B. ULRICA NISCH (1882-1913)

E\’ la prima religiosa delle Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbhol (Cantone Schwyz, Svizzera), fondate nel 1856 dal P. Teodosio Fiorentini (+1865), cappuccino, con la collaborazione della S. di D. Maria Teresa Scherer (+1888), ad essere elevata all\’onore degli altari.

E\’ la prima religiosa delle Suore di Carità della Santa Croce di Ingenbhol (Cantone Schwyz, Svizzera), fondate nel 1856 dal P. Teodosio Fiorentini (+1865), cappuccino, con la collaborazione della S. di D. Maria Teresa Scherer (+1888), ad essere elevata all\’onore degli altari. Nacque il 18-9- 1882, al tempo, quindi, della Kulturkampf voluta da Ottone Bismarck contro la Chiesa Cattolica, ad Oberdorf-Mittelbiberach, nella diocesi di Rottenburg-Stuttgard (Wurttemberg), da Ulrico, secondo stalliere di un barone proprietario del castello di Mitteìbiberach, e da Clotilde Dettenrieder, domestica presso Posteria "Al Cavallino" di Oberdorf. Al fonte battesimale le fu imposto il nome di Francesca. Un anno dopo i genitori contrassero il matrimonio nella chiesa parrocchiale di Oberstadion e legittimarono la loro figlia.
In quella circostanza Ulrico acquistò un piccolo podere incolto di due vecchie zie, dal quale sperava di trarre quanto occorreva per il sostentamento della famiglia, che era la più povera del villaggio. Le sue condizioni economiche non migliorarono neppure dopo che si assunse la conduzione del forno comunale. Con undici figli da mantenere l\’infelice padre fu costretto a lasciare Unterstadion, suo luogo di origine, per trasferirsi a Ehingen in cerca di migliore fortuna come operaio cementista. La beata trascorse i primi sei anni della sua esistenza a Oberdorf, presso i nonni materni, e frequentò le scuole elementari a Unterstadion, ma con scarso successo. I testimoni la ricordano come una bambina tranquilla, silenziosa, più sollecita a fare ritorno a casa appena finita la scuola che a familiarizzare con le amiche. Trasferitasi a Mitteìbiberach presso la zia Gertrude Dettenrieder, sua madrina di battesimo, e moglie molto pia di Metzger, proprietario dell\’osteria "All\’albero Verde", nonostante il compito di sorvegliante di tre cuginetti, poté continuare gli studi nella scuola del villaggio, e prepararsi alla prima comunione e alla cresima, che ricevette a tredici anni. La zia circondò subito la nipote di quell\’affetto materno che aveva trovato soltanto in scarsa misura nella propria famiglia, e le impartì una solida educazione religiosa e civile. I cugini, fattisi adulti, testimoniarono di lei che a quel tempo "dava molta importanza alla preghiera", e che le volevano bene.
A sedici anni, Francesca si trasferì nel villaggio di Sauggart, presso lo zio Corrado Dettenrieder, che gestiva un negozietto di derrate e spezie provenienti dalle colonie. La situazione di lui era resa difficile dalle tristi condizioni della moglie, che fu progressivamente colpita da apoplessia, da morbosa gelosia e alienazione mentale, e soprattutto dalla povertà in cui si dibatteva. La beata dovette aiutare quella famiglia badando ai bambini e prestando le cure necessarie all\’inferma. Quel soggiorno le riuscì molto duro per l\’eccessivo lavoro che le fu richiesto, e per i tremendi alterchi ai quali doveva quotidianamente assistere.
Nel 1899 Francesca trovò lavoro presso una panetteria e pasticceria di Biberach. La famiglia che la gestiva era protestante, ma lasciò a lei, giovane cattolica, la massima libertà per la pratica dei suoi doveri religiosi. Dal punto di vista materiale e morale la beata venne, quindi, a trovarsi in una condizione molto migliore di quella che aveva dovuto affrontare a Sauggart. Ne fu riconoscente ai suoi datori di lavoro di cui in breve tempo seppe guadagnarsi la stima.
