B. ARNOLDO JANSSEN (1837-1909)

Durante la guerra franco-prussiana (1870), non potendo continuare le sue peregrinazioni, Don Arnoldo scrisse e fece stampare un Manualetto di preghiere comunitarie con una spiccata impostazione trinitaria, e altre preghiere per infondere nel popolo un più vivo interesse per le necessità  della Chiesa. Gli stava particolarmente a cuore la diffusione di una preghiera con cinque intenzioni per la recita del rosario nelle famiglie. Per farle conoscere al maggior numero possibile di persone nell’estate del 1872 percorse la Germania orientale, l’Alsazia, la Lorena, la Svizzera e l’Austria. 15 gennaio

Il fondatore della Società del Verbo Divino nacque il 5-11-1837 a Goch, nella diocesi di Munster (Germania), da Gerardo e da Caterina Wellesen i quali, oltre a un’azienda agricola, gestivano un piccolo servizio di trasporti. Agli undici figli che ebbero, due dei quali divennero sacerdoti e uno cappuccino laico, impartirono una severa educazione religiosa. Arnoldo, il secondogenito, dopo la scuola elementare s’iscrisse al seminario maggiore di Gaesdonch. Per l’insufficiente preparazione scolastica fu costretto a ripetere l’anno, ma in seguito, pur non possedendo una brillante intelligenza, superò ogni anno gli esami, e nel 1855 ottenne il diploma di maturità davanti .alla commissione statale.

Meta di Arnoldo era il sacerdozio inteso, non come cura d’anime, ma come apostolato nella scuola. A Mùnster fu accolto nel Borromeum, convitto vescovile per aspiranti al sacerdozio, e frequentò la facoltà di filosofìa all’accademia reale. Fra le materie predilesse la matematica e le scienze naturali per le quali aveva particolari attitudini. Nel 1857 passò all’università di Bonn. Prese alloggio in una casa privata, e con il compagno che condivideva la sua stanza si recò ogni giorno in chiesa ad ascoltare la Messa e a fare ogni quindici giorni la comunione. Ottenuta l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole superiori (1859), riprese alloggio nel Borromeum e frequentò le lezioni di teologia e di letteratura inglese nella regia accademia.

Fu quindi ammesso in seminario dove si preparò al sacerdozio sostenendo altri esami suppletivi di abilitazione all’insegnamento di matematica, di scienze naturali e di religione per tutte le classi del ginnasio-liceo senza mancare agli esercizi propri del seminario. Tanti successi erano dovuti alla sua esemplare diligenza, alla ferrea volontà nell’impiego delle forze e del tempo senza pregiudizio della salute. Finché visse non si concesse mai una vacanza, conscio del dovere di mettere a frutto i doni ricevuti dal Signore.

Dopo l’ordinazione sacerdotale (1861) il vescovo nominò Don Arnoldo vicerettore della scuola di Bocholt, di orientamento tecnico-professionale, e insegnante di francese, di matematica e di scienze naturali. Il Beato attese ai suoi compiti con grande diligenza e si adoperò perché la biblioteca dei professori fosse arricchita di nuovi libri e il gabinetto di fisica di nuovi apparecchi. Venuto a conoscenza dell’ignoranza e della miseria in cui versavano tanti lavoratori, li istruì gratuitamente in una scuola domenicale che era stata aperta per essi e, più d’una volta, s’impose sacrifici personali non indifferenti per aiutarli a pagare i debiti che avevano contratto. Nei giorni di festa esercitava con zelo il ministero nelle parrocchie più bisognose di aiuto, specialmente nel circondario confinante con l’Olanda, dove si parlava l’olandese, lingua a lui familiare fin da bambino. Impiegava il tempo che gli rimaneva libero dalle occupazioni nel tenere conferenze e nello studiare la Bibbia e la Somma teologica di S. Tommaso d’Aquino che non aveva potuto approfondire prima a causa degli studi di specializzazione.

