B. GIOVANNI DA PRADO (1563-1631)

Il beato Giovanni da Prado, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori fu un martire. Egli fu mandato in Africa per offrire assistenza spirituale ai cristiani costretti in schiavitù nei regni degli infedeli; arrestato, testimoniò coraggiosamente la propria fede in Cristo davanti al tiranno Mulay al-Walid, per ordine del quale subì il martirio.

Questo missionario e martire dei Frati Minori Osservanti Scalzi, che impersonavano la riforma sorta in Spagna nel 1519 per un ritorno a una più austera pratica della regola francescana, nacque nel 1563 a Morgovejo, nel regno del Leon (Spagna), dal capitano Don Sancio da Prado e Donna Isabella d\’Armensón. Rimasto presto orfano di entrambi i genitori, si prese cura dell\’educazione e dell\’istruzione di lui uno zio, arciprete di Vega de Cerveja. Al termine degli studi ordinari frequentò la celebre università di Salamanca (Leon). A un certo momento, non sappiamo perché, lo zio non gli somministrò più gli aiuti necessari.
Il beato, che cresceva con il desiderio di vivere ritirato dal mondo, decise allora di farsi religioso in seguito all\’amicizia da lui contratta con due Minori Osservanti Scalzi. Si recò quindi nell\’Estremadura, dove risiedeva il Ministro della Provincia di San Gabriele, e gli manifestò il desiderio che aveva di santificarsi alla scuola di S. Francesco. La richiesta di un giovane che aveva intrapreso un lungo viaggio per una causa tanto giusta non poteva restare inesaudita. Fu perciò mandato nel convento di Roccamador dove, il 17-11-1584, vestì l\’abito francescano, e il 18-11-1585, al termine del noviziato, emise la professione religiosa.
I progressi fatti da Giovanni nella pratica delle virtù e nella osservanza delle regole furono talmente rapidi che i suoi superiori ne rimasero meravigliati. Gli fecero quindi continuare gli studi di filosofia e teologia nei conventi di Placencia e Villa Nueva del Fresno e, appena fu ordinato sacerdote, gli affidarono il compito della predicazione.
Per quarant\’anni il beato, che pur amava di vivere ritirato in cella, percorse la Spagna a piedi e vivendo di elemosine, dispensò a piene mani la parola di Dio e convertì innumerevoli peccatori. Nell\’esporre le verità della fede e nel parlare dell\’immacolato concepimento di Maria, in quel tempo non ancora dogma di fede, sovente si commuoveva fino alle lacrime, di modo che anche gli uditori prorompevano in sospiri e singhiozzi, pensando alla gravità dei loro peccati e alla infinita misericordia di Dio.
Nel suo zelo per la salvezza delle anime, nei giorni di festa, il B. Giovanni radunava i fanciulli in chiesa, faceva loro il catechismo, li conduceva in processione sulla piazza della città e rivolgeva loro e al popolo accorso parole di vita eterna. Si adoperò pure per organizzare, secondo gli usi del tempo, Congregazioni di Penitenti, i quali, nei giorni di quaresima e in tutti i venerdì dell\’anno, si radunavano in chiesa per ascoltare la parola di Dio e concludere le loro pratiche di devozione con l\’uso dei flagelli.
Il beato era convinto che per salvare la anime occorreva pregare e fare molta penitenza. Sostenuto dalla grazia di Dio, egli praticò fino alla morte mortificazioni che hanno dell\’incredibile. Sia d\’inverno che d\’estate camminava a piedi nudi, dormiva di solito per terra sopra una tavola ricoperta da una pelle di agnello o da un vecchio panno, e sotto la tonaca nascondeva un cilicio di latta, un giubbone intessuto di punte di cardi e una croce di acciaio con trentatré punte. Un giorno si ammalò. All\’infermiere che lo esortava a deporla e a fare uso della camicia, rispose: "Ah, fratello mio, quanto costa il cielo! E per quanto si possa fare, poco facciamo per conseguirlo". Tutti gli anni faceva tre quaresime. Non beveva vino e non mangiava carne. Se veniva costretto a farne uso nelle solennità, la condiva con la cenere. Digiunava pure tutti i sabati dell\’anno, nelle vigilie delle feste della Madonna, degli apostoli e di molti altri santi.
