B. ANNA DEGLI ANGELI MONTEAGUDO (1600-1686)

I testi del processo canonico affermano che la “Beata stava ordinariamente occupata nell’orazione e in opere di misericordia; e che quando usciva dal coro dopo aver udito messe o uffici divini, andava in cella e si metteva a recitare il rosario in ginocchio”. Nel suo appartamento trascorreva pure molte ore della notte in meditazioni, penitenze e pie letture stando seduta o prostrata davanti al piccolo altare che vi era stato eretto. Dava così sfogo alla grande devozione che nutriva per la SS. Trinità, l’Immacolato Concepimento di Maria, il Verbo incarnato, e soprattutto per due santi agostiniani: S. Nicola da Tolentino (+1305), di cui aveva letto la vita e se ne era innamorata, e di S. Tommaso da Villanova (+1555), arcivescovo di Valenza, di cui per molto tempo aveva ignorato la parentela che lo legava a suo padre.

10 gennaio


Nei secoli XVI e XVII in Perù ci fu una fioritura di persone degne di venerazione: S. Turibio de Mogrovejo (+1606), arcivescovo di Lima, S. Francesco Solano (+1610), missionario francescano, S. Rosa da Lima (+1617), Terziaria Domenicana, S. Martino de Porres (+1639) e S. Giovanni Macias (+1645), entrambi fratelli laici domenicani. Durante il viaggio che Giovanni Paolo li fece in Perù all’inizio del 1985 beatificò la Ven. Anna degli Angeli di Monteagudo, monaca domenicana. Fu la prima religiosa di clausura dell’America Latina ad essere elevata all’onore degli altari.


La Beata nacque verso il 1600 ad Arequipa, nel Perù meridionale, dallo spagnuolo Sebastiano, e da Francesca Foncé de Leon, dopo tre fratelli. Al fonte battesimale le fu imposto il nome di Anna, e quando giunse ai tre anni di età, secondo la consuetudine del luogo, i genitori l’affidarono per l’educazione di base al monastero di S. Caterina da Siena, fondato da Urbano VII nel 1593. Oggi è un monumento storico, e sorge al centro della città circondato da mura in pietra vulcanica. All’inizio era riservato alle monache “spagnuole” e alle “meticce” addette al loro servizio. La cittadella ospitava pure delle ragazze “meticce”. In seguito vi furono accolte donne della città incluse le vedove, desiderose di darsi al servizio di Dio senza monacarsi. Al tempo di Anna nel monastero la disciplina religiosa lasciava molto a desiderare perché ogni monaca anziana di velo bianco disponeva di una residenza capace di ospitare “converse” e “donate” prese a servizio, di modo che queste finivano per vivere in comune. Nel monastero coesistevano perciò tante piccole comunità con frequenti rapporti con gli esterni, specialmente quando i parenti non mandavano puntualmente alle religiose le rendite di cui avevano bisogno. Capitava così che le claustrali più tiepide eccedessero nell’uso di addobbi e vestiti ricercati, di pomate e belletti, che si abbandonassero a letture di commedie poco edificanti e non fossero puntuali alla Messa conventuale con grande pregiudizio della disciplina e della vita comune.


La diocesi di Arequipa era stata eretta da Gregorio XIII nel 1577, ma in realtà, i vescovi eletti, cominciarono a farvi sentire il loro influsso solamente con il sinodo radunato nel 1638 da Mons. Pedro de Villagómez y Vivanco proprio nella chiesa del Monastero di S. Caterina, in quel tempo non ancora in stretti rapporti con i Padri Domenicani presenti in città dal 1534.


I coniugi Monteagudo non volevano che la figlia si facesse monaca. Dopo sette od otto anni. perciò, la richiamarono in famiglia perché si preparasse a diventare una felice sposa di qualche distinto signore. Anna, che non si sentiva chiamata alla vita matrimoniale, moltiplicò le preghiere per conoscere meglio il volere di Dio. Un giorno le apparve S. Caterina da Siena (+1380), le mostrò un abito bianco e la consigliò di lasciare il mondo per seguire il Signore fino alla morte. Vedendosi ostacolata dai genitori nelle sue esigenze spirituali, una sera fuggì da casa, ritornò in monastero, indossò il primo abito domenicano che dalle religiose le fu offerto, e quando vi giunsero i genitori per riprenderla, fu irremovibile nel suo disegno. Non tutti i familiari le si opposero. Difatti il fratello Sebastiano non le lasciò mancare l’occorrente per il proprio sostentamento durante il postulato e il noviziato, e il fratello Don Francesco, parroco, le costituì la dote con atto notarile del 28-11-1618 prima che facesse la professione religiosa con il nome di Suor Anna degli Angeli.


