B. MERCEDES DI GESÙ MOLINA (1828-1883)

E\’ stata una religiosa ecuadoriana, fondatrice della congregazione delle suore dell\’Istituto di Santa Marianna di Gesù. La sua unica preoccupazione fu di imitare nel modo più perfetto santa Marianna di Gesù, il giglio di Quito. Sotto la guida del confessore, cominciò a dedicarsi all\’orazione ed entró in un\’atmosfera di unione con Dio. Rapita in estasi e consolata dalla visione sensibile di Ge­sù, le ore trascorrevano senza che se ne avvedesse. È stata proclamata beata da papa Giovanni Paolo II il 1º febbraio del 1985, durante il suo viaggio apostolico a Guayaquil.

E\’ la fondatrice delle Suore di S. Marianna di Gesù le quali costituirono il primo Istituto ecuadoriano autoctono destinato all\’istruzione e all\’educazione della gioventù. Mercedes nacque nel 1828 a Babà, nel dipartimento di Guayaquil, ultima dei tre figli che Michele, di agiata condizione, ebbe da Rosa Ayala. L\’atto del battesimo che la riguardava andò distrutto in un incendio.
La beata, rimasta a due anni orfana di padre, crebbe sotto la guida della madre la quale, trasferitasi con la famiglia a Guayaquil, insegnò ai figli a leggere e a scrivere non essendo ancora istituite le scuole pubbliche, oltre che a crescere leali con Dio e con il prossimo. A quindici anni Mercedes rimase orfana anche dalla mamma. Una zia, residente a Babà, se ne prese cura fino a quando la sorella maggiore di lei, Maria, si sposò e andò ad abitare nella fattoria che le era toccata in sorte. Anche la beata allora andò a vivere per cinque anni a Guayaquil, ospite però della Sig.ra Rosa Aguirre de Olmos, amica della famiglia Molina. Per ricambiare l\’ospitalità che le era stata offerta sbrigò le faccende quotidiane, si dedicò all\’istruzione della servitù e si perfezionò nel suono del pianoforte.
Crescendo in età, Mercedes indulse alle vanità e agli agi propri della vita borghese. In quel tempo non pensava ancora alla vita religiosa. Un giorno, durante una delle sue solite passeggiate, fu scaraventata a terra dal cavallo imbizzarrito sui cui era salita, e si ruppe un braccio. Durante i giorni del forzato riposo Dio le fece comprendere che le cose della terra sono vanità. Propose perciò di indossare l\’abito bianco di Nostra Signora della Mercede e cominciò a mortificare il suo corpo con cilici e catenelle. Avrebbe anche emesso i voti religiosi se il suo confessore, il can. Pietro Garbo, glielo avesse permesso, ma costui la esortò soltanto, data la sua posizione sociale, a contrarre regolare matrimonio.
Mercedes a ventun anni fu chiesta in sposa da un giovane di brillante condizione sociale, ma le nozze di cui era già stata stabilita la data non furono mai celebrate perché una sera, la beata, mentre contemplava Gesù crocifisso appeso alla parete della sua camera da letto, si sentì talmente sconvolta che si gettò in ginocchio e fece il voto di perpetua castità. Quel matrimonio le era sembrato come una infedeltà. Da quel momento sua unica preoccupazione fu di imitare nel modo più perfetto possibile gli esempi di S. Marianna di Gesù Paredes, giovane di Quito, la quale, dal 1618 al 1645, condusse in casa una vita di preghiera, di penitenza e di carità verso i poveri. Anche Mercedes visse come una religiosa nella casa che la sorella, rimasta vedova, aveva acquistato vicino alla cattedrale, tutta dedita all\’orazione, alla mortificazione e al lavoro manuale per soccorrere i poveri e aiutare le chiese prive di risorse economiche.
Nei pochi scritti che la beata ci lasciò si trovano minutamente descritte le penitenze alle quali si sottoponeva nei vari giorni della settimana. Era stata indotta a farle dal Signore stesso quando le apparve, mentre pregava, con la croce in spalla e le aveva ripetuto: "Dammi anime". A quel gemito il suo cuore, rimasto come lacerato dal dolore e dall\’amore, e per immedesimarsi sempre più con il martire del Golgota, si abbandonò all\’uso di terribili strumenti di penitenza. Anche l\’orario che aveva proposto di seguire esigeva da lei un continuo dominio sul proprio corpo.
