Anna Schäffer, laica, (1882-1925)

La sofferenza che alimenta l’amore


GEORG FRANZ X. SCHWAIGER – Vicario del Duomo di Regensburg

Anna Schäffer nacque il 18 febbraio 1882 nel villaggio di Mindelstetten (fra Ingolstadt e Regensburg), in Baviera. Suo padre era un falegname. Sebbene la famiglia vivesse in condizioni modeste, Anna crebbe sana e forte. Fu silenziosa fin da piccola; l’educazione materna le instillò la devozione e l’amore verso Dio. In seguito, negli anni della malattia, la madre si sarebbe presa cura di lei. Anna Schäffer non spiccava particolarmente fra i bambini del villaggio. Piuttosto insolito è però il fatto che all’età di dodici anni, il giorno della sua prima comunione, si offrì al Signore.

Poiché desiderava entrare in un Ordine come suora missionaria, dopo la scuola andava a lavorare a Regensburg e a Landshut per guadagnare il denaro di cui aveva bisogno. Nel giugno del 1898, ricevette la chiamata di Gesù che sarebbe stata determinante per la sua vita: avrebbe sofferto molto e a lungo. Nel frattempo Anna si era consacrata a Maria. Il 4 febbraio 1901, nella casa della guardia forestale a Stammham (presso Ingolstadt), mentre faceva il suo lavoro di domestica ebbe inizio la missione che Dio aveva in serbo per lei: la «missione del dolore» nella sequela del Crocifisso. Il tubo della caldaia si staccò dalla parete e Anna cercò di correre ai ripari, ma scivolò e cadde in ginocchio nella caldaia piena di soda bollente.

Vicinanza a Dio nel dolore


Nonostante i trattamenti intensivi, i medici non riuscirono a guarire le ferite. Dopo essere stata dimessa dall’ospedale come invalida nel marzo del 1901, le sue condizioni peggiorarono, tanto che fu costretta a letto. Un’estrema miseria si venne ad aggiungere alla grave infermità. Dopo inutili rimostranze Anna imparò in questa dura scuola del dolore a riconoscere la volontà di Dio e ad essere sempre più gioiosa. Scrisse: «Penso che il mio letto sia la volontà di Dio! E accolgo volentieri e con gioia tutto il dolore che questo posto mi può offrire. Così spero che la volontà di Dio e la mia povertà siano una cosa sola». Anna Schäffer non deve soffrire; secondo le sue stesse parole può soffrire. Trova questa spiegazione e riconosce al contempo che in venticinque anni non ha trascorso nemmeno un quarto d’ora senza soffrire. Ha imparato a lodare Dio in tutte le cose e a ringraziarlo: «Devo trascorrere ogni attimo della mia vita e della mia sofferenza lodando Dio». «Sempre sulla Croce con Gesù, mio buon Salvatore, questa è la mia fortuna! Amare, soffrire e, quando Dio vorrà, morire, questo è il mio desiderio! Morire, o mio Gesù, e vederTi, che bel destino, mi aspetta! Questa è la mia speranza».

A partire dal giorno del tragico incidente, la missione della sua vita consistette nel cercare e nel trovare Dio nel dolore. Voleva imparare a soffrire proprio da Cristo crocifisso. Decise generosamente di offrire la propria vita e la propria sofferenza a Dio come sacrificio espiatorio. Il 7 febbraio 1920 scrive a un’amica: «Ogni nuovo giorno mi rende assettata di dolore e di anime da convertire». In un’altra lettera puntualizza: «Ogni volta che faccio la comunione, prego il Redentore affinché abbia cura della sua santa Chiesa e dei suoi Pastori, affinché mi invii il più atroce dei martiri e mi accetti come piccolo sacrificio espiatorio». Nella preghiera erano racchiusi la vita e il dolore di Anna. Ella, intrattenendosi con Dio, come le permetteva la recita del Rosario, cercava di dimenticare per brevi attimi il suo dolore: «per tutta la notte tengo il Rosario, come un fedele compagno, fra le mie mani piagate dal fuoco e anche di giorno è il mio “giocattolo” (così lo chiamo spesso) quando non scrivo o non faccio qualcos’altro».

