiuto, Atanasio fu tradotto davanti a un concilio a Tiro e, a forza di intrighi, vi fu fatto condannare nel 335. L’anno seguente, Costantino lo esiliava a Trevi all’estremità delle Gallie. Nel frattempo, giunto all’età di 80 anni, Ario moriva – si dice – in mezzo al trionfo che gli amici gli preparavano a Costantinopoli per festeggiare la sua riammissione nella comunione cattolica.


 


IL FOTINIANISMO


Ad accrescere la confusione delle idee, avvenne, verso il 335, la pubblicazione di un libro contro l’arianesimo dovuto al vescovo Marcello d’Ancira. Nel suo zelo contro l’eresia, egli parve ricadere nell’errore di Sabellio, non distinguendo nettamente le tre persone della Trinità. Gli eusebiani, che godevano di grande favore presso Costantino, colsero l’occasione e fecero condannare Marcello. Quest’ultimo protestò e si appellò al papa Giulio I il quale, una prima volta nel 338 e una seconda volta nel 341, lo dichiarò ortodosso. Più tardi. tuttavia, si dovette riconoscere che il linguaggio di Marcello d’Ancira non era del tutto soddisfacente. E, siccome le sue idee erano state riprese da Fotino, vescovo di Sirmio, si diede il nome di fotinianismo a questa eresia che rinnovava in parte il modalismo di Sabellio. Ma tutto ciò aveva contribuito non poco a turbare gli spiriti nelle file dell’ortodossia.


 


IL SEMI-ARIANESIMO


Si era fatto tuttavia qualche progresso verso la verità. L’arianesimo era costretto a modificare le sue formule, per farle accettare. L’ortodossia, sempre validamente difesa da Atanasio e appoggiata da Roma, guadagnava terreno. Ma essendo morto Costantino nel 337, l’impero fu diviso tra i suoi tre figli, uno dei quali infine ereditò dagli altri due. Quest’ultimo, di nome Costanzo. si piccava di teologia. Come già il padre, si lasciò adescare da Eusebio di Nicomedia, che può essere considerato come il grande capo del semi-arianesimo. Mentre il papa Giulio I prendeva energicamente le difese di Atanasio, prima richiamato dall’esilio e quindi scacciato nuovamente dalla propria sede, Eusebio, in un concilio riunito ad Antiochia nel 341, finse di condannare in Marcello d’Ancira il rinnovato sabellianismo, facendo adottare una formula semi-ariana.


A quell’epoca Costanzo non era ancora unico imperatore. Il fratello Costante regnava in occidente. D’accordo con il papa Giulio I, Costante riunì un concilio a Sardica (l’odierna Sofia, in Bulgaria).


Era presente Atanasio e presiedeva, in nome del papa, il vecchio Osio di Cordova. A dispetto dell’opposizione degli eusebiani, che si ritirarono quasi subito, vi fu riabilitato Atanasio e acclamata l’ortodossia. Atanasio poté rientrare nuovamente ad Alessandria nel 346.


L’anno precedente si era finito, in Occidente, con lo sfatare le dottrine oscure e perniciose di Fotino di Sirmio, e di conseguenza quelle ancor più subdole del suo maestro Marcello d’Ancira. Queste dottrine erano state nettamente condannate nel concilio di Milano nel 345, e tale decisione aveva contribuito a rischiarare l’atmosfera. Grazie all’energico imperatore Costante, si poteva sperare la pace nella Chiesa. Ma egli morì assassinato nel 350, e da quel momento Costanzo rimase unico padrone dell’Impero. Eusebio di Nicomedia era morto. Ma due vescovi, le cui dottrine erano state condannate nel concilio di Sardica del 343, riuscirono ad entrare nelle sue buone grazie: Basilio d’Ancira e Acacio di Cesarea. Sotto l’influsso di Basilio d’Ancira, che era semiariano come lo era stato Eusebio di Nicomedia, fu riunita tutta una serie di concili, con il pretesto di porre fine all’eresia di Fotino di Sirmio (il sabellianesimo).


Ma si mirava a dire che la dottrina di Atanasio, la quale sosteneva che il Verbo è consostanziale al Padre, non era altro se non fotinianismo camuffato. E, siccome la dottrina e la formula di Atanasio erano sostenute soprattutto in Occidente, l’imperatore, dietro la spinta dei suoi consiglieri semi-ariani, moltiplicò in Italia e in Gallia i concili destinati a distruggere quella pretesa d’eresia, l’eresia dei ” niceani “, cioè dei sostenitori del Concilio di Nicea del 325.


