Sacramenti e Codice di Diritto Canonico (8)

IL MATRIMONIO (cc 1055-1165) (I parte) Le proprietà del matrimonio. Diritto al matrimonio. La promessa di matrimonio. La cura pastorale per il matrimonio.
 

IL MATRIMONIO (I parte)
(cc 1055-1165)

II patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato dal Signore alla dignità di sacramento.
Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento (c. 1055; cfr. DS 1801).
In questo canone è affermata la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sul primato della persona umana, cui sono ordinate e finalizzate le leggi canoniche.
Il matrimonio è un patto o contratto del tutto singolare, che si distingue dagli altri patti e contratti per la sua origine radicata nel diritto di natura, per il consenso che non può essere supplito da nessun altro, per l’oggetto e le proprietà essenziali che si sottraggono alla libera volontà dei contraenti.
È, inoltre, un contratto strettamente bilaterale e individuo, cosicché se anche una sola delle parti è inabile a contrario, esso è invalido per ambedue le parti; ed è strettamente bilaterale anche per l’oggetto formale e cioè per la comune consuetudine di vita che comporta gli stessi diritti e doveri per entrambe le parti.

Le proprietà del matrimonio

1. Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento (c. 1056).
L’unità e l’indissolubilità sono proprietà essenziali del matrimonio sin dalla sua origine (Gen 2,24; 1 Cor 6,16; Ef 5,28), ed essendo di diritto naturale, obbligano anche gli infedeli.
Alla unità del matrimonio si oppone la dissoluzione del vincolo, e cioè il divorzio. Potendosi tuttavia togliere la indissolubilità del matrimonio con una positiva dispensa divina e non ripugnando la poligamia al diritto naturale, assolutamente, come la poliandria, si spiega perché anticamente gli ebrei e i pagani avessero la poligamia, che poi da Cristo fu soppressa (Mt 19,8-9).
L’unità e l’indissolubilità diventano più vincolanti ed esigenti per la sacramentalità dell’istituto matrimoniale, che Cristo ha rifondato sulla immagine della sua unione sponsale con la Chiesa (Ef 5,22 ss).
Come, un tempo. Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani con il sacramento del matrimonio.
Con il sacramento, l’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino, ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dell’azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi, in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della loro sublime missione (Gs 48).

2. Con le proprietà essenziali, stanno in intima relazione i beni del matrimonio, e cioè: la procreazione e l’educazione della prole (bonum prolis), la mutua fedeltà (bonum fidei), l’indissolubilità del contratto matrimoniale (bonum sacramenti).
Questi tre “beni” sono così essenziali al matrimonio, che se il contraente non ne volesse assumere l’obbligo, contrarrebbe invalidamente.
Chi, invece, assumesse l’obbligo del “bonum prolis et fidei”, ma si proponesse di non adempierlo, contrarrebbe validamente, perché resterebbe salva la sostanza del patto matrimoniale. Sarebbe inutile fare simile distinzione per il “bonum sacramenti”, e cioè per l’indissolubilità, perché il matrimonio è di sua natura indissolubile.
Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati, per loro natura, alla procreazione e alla educazione della prole. I figli, infatti, sono il prezioso frutto e dono del matrimonio, e contribuiscono al bene stesso dei genitori. I genitori sono cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nell’ufficio di trasmettere la vita umana e di educarla, e perciò, insegna il Vaticano II, “i genitori adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile reverenza verso Dio, con riflessione e impegno comune, si formeranno un retto giudizio, tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno, valutando le condizioni di vita del proprio tempo e del proprio stato di vita, salvaguardando la scala dei valori del bene della comunità familiare, della società temporale e della stessa Chiesa.
Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono essere retti da una coscienza che sia conforme alla stessa legge divina, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico quella legge interpreta alla luce del Vangelo” (Lg 50).
“Quando si tratta di comporre l’amore coniugale con la trasmissione della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale” (Gs 51).
Nella Lettera enciclica Humanae vitae di Paolo VI (25 luglio 1968) si legge: “È assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto direttamente voluto e procurato, che il Vaticano II definisce abominevole crimine (Gs 51), anche se per ragioni terapeutiche.
È parimenti da escludere la sterilizzazione diretta sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione”.
L’etica cristiana ammette come moralmente lecito per la regolazione delle nascite il ricorso ai mezzi naturali i quali, in questi ultimi anni, si dimostrano sempre più scientificamente sicuri, come il metodo della temperatura o Billings. Se però si vuole che la proposta morale della Chiesa circa la regolazione responsabile della fertilità sia accettata, occorre adoprarsi perché essa sia presentata in modo obiettivo e credibile. “In tal senso, bisogna far di tutto perché la conoscenza della corporeità e dei suoi ritmi di fertilità sia resa accessibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un’informazione e una educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio [22 novembre 1981], 33).
Il compito educativo dei genitori nei confronti della prole riceve dal sacramento del matrimonio la dignità e la vocazione di un vero e proprio ministero della Chiesa al servizio della edificazione dei suoi membri.
“La coscienza viva e vigile della missione ricevuta col sacramento del matrimonio, afferma Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, aiuterà i genitori cristiani a porsi con grande serenità e fiducia al servizio educativo dei figli e, nello stesso tempo, con senso di responsabilità di fronte a Dio che li chiama e li manda ad edificare la Chiesa nei figli. Così la famiglia dei battezzati, convocata quale Chiesa domestica della Parola e dal sacramento, diventa insieme, come la grande Chiesa, maestra e madre” (ibid., 38).
L’educazione cristiana non comporta solo quella maturità propria dell’umana persona, ma tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede che hanno ricevuto; imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità specialmente attraverso l’azione liturgica, si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e santità della verità, e così raggiungano l’uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo e diano il loro apporto all’aumento del suo corpo mistico (Concilio Vaticano II, Dichiarazione sull’educazione cristiana, 2).
L’atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana.
Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (c. 1057).
Quale debba essere il consenso perché il matrimonio sia valido e in quali casi il consenso sia viziato e cioè tale da rendere nullo il matrimonio, sarà detto più avanti quando si esporranno i canoni 1095-1103.
Per ora è da sottolineare che a nessuno è lecito influire, in modo ingiusto e determinante, sul consenso matrimoniale, pena la sua nullità.
La libertà richiesta per un valido consenso matrimoniale viene meno nel caso in cui i contraenti non sono in grado di prendere una decisione consapevole, libera e responsabile.
A questo proposito va detto che i genitori hanno il diritto-dovere di consigliare i figli, soprattutto in decisioni importanti qual è quella del matrimonio; ma ad essi, come a nessun altro, non è consentito pregiudicare la libertà dei figli.