Grazia, Apostolato e Compimento


Ogni giorno, il parroco Carl Rieger, le recava visita: «Come ti sono grata, mio Redentore, perché nella croce e nel dolore mi hai donato una così buona guida e un così buon consolatore nella figura del parroco». Più volte giunse a parlare della sua intelligente e comprensiva pastorale e riconobbe quanto gli doveva per essere riuscita ad accettare devotamente il senso del suo dolore. Il parroco aveva per Anna soltanto un dono e lei lo attendeva con ansia: Gesù Eucaristia. Questo le fu sufficiente per sopportare per oltre venticinque anni il suo destino. Nell’amministrazione della santa Comunione e nell’amorevole condivisione del mistero della presenza costante del Signore nel Santissimo Sacramento, ella trovò la forza e il conforto necessari, per accettare il proprio dolore. «Mi trovo sempre all’ombra della croce e del dolore, ma anche nella fonte di grazia chiara e luminosa del Santissimo Sacramento. Il dolore e la gioia vi si confondono. In questa fonte di grazia il dolore diviene gioia e qui trovo il mio posticino silenzioso e tranquillo in ogni momento del giorno».

La vita quotidiana di Anna era caratterizzata per la maggior parte dalla sopportazione del dolore e l’esposizione della sua biografia richiede anche la citazione di eventi significativi e straordinari, verificatisi nell’autunno del 1910. Nelle visioni, che Anna descrisse come «sogni», vide san Francesco (ella era terziaria dell’Ordine francescano), poi il Redentore al quale si era offerta come sacrificio espiatorio. Portò le stigmate di Cristo, come è accaduto a poche persone. Ella stessa scrisse: «Il 4 ottobre 1910, festa di san Francesco, recitai le Ore di notte come facevo sempre. Recito queste e altre preghiere spiritualmente al cospetto del Santissimo Sacramento. Ebbene, mentre pregavo, mi apparve una luce meravigliosa che attraversò il mio corpo e il mio spirito e vidi il Redentore in questo mare di luce. Mi disse: “io ti ho scelto come espiazione del mio Santissimo Sacramento. Con la comunione della mattina proverai tutto il dolore della mia Passione, con la quale ti ho liberato”… Poi, il Redentore scomparve. Quando, la mattina, il parroco mi portò la comunione e pregò Domine non sum dignus…, vidi davanti all’ostia santissima cinque lingue di fuoco che come un lampo raggiunsero le mie mani, i miei piedi e il mio cuore e mi procurarono un dolore inenarrabile». Per poter soffrire di nascosto e rifuggire da qualsiasi sensazionalismo, pregò il Signore di non rendere visibili le stigmate. Era pronta a sopportare un dolore ancora più grande. La sua preghiera venne esaudita. Al contempo, Anna rafforzò il sevizio di apostolato, promise di intercedere e confortò con le parole e con gli scritti quanti le si rivolgevano. Aveva tre chiavi celesti: «la più grande è la più pesante ed è di ferro: la mia sofferenza. La seconda è il mio portapenne e la terza l’ago». Con l’ago ricamava. Lo faceva volentieri, per guadagnare qualcosa e integrare la sua esigua rendita, ma anche per dare un po’ di gioia agli altri. Dedicava la maggior parte del suo tempo e della sua forza all’apostolato epistolare per confortare o consigliare per il meglio le persone che si trovavano nella sua stessa situazione: «Ho scritto solo quello che avevo nel cuore. A cosa servirebbe se scrivessi libri interi, ma la mia anima fosse tanto lontana da ciò che scrivo?

Restiamo piccoli di fronte a ciò che dona gioia al nostro cuore!».