Ogni giorno il B. Giovanni celebrava la Messa dopo lunghe orazioni e una severa disciplina. I fedeli, al vederlo sovente in lacrime, ne rimanevano sommamente edificati. Talora gli si avvicinavano per raccomandarsi alle sue preghiere perché godeva fama di profeta, o per baciargli la tonaca, ma egli diceva loro di essere soltanto "un grandissimo peccatore" e "un miserabile giumento". Eppure sovente andò in estasi. Una volta gli fu rivelato che avrebbe ricevuto la corona del martirio da lui tanto bramata, e tre volte udì parlargli il crocifisso davanti al quale in cella soleva meditare.
Grande era la devozione del beato per l\’Eucaristia. Esigeva che le suppellettili della chiesa fossero linde e gli altari puliti. Nel portare solennemente il viatico ai morenti non tollerava freddezze o incurie. Egli stesso vi prendeva parte con grande trasporto ogni volta che la campana gliene segnalava il passaggio. Un giorno, nell\’assistere all\’amministrazione del viatico a un infermo che poco prima egli aveva riconciliato con Dio, fu tanto l\’ardore che provò per Gesù presente nell\’ostia santa che il suo volto divenne splendente come un sole. Felice era pure quando poteva prendere parte alla processione del Corpo di Cristo e di celebrarne i trionfi.
Durante la sua vita, il B. Giovanni da Prado fu incaricato della formazione dei novizi nel convento di Nostra Signora del Monte Coeli. Più volte fu nominato Guardiano e quando, nel capitolo del 19-12-1620, fu eretta la provincia di San Diego (Andalusia), egli fu scelto come primo Provinciale. Reputandosi incapace di un compito così importante rinunciò all\’incarico, ma il superiore generale dell\’Ordine glielo impose per ubbidienza.
Nell\’osservanza della regola, soprattutto della povertà, il beato fu rigido sia con sé che con i sudditi. Un canonico, amico dei Minori Osservanti Scalzi, di propria iniziativa aveva cominciato a raccogliere offerte tra i fedeli per il convento di cui il B, Giovanni era Guardiano.
Appena lo seppe molto se ne rammaricò, e supplicò il canonico di desistere dal suo proposito volendo egli e i suoi confratelli essere fedeli alla povertà evangelica professata. Nel tempo del suo provincialato non accondiscese che si facessero spese fuori dell\’ordinario per il sostentamento dei partecipanti al capitolo. Rispose a chi gliene faceva le rimostranze: "Lo spendere e il ricorrere ai benefattori in simili circostanze è soltanto corruttela e rilassamento". Egli stesso, durante i suoi viaggi, non transitava mai per quei luoghi in cui c\’erano benefattori degli Scalzi per essere costretto a questuare ciò di cui aveva bisogno.
Nella vita religiosa, sia da suddito che da superiore, il B. Giovanni era sempre il primo ad occuparsi delle mansioni più umili del convento come portare legna in cucina, sparecchiare le mense, lavare i piatti, scopare corridoi e scale, faticare nell\’orto, prestare ai malati i più umili servizi, rappezzare le tonache dei confratelli più anziani, uscire con la bisaccia in spalla per la questua. In questo modo le raccomandazioni che faceva ai confratelli per l\’osservanza delle regole, il distacco dal mondo e il buon esempio ai secolari, avevano maggior efficacia sul loro animo.
Non avendo potuto andare missionario nella Guadalupa, isola delle Piccole Antille scoperta da Cristoforo Colombo nel 1493, mentre era Guardiano di Cadice (Andalusia) fu assalito dal desiderio di andare a confortare i cristiani che erano caduti schiavi dei musulmani in Marocco, e a convertire i cristiani che avevano rinnegato la fede, gli ebrei e i seguaci di Maometto. Un devoto, data l\’età, lo sconsigliò di andare in missione, ma egli gli rispose che sarebbe stato sommamente felice di dare la vita per Cristo. Anche il P. Giovanni Ximénez, provinciale di San Diego, non gradì la richiesta che gliene aveva fatto non tanto perché già anziano, quanto perché era ancora molto utile alla provincia. I superiori maggiori, però, non furono del suo avviso, motivo per cui il beato, appena il mercante Rocco Francesco gli ottenne un salvacondotto per quel paese, si recò dal Duca di Medina Sidonia (Andalusia), comandante della marina, e ottenne che fosse messa a disposizione sua e dei suoi due confratelli una imbarcazione.