Lasciò scritto: "Mi alzerò alle tre del mattino. Farò mezz\’ora di orazione vocale e quindi due ore di orazione mentale. Andrò in chiesa alle sei del mattino, prenderò parte alla Messa, mi comunicherò e farò due ore di orazione. Dopo darò conto al mio direttore delle cose della mia anima e mi confesserò. Alle nove ritornerò a casa… Dalle sei alle sette di sera farò orazione; cenerò dopo le sette, berrò acqua e alle otto reciterò il rosario. Farò l\’esame di coscienza per un quarto d\’ora e preparerò i punti della meditazione. Andrò a letto alle nove della sera. Dal giovedì fino al sabato non berrò acqua".
Durante il giorno i lavori inerenti al governo della casa e all\’educazione di due nipotine, non distraevano la beata dalla continua unione con Dio, che aveva acquistato sotto la guida del P. Vincenzo Pàstor, e soprattutto del P. Amedeo Millàn (+1867), canonico del duomo di Guayaquil e profondo conoscitore di mistica. Costui esaminò diligentemente le vie straordinarie attraverso le quali il Signore conduceva Mercedes, e la esortò a continuare a purificare i suoi sensi con le penitenze e i digiuni e ad aumentare le pratiche di vita contemplativa.
Era volontà di Dio però che la beata, pur coltivando l\’interiore raccoglimento e pur praticando le più aspre penitenze, si dedicasse all\’istruzione e all\’educazione della gioventù.
Dispose perciò che diventasse suo direttore spirituale e confessore il P. Domenico Bovo, gesuita veronese, il quale, appena giunse a Guayaquil (1863), volle chiamarsi Domingo Garcia in onore del grande presidente cattolico della repubblica ecuadoriana, Gabriele Garcia Moreno.
Per raggiungere con l\’aiuto del P. Domingo un più alto grado di perfezione, la beata sentì le necessità di spogliarsi totalmente dei suoi averi legandosi al Signore anche con i voti di povertà e di ubbidienza. Distribuì alle bambine indigenti i suoi gioielli e le sue ricche vesti e, nonostante l\’opposizione dei parenti, vendette la casa che aveva in città e la piantagione di caffè e cacao che possedeva nel cantone di Babà, e ne diede il ricavato parte ai poveri e parte ai Gesuiti intenti in quel tempo a costruire la chiesa di S. Giuseppe. Il 1-2-1867 abbandonò segretamente la sorella con la quale aveva abitato per diciotto anni, si rifugiò nella chiesa di S. Giuseppe dove trascorse la notte in preghiera e, il giorno dopo, fatta la rinnovazione dei voti religiosi, si recò all\’orfanotrofio di Guayaquil che il P. Michele Franco SJ. aveva fondato con l\’aiuto di donna Maria Giovanna Marin, parente di Mercedes, e molto malata. Vi fu accolta come infermiera e ospitata nella stanza che un tempo era servita da pollaio. Con sé non portò che un crocifisso, un orologio, gli strumenti di penitenza, un letto e due vestiti neri.
Nonostante la "notte oscura" in cui in quel tempo era sommersa e le vessazioni del demonio alle quali veniva sottoposta, Mercedes si diede con tutte le sue forze all\’istruzione e all\’educazione delle bambine. Dopo nove mesi, per le speciali doti pedagogiche di cui aveva dato saggio, fu nominata direttrice dell\’orfanotrofio. Per tre anni fu per le orfane una madre amorosa e una maestra paziente ed esigente nello stesso tempo. Per provvedere alle loro quotidiane necessità non si vergognò di andare a stendere la mano anche nelle case in cui era stata ammirata per la sua bellezza, e invidiata per lo sfarzo delle sue vesti.
Verso al fine del 1869 la B. Mercedes fu colpita da una paralisi così violenta che, per recarsi a pregare nella chiesa di S. Giuseppe, aveva bisogno di essere sostenuta da due donne. La sorella Maria le mandò il suo medico personale, ma non le fu di alcun giovamento. Frattanto il P. Domingo era stato mandato dai suoi superiori a fondare una missione a Gualaquiza. Di là scrisse alla sua figlia spirituale che era volontà di Dio che lo raggiungesse con alcune compagne per fare scuola alle figlie della tribù degli Jibaros. Alla lettura di quella lettera Mercedes balzò dal letto. Era perfettamente guarita. Il 5-6-1870 si mise in viaggio con due compagne per Cuenca, Gualaceo, e Sigsig, ultimo centro civile sulla via dell\’oriente ecuadoriano, e raggiunse le capanne di Gualaquiza, abitate da cacciatori di teste, dopo quaranta giorni di cammino tra selve e giungle sconfinate, montagne e pantani terrificanti.