Anna Schäffer era anche portata per la poesia. Accompagnò molte lettere con poesie più o meno lunghe. I suoi versi riguardavano temi commoventi: la croce, la devozione alla volontà del Signore e la vittoria conseguita attraverso il dolore, valorosamente sopportato («sotto la palma»). Un altro tema era costituito dalle condizioni della sua sofferenza («poesia sulla malattia e l’operazione») e dal suo desiderio del Signore nella Comunione eucaristica («La mattina, quando le prime luci risplendono»), per citarne solo alcuni.

Nella primavera del 1923, Anna Schäffer visse il suo Venerdì Santo: le si paralizzarono le gambe e, a causa di una lombalgia, le vennero dei dolorosissimi crampi e infine un tumore all’intestino. Cinque settimane prima della morte, a causa di una caduta dal letto, riportò una lesione al cervello che le provocò difficoltà di linguaggio, cosicché Anna divenne «un sacrificio silenzioso». La mattina del 5 ottobre 1925, ricevette per l’ultima volta la Comunione. Facendosi il segno della croce, riuscì a dire «Gesù, ti amo» e rese al Creatore l’anima. L’8 ottobre molte persone parteciparono al suo funerale nel cimitero di Mindelstetten. Il parroco Rieger sottolineò, in occasione della sepoltura, che la grazia riversata da Dio su di lei era stata molto grande. Era convinto della vita santa della sua parrocchiana, come scrisse dando l’annuncio della sua morte. Da allora il pellegrinaggio presso la tomba di Anna non si è mai arrestato. Il 26 luglio 1972 il Vescovo di Regensburg, Rudolf Graber (+ 1992) concesse l’autorizzazione a traslarne le spoglie nella chiesa parrocchiale di Middelstetten e ad avviare il processo di beatificazione. L’11 luglio 1995, Giovanni Paolo II ha riconosciuto la virtù eroica di Anna Schäffer. Mediante il Decreto del 3 luglio ’98 è stato riconosciuto il miracolo necessario per la beatificazione.

L’offerta del dolore a Cristo Crocifisso


MANFRED MÜLLER – Vescovo di Regensburg

Il 1999 sarà ricordato nella nostra diocesi perché nella terza domenica di Quaresima, Giovanni Paolo II, nella Basilica di San Pietro, eleverà agli onori degli altari la Serva di Dio Anna Schäffer, originaria di Mindelstetten. Per noi tutti sarà un’occasione per rendere grazie a Dio, che attraverso i santi e i beati, ci dona testimoni della fede e esempi da seguire nella vita cristiana.

Anche altre persone della nostra diocesi sono state elevate agli onori degli altari. Pensiamo alla Fondatrice dell’Ordine delle Povere Suore Scolastiche, Maria Teresa di Gesù Gerhardinger, di Regensburg-Stadtamhof, o a Padre Liberat Weiß, nato a Konnersreuth.

Tuttavia, la beatificazione di Anna Schäffer ha un significato particolare perché la beata riposa nella nostra diocesi e di conseguenza anche il suo processo di beatificazione fu avviato qui. Ciò avvenne nel 1973, su iniziativa del mio predecessore, il Vescovo Rudolf Graber. Oggi, nel settimo anniversario della morte, ne ricordiamo l’impegno personale per la nuova Beata. Tuttavia, chi era mai questa giovane che la Chiesa ci indica come esempio di vita cristiana? Per saperlo bisogna risalire al 4 febbraio 1901 quando nella lavanderia della casa della guardia forestale dove Anna lavorava come domestica, a Stammham, il tubo della caldaia per il bucato si staccò dalla parete: la conseguenza di quell’incidente fu un’infermità durata venticinque anni, alla quale si aggiunse la miseria più nera.