Nel 1865 Don Arnoldo venne a conoscenza dell’apostolato della preghiera che da tre anni andava diffondendosi in alcune diocesi tedesche. Divenutone socio e promotore a Bocholt (1866), scrisse un piccolo manuale per spiegare il fine dell’associazione e lo diffuse in 90.000 esemplari nei territori di lingua tedesca. Nel 1887 fu nominato direttore diocesano dell’apostolato della preghiera. Per diffonderne tra i fedeli la conoscenza durante le vacanze si recava a piedi da un paese all’altro della diocesi riuscendo così, in diversi anni, a visitarne 300 su 350. Ogni venerdì celebrava la Messa in onore del S. Cuore di Gesù rinunciando all’offerta. Nel 1869, al Katholikentag di Dùsseldorf, con un discorso ben preparato riuscì a fare accogliere all’unanimità dai congressisti la proposta di raccomandare l’apostolato della preghiera a tutti i cattolici tedeschi tra i quali egli aveva già diffuso 400.000 copie dei suoi opuscoli.

Durante la guerra franco-prussiana (1870), non potendo continuare le sue peregrinazioni, Don Arnoldo scrisse e fece stampare un Manualetto di preghiere comunitarie con una spiccata impostazione trinitaria, e altre preghiere per infondere nel popolo un più vivo interesse per le necessità della Chiesa. Gli stava particolarmente a cuore la diffusione di una preghiera con cinque intenzioni per la recita del rosario nelle famiglie. Per farle conoscere al maggior numero possibile di persone nell’estate del 1872 percorse la Germania orientale, l’Alsazia, la Lorena, la Svizzera e l’Austria. L’anno successivo intraprese una lunga peregrinazione per raccogliere 10.000 marchi, necessari per la fondazione di una messa quotidiana da celebrarsi presso la tomba di S. Bonifacio a Fulda allo scopo di ottenere il ritorno dei fratelli separati in seno alla Chiesa. Le offerte raccolte gli permisero soltanto di fare celebrare detta messa per quattro anni consecutivi. Nello stesso tempo riuscì a raccogliere 500 talleri a favore di Mons. Daniele Comboni (+1881), missionario nell’Africa centrale e fondatore a Verona (1867) dei Figli del S. Cuore di Gesù.

Dopo dodici anni d’insegnamento Janssen chiese al vescovo di essere dispensato dalla scuola (1873). Divenne cappellano delle suore di Kempen, con l’obbligo della messa quotidiana e l’insegnamento del catechismo nella scuola da esse diretta. La sua occupazione principale, però, fu la fondazione e la redazione di una rivista mensile intitolata “Piccolo Messaggero del S. Cuore” per diffondere tra i cattolici l’idea missionaria. Ne sostenne le spese della stampa e della spedizione con i propri risparmi, e ne rimase il proprietario. L’iniziativa risultò in seguito di grande utilità per le sue opere in quanto gli servi per suscitare vocazioni e chiedere aiuti finanziari per i missionari. Nella rivista inseriva mensilmente anche un volantino per il “Rosario vivente” ideato nel 1826 a Lione dalla Ven. Paolina Jaricot ( +1862). Scriveva infatti: “Il maggior impulso che possiamo dare alle missioni è quello di esortare la gente a pregare fervorosamente per esse”.

Per mezzo della sua rivista, popolare ma ben documentata, nel 1874 il Beato lanciò un appello per la fondazione di un seminario missionario tedesco, di cui non intendeva assumere la direzione non sentendosi chiamato a lavorare in terra di missione. Dopo Pentecoste, nel fare visita a Mons. Timoleone Raimondi ( +1894) delle Missioni Estere di Milano e Prefetto Apostolico di Hong-Kong, ospite del parroco di Neuwerk, Ludovico von Essen(+1886), venne a sapere che detto parroco aveva chiesto e ottenuto da Pio IX la benedizione per una simile fondazione con voti pubblici, ma che a causa del Kulturkampf non era ancora riuscito a iniziare. Don Arnoldo, al contrario, pensava alla fondazione di un seminario missionario senza voti, destinato a sacerdoti secolari, da realizzarsi subito in Olanda per dare modo ai sacerdoti, condannati all’inerzia dal Kulturkampf, di darsi all’apostolato. Il parroco Neuwerk esortò il Beato a farsi suo collaboratore nell’impresa, ma egli non accettò ritenendo irrealizzabile il suo progetto. Mons. Raimondi, nelle visite che gli fece a Kempen, riuscì, invece, a persuaderlo ad assumersi la direzione di un seminario missionario in patria e ad aggregargli una scuola apostolica anche se era persuaso di non avere la vocazione per la vita missionaria.