Poco dopo l\’arrivo di Mercedes a Gualaquiza, una tribù di Jibaros dichiarò guerra agli indiani della missione. Ella si vide allora costretta, con suo grande rammarico, a sospendere l\’evangelizzazione tanto delle bambine quanto delle donne. Durante il forzato riposo pensò alla fondazione di una congregazione religiosa che il Signore le aveva precedentemente fatto vedere, mentre pregava, come un bei rosaio piantato nel giardino della Chiesa ecuadoriana dal quale si distaccava una rosa di rara bellezza. Essa rappresentava la sua anima. Il P. Domingo l\’aiutò ad abbozzare le prime costituzioni seguendo la spiritualità della Compagnia di Gesù.
Quando cessò la guerra tra i selvaggi non fu più possibile ai Gesuiti riprendere il loro lavoro missionario a causa del vaiolo che imperversò nella regione. Per otto mesi i missionari, la beata e le sue collaboratrici si dedicarono giorno e notte all\’assistenza dei malati guadagnandosi così la riconoscenza degli indiani. Essi avrebbero di certo affidato alla beata le loro figlie perché le istruisse nella religione cattolica se fosse rimasta tra loro. Invece, nel 1872, i Gesuiti furono costretti a chiudere la missione perché i coloni bianchi si erano rifiutati di pagare le imposte destinate al loro sostentamento, e qualche mese dopo, anche Mercedes con le sue compagne, terminata l\’assistenza agli appestati, dovette fare ritorno a Cuenca scortata da un picchetto di soldati.
Intanto la beata pregava il Signore perché le mostrasse il modo di mandare ad effetto il desiderio che le aveva messo nel cuore, e cioè l\’istituzione di una congregazione per la formazione della gioventù ecuadoriana. A Cuenca, città natale di S. Michele Francisco Febres Cordero (+1910), Fratello delle Scuole Cristiane, le fu offerta la direzione di un orfanotrofio. Per tre anni formò alla vita cristiana le bambine che vi erano ospitate senza trascurare l\’assistenza ai moribondi, la rieducazione delle donne adulte e soprattutto la sua preghiera, le sue penitenze e la lettura spirituale. Tuttavia non doveva essere quell\’orfanotrofio l\’inizio della nuova famiglia religiosa che aveva progettato.
Il vescovo di Riobamba, Mons. Ignazio Ordonez, da molto tempo pensava di fondare nella sua diocesi un orfanotrofio sotto la direzione di una congregazione. Avendo saputo dal P. Domingo, trasferito dai suoi superiori a Riobamba, che tanto lui quanto Mercedes Molina avevano concepito il medesimo disegno, lo pregò di fare venire immediatamente a Riobamba la Mercedes con alcune compagne. La beata sistemò le bambine che le erano state affidate, e il 31-1-1873 raggiunse Riobamba con le tre amiche che si era scelte. Il 14 aprile dello stesso anno il vescovo istituì le Suore di S. Marianna, donò loro una casetta, le rivestì dell\’abito che S. Luigi Gonzaga aveva mostrato in visione alla beata, le ammise alla prima professione religiosa, e diede loro il compito di istruire ed educare la gioventù sotto la guida della quarantacinquenne Madre Mercedes.
Quel giorno nella beata si dissiparono le tenebre della "notte oscura", e cessarono le vessazioni diaboliche che Dio aveva permesso contro di lei per la maggior purificazione della sua anima. Per la costruzione del primo convento delle Mariannite il presidente dell\’Ecuador, Garcia Moreno, promise 40.000 pesos, e il governo nel 1873 assegnò loro 2000 "sucres" annui. Con i nuovi compiti Madre Mercedes non variò in nulla il suo genere di vita. Il suo direttore spirituale, il Dott. Fernando Giner, la obbligò a prendere una tazza di caffè al mattino perché soltanto alla sera mangiava un po\’ di riso senza sale, e beveva una tazza di latte. Si era ridotta a mangiare soltanto una volta al giorno quando, durante la sua permanenza a Guayaquil, udì una voce che le disse: "Non di solo pane vive l\’uomo". Non si preoccupava affatto della propria salute perché ogni tanto, mentre pregava, la stessa voce le diceva: "Abbi cura del mio nome, io veglierò per te". Mentre le suore cenavano ella si disciplinava a sangue.