Ciononostante, in tutte queste sventure, Dio le mise accanto molte persone caritatevoli. Pensiamo a sua madre, che la curò amorosamente. Pensiamo al parroco Karl Rieger, che per anni, ogni giorno, le amministrò la comunione. Nel suo discorso, durante le esequie, disse: «Non l’ho mai sentita lamentarsi una sola volta». Pensiamo anche alla comunità del villaggio di Mindelstetten. Molte persone le furono vicine nelle sue sofferenze, soprattutto i bambini e i giovani. Spesso le prestavano attenzione, per dimostrarle che, sebbene fosse malata e sofferente, faceva comunque parte del villaggio.

Anna Schäffer non uscì distrutta dalla sua malattia, ma arricchita. Cercò affannosamente di rassegnarsi alla volontà di Dio. Considerò sempre la sua malattia come un compito. Spesso parlava della sua stanza come di una «officina del dolore», nella quale doveva abituarsi alla volontà di Dio.

È nota la frase circa le tre chiavi celesti che Dio le avrebbe dato per raggiungerlo: «La più grande delle tre» diceva «è di ferro grezzo ed è pesante: è la mia sofferenza; la seconda è l’ago e la terza il portapenne. Con tutte queste chiavi cercherò ogni giorno di aprire la porta del cielo».

In questo modo considerava le proprie sofferenze e il compito che Dio le aveva affidato in quella scuola severa di prova e di purificazione. Non cedette mai all’autocompiangimento e, per quanto poté, recò conforto agli altri. Lo fece soprattutto con il portapenne. Dal suo letto di malata sviluppò un ricco apostolato epistolare: prometteva volentieri preghiere o svelava il significato del dolore sopportato con Cristo. Una volta scrisse a un’amica: «dal Redentore sofferente vogliamo imparare il dolore… e seguirlo… lungo la via della croce, poiché non potremo mai comprendere le nostre sofferenze, se non avremo imparato ad affrontare e a comprendere le sofferenze di Gesù».

Dedicò la forza e il tempo che la sua malattia le concesse a lavori di ricamo per fare felici gli altri e per contribuire al proprio sostentamento. Anna Schäffer morì con la vocazione alla santità. Giovanni Paolo II, elevandola agli onori degli altari, la proporrà come esempio di grande coraggio. Dove trasse la forza di intraprendere un cammino di fede tanto esemplare? Analizziamo le sue fonti spirituali.

a) La preghiera

La preghiera fu il suo primo determinante sostegno. Solo pregando riuscì ad accettare il destino e ad affermare: «Signore, insegnami ad amare – insegnami a soffrire – insegnami a pregare». Questo era il suo desiderio e il significato che dava alla vita. In particolare, era fedele alla recita del Rosario: «per tutta la notte, tengo fra le mie mani il Rosario, come un compagno fedele… e anche di giorno è il mio giocattolo (così lo chiamo spesso), quando non scrivo o non faccio qualcos’altro».

b) L’Eucaristia

La sua seconda fonte di vita fu l’amore per il Signore nel Sacramento dell’Eucaristia e il desiderio della Santa Comunione: «Sebbene scriva o parli…, mi attrae sempre Gesù nel Santissimo Sacramento». «In esso, gioia e dolore si confondono». Altrove afferma: «nella croce e nel dolore non c’è altra tristezza che quella di Gesù da solo. Quando lo guardo e quando mi inchino spiritualmente davanti al Tabernacolo, il dolore più forte diviene il più dolce e prezioso di tutti i tesori». Avrebbe voluto unirsi al Signore eucaristico come vittima.