Diritto al matrimonio
Tutti possono contrarre il matrimonio, se non ne hanno la proibizione dal diritto (c. 1058).
Attesa la peculiare rilevanza sociale ed ecclesiale del patto coniugale, esso non è valido senza l’osservanza delle legittime norme sancite dall’autorità civile e, nel caso del matrimonio dei battezzati, dall’autorità religiosa.
Non è sufficiente che a ogni persona, che abbia i requisiti richiesti dal diritto naturale e positivo, sia riconosciuto il diritto teorico a] matrimonio; ma è doveroso per la comunità, sia civile sia ecclesiale, creare le condizioni che consentono l’esercizio del diritto a sposarsi e a formare una famiglia.
E poiché, per esempio, la casa e il lavoro sono condizioni praticamente necessario per sposarsi e formare una famiglia, è grave dovere dei pubblici poteri, di quanti ne hanno la possibilità e della comunità non far mancare quanto condiziona l’esercizio del diritto naturale al matrimonio.
Le restrizioni legali, sia di carattere permanente sia transitorio, possono essere introdotte solamente quando sono richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica (cfr. Carta dei diritti della famiglia, pubblicata dalla Santa Sede, 22 ottobre 1983).
Il matrimonio dei cattolici, anche quando sia cattolica una sola delle parti, è retto non soltanto dal diritto divino, ma anche da quello canonico, salva la competenza dell’autorità civile circa gli effetti puramente civili del medesimo matrimonio (c. 1059).
Il matrimonio dei cattolici, in quanto sacramento e con le relative implicanze e conseguenze, è soggetto alla sola competenza della Chiesa.
Il matrimonio valido tra battezzati si dice soltanto rato, se non è stato consumato; rato e consumato se i coniugi hanno compiuto tra loro, in modo umano, l’atto per sé idoneo alla generazione della prole, e per il quale i coniugi divengono una sola carne (c. 1061, par 1; cfr. Gen 2,24).
Il matrimonio invalido si dice putativo, se fu celebrato in buona fede da almeno una delle parti, fino a tanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullità (c. 1061, par 3).