Fin dall’inizio della sua vita claustrale la Beata studiò la regola del Second’Ordine di S. Domenico e la praticò anche nei dettagli con tanta esattezza da meravigliare la sua stessa maestra di noviziato. Coloro che nel processo canonico furono chiamati a testimoniare di lei dissero che “riferiva a Dio ogni sua parola e opera”, che era “una donna santa, senza leggerezze e volubilità, risoluta e senza scrupoli”, “di poche parole, ma sostanziali”.  Poiché ”non perdeva tempo nel parlare di cose oziose o che non riguardassero il servizio di Dio” nessuna consorella la ricercava se non per trattare con lei di virtù. “Nonostante l’ingenuità della parola, discorreva con molta discrezione e prudenza” motivo per cui “la praticavano e stimavano persone di grande autorità e dottrina”. E quando le capitava di parlare di qualche mistero della divinità o umanità di Gesù Cristo diceva cose tanto eccellenti che ne restavano ammirati quelli che la sentivano.


Dopo la professione, a Suor Anna degli Angeli fu affidato il compito di sacrestana. Sentì allora ardere in sé tanto zelo per la casa di Dio e la purezza del culto che diventò persino un po’ “impertinente” nel raccomandare ai cappellani rispetto e venerazione nella celebrazione della Messa. Per indicare di quali virtù doveva essere adorna la loro anima, che considerava come la cattedra su cui stava assisa la SS. Trinità, preparava talora per essi acqua profumata per le abluzioni di rito. Puntuale al coro e alla Messa conventuale, faceva sovente la comunione con tali trasporti di amore da non riuscire sovente a trattenere le lacrime per la consolazione. Rimaneva confusa al pensiero che il Signore si degnava di scendere in lei “grande peccatrice”, “abietta formica” e perfino “schifoso letamaio”. Quando le occupazioni glielo permettevano assisteva a tutte le Messe che si celebravano nella chiesa del monastero durante le quali faceva speciali preghiere. Per trionfare le tentazioni del demonio che la perseguitava con orribili fantasmi trascrisse sopra un pezzo di carta le parole della consacrazione e il prologo del Vangelo di S. Giovanni, e lo portò sempre sul petto.


I testi del processo canonico affermano che la “Beata stava ordinariamente occupata nell’orazione e in opere di misericordia; e che quando usciva dal coro dopo aver udito messe o uffici divini, andava in cella e si metteva a recitare il rosario in ginocchio”. Nel suo appartamento trascorreva pure molte ore della notte in meditazioni, penitenze e pie letture stando seduta o prostrata davanti al piccolo altare che vi era stato eretto. Dava così sfogo alla grande devozione che nutriva per la SS. Trinità, l’Immacolato Concepimento di Maria, il Verbo incarnato, e soprattutto per due santi agostiniani: S. Nicola da Tolentino (+1305), di cui aveva letto la vita e se ne era innamorata, e di S. Tommaso da Villanova (+1555), arcivescovo di Valenza, di cui per molto tempo aveva ignorato la parentela che lo legava a suo padre. Non bisogna dimenticare che la diocesi e il monastero di Arequipa dal 1619 al 1630 furono governati da Mons. Pietro Perea, agostiniano molto autoritario, e che in città sorgeva il convento di S. Agostino con la chiesa dedicata a S. Nicola da Tolentino.


Dopo l’ufficio di sacrestana la Priora del monastero affidò a Suor Anna degli Angeli il compito più delicato e importante di Maestra delle novizie.