Tali furono il concilio di Milano del 355, quello di Arles del 353, quello di Beziers del 356, ecc. Dappertutto, ci si limitava a costringere i vescovi a scegliere tra la condanna di Atanasio e l’esilio. Il papa Liberio, succeduto a  Giulio I nel 352, si lasciò adescare. Non avendo voluto abbandonare la causa di Atanasio, fu dapprima esiliato da Roma a Berea (fine del 355) e sostituito da un antipapa di nome Felice (355-365), e finì per sottoscrivere una formula equivoca, di cui parleremo tra breve.


Fra i più illustri esiliati di questo periodo così burrascoso si devono segnalare, insieme con il papa Liberio e lo stesso Atanasio, due santi molto venerati in Occidente: s. Eusebio di Vercelli e S. Ilario di Poitiers; e persino il venerando Osio di Cordova, nato nel 258 e vescovo dal 295. Aveva quasi cento anni!


 


VARIE FORME DI SEMI-ARIANESIMO


Ma che cosa si metteva al posto della dottrina definita a Nicea? Con che si sostituiva il “consostanziale” di Atanasio?


Ciò che caratterizza l’eresia sono le sue incessanti variazioni e fluttuazioni; perché – come ha giustamente rilevato Newman – appena si esce dall’ortodossia si cade nell’inconsistenza. Tale osservazione si adatta egregiamente ai casi di quest’epoca. I semi-arianni non cessavano di costruire formula. Non volevano saperne di consostanziale con il pretesto che vi sentivano odore di sabellianismo. Perciò, cercavano un altro aggettivo. I semi-ariani propriamente detti, con Basilio d’Ancira, si attenevano al termine simile nella sostanza homoiousios in greco – invece di homoousios che era il termine di Atanasio. Furono quindi chiamati omeousiani. All’estremità della scala delle opinioni si trovavano gli ariani puri, i quali sostenevano che il Verbo era dissimile – anomoios – dal Padre. Questi sono conosciuti sotto il nome di anomei. Infine, tra i due opposti si ergeva l’opinione di Acacio di Cesarea, secondo il quale si doveva dire semplicemente che il Verbo è simile – omoios – al Padre, senza precisare che gli è simile nella sostanza. I sostenitori di questa teoria furono perciò detti omei.


Le differenze che si notano in quelle che sono chiamate le quattro formule di Sirmio (varate dal 351 al 359), mostrano chiaramente le divergenze che travagliavano allora gli animi nella Chiesa. Sirmio, che viene identificata con l’attuale Mitrovitza, sulla Sava, in Jugoslavia, era la residenza abituale di Costanzo. E, appunto alla presenza di quest’ultimo si elaborarano, in quella città, le più mutevoli formule di fede. La prima formula di Sirmio, redatta sotto l’influsso di Basilio d’Ancira, è semi-ariana ma potrebbe interpretarsi in maniera ortodossa. La  seconda segna l’influsso passeggero degli Anomei e il declino dell’influsso di Basilio d’Ancira. E’ dell’anno 357 e posteriore di sei anni alla precedente. Proclama il Figlio inferiore al Padre e 1o Spirito Santo inferiore al Figlio. Mediante le più odiose e colpevoli violenze, non si ebbe vergogna di far sottoscrivere questa formula al vecchio Osio di Cordova, completamente ingannato; ma non gli si poté mai strappare una condanna dell’amico Atanasio. Aveva allora 99 anni! A partire dal 358, Basilio aveva ripreso l’offensiva  ed era riuscito a far ammettere dall’imperatore una terza formula, nella quale senza dubbio non si riscontrava il termine ortodosso consostanziale decretato a Nicea, ma che si poteva tuttavia intendere in modo cattolico. Bisogna riconoscere che certi scrittori anche perfettamente ortodossi, come san Cirillo di Gerusalemme, temevano un poco l’espressione “consostanziale “, quasi potesse portare al sabellianismo. Non è quindi da stupire che il papa Liberio, il quale languiva da tre anni a Berea e vedeva la sua chiesa di Roma dilaniata dallo scisma a causa di un antipapa, abbia creduto di poter sottoscrivere quella formula, onde ritrovare la libertà. Cosa più spiacevole, egli acconsentì n condannare Atanasio per l’uso del termine ” consostanziale “. Non è tuttavia da credere che il papa sia, in questa circostanza, caduto egli stesso nell’eresia, benché durante le discussioni sull’infallibilità del papa si sia fatto continuamente ricorso al suo caso. Liberio mancò di chiaroveggenza e di fermezza, ma la sua ortodossia sembra rimanere completamente fuori causa.


