Vita di San Romualdo 1/7

Di S. Pier Damiano


Traduzione, Commento e Note a cura di Thomas Matus



Introduzione


Mentre scrive la Vita del beato Romualdo (= VR), Pier Damiano si trova al monastero di San Vincenzo presso la gola del Furlo, provincia di Pesaro e Urbino. Ha trentacinque anni ed è da otto anni monaco al piccolo eremo benedettino di Fonte Avellana. Siamo nel 1042, quindici anni dopo la morte di Romualdo.

S. Romualdo non ha fondato Fonte Avellana; se mai l’abbia visitato, non ce lo dice Pier Damiano. Ma alcuni monaci di S. Vincenzo hanno conosciuto Romualdo e l’hanno avuto come maestro; perciò chiedono con insistenza che il dotto avellanita ne scriva la vita.


Oggi, chi legge questa Vita, anche un monaco o una monaca che vede in S. Romualdo il maestro ideale della sapienza monastica, ha bisogno di una chiave di lettura del testo, per non confonderne la forma con il contenuto, la veste letteraria agiografica con la realtà vissuta dai suoi protagonisti. Infatti, è impossibile formarsi un’idea giusta della persona e della missione di Romualdo, se non si tenga ben presenti: 1) le intenzioni dell’autore, 2) il genere letterario dell’opera e 3) le fonti cui l’autore attinge.



Le intenzioni dell’autore


S. Pier Damiano esprime la sua intenzione principale già con la prima parola della VR: Adversum, “Contro!”. Il Damiano esordisce come scrittore (la VR è la sua prima opera pubblicata) protestando contro un «mondo immondo», contro una società, una cultura e una Chiesa che girano a vuoto, che mantengono intatte le forme ormai prive di contenuto, mentre dappertutto c’è una gran folla «affamata della Parola di Dio» (cf. Amos 8,11), specialmente della parola divenuta carne di «ortoprassi» nei santi, quali Romualdo di Ravenna. Perciò il Damiano intende proporre, agli uomini del suo tempo, compresi gli uomini di Chiesa, l’esemplificazione di certi valori che questi uomini andavano perdendo o avevano già perduto.


La VR proietta gli eventi vissuti dal santo sul grande schermo di un futuro desiderato e auspicato dall’autore; l’opera mette Romualdo in primo piano come modello per una riforma generale della società ecclesiastica e civile. E’ per questo – e non solo per motivi di correttezza storiografica – che Pier Damiano evita di raccontare tanti miracoli attribuiti al santo durante la vita e dopo la sua morte. Pur volendo che la gente comune ascolti la sua VR, il Damiano non sta al gioco della loro sete del miracoloso; di S. Giovanni Battista – dice – non si racconta alcun miracolo. Quel che vale, nella vita del Precursore di Gesù come in quella dell’abate eremita di Ravenna, è il senso profetico dei fatti. La vita di un santo si presenta, dunque, come rimprovero per il presente e come proposta e sfida per il futuro.



Il genere letterario


Il genere letterario della VR non è storico: Pier Damiano non è il “biografo” di S. Romualdo, nel senso odierno del termine. Lo dice lui stesso: non hystoriam texens sed quoddam quasi breve commonitorium faciens. Il suo commonitorium (allo stesso tempo una “testimonianza”, un “memoriale” e un “ammonimento”) è stato composto sulla falsariga di testi letti e riletti nei monasteri e nelle chiese sin dal quarto secolo. Il primo esempio di questo genere – il racconto di un santo monaco che ha reso testimonianza nella Chiesa alla divinità di Cristo e alla sua vittoria sul male è la Vita di Antonio scritta da S. Atanasio di Alessandria in Egitto ai tempi della lotta fra ariani e ortodossi. Qualche decennio più tardi S. Girolamo scrisse la Vita di Ilarione, un Palestinese convertitosi a Cristo e all’ascesi monastica sotto l’influsso dello stesso Antonio. Negli ambienti benedettini, poi, il testo agiografico per eccellenza erano i Dialoghi di S. Gregorio Magno (540-604), specialmente il libro II che parla di Benedetto abate di Montecassino, cui la tradizione ha sempre attribuito la Regola dei monaci detta di S. Benedetto. La stessa Regola, pur non avendo carattere narrativo, fu un punto di riferimento essenziale per l’agiografia medioevale: giacché «questa Regola non contiene la totalità di ciò che è giusto» (si tratta del titolo del capitolo 73) i monaci del Medioevo cercavano modelli di perfezione cristiana e monastica negli esempi dei loro confratelli santi i quali, studiando e vivendo fino in fondo le Sacre Scritture e «gli insegnamenti dei santi Padri», erano andati oltre ogni regola nell’adempimento della loro vocazione.


 Pier Damiano propone la sua VR come un testo liturgico, un libro da leggere in chiesa, dal pulpito, davanti ai fedeli radunati per celebrare il transito del santo. La VR trova la sua collocazione liturgica nell’Ufficio divino, specialmente nell’Ora dell’ascolto, la Veglia notturna o Mattutino. Posto accanto alla salmodia cantata e ai brani biblici letti e ascoltati, il libro sull’abate eremita di Ravenna li commenta ed è da essi commentato.