Don Arnoldo, di piccola statura, mingherlino, dalla voce debole e rauca, di modeste doti oratorie e senza relazioni sociali, accedette all’idea di Mons. Raimondi senza però sottovalutare il rischio dell’iniziativa. Diceva infatti: “Dio può fare con noi ciò che vuole. Se dal seminario uscirà qualcosa di buono, ringrazieremo Dio; se non ne verrà niente, ci batteremo umilmente il petto e confesseremo: non eravamo degni di questa grazia”. L’ 8-9-1875 egli diede principio alla sua opera a Steyl (Olanda), nella diocesi di Roermond, con il permesso di Mons. Agostino Paredis (+1886) e l’aiuto di due chierici e di un parroco. Di essi soltanto il diacono G.B. Anzer (+1903), più tardi Vicario Apostolico della Shantung meridionale (Cina), accettò il punto di vista del fondatore. Gli altri due furono dimessi perché non se la sentivano di vivere “l’atmosfera di convento” che regnava nella piccola casa a causa della regola del Terz’Ordine Domenicano che il fondatore si era proposto di osservare con le relative austere penitenze, in seguito mitigate. Altri tre diaconi si unirono a lui, tra cui il suo fratello minore Giovanni, e con essi gettò le fondamenta della Società del Verbo Divino per la propagazione della fede tra i non credenti e gli eretici. Suo motto fu: “Viva il Cuore di Gesù nei cuori degli uomini”.

La vita nella casa dei futuri missionari era povera e austera, sottomessa ad un regolamento che prevedeva ogni settimana quattro giorni di astinenza e uno di digiuno. Poiché l’adorazione perpetua non vi sarebbe stata possibile, il Beato introdusse fin dal primo anno tra gli aspiranti alla vita missionaria la preghiera detta del quarto d’ora da lui stesso composta, mediante la quale intendeva abituare i Verbiti a vivere continuamente alla presenza di Dio. Il B. Giuseppe Freinademetz, entrato a Steyl nel 1873, scrisse entusiasta: “È veramente una casa di Dio…non ho mai trovato qualcosa di simile”.

Nel 1876 Don Amoldo impiantò a Steyl una tipografia per la stampa del Piccolo Messaggero del S. Cuore e di altre riviste con la cooperazione dei fratelli coadiutori. Con una stampa missionaria ben organizzata e sostenuta da laici volenterosi che dedicavano il loro tempo libero alla diffusione delle riviste, il Beato potè avviare al sacerdozio centinaia di giovani che non avrebbero potuto pagare le spese del seminario, e rendere più sensibili i cattolici tedeschi alle necessità delle missioni.

Appena in Germania diminuì la lotta contro i vescovi e le congregazioni religiose il fondatore potè far compiere un passo avanti alla Società del Verbo Divino, di cui fu eletto superiore a vita, professando i tre voti pubblici perpetui con i suoi primi compagni (1885). Sotto la sua guida la congregazione, che ebbe umili origini prosperò mirabilmente. Col volgere degli anni, infatti, egli riuscì ad aprire sei grandi case per la formazione dei futuri missionari in Germania, Austria, Italia e Stati Uniti e mandare religiosi in ogni parte del mondo. Leone XIII il 25-1-1901 concesse ai Verbiti il decreto di lode.

Nei paesi di lingua tedesca in quel tempo non esisteva ancora nessuna congregazione di suore missionarie. Con l’aiuto della serva di Dio Maria Stollenwerk (+1900) e sei signorine che a Steyl avevano fatto le domestiche presso i Verbiti sotto la direzione delle Suore della Divina Provvidenza, 1’8-12-1889 fondò la congregazione delle Serve dello Spirito Santo per l’educazione e l’istruzione della gioventù femminile in terra di missione. In seno a questa congregazione sorse nel 1896 un piccolo gruppo di suore di clausura con lo scopo di dedicarsi in modo particolare all’adorazione perpetua del SS. Sacramento per le missioni. Per molti anni il P. Janssen tenne a tutte le suore tre conferenze settimanali e quattro volte all’anno la ratto per formarle alla loro specifica missione e alla fedeltà al sommo pontefice.

Fino alla morte il Beato si preoccupò soprattutto della formazione dei suoi religiosi cercando d’ispirare in tutti un grande orrore al peccato ed esortandoli ad espiarlo con preghiere e messe riparatrici. Non gli stava a cuore la quantità, ma la qualità dei membri. Per questo invitava sempre gli aspiranti alla vita religiosa ad una scelta libera e responsabile prima di iniziare il noviziato o di ricevere il suddiaconato. Criterio determinante per la loro ammissione nella Società era sempre l’attitudine religiosa per conoscere la quale dava molto peso non soltanto al voto degli educatori e degli insegnanti, ma anche a quello dei compagni. Egli voleva avere soltanto soggetti che sapessero il fatto loro, che accettassero con piena libertà di fare parte della congregazione e fossero disposti ad andare in missione in qualsiasi parte del mondo, diversamente li esortava ad aggregarsi a qualche diocesi. Diceva loro: “Se voi non potete dare tutto, il buon Dio non vi può usare per le missioni”.