Durante il pranzo faceva la lettura spirituale in refettorio o serviva le orfanelle a mensa. Durante il giorno sua costante occupazione era quella di scopare la casa, zappare l\’orto e lastricare i cortili. Ogni lunedì chiamava una alla volta nella sua stanza le orfanelle per correggerle dei loro difetti, per insegnare loro il modo di comportarsi in chiesa e a scuola, di praticare la devozione al S. Cuore di Gesù e di prendere parte con profitto alla Messa. Alle suore consigliava di rinnovare i voti al momento della elevazione dell\’ostia nella Messa, e di ricevere nella comunione il Signore la domenica come medico, il lunedì come re, il martedì come padre, il mercoledì come maestro, il giovedì come sposo, il venerdì come redentore e il sabato come luce.
L\’Istituto della B. Mercedes corse il pericolo di scomparire fin dal suo nascere per l\’impreparazione tecnica della prime Mariannite, la scarsa capacità organizzativa della fondatrice, il rifiuto della loro direzione spirituale da parte dei Gesuiti, e soprattutto l\’assassinio del loro sostenitore, Garcia Moreno (+1875). La rendita che fino allora gli aveva permesso di prosperare venne soppressa dal governo rivoluzionario e massonico, motivo per cui le orfanelle arrivarono anche a patire la fame.
Per sopravvivere le suore si trasformarono in lavandaie, cucitrici e stiratrici, in fornaio, in fabbricanti di candele e di sapone. Così facendo a poco a poco riuscirono a superare le difficoltà economiche, ma al loro posto subentrarono nella comunità il disordine e la confusione per l\’impossibilità di osservare tanto le regola quanto la vita comune. La fondatrice moltiplicò le preghiere e le mortificazioni per ottenere da Dio il rimedio a tanto male. Capì che consisteva soltanto nell\’olocausto della sua persona.
Il 9-1-1876 l\’ordinario del luogo acconsentì che la fondatrice, da superiora diventasse suddita della sua famiglia religiosa. Fu sostituita in quel gravoso compito dalla suora che lei stessa aveva prescelto, la neoprofessa Suor Maria Estatira Uquillas. L\’eletta si mise a piangere ai suoi piedi. La beata la abbracciò teneramente e la rincuorò dicendole: "Figlia mia, accetta l\’incarico. Dio lo vuole. Io farò tutto il possibile per te!". Nelle difficoltà non si stancava di ripeterle: "Abbiamo fiducia in Dio. Se si adempie la regola, nulla ci mancherà".
Finché visse la Mercedes fu consigliera della superiora, maestra delle novizie, economa della casa madre e direttrice delle fanciulle. Ebbe così modo di salvare lo spirito della Congregazione facendosi con l\’esempio e il consiglio esigente ancella di coloro che aspiravano a farne parte.
Nel 1883 fu colpita da polmonite. Appena ne fu a conoscenza, disse alla superiora: "La mia ora è arrivata". Fu assistita dal P. Pietro Clam, redentorista, confessore della comunità. Un giorno le manifestò i dubbi che nutriva riguardo alla sopravvivenza della congregazione che aveva fondato, ma la morente gli rispose: "Credo, Padre, che essa dovrà estendersi assai perché era molto grande il roseto che il Signore mi mostrò". Era convinta che la fondazione dell\’Istituto era opera di Dio, non degli uomini. Della sua figlia spirituale il P. Clam dirà: "Ho saputo dalla sua bocca che non perdeva la presenza di Dio, non solo abituale, ma anche attuale. Non poteva vivere senza pensare a lui, o parlare di lui". Non stupisce quindi che, quando faceva la comunione, sovente perdesse l\’uso dei sensi e le fosse dato di stringere tra le sue braccia il Bambino Gesù e vezzeggiarlo. Madre Mercedes andò a ricevere il premio delle sue fatiche il 12-6-1883 dopo aver mormorato: "Gesù mio, accoglimi!". Al triste annuncio la gente di Riobamba esclamò: "È morta la santa!". E accorse a darle l\’estremo saluto in massa. Dal 29-6-1954 le sue reliquie sono venerate nella stanza in cui visse, trasformata in cappella. Giovanni Paolo II ne riconobbe l\’eroicità delle virtù il 27-11-1981 e la beatificò a Lima il 1-2-1985 durante il suo viaggio pastorale nell\’America Latina.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 172 -178
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