c) Il cuore divino di Gesù

Derivò la forza del suo amore, al quale volle improntare la sua vita e la sua sofferenza, dalla contemplazione del Cuore di Gesù. Con la sua adorazione del cuore di Gesù dimostrò di considerare le proprie sofferenze come espressione d’amore: «uno sguardo al cuore santissimo di Gesù mi dà sempre la forza di sopportare tutto». Nelle sue lettere e nei suoi scritti troviamo spesso il simbolo dell’amore divino, il cuore di Gesù, da essa stessa disegnato. Le fiamme del cuore di Gesù non vengono raffigurate come di fuoco, ma come spighe di grano. Il riferimento all’Eucaristia è evidente. Questa rappresentazione è straordinaria. Anna Schäffer, come Beata, avrà questo simbolo. Che vuole dirci Dio attraverso di lei? Innanzitutto che la disgrazia, la malattia e il dolore fanno parte del nostro mondo e della natura umana. Anche nella nostra epoca tecnologica non possiamo mentire. Grazie ai progressi della medicina possiamo curare molte malattie, ma altre non sono ancora curabili. Sono proprio queste a interpellarci. Alcuni sono costretti a soffrire per tutta la vita, proprio come Anna Schäffer.

Possiamo considerare la malattia, il dolore, la disgrazia come una chiamata di Dio, così come ha fatto Anna Schäffer. Può essere d’aiuto mantenere la fede in Dio anche di fronte agli enigmi irrisolti della vita. In tal modo, anche nelle difficoltà della vita, potremo amare Dio ancor più profondamente e imparare a comprenderlo. Anche dalle difficoltà della nostra vita Dio può far scaturire benedizioni.

Altri elementi importanti sono il rispetto e l’attenzione per i malati e per i sofferenti. Da questi ultimi, infatti, possiamo imparare molto sulla grandezza umana. Agli occhi di Dio la loro vita è infinitamente preziosa. Essi ci indicano che la nostra vita non è solo rendimento e consumo, ma qualcosa di più.

Come cristiani dovremmo cogliere anche un altro aspetto della malattia e del dolore che emerge chiaramente dalla vita di Anna Schäffer. In unione con Cristo, interpretò le proprie sofferenze come espiazione. Per noi l’espiazione è comprensibile solo se consideriamo la Croce. Essa è amore, completa ciò che manca ai patimenti del Corpo di Cristo, la Chiesa (cfr Col 1, 24).

Riflessioni teologico-pastorali sulla testimonianza di un’umile donna laica


Durante la prima fase della riforma post-conciliare alcuni esperti di pastorale prestarono meno attenzione ai santi. La riscoperta della teologia biblica e l’apertura ecumenica avevano promosso una mentalità che intendeva affermare l’Annuncio del Vangelo anche attraverso il pensiero teologico e una trasmissione diretta delle fondamentali verità cristiane, non più mediante racconti indiretti, come invece accade con le biografie dei santi. Poi molti si sono ricordati della pratica di includere la vita dei santi nella predicazione perché, come ci ricorda un detto latino: «verba docent, exempla trahunt» (le parole insegnano, gli esempi trascinano). Al contrario alcuni teologi, come Karl Rhaner o come il pastore evangelico Walter Nigg, hanno sempre fatto riferimento alla tradizione, hanno scritto biografie di santi e le hanno inserite nella predicazione. Anche l’attuale Pontefice, Giovanni Paolo II, ha sottolineato questa tendenza generale mediante numerose beatificazioni e santificazioni. Adesso per molte persone è di nuovo chiaro che i santi hanno un significato fondamentale per la predicazione.

La beatificazione di una donna della Baviera centrale è un’occasione per riflettere su questo significato. I santi sono interpreti del Vangelo, prima durante la loro vita, poi quando vengono riconosciuti come tali. Le persone del «Popolo di Dio» danno avvio al processo grazie al quale una persona viene dichiarata santa. Il «sensus fidelium», ossia il senso di fede, riconosce che una persona era legata in maniera particolare a Dio e che ha realizzato un cammino cristiano esemplare. Le persone cominciano a ricordare, si fanno raccontare e raccontano le cose importanti della vita di un servo o di una serva di Dio. Molti si rigenerano pensando a questa persona. Avvenimenti e peculiarità assumono una forza simbolica o divengono eventi esemplari. Un gruppo di responsabili della Chiesa, presieduto dal Vescovo o dal Superiore di un Ordine, manifesta interesse affinché questa vita cristiana, ritenuta esemplare, venga dichiarata ufficialmente cammino cristiano. Viene avviato il processo finalizzato a escludere che dalla vita di quella persona affiorino elementi che potrebbero indurre altri a imboccare una strada sbagliata. Per questo la vita del futuro santo viene esaminata in maniera critica e soprattutto si analizzano le possibili conseguenze che l’indicazione di questo cammino potrebbe avere per le persone di oggi. Perché la dichiarazione sia valida, è necessario anche un segno dall’alto, un miracolo.