Il trionfo di Basilio d’Ancira, autore di questa terza formula di Sirmio, non fu d’altronde di lunga durata, poiché i suoi nemici e rivali strapparono a1 debole e pretenzioso imperatore una quarta formula di Sirmio, che dichiarava il Verbo semplicemente simile al Padre, il che significava la vittoria degli omei sugli omeusiani. Eravamo nel 359. La formula fu sottoscritta per prudenza dagli anomei, e dallo stesso Basilio d’Ancira, che la adattò alla sua opinione personale.


Ma allora si produsse nella Chiesa un vero dramma.


L’imperatore ebbe la pretesa di far sottoscrivere questa formula da tutti i vescovi dell’impero, e a tal fine convocò due concili, uno a Selcucia per l’Oriente e l’altro a Rimini per l’Occidente.


A Rimini, si radunarono 400 vescovi, di cui circa 80 erano ostili alla definizione di Nicea. La maggioranza quindi dichiarò di attenersi al concilio di Nicea e respinse la formula di Sirmio. Ma la minoranza agì con tanta astuzia e fece intervenire l’imperatore con tanta rigidità che, dietro le più gravi minacce e con spiegazioni miranti ad addormentare le coscienze, si ottenne dai Padri la sottoscrizione di questa formula di Sirmio, per di più aggravandola, poiché mentre prima il Verbo vi era detto “simile al Padre in ogni cosa “, a Rimini queste ultime tre parole furono soppresse.


Comunque sia, è certo che la formula di Rimini fu infine adottata nel più assoluto equivoco.


Lo stesso avvenne a Seleucia. Basilio d’Ancira si dibatté dapprima come meglio poté; poi l’autorità dell’imperatore fece pendere la bilancia nel senso inverso. Così la formula, detta omeiana, sottoscritta a Rimini, venne imposta anche a Seleucia. Di qui passò ai popoli barbari che nel secolo seguente avrebbero invaso l’impero romano. Quando si afferma, in storia, che questi popoli, o almeno una parte di essi – per esempio i Burgundi e i Goti – erano ariani, si vuole intendere che professavano la Confessione di fede di Rimini-Seleucia. L’anno seguente, nel 360, gli acaciani o omei riportarono un’ultima vittoria al concilio di Costantinopoli, che condannò insieme i termini consostanziale (ortodosso), simile in sostanza (Basilio d’Anciria, semi-ariano) e dissimile (ariani puri).


Sembrava che l’eresia avesse vinto nella Chiesa. San Girolamo, parlando di questo breve periodo, che terminò con la morte dell’imperatore avvenuta nel 361, disse con una frase rimasta celebre:” L’universo gemette nello sbalordimento di vedersi diventato ariano! “


Non era nulla di grave. Gli spiriti ingannati dagli intrighi e vessati dalle minacce della Corte, si risolleveranno ben presto.


Alla morte di Costanzo, fu uno dei suoi nipoti, Giuliano – che in storia è soprannominato l’Apostata –  a prendere il potere. Egli aveva segretamente abbracciato il paganesimo. Ed era venuto in urto con lo zio, l’imperatore, in seguito alla rivolta dell’esercito, che proclamava Augusto lui stesso. Costanzo era morto mentre marciava contro di lui. Una volta padrone dell’impero, Giuliano cercò di ristabilire il paganesimo. Il suo primo atto fu quello di rimandare alle proprie diocesi tutti i vescovi esiliati, senza dubbio con l’idea di provocare in tal modo delle divisioni in seno alla Chiesa.


Non starò a descrivervi qui tutti i tentativi da lui fatti per risuscitare il paganesimo ormai sorpassato e sepolto. Del resto non ebbe il tempo di impegnarvisi a lungo, poiché già nel 363 scompariva, all’età di 32 anni durante una spedizione contro i Persiani. I suoi successori Gioviniano, Valentiniano e Graziano e soprattutto Teodosio – o usarono una larga tolleranza, rimanendo fuori delle dispute teologiche, o si mostrarono decisamente favorevoli all’ortodossia cattolica. Uno solo, Valente, fratello di Valentiniano I e da lui associato all’impero, si fece, al pari di Costanzo, difensore dell’arianesimo, senza portare d’altronde gravi disordini in seno alla Chiesa d’Oriente, in cui risplendevano allora autentici geni, come Basilio di Cesarea e il suo grande amico Gregorio Nazianzeno.