La promessa di matrimonio
La promessa di matrimonio, sia unilaterale sia bilaterale, detta fidanzamento, è regolata dal diritto particolare stabilito dalla Conferenza episcopale, nel rispetto delle eventuali consuetudini e leggi civili (c. 1062, par 1). Poiché la Conferenza episcopale italiana ha deciso di non emanare norme circa le promesse di matrimonio (23 gennaio 1984), la promessa di matrimonio è regolata soltanto dalle legittime consuetudini e dalla legislazione civile.
Dalla promessa di matrimonio non consegue l’azione per esigerne la celebrazione; consegue, invece, quella della riparazione dei danni, se dovuta (c. 1062, par 2).
Dalla promessa non può derivare l’obbligo legale di contrarre il matrimonio, poiché, in caso contrario, il contraente non avrebbe la libertà necessaria per esprimere quel consenso che costituisce l’elemento essenziale del contratto matrimoniale.
La promessa di matrimonio è implicita in ogni prolungato rapporto finalizzato al matrimonio, tra due persone abili a contrario; ma può essere esplicita con le parole o con gli scritti.
L’intenzione di contrarre matrimonio diventa un decisivo e definitivo alto di volontà soltanto con la celebrazione delle nozze.
Nel caso che una sola delle due parti decida di rinunciare al matrimonio, essa ha il dovere, spesso soltanto morale, di risarcire l’altra parte di tutti i danni, di ordine sia economico sia morale, subiti.
In nessun caso, però, la parte lesa può esigere il matrimonio, neppure il cosiddetto “matrimonio riparatore” che, d’altra parte, non sempre riesce vantaggioso per la stessa parte innocente.
Se il matrimonio viene contratto allo scopo di riparare l’errore compiuto o il danno inferto, l’errore delle nozze può diventare “peior priore”, poiché il consenso matrimoniale sarebbe privo della piena volontarietà, con tutte le conseguenze negative, facilmente prevedibili.
I pastori d’anime si astengano dal consigliare il cosiddetto matrimonio riparatore e non si prestino a facilitarne la celebrazione. Spetta infatti ad essi giudicare l’idoneità dei contraenti ad assumere la volontà di adempiere gli obblighi propri del matrimonio cristiano, mentre, nel caso, non dispongono di elementi positivi tali che facciano prevedere che i contraenti, e soprattutto la parte colpevole, diano garanzie sicure di una ben ponderata e libera scelta di fede.
Il Codice civile italiano statuisce che la promessa di matrimonio non obbliga a contrario ne ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
Il promittente può tuttavia domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto.
La promessa di matrimonio, fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata da persona maggiore di età o dal minore autorizzato da chi deve dare l’assenso per la celebrazione del matrimonio, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa. Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa ha dato giusto motivo al rifiuto dell’altro (Codice civile, artt 79-81).

La cura pastorale per il matrimonio
I pastori d’anime sono tenuti all’obbligo di provvedere che la propria comunità ecclesiale presti ai fedeli quell’assistenza mediante la quale lo stato matrimoniale perseveri nello spirito cristiano e progredisca in perfezione.
Tale assistenza va prestata anzitutto:
–  con la predicazione, con adeguata catechesi ai minori, ai giovani e agli adulti, e anche con l’uso degli strumenti di comunicazione sociale, mediante i quali i fedeli vengano istruiti sul significato del matrimonio e sul compito dei coniugi e dei genitori cristiani;
– con la preparazione personale alla celebrazione del matrimonio, per cui gli sposi si dispongano alla santità e ai doveri del loro nuovo stato;
– con una fruttuosa celebrazione liturgica del matrimonio, in cui appaia manifesto che i coniugi significano e partecipano al mistero di unione e di amore fecondo tra Cristo e la Chiesa;
– offrendo aiuto agli sposi perché questi, osservando e custodendo con fedeltà il patto coniugale, giungano a condurre una vita familiare ogni giorno più santa e più intensa (c. 1063).
Il matrimonio è strettamente collegato ai sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia); fonda, inoltre, una comunità primaria che, come chiesa domestica, ha parte insostituibile nella missione della salvezza e nella testimonianza evangelica nel mondo; e, insieme al sacramento dell’ordine sacro, è costante punto di riferimento per la edificazione della comunità cristiana.
Di qui la necessità che l’esposizione della fede e dell’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la conseguente catechesi in ordine alla preparazione, alla celebrazione del sacramento e alla vita coniugale che da esso procede, impegnino in modo organico e permanente non solo i pastori d’anime, ma l’intera comunità ecclesiale.
Tale necessità è oggi particolarmente grande e urgente per il contesto socio-culturale che tende ad affievolire, anche nei cristiani, la coscienza della dimensione religiosa e sacramentale del matrimonio, e ne corrode i valori fondamentali (cfr Cei, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 20 giugno 1975).
La preparazione al sacramento del matrimonio è frutto dì un’educazione cristiana che si rivolge in modo costante a tutti i credenti, dall’infanzia all’adolescenza e all’età adulta. L’educazione all’autentico amore che sta alla base del matrimonio non può ridursi al momento che precede immediatamente la celebrazione del sacramento, ma deve essere il contenuto permanente dell’opera educativa.
La preparazione al matrimonio va vista e attuata come un processo graduale e continuo; e comporta tre principali momenti:

a) la preparazione remota ha inizio fin dall’infanzia, in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze.
È il periodo in cui va istillata la stima per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali;

b) la preparazione prossima, dall’età opportuna e con un’adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale comporta una più specifica preparazione ai sacramenti, quasi una loro riscoperta, affinché il sacramento sia celebrato e vissuto con le dovute disposizioni morali e spirituali.
La formazione religiosa deve cioè essere integrata da una preparazione alla vita a due che, presentando il matrimonio come un rapporto interpersonale dell’uomo e della donna da svilupparsi continuamente, stimoli ad approfondire i problemi della sessualità coniugale, della paternità responsabile e dell’educazione della prole.
Né si deve tralasciare la preparazione all’apostolato familiare, alla fraternità e collaborazione con le altre famiglie, all’inserimento attivo nei gruppi, associazioni, movimenti e iniziative che hanno per finalità il bene umano e cristiano della famiglia e della società;

c) la preparazione immediata deve aver luogo negli ultimi mesi e settimane che precedono le nozze, per dare un nuovo significato, nuovo contenuto e forma nuova al cosiddetto esame prematrimoniale richiesto dalle norme canoniche (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 66).
Si abbia particolare cura dell’educazione sessuale dei giovani che si preparano al matrimonio, con una catechesi atta a presentare i valori positivi della sessualità, e che rettifichi le loro idee spesso attinte dal costume e dalla cultura, oggi dominante, dell’egoismo, dell’edonismo, del permissivismo e della più sfrenata libertà.
Il vero amore non deve essere identificato con la sola attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce (Gs 49).
Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale; cioè soprattutto quando la celebrazione del matrimonio è impedita dalle circostanze esterne, o se questa intima relazione sembra necessaria perché sia conservato l’amore.
Questa opinione è in pieno contrasto con la dottrina cristiana, secondo la quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio. È nel matrimonio, infatti, che l’uomo e la donna “ non sono più due ma una carne sola” (Gen 2,24; cfr. Congregazione per la dottrina della fede. Questioni di etica sessuale [29 dicembre 1975],7).
L’educazione sessuale deve condurre i giovani a prendere coscienza delle diverse espressioni e dei dinamismi della sessualità, dei valori immani che devono essere rispettati.
Il vero amore è capacità di aprirsi al prossimo in aiuto generoso, è dedizione all’altro per il suo bene; sa rispettare la personalità e la libertà dell’altro; non è egoista, non ricerca se stesso nell’altro, è oblativo, non possessivo.
È soltanto nel quadro del matrimonio che possono svolgersi i rapporti intimi sessuali — perché solo allora si verifica la connessione inscindibile, voluta da Dio —, ordinati a mantenere, confermare ed esprimere una definitiva comunione di vita, mediante la realizzazione di un amore umano, totale, fedele, fecondo, cioè l’amore coniugale.
Perciò le relazioni sessuali prematrimoniali costituiscono un grave disordine morale perché sono espressioni riservate a una realtà che non esiste ancora (Congregazione per la dottrina della fede. Orientamenti educativi sull’amore umano [1 novembre 1983], 94 s).
Presso il consultorio familiare diocesano i nubendi, frequentando appositi corsi, vengono informati sulla complessa tematica e problematica del matrimonio e della famiglia.
I parroci debbono promuovere periodici incontri con i giovani sposi, e dedicare ad essi tempo e attenzione particolare in occasione delle visite alle famiglie della parrocchia.
Sono inoltre di grande utilità pastorale le celebrazioni, in parrocchia, delle ricorrenze anniversarie dei matrimoni, quali il primo anniversario, i cinque, i dieci, i venticinque, cinquanta anni di matrimonio.
Con gli incontri, le celebrazioni anniversarie e la catechesi in genere, i pastori d’anime curino di risvegliare e accrescere nei coniugi cristiani la consapevolezza che, in forza del sacramento permanente del matrimonio, essi sono consacrati ad essere ministri di santificazione nella famiglia e di edificazione della Chiesa.
I coniugi, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa, si aiutano a vicenda per raggiungere la santità della vita coniugale nell’accettazione ed educazione della prole, ed hanno così nel loro stato di vita e nella loro funzione il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. In questa, che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale (Lg 11),