Accanto a tutta la problematica legata ai miracoli nel processo di beatificazione, bisogna dire che l’esame critico è uno dei compiti del Pastore, che deve far sì che nessuno venga indotto in errore, poiché una vita santa diventa «teologia narrativa», ossia un annuncio in forma di racconto. Raccontando la vita di un uomo, facciamo riferimento a passaggi del Vangelo e dimostriamo come si sono concretizzati in quella determinata persona. L’esposizione di questo cammino cristiano corrisponde a un insegnamento fondamentale che indica agli uomini una strada e la rappresenta come espressamente cristiana. La Beatificazione ne è la manifestazione fondamentale e annuncia che la vita di quella persona è stata una valida vita cristiana. Un Beato viene elevato «agli onori degli altari», ma ha un rango solo regionale.

La santificazione aggiunge che questa persona è un esempio da seguire per tutta la Chiesa.

Qual è allora il significato della testimonianza di Anna Schäffer. Ella era un’umile donna del popolo. Si infortunò mentre svolgeva il suo lavoro di domestica. Visse per venticinque anni con una grave infermità. Mise in pratica le parole di san Paolo: «perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24). La sua anima raggiunse profondità mistiche. Di certo non ne trassero alcun profitto né lei né i suoi familiari. Visse e morì in povertà. Nelle sue misere condizioni guardò verso l’alto e realizzò così la grandezza della realtà spirituale nella sua piccola vita.

Da un punto di vista umano il suo destino fu tragico. Tutti i suoi piani furono distrutti. Tuttavia, nella sua condizione disagiata fece esperienze spirituali. Ebbe intuizioni profonde, dalle quali trasse abnegazione e rassegnazione. Non furono le riflessioni teologiche a condurla a una tale elevatezza spirituale, ma le sofferenze. La vicinanza a Dio non le permise intuizioni intellettuali, ma intuizioni d’amore, rafforzate dalla preghiera costante. L’infermità e il dolore divennero motivo di crescita spirituale. Divenne più attenta ai poveri e ai sofferenti. Il dolore le permise di riconoscere nelle sofferenze di Gesù l’espressione del suo sacrificio. Una donna, i cui piani di vita erano stati completamente distrutti, scoprì il grande piano di Dio, nel quale aveva un posto molto importante.

La Beatificazione di Anna Schäffer apporta un importante contributo alla pastorale di oggi: l’inferma di Mindelstetten può consolare e confortare migliaia di sofferenti. Può aiutare anche molte altre persone nella Chiesa, quelle che non si sentono comprese dalla teologia e dai discorsi teologici e nelle quali le frasi teologiche non suscitano alcunché. Può anche consolare quanti soffrono per la crisi della tradizione e si sentono come paralizzati, costretti e condannati all’inerzia.

Anna Schäffer può offrire a tutti quello che ha scoperto: anche se non posso più fare nulla, la mia vita ha un senso. Anche se devo sopportare il dolore, posso essere felice. Anche se ho bisogno di aiuto, non sono solo un «peso» e un «tormento» per gli altri. La mia infermità, il mio dolore e le mie sofferenze possono essere una fonte di linfa vitale che nutre l’anima e la rende capace di trasformare tutti i mali in espressione di abnegazione e di amore verso Dio. Da ciò scaturiscono benedizioni per gli altri. Dolore e sofferenza acquistano significato. Possono promuovere la cosa più importante che la vita umana può desiderare: essere più uniti a Dio. Un infermo può dimostrare il valore della vita umana se si volge a Dio, se attraverso la preghiera e l’abnegazione si unisce a Dio e trasmette l’amore di Dio a quanti gli sono vicini. Una persona sofferente, che prega per gli altri, un infermo che si lascia amare dagli altri e dona a sua volta amore, contraccambiando spiritualmente e con amicizia, può dare forza alle persone che si prendono cura di lui e gli sono vicine, permettendo loro di essere più vicine a Dio.