Il B. Giovanni salpò da Cadice per il Marocco il 27-11-1630 insieme al P. F. Mattia e a Fra Ginez e, dieci giorni dopo, sbarcò a Mazagan, porto naturale di Marrakech, là capitale. Durante la sua permanenza nella fortezza della città fu di grande aiuto ai cristiani con l\’esercizio di un intenso ministero. Raccomandò ai sacerdoti di avere cura delle chiese, degli altari, dei messali e dei paramenti sacri. Molti ne restaurò con le offerte dei fedeli. Grande fu quindi la venerazione che tutti ebbero per lui. Persino i mori gli baciavano l\’abito esclamando: "Costui è veramente un uomo di Dio!"; Un giorno si svolse per le vie della città una processione di penitenza in onore di Gesù Crocifisso, e fu talmente grande il trasporto che il B. Giovanni ne provò che, nell\’esortare i presenti al pentimento dei propri peccati, andò più volte in estasi.
Senza attendere gli inviati del re che dovevano accompagnarlo alla reggia, il beato, con i suoi compagni, di notte fuggì dalla fortezza verso Azamor, ma i soldati lo arrestarono e il comandante della città lo esortò a fare ritorno a Mazagan. Appena vi giunse seppe che il re del Marocco era stato trucidato dal fratello, Muley, il quale si era impadronito del trono. Era quindi necessario che i religiosi attendessero la conferma del loro salvacondotto prima di raggiungere la capitale. Il beato, divorato dallo zelo per le anime, volle riprendere ugualmente il viaggio fidando nella Provvidenza di Dio. Si fermò per tredici giorni ad Azamor, e ne approfittò per dimostrare ai mori la falsità della loro setta e rimproverare ai giudei l\’ostinazione nel non riconoscere Gesù Cristo come il Messia. Il rabbino della sinagoga ebbe molti colloqui con lui. Alla fine confessò che, nella sua vita, non aveva mai conosciuto un uomo più dotto di lui nella S. Scrittura.
Dopo quattro giorni di viaggio il B. Giovanni giunse a due leghe dalla capitale. Era il 2-4-1631 .I cristiani schiavi lo ricevettero come un angelo disceso Mal cielo, e ne approfittarono per accostarsi ai sacramenti. Predicò loro redarguendo musulmani, giudei e cristiani rinnegati con tanto zelo che i suoi compagni più volte gli raccomandarono la prudenza per non pregiudicare la loro missione. Il B. Giovanni prometteva di attenersi ai loro consigli, ma quando gli si presentava l\’occasione di parlare di Dio e della fede cattolica faceva uso di parole più forti del necessario contro i non cristiani. Avrebbe persino voluto entrare in Marrakech con il crocifisso in mano per indurre più facilmente i musulmani alla fede, ma i fedeli lo supplicarono di reprimere le vampe del suo zelo per non mettere a repentaglio la sua vita.
Il re, sorpreso della venuta dei tre francescani in Marocco, li avrebbe volentieri messi a morte, ma il cadì gli fece notare che avrebbe potuto soltanto esiliarli essendo essi in possesso di un regolare salvacondotto rilasciato loro dal suo predecessore. Il 4-4-1631 li ricevette in udienza e, senza nessun riguardo per le lettere commendatizie e i doni del duca di Medina Sidonia, intimò loro di lasciare il regno.
Il beato, in attesa del salvacondotto promesso, si recò a celebrare la Messa nella chiesa degli schiavi cristiani, ma il re glielo proibì perché sperava di convertirli al maomettanesimo. Per potere continuare ad assistere i fedeli trasformò in cappella una stanza del medico spagnuolo, che aveva curato e guarito il re trucidato e che, in compenso, aveva ottenuto un salvacondotto per i tre Minori riformati Scalzi. Poté così celebrare con grande solennità la Pasqua, ma il re, furente, ordinò che i tre religiosi fossero legati con catene e rinchiusi nella scuderia del palazzo reale trasformata in prigione. Anziché lamentarsene il B. Giovanni diceva ai compagni: "Fratelli miei, rallegriamoci e consoliamoci molto perché stiamo imitando il nostro maestro e Redentore Gesù Cristo. Rendiamogli infinite grazie per il singolare favore che ci fa".