Sua preoccupazione fu quella di formare le aspiranti alla vita religiosa, alla conoscenza della regola e alla osservanza della vita comune più con l’esempio che con le esortazioni. Le stava a cuore soprattutto la pratica della clausura alla quale diverse monache non erano purtroppo fedeli. Nel 1637, il vescovo della città, Mons. Pietro Villa Gómez, autorizzò le monache di S. Caterina a trasferirsi in episcopio per l’imminente pericolo che il torrente San Lazzaro, a causa di un uragano, invadesse il monastero. La Beata preferì attendere che la pioggia cessasse standosene con due consorelle a pregare in coro piuttosto che rinunciare alla clausura.


Al tempo di Mons. Agostino de Ugarte, vescovo di Arequipa dal 1640 al 1647, la Beata fu eletta Priora delle Domenicane. Il compito era tanto gravoso per gli abusi che regnavano tra di loro che la neo eletta vi avrebbe rinunciato volentieri se il Signore, una notte, mentre pregava in coro, non le avesse imposto di obbedire. Vi si dedicò subito con zelo e risolutezza, ma fu accusata dalle religiose più rilassate di mancanza di carità e di giustizia a Mons. Pietro de Ortega, vescovo della diocesi dal 1647 al 1651. Questi non si lasciò impressionare dalle dicerie, anzi, divenne l’anima della riforma. Difatti, con l’aiuto del cappellano maggiore del monastero Don Marco de Molina e le sagge disposizioni di Madre Anna degli Angeli, riuscì a togliere gli abusi che, in contrasto con la vita religiosa, vi orano stati introdotti. Le vesti più ricercate e le acconciature più mondane furono raccolte dalle celle delle vanitose religiose e bruciate nel forno che serviva a cuocere il pane. Lo sdegno di coloro che furono colpite dal provvedimento salì alle stelle. Pare che alcune di esse abbiano persino concepito il perverso disegno di sopprimere con il veleno la loro troppo zelante Priora, che non si vergognava di andare vestita “come un’anima in pena”. Ma ella continuò fino alla morte a rispettare e ad amare coloro che la ingiuriarono, contenta soltanto di avere agito per la maggior gloria di Dio. Dopo il suo priorato, anche Mons. Gaspare Villaroel, vescovo di Arequipa dal 1651 al 1659, dovette intervenire più volte per difenderne l’operato e la virtù.


Leggendo la vita di S. Nicola da Tolentino durante il noviziato, la Beata era rimasta molto impressionata della familiarità di lui con le anime del Purgatorio e delle penitenze che faceva per suffragarle. Da quel momento lo volle imitare Iniziando l’Opera dei Suffragi. Non disponendo di una rendita fissa per la celebrazione di Messe, pensò di intentare causa alla sua famiglia per avere parte dei beni che le spettavano per diritto ereditario, ma mentre pregava, il Signore le ordinò di non preocuparsi di nulla perché l’avrebbe sempre aiutata. Diede principio alla sua opera nella festa di S. Nicola facendo celebrare una Messa per le anime sante con “un reale da otto”, che aveva posto in serbo per comperarsi un paio di scarpe. A poco a poco giunse a farne celebrare oltre trecento soltanto nell’ottavario della festa del santo, tanto erano numerose le elemosine che riceveva da ogni parte del paese con la licenza dei superiori. Quando le restava del denaro lo ripartiva tra le persone più povere del monastero, abitato da suore di velo nero e bianco, da novizie e donate, da serve e schiave, senza ritenere nulla per sé. Speciali mortificazioni e preghiere faceva il lunedì e il sabato per le anime del Purgatorio, e il venerdì e le vigilie delle feste della Madonna e dei santi di cui era particolarmente devota digiunava a pane e acqua. Diceva che compiva queste buone opere perché “le pene del Purgatorio che aveva viste, erano terribili”.


Nel monastero era opinione corrente che alla Beata apparissero molte anime dei defunti di tutte le condizioni sociali, inclusi vescovi, preti e religiosi per raccomandarsi alle sue preghiere. Persino il rè di Spagna, Filippo IV (+1665), appena morì ne andò in cerca. Così confidò lei stessa al sacrestano e becchino del monastero. A Mons. Antonio Leon, vescovo di Arequipa dal 1677 al 1709, confidò che durante il pontificale da lui celebrato in una solennità di Pasqua “uscirono dal Purgatorio tante anime che ne restò spopolato” .