Nella vita di Anna Schäffer sono evidenti la dimensione spirituale di ogni cura e l’elemento spirituale della diaconia ecclesiale. In lei vediamo ciò che vale per ogni persona e che ognuno può dire a se stesso: io sono importante e ho un senso perché Dio mi ama.

LUDWIG MÖDL – Monaco

L’iter processuale della causa


La bavarese Anna Schäffer di Mindelstetten (1882-1925) costituisce, per tutti i laici, un ineffabile richiamo ad accettare la missione che Gesù ha stabilito per ciascuno di noi, fosse anche quella di abbracciare, come lei, la più dura delle croci.

Dopo la II guerra mondiale, il Vescovo di Ratisbona ha dato seguito alle pressanti richieste avanzate a favore dell’inizio della Causa riguardante la contadina e donna di servizio di Mindelstetten. Il Processo Ordinario informativo sulla fama di santità, della vita, delle virtù e dei miracoli, si è aperto presso il Tribunale ecclesiastico di Ratisbona il 4 novembre 1978; nel contempo il Giudice Ordinario decretava l’apertura di pari indagini sugli scritti. I testi de visu sono 38, i de auditu sono 8 mentre i de visu et auditu 6; tutte le deposizioni illustrano la mirabile vita costellata di sofferenze della Serva di Dio e riferiscono molte notizie sulla stima unanime di cui ella godeva. Molto ben circostanziata è la parte che si riferisce alla sua infermità dal 1901 al 1925, anno della sua morte; è proprio in questo periodo che Anna comincia a maturare e coltivare le sue virtù, soprattutto l’enorme fede e l’eroica accettazione della sofferenza e poi ancora la pietà, la carità verso Dio e verso il prossimo, nonché la prudenza e la temperanza nella terribile agonia. La consegna della Positio super virtutibus è avvenuta il 10.XII.1992 e, nel momento in cui il Postulatore si è accinto ad investigare in merito alla fase successiva, si è reso conto che erano svariate le guarigioni apparentemente inspiegabili che si sarebbero potute presentare per la prova del miracolo. Tuttavia, dovendosene scegliere una soltanto, l’attenzione è caduta su quella di Franz Zwirchmaier, ferito in un gravissimo incidente stradale con trauma cranico e coma del grado più severo. Questo miracolo è avvenuto in Austria a riprova del fatto che la fama di santità di Anna ha travalicato i confini della Germania.

Dal 1995 al 1998, sia la Positio super virtutibus prima, che quella sul miracolo poi, hanno conosciuto una straordinaria spinta. Per quanto riguarda le virtù, il Congresso dei Consultori teologi (13.I.1995) e la Congregazione dei Cardinali e dei Vescovi (25.IV.1995) si sono concluse all’unanimità, talché il Santo Padre l’11 luglio 1995 ha conferito ad Anna Schäffer il titolo di Venerabile. Non meno rapido è stato l’iter della Positio sul miracolo essendosi, tutte le discussioni, concluse all’unanimità (18.XII.1997 Consulta medica; 20.III.’98 Congresso dei teologi; 19.V.’98 Congregazione ordinaria). Dopo l’udienza pontificia e la lettura del Decreto sul miracolo (3. VII.’98) si è sgomberata la strada per la Beatificazione.

ANDREA AMBROSI – Postulatore della Causa

(C) L’OSSERVATORE ROMANO Domenica 7 Marzo 1999