Francesca venne a trovarsi in un ambiente più adatto alle sue inclinazioni quando, nel 1901, fu assunta come domestica e bambinaia dalla famiglia del Prof. Morger, direttore dell\’Istituto Magistrale di Rorschach, cittadina svizzera del Cantone di San Gallo, sulle rive del lago di Costanza. Anche qui, come del resto altrove, la beata si meritò la fiducia completa e la stima dei suoi padroni per la bontà, la diligenza e la serietà dimostrata nel disbrigo delle faccende domestiche. In quel tempo fu colpita da una grave forma di erisipela facciale, che la costrinse a restare nell\’ospedale della cittadina per parecchie settimane. Quando, però, riprese il lavoro, comunicò ai Morger che aveva deciso di entrare a Hegne (Baden), sulle rive del lago di Costanza, nella casa provincializia delle Suore di Carità della Santa Croce, dalle quali era stata curata con tanta amorevolezza durante la malattia. Secondo la signora Gertrude Metzger, la nipote, fin da quando frequentava la scuola, parlava del desiderio che aveva avuto di farsi religiosa. Anche da Rorschbach scrisse che sarebbe entrata in convento allo scadere del contratto di lavoro. La zia Giuseppina Zollers, nata Dettenrieder, le obiettò: "Tu prima devi guadagnare. Non possedendo nulla, in convento dovrai fare soltanto la serva che provvede alla stalla".
La beata non si lasciò spaventare dalle contrarietà. In seguito al consiglio del confessore, chiese e ottenne dalla Madre Provinciale delle Suore della Croce di Hegne di essere accolta tra le sue religiose. La sua condizione di fìglia illegittima costituiva una difficoltà, ma fu superata con le buone testimonianze raccolte nei suoi riguardi. Dopo aver fatto a Ehingen una visita di addio ai genitori e alla zia Gertrude, alla quale rimase legata con i vincoli della più viva gratitudine per tutta la vita, Francesca entrò nel 1904 a Hegne, e chiese alla superiora, Madre Corrada Bilger, un posto di lavoro in cui potesse fare molti sacrifici. Fu subito destinata alla cucina come sguattera, e tale rimarrà fino all\’ultimo giorno della sua attività nell\’Istituto della Santa Croce.
Il 17-10-1904 Francesca fu inviata, sempre come postulante, a Zellweierbach, presso Offenburg (Baden). La comunità era composta da tre sole suore. Alla beata, oltre al lavoro in cucina e alle altre incombenze domestiche, fu affidato il compito di dare il cambio nell\’assistenza notturna degli ammalati. In quel tempo diede prova di una notevole maturazione spirituale tanto appariva raccolta e devota nella preghiera, tranquilla e silenziosa nel lavoro, animata da grande spirito di sacrificio nella cura dei malati, e gentile anche se miseramente vestita e con le mani ruvide.
In aprile del 1906, l\’aspirante alla vita religiosa fu richiamata a Hegne per la vestizione. In quella occasione a Francesca, traboccante di gioia, fu imposto il nome di Ulrica. Durante il noviziato dedicò il tempo non assegnato all\’istruzione religiosa, alla preghiera e alla lettura spirituale, ai lavori di cucina e a qualsiasi altra occupazione affidatale dall\’obbedienza. Era difficile dire quale preferisse perché attendeva a tutte con uguale generosità e sollecitudine. Quando non era occupata nel servizio domestico si rifugiava in cappella, dove stava assorta in preghiera, immobile come una statua. Anche in seguito Suor Ulrica non potrà mai disporre di molto tempo per intrattenersi con le consorelle nelle ore di ricreazione e negli altri momenti di libertà a causa delle difficoltà e dei limiti posti dalla natura delle sue occupazioni, ma non per questo vivrà meno unita a Dio, tanto più che, per natura, non era loquace. Non sorprende, quindi, che in breve tempo si sia guadagnata la stima delle superiore, del cappellano del noviziato e della capocuoca, Suor Adama, capace di sgridare chi non sapeva subito accontentarla, e anche delle connovizie le quali si aprivano con lei quando avevano bisogno di consiglio e di sprone.
Il 24-4-1907 Suor Ulrica fu ammessa alla prima professione religiosa, e mandata all\’ospedale di Bùlhl (Baden) come addetta alla cucina. Appena la vide, una delle domestiche, ritenendola poco robusta, disse alla superiora; "Per l\’amor di Dio, come può un convento mandarle una suora cosi giovane? Come potrà cavarsela con questa ragazza?". A Bùlhl la beata doveva provvedere il vitto a una quarantina di ragazze. Il lavoro per lei iniziava alle prime ore del mattino e terminava soltanto alla sera tardi. La fatica quotidiana le era resa ancora più pesante dalla presenza in cucina di una anziana domestica, dispotica e arrogante. Ciononostante non diede segni di insofferenza o di stanchezza. Lavorava in silenzio, sempre raccolta in Dio. Se la interrogavano rispondeva il più brevemente possibile con voce sempre calma e gentile. Una consorella, alla quale Suor Ulrica si sentiva particolarmente unita, più tardi racconterà che la beata le parlava sovente dell\’angelo custode, dell\’aiuto che le prestava nel lavoro quotidiano e dell\’ostia santa che le portava nei giorni in cui le suore non facevano la comunione.