 Riletta oggi al tavolino o passeggiando o in treno, la VR richiede, per la sua giusta comprensione, un notevole sforzo mentale. Siamo appena all’inizio di una stagione di rinnovamento biblico-liturgico, grazie al Concilio Vaticano II, ancora molto lontano dal recupero della celebrazione popolare delle Ore, quel memoriale Dei che dovrebbe essere la liturgia per eccellenza del Popolo di Dio, una liturgia che culmina nell’atto sacerdotale dell’Eucaristia ma non è da questa sostituita o soppressa. Facciamo ancora fatica a riscoprire il valore della lettura liturgica ascoltata e meditata insieme, commentata, certo, anche dalle parole di un prete, ma innanzitutto commentata per l’accostamento al canto dei Salmi – nella lingua del popolo, si intende. Solo sforzandoci almeno di immaginare tale contesto liturgico-biblico-mistagogico, riusciremo a comprendere il senso profetico della VR.


 


Le fonti


Le fonti su Romualdo cui attinse Pier Damiano sono tutte orali. Lo sappiamo, primo, perché lo dice lui, e secondo, perché è probabile che il Damiano non abbia letto i due scritti che egli attribuisce a Romualdo (un libretto «Sulla lotta contro i demoni» e un Salterio commentato) ed è certo che non abbia conosciuto il testo della Vita dei cinque fratelli scritta nel 1008 da S. Bruno Bonifacio di Querfurt, allorché «il padre degli eremiti ragionevoli» aveva circa 56 anni.


Ora, la tradizione orale è molto affidabile quando si tratta di luoghi e gesta, ma non altrettanto quando si tratta di date e nomi di persone. Nelle note introduttive ai singoli capitoli della VR avviseremo il lettore quando le informazioni che Pier Damiano ha raccolto e trasmesso non corrispondono alla verità storica, accertata da documenti contemporanei agli eventi.


Quali sono i documenti – oltre, si intende, la VR – che parlano dell’abate eremita ravennate? Di primissima importanza è naturalmente la Vita dei cinque fratelli. S. Romualdo è menzionato pure in altri documenti pre-damianei, sebbene solo per transennam. Nella Vita di Pietro Orseolo (opera di un monaco catalano che scrive all’inizio del secolo XI) leggiamo che Orseolo, il doge di Venezia, con «tre personaggi della società veneta, Giovanni Morosini, Giovanni Gradenigo e Romualdo», parte di nascosto per l’abbazia di S. Michele di Cuixá (o Cuxa) nei Pirenei orientali. E’ la prima data certa nella vita di Romualdo: domenica 1 settembre 978.


Questa data ci aiuta a risolvere la questione dell’età di S. Romualdo, cui Pier Damiano attribuisce 120 anni. Dal momento che il resto della cronologia romualdina si svolge regolarmente a partire da quella data, allora Romualdo, secondo il Damiano, avrebbe dovuto avere 71 anni ed essere stato nelle paludi di Venezia per quasi mezzo secolo insieme al vecchio eremita Marino, cui di conseguenza dovremmo affibbiare almeno 90 anni; dopo altri dieci Marino avrebbe avuto la forza per scendere a piedi dai Pirenei e andare a finire in Puglia, dove sarebbe stato ucciso dai saraceni! – tutte conclusioni in sé assurde e inconciliabili con quanto lo stesso Damiano dice nei primi capitoli della VR. Di nuovo, il nostro razionalismo cartesiano deve mettersi da parte e lasciarci leggere i numeri come li leggevano gli antichi, ossia come simboli. I 120 anni hanno un valore profetico: E’ l’età di un nuovo Mosè che ha guidato l’esodo di una schiera di monaci e monache e li ha avviati verso la terra promessa della libertà interiore, oltre il deserto del formalismo e delle regole.

Bibliografia Essenziale

R. BARTOLETTI, S. Romualdo. Ricognizione sepolcro, Edizioni Camaldoli 1981.
R. BARTOLETTI, S. Romualdo. Vita iconografia, Edizioni Camaldoli 1984.
A. PAGNANI, Vita di S. Romualdo abbate fondatore dei Camaldolesi, Edizioni Camaldoli 1967.
PIER DAMIANO, Vita di S. Romualdo padre e maestro dei Monaci Benedettini Camaldolesi, Edizioni Camaldoli 1982.
G. TABACCO, Petri Damiani Vita Beati Romualdi, Istituto Italiano per lo Studio del Medievo, Roma 1957 (= Fonti per la storia d’Italia, 94).
G. TABACCO, Romualdo di Ravenna e gli inizi dell’eremitismo camaldolese, in «L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII». Atti della 2a settimana internazionale di studio, Mendola 30 agosto – 6 settembre 1962, Vita e Pensiero, Milano 1965, pp. 73-121.
G. TABACCO – P. CANNATA, Romualdo, «Bibliotheca Sanctorum», t. XI, Roma 1968, coll. 365-384.
L. VIGILUCCI, Camaldoli. Itinerario di storia e di spiritualità, Edizioni Camaldoli 1988.