Data la sua lunga esperienza di professore, il P. Janssen curò molto la formazione intellettuale dei Verbiti. Dei 500 religiosi che durante i suoi trentatré anni di governo salirono l’altare, almeno il 15% fu mandato a perfezionare gli studi di filosofia e di teologia a Roma, e gli studi delle scienze naturali e delle lingue nelle università di Vienna, Berlino, Innsbruch e Bonn. Persino le suore voleva che, già durante il postulandato, studiassero due lingue straniere. Per loro fece erigere un istituto magistrale destinato a preparare suore insegnanti per le scuole in terra di missione, anzi, superando preconcetti del tempo, ne preparò un certo numero per i servizi di maggiore praticità permettendo persino che alcune di esse diventassero ostetriche. Ai fratelli laici fece dare un’istruzione tecnica e professionale tale da inserirli in importanti posti di responsabilità e di impiego dando cosi un notevole contributo alla creazione del tipo moderno dei fratelli coadiutori.

Nella sua opera il P. Janssen seppe valersi della cooperazione dei migliori religiosi. Fin da quando era rettore della casa di Steyl, aveva nominato un prefetto degli studi e aveva lasciato ad altri la redazione della sua rivista, la direzione e l’amministrazione della tipografia. Nei primi dieci anni affidò anche l’amministrazione generale ad un valente sacerdote novello, riservandosi solo la revisione degli affari di maggiore rilievo. Qualche anno più tardi nominò un procuratore di tutti i missionari Verbiti con i quali, però, si tenne sempre in costante relazione. Ad un confratello più giovane affidò la direzione delle suore, dopo averla tenuta in mano lui stesso per circa dieci anni, e a un altro la direzione della casa ritenendo per sé soltanto le conferenze ai sacerdoti e la presidenza degli esami.

Molto stretta fu la collaborazione del fondatore con i suoi consiglieri generali. Nei consigli direttivi ebbe cura che ci fosse sempre qualche giovane padre per coinvolgere le nuove forze nelle alte responsabilità della Società. Degli oltre 300 protocolli delle sedute del consiglio generale da lui redatti non risulta che una sola volta sia andato contro il parere della maggioranza dei suoi consiglieri. Ad analoghi principi s’ispirò anche nella direzione delle suore.

P. Janssen era particolarmente attento nella nomina dei superiori per cui sollecitava proposte e indicazioni anche dai sudditi. Con essi teneva regolare corrispondenza per appianare contrasti, richiamare all’osservanza delle costituzioni e ricordare a tutti che non esistevano né sudditi né superiori ideali. Nella corrispondenza ufficiale non accettava petizioni firmate dal solo rettore di una casa o dal solo provinciale, ma esigeva il voto rispettivamente del consiglio di famiglia o del consiglio provinciale. Con i giovani chierici veniva in contatto diretto in occasione della visita che faceva ogni anno.

Negli inevitabili contrasti tra sudditi e superiori il fondatore non disdegnava di ascoltare le due parti e non assumeva atteggiamenti parziali, soprattutto per salvare la veracità e l’onestà. Nelle migliaia di lettere che scrisse non c’è traccia d’insincerità, di finzione o di tattica diplomatica anche se la prudenza gli suggerì talora di non dire tutto quello che sapeva. Nelle cose essenziali era irremovibile, tollerante nelle secondarie, indulgente verso i singoli in quello che non scalfiva l’andamento della comunità. Sapeva rimproverare gli erranti mantenendo il dominio di sé, evitando le parole dure, benché fosse di temperamento collerico e incline per natura al rigorismo.