Atanasio ebbe l’onore di contribuire, prima della sua morte, alla riconciliazione e alla pacificazione degli animi. Rientrato al pari degli altri, nel 362, nella sua chiesa  di Alessandria, radunò un concilio e in esso dette prova di una grande larghezza d’animo per porre fine a tutte le dispute dogmatiche. Fece semplicemente rivivere i decreti del concilio di Nicea del 325 rifuggendo da qualunque discussione di termini. Quando morì – nel proprio letto, lui che era stato così spesso scacciato dalla sua sede – aveva adempiuto – uno dei più nobili compiti che possano incombere a un pastore di anime, poiché aveva ristabilito dovunque intorno a sé la pace nell’unità della fede. Era il 2 maggio del 373.


Fra coloro che seguirono il suo esempio è da segnalare sant’Ilario di Poitiers nelle Gallie, sant’Eusebio di Vercelli in Italia, e i cosiddetti tre Cappadoci: Basilio di Cesarea, già ricordato, Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno, fratello di Basilio – forse il più profondo dei tre.


 


GLI PNEUMATOMACHI


Per quasi tutto il IV secolo – uno dei più splendidi della storia della Chiesa – si discusse animatamente sulla divinità del Verbo, ma si perdette un poco di vista quella dello Spirito Santo. E’ chiaro tuttavia che coloro i quali rigettavano la divinità consostanziale del Figlio respingevano a maggior ragione quello dello Spirito Santo, da tutti ritenuto al terzo posto tra le “persone divine “. Solo verso il 360 si pose chiaramente la questione su questo punto. La  persona dello Spirito Santo era infatti sempre associata alle altre due, particolarmente nella liturgia battesimale. La maggior parte dei semi-ariani e soprattutto degli ariani puri si dichiararono contro la divinità dello Spirito Santo. Per questo motivo furono chiamati pneumatomachi, cioè avversari dello Spirito, ed anche macedoniani, dal nome di Macedonio, vescovo intruso di Costantinopoli, che fu uno dei loro capi più eminenti, e venne deposto nel 360. Questa nuova disputa aveva il vantaggio di costringere le menti a considerare il dogma della Trinità in tutta la sua ampiezza. Fu vanto del grande imperatore Teodosio mettere un punto finale a quelle interminabili controversie, attraverso le quali, tuttavia, la teologia della Trinità aveva preso una mirabile consistenza. Fin dal battesimo, ricevuto nell’età adulta, Teodosio aveva dichiarato di volersi attenere in tutto, ma specialmente in materia trinitaria, al pensiero del vescovo di Roma e alla fede professata in comune dal papa e dal vescovo Atanasio di Alessandria. Ma, una volta divenuto imperatore, comprese che gli Orientali conservavano una certa suscettibilità riguardo al papa e al successore di Atanasio. Ebbe quindi l’accortezza, di radunare a Costantinopoli un concilio di soli orientali. Era da poco tempo vescovo della città Gregorio Nazianzeno, grande oratore, grande teologo e autentico santo. L’imperatore cominciò col far restituire ai cattolici tutte le chiese della città che erano state occupate dagli ariani. Quindi, d’accordo con Gregorio Nazianzeno, convocò i vescovi orientali. Ne vennero 186, di cui 36 erano pnematomachi. Il concilio fu presieduto successivamente da Melezio di Antiochia, da san Gregorio Nazianzeno e, dopo le dimissioni di quest’ultimo, dal suo successore Nettario. Esso consacrò definitivamente la dottrina di Nicea, scagliò l’anatema contro l’arianesimo e il semi-arianesimo, specialmente contro l’eresia degli anomei e degli omei, come pure degli omeusiani. Infine, il concilio proclamò la divinità dello Spirito Santo pari a quella del Verbo e del Padre. Gli pneumatomachi furono quindi respinti dalla Chiesa, e in questo senso fu completato il Simbolo di Nicea. L’arianesimo continuò a vivere sol più presso i ” barbari ” fino al secolo VII.