A Don Marco de Molina, suo confessore, la Beata confidò che un anno, nella festa di S. Nicola, si era trovata senza i denari necessari per la celebrazione delle Messe. Invece di perdersi d’animo si recò in coro e supplicò il cielo di ispirare a qualche pia persona il desiderio di venirle in aiuto. Dopo poco tempo giunse al monastero Mons. Gaspare de Villaroel il quale, fatta chiamare la Beata, le rivelò, che mentre stava recitando il Breviario, se lo era visto sottrarre di mano. A lei ne era venuto a chiedere la spiegazione essendo al corrente delle relazioni che intratteneva con le anime del Purgatorio. Suor Anna gli confidò allora che aveva bisogno di duecento scudi per la sua Opera dei Suffragi. Ritornato in episcopio, il vescovo gliene mandò duecentocinquanta. Con l’animo traboccante di riconoscenza la Beata supplicò le anime sante di pregare Dio per la prosperità del loro benefattore. Le apparvero immediatamente alcune di loro tenendo in mano un vassoio contenente varie insegne prelatizie e le comunicarono che erano riservate a Mons. Gaspare de Villaroel il quale sarebbe stato eletto arcivescovo di La Piata (Argentina), come realmente avvenne dopo diverso tempo.


Il Signore concesse a Suor Anna degli Angeli altri doni mistici come la penetrazione dei cuori, la guarigione dei malati e soprattutto la predizione di cose future o remote. Al sacrestano del monastero descrisse, per esempio, l’arrivo in diocesi, come vescovo, di Mons. Giovanni de Almoguera oltre un anno prima dell’avvenimento, e quando si sparse la notizia che, partito da Cadice, era perito in un naufragio, ella assicurò tutti dicendo che la notizia era falsa. Dopo che questi prese possesso della diocesi nel 1659, gli predisse che sarebbe stato eletto arcivescovo di Lima, e quando nel 1676 vi morì, ella ne vide l’anima in Purgatorio. Durante l’episcopato di Mons. Antonio de Leon, che governò la diocesi dal 1677 al 1709, mentre la Beata se ne stava a letto inferma, un giorno fu udita gridare: “S. Nicola, anime benedette del Purgatorio, proteggete il mio padre e pastore!”. E poco dopo:


“Siano rese grazie a Dio perché il nostro pastore è fuori pericolo!”. In spirito aveva visto che, durante la visita pastorale che stava facendo alla diocesi nel mese di dicembre 1682, nel guadare un torrente aveva corso il pericolo di naufragare. A Don Marco de Molina predisse la morte di diverse persone entro breve tempo, e comunicò la triste notizia che il vescovo di Concezione in Cile era affogato.


Suor Anna degli Angeli trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita in croce con Gesù, lieta di patire per suffragio dei defunti, la conversione degli infedeli e dei peccatori, le necessità di tutta la Chiesa. Nel 1676 fu colpita da diverse infermità, che sopportò senza un lamento: mal di fegato, reumatismi, ritenzione di urina, una continua sudorazione e una progressiva cecità. Quando non potè più prendere parte al coro, il vescovo permise che un sacerdote nel suo piccolo appartamento celebrasse per lei la Messa e le desse la comunione. A Don Marco de Molina predisse che sarebbe morta sola. Suor Giovanna di S. Domenico, che convisse con lei per quarant’anni come segretaria, ci informa che la mattina del 10 gennaio 1686 fu trovata morta seduta sul suo letto con la corona del rosario tra le mani congiunte.


La consorella che l’assisteva era stata mandata dalla morente in parlatorio a consegnare ad un sacerdote l’obolo per la celebrazione di una Messa.


Il corpo della Beata rimase flessibile dopo la morte e al momento della sepoltura versò sangue fresco e rosso. Alle esequie presiedute da Mons. Antonio de Leon prese parte una grande folla di fedeli. Paolo VI ne riconobbe l’eroicità delle virtù il 23-5-1975, e Giovanni Paolo II la Beatificò il 2-2-1985. Le sue reliquie sono venerate ad Arequipa nella chiesa del monastero di S. Caterina.




Sac. Guido Pettinati SSP,


I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 147-152.


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