Il soggiorno di Suor Ulrica a Biilhl fu di breve durata. Nel presentarla alla comunità di Baden-Baden, dove era stata trasferita nel 1908, la superiora che ve l\’aveva accompagnata disse: "Spero che sarete buone anche con la suorina. E\’ una bravissima religiosa. Io non la dò via volentieri". Nella grande Casa di San Vincenzo, l\’esercizio della virtù costò alla beata assai più che nelle case precedenti. Vi si doveva cucinare per un centinaio di ospiti, per i bambini della scuola materna, per alcuni ammalati e molti poveri. Nella cucina vi era una capocuoca, tre domestiche e un certo numero di ragazze apprendiste cuoche, ma tra di loro Suor Ulrica non contava nulla, non era neppure tenuta in grande considerazione dalle consorelle benché nel compimento dei suoi lavori non avesse eguali per diligenza, sollecitudine e abilità. Felice di servire silenziosamente e umilmente Dio nel prossimo, nel più assoluto nascondimento, da mane a sera ella faticava per due. I lavori più pesanti avrebbero dovuto essere fatti dalle ragazze, ma la beata, per lasciarle riposare di più, se ne accollava l\’esecuzione. Badava molto alla pulizia ed era attenta e severa nell\’esigerla dalle aiutanti di cucina. Quando era necessario si prendeva cura anche della distribuzione della minestra ai poveri.
A Baden-Baden Suor Ulrica dovette sopportare rimproveri e ingiurie da parte della capocuoca, Suor Augusta Tròndle, donna malinconica, grossolana e impulsiva, fino al mese di settembre 1909. Quando inavvertitamente lasciava bruciare una pietanza o rompeva qualche piatto nel trambusto della grande cucina, o quando una ragazza compiva qualche malestro, chi ne andava di mezzo era sempre Suor Ulrica. Oltre il resto, i testi del processo dicono pure che Suor Augusta era molto gelosa. Le ragazze nutrivano della venerazione per la beata e la capocuoca ne soffriva. Un giorno non seppe contenersi. Fu quando afferrò Suor Ulrica e la premette violentemente contro un armadio della cucina. La poverina si mise solo a piangere, e quando si sentì libera dalla presa, corse in cappella e poco dopo tornò al lavoro senza dare segno dell\’umiliazione subita.
Anche la sua superiora, Suor Bonaventura-Engel, poco materna per temperamento, fece subire alla beata cocenti umiliazioni. Per il semplice fatto che era meno intelligente delle altre religiose e un po\’ smemorata, perché canzonarla chiamandola "fratel capo scarico?" Dopo frasi tanto sprezzanti non fu mai vista perdere la calma o giustificarsi, non apparve mai agitata o disgustata, scortese o scostante, caparbia o lunatica. Era gentile con tutte le consorelle e le ragazze della cucina, e prestava loro i servizi che poteva con grande amabilità. All\’occorrenza sapeva anche intrattenersi con le ragazze della cucina e prendere parte, specialmente a carnevale, ai loro canti e ai loro balli. E quando i temperamenti difficili della capocuoca e della superiora suscitavano malumore nel personale domestico, poneva ogni cura nel riportare la calma e la serenità nell\’ambiente, nell\’impedire lagnanze e mormorazioni.
A Suor Ulrica non mancarono neppure le afflizioni di spirito, ma le superò partecipando fedelmente a tutte le pratiche di pietà della comunità, Durante il giorno ogni suora poteva recarsi in cappella per un quarto d\’ora di adorazione. Tutte le volte che il lavoro le permetteva una sosta, la beata saliva in cappella attraverso la scaletta di servizio per immergersi in Dio e attingere dalla preghiera lenimento alle sue pene. Prolungava il tempo di preghiera la sera, al termine della faticosa giornata, quando, con il permesso della superiora, poteva intrattenersi in cappella più a lungo in profonda meditazione.