Fin da quando si era deciso a fondare un istituto per le missioni, il Beato si era sentito come investito da Dio di una missione e si era dedicato con tutte le energie a realizzarla. Mediante la preghiera e l’intima unione con la SS. Trinità, egli portò la sua opera a tale prosperità da diventare alla fine del secolo XIX una delle figure più eminenti della Germania. Del resto egli sapeva restare quasi nascosto agli occhi di tutti, amante com’era del silenzio e della solitudine. Quando sentiva magnificare la sua congregazione si limitava a dire: “Il Signore ha scelto lo strumento più misero”, oppure cercava di deviare il discorso. Quando invece era umiliato o contrariato allora diceva: “Sia fatta la volontà di Dio per quanto male possa fare”. Nemico dichiarato della menzogna, delle vuote apparenze e di ogni umana furbizia anche quando parlava dei suoi religiosi era estremamente parco di lodi. Nelle conferenze che faceva loro raccomandava con frequenza la fiducia in Dio in qualsiasi circostanza della vita. Ai superiori diceva: “Fate tutto quello che potete, e lasciate il resto al Signore”. Da parte sua, una volta conosciuta la volontà di Dio nei segni dei tempi, andava verso la meta senza timidezza o paure anche a costo di apparire ostinato.

Il P. Janssen oltre che geniale organizzatore, instancabile lavoratore, era anche un perfetto osservante delle costituzioni che aveva scritto per la sua famiglia religiosa. Non tralasciava mai la preghiera del quarto d’ora anche quando era occupato in conferenze o in esercizi spirituali. Verso le cinque del mattino si trovava già in cappella per fare ogni giorno la Via Crucis prima di prendere parte alle pratiche religiose comunitarie. Celebrava la Messa con esemplare devozione perché il SS. Sacramento costituiva il sole della sua vita, davanti al quale trascorreva molte ore del giorno e della notte.

Quando ne parlava diventava fuoco e fiamma benché il suo dire fosse d’ordinario molto semplice. Camminava per le strade ad occhi bassi, e pregava senza badare a quello che accadeva attorno a sé conservando così il suo aspetto “infantilmente pio”. Nutriva una particolare devozione oltre che allo spirito Santo e a Maria SS., ai santi angeli e a S. Giuseppe. Al Padre Verginale di Gesù ricorreva con fiducia nelle difficoltà economiche. Lo raccomandava come speciale patrono o modello per la modestia e la semplicità di vita ai coadiutori che trattava sempre con speciali riguardi e chiamava “i buoni fratelli”.

Convinto che “senza dolore e afflizione non si può quaggiù veramente amare Dio” metteva sovente un’asse nel saccone di paglia su cui dormiva e talora “portava sul corpo degli strumenti a forma di catena muniti di uncini”, secondo la testimonianza di Fra Ginepro suo fratello cappuccino. Finché furono in uso le austere mortificazioni degli inizi, ogni sera il Beato si nutrì in ginocchio di pane e acqua al tavolo della penitenza. Nei viaggi, che faceva sempre in terza classe, si cibava di quanto portava con sé: pane raffermo, formaggio o salsiccia e un po’ di birra. Si dice che quando l’imperatore Francesco Giuseppe lo ricevette in udienza sia rimasto edificato delle sue scarpe pulite, ma rattoppate. A chi gli chiedeva l’autorizzazione di fare qualche spesa esprimeva sovente i suoi dubbi dicendo; “Non è questo contro la povertà? Noi viviamo di elemosina. Devo ancora rifletterci sopra”. Se evitava le spese superflue era molto generoso nel soccorrere i poveri, nel visitare e confortare dopo cena i confratelli malati, convinto com’era che “Dio ama coloro che lo ringraziano nella sofferenza” e che “dove ci sono degl’infermi, li vi è anche la benedizione del Signore”.

Così visse il P. Janssen finché il 1-9-1908 fu colpito da infarto cardiaco. Due settimane dopo ne diede notizia ad un suo Vicario Apostolico in Cina in questi termini: “La mano del Signore mi ha colpito gravemente.. .ora attendo la mia fine. Però confido nella bontà del Signore e nella morte redentrice di Gesù Cristo. Non ho paura nell’abbandonare questa vita, anzi mi rallegro per la vera vita che poi incomincia”. Nel suo testamento lasciò scritto: “Non merito neanche di essere stimato e onorato dato che in tanti punti ho adempiuto male la volontà di Dio e che sono in genere un povero peccatore”.

Morì, dopo aver molto pregato il 15-1-1909.

Le sue spoglie mortali sono conservate a Steyl nella cappella di casa madre. Paolo VI ne riconobbe l’eroicità delle virtù il 10-5-1973 e lo beatificò il 19-10-1975.
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 Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 194-200.
http://www.edizionisegno.it/