In carcere i tre Minori Riformati furono mantenuti dalla carità dei cristiani. Essi pagarono anche le guardie perché permettessero loro di celebrare la Messa prima del sorgere del sole. Il re aveva ordinato che fosse data loro soltanto dell\’acqua, e che fossero costretti a pestare polvere in un mortaio con mazze di bronzo. Unica loro ricompensa erano gli insulti che ricevevano sia dai cristiani rinnegati, sia dai maomettani i quali, talvolta, penetravano nella loro cella e dicevano: "Lavorate, cani, o fatevi mori". Anziché perdersi d\’animo il beato sospirava: "Quando mai, mio Dio, meritai tanto bene? Ora sì, o Signore, conosco che mi ami, e che soddisfi i miei desideri". E, pensando alla passione di Gesù, animava i confratelli a stare saldi nella fede e a riflettere che, nonostante le persecuzioni, Dio non li aveva incannati. Le stesse esortazioni egli rivolse a Francesco Rocco il giorno in cui, accusato falsamente presso il re, fu percosso a sangue e imprigionato per alcuni giorni.
Più volte il re chiamò il B. Giovanni da Prado alla sua presenza e, poiché non riusciva a fargli rinnegare la fede che predicava, più volte ordinò che fosse flagellato a sangue. Infiammato di santo zelo, il beato rinfacciò allora al tiranno la falsità del maomettanesimo e gli dimostrò la necessità di fare parte della Chiesa Cattolica per salvarsi. Sdegnato il sovrano per la libertà che il beato si era presa, sentenziò: "Questo cristiano mi pagherà il male che dice di Maometto, mio profeta".
Il 24-5-1631 il re ordinò che i tre francescani a uno a uno fossero condotti davanti al suo consiglio. Il B. Giovanni pregò il Signore perché gli concedesse presto la grazia di morire martire per il suo nome. A Muley, per mezzo di un interprete, parlò di nuovo come a un fratello della necessità di farsi cristiano per la salvezza eterna. Concluse il suo dire affermando: "Questa, o re, è l\’ambasciata che sono venuto a portarti fin dalla Spagna con tanti travagli". Per l\’ennesima volta il re esortò il beato a farsi moro, ma questi, pieno di sdegno, ricusò dicendo che Maometto era un falso profeta e che la sua legge non conduceva al Paradiso. Pieno di furore il re ordinò che il beato fosse legato a una colonna e flagellato. Ricondotto in carcere, l\’eroico figlio di S. Francesco raccontò al suo compagni quello che era avvenuto alla presenza del consiglio del re, e continuò a pregare il Signore perché gli desse la forza necessaria per trionfare dei suoi nemici.
Secondo il Corano, coloro che dicevano male di Maometto dovevano essere arsi vivi. Il cadì in questo caso vi si oppose perché il B. Giovanni si era semplicemente difeso dalle accuse che i mori avevano mosse alla religione cristiana. Il re, fattolo venire di nuovo alla sua presenza, poiché continuava a dire che Maometto era un falso profeta, lo ferì con la sciabola alla testa. Il beato, intriso di sangue, cadde in ginocchio e mentre, allargando le braccia, sollevava lo sguardo al ciclo, fu trafitto da una saetta scoccata dal re. Poiché non era ancora morto, i cristiani rinnegati e i maomettani con pietre e bastoni infierirono contro di lui e lo finirono fracassandogli la testa con una forcina.
La salma del martire, mezza arsa dal fuoco, fu sepolta con le ceneri in un fossa che serviva da chiavica alla piazza del palazzo reale. I cristiani nell\’ottobre del 1634 ne riesumarono i resti. Essi furono portati a Siviglia e posti nella chiesa di S. Diego dove sono ancora venerati. Clemente XI riconobbe il martirio di Giovanni da Pardo il 27-3-1712, e Benedetto XIII lo beatificò il 14-5-1728.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 5, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 280-286
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