Suor Ulrica appena al mattino arrivava in cappella, entrava in estasi, di modo che, durante la celebrazione della Messa, sovente non si rendeva conto a che punto era giunto il sacerdote. Poiché al Vangelo continuava a restare assorta, immobile come una colonna di marmo, le consorelle la chiamavano "la dormigliona". Poche suore erano al corrente dei doni soprannaturali che Dio aveva elargito alla sua umile ancella. Nei processi è ricordato più di un fatto che non si può spiegare naturalmente: cibi bruciati o troppo salati trovati gustosi dai commensali; carne troppo scarsa, affettata nella quantità sufficiente per soddisfare al numero degli ospiti; rapidità straordinaria nella cottura dei cibi iniziata troppo tardi.
A Baden-Baden lo stato di salute di Suor Ulrica, che non fu mai soddisfacente, cominciò presto a declinare. Le consorelle la vedevano sofferente, pallida e magra, ma non l\’udirono né lamentarsi, né chiedere un alleggerimento delle sue occupazioni. Pur soffrendo acutissimi dolori di testa conservò sempre una amabilità di tratto, una dolcezza e persino una gaiezza eroica. Il 1-6-1911 a ragione poteva scrivere ai genitori: "Croci e dolori non sono mai mancati finora, lo so bene, e il Signore non li lascerà senza premio. E un buon segno quando il Signore ci visita con la croce. Egli vuoi portarci così più vicini al cielo. Per andare in paradiso bisogna camminare sulle spine della via. E’ dura in questa vita, è vero, ma se lo comprendessimo bene, sarebbe la nostra più grande felicità. Ancora un paio di anni e tutto è finito. Rimane per noi solo la splendida corona in paradiso".
Nel 1912 le sofferenze fisiche di Suor Ulrica si fecero ancora più acute. Nonostante ciò non smise di prestare il suo aiuto in cucina con inalterabile zelo e serenità. Si sottomise alle cure mediche solamente quando non le fu più possibile persistere nel lavoro a causa dei lancinanti dolori causatile dal pus che le aveva intaccato l\’osso mascellare. Il chirurgo che la operò non nascose la sua meraviglia al pensiero delle sofferenze che la paziente dovette sopportare.
A partire dall\’aprile del 1912 la salute di Suor Ulrica declinò rapidamente. I medici riscontrarono in lei una grave tubercolosi polmonare e laringea. Alla superiora che la rimproverava per non aver detto nulla del suo male, ella rispose: "Ma questo non fa mica niente, si va ora verso il paradiso". Alla cuoca apprendista che ne rimpiangeva la giovinezza disse: "Ma questo non fa niente, si va a casa. La nostra patria è lassù, non qui sulla terra. Muoio volentieri, sii la benvenuta, festosa ora della morte\’".
L\’aggravarsi dell\’infermità rese necessario il trasporto della beata a Hegne, e il ricovero nell\’ospedale di Santa Elisabetta, costruito per le suore ammalate e anziane. Durante i mesi della sua degenza la pazienza di Suor Ulrica fu inalterabile, e la conformità al volere di Dio completa. Finché il male le permise qualche piccolo sforzo attese a lavori di ago per rendersi utile alla congregazione; quando la malattia giunse al suo acme poté ancora esercitare la carità della sopportazione trovandosi in camera con una consorella il cui carattere difficile rendeva arduo anche il compito delle infermiere. A una suora, depositarla del segreto dei suoi carismi, che le aveva chiesto se ne aveva parlato ai superiori, rispose "che il buon Dio voleva che morisse come aveva vissuto, che Egli avrebbe fatto ciò che gli piaceva e a suo tempo".
La sera dell\’8-5-1913, all\’infermiera che le voleva prestare un servizio, raccomandò di recarsi ad aiutare prima un\’ammalata che, nella camera accanto, era stata colta da un accesso di tosse. Quando ritornò al suo capezzale, Suor Ulrica era già morta. In quella stessa ora, in una stanza della casa provincializia, alcuni sacerdoti che vi si trovarono riuniti, udirono un canto meraviglioso.
I resti mortali di Suor Ulrica sono venerati nel cimitero conventuale di Hegne. Giovanni Paolo II ne riconobbe l\’eroicità delle virtù il 14-12-1984 e la beatificò il 1-11-1987.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 138-143.
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