S. STEFANO I (969-1038) e S. EMMERICO (1007-1031)

S. Stefano
Consacrato re d'Ungheria nella notte di Natale dell'anno mille con il titolo di "re apostolico", organizzò la vita politica del suo popolo riunendo le 39 contee in unico regno, e quella religiosa gettando le fondamenta di una solida cultura cristiana. Egli divise il territorio in diocesi ed eresse chiese e monasteri. Aveva sposato la principessa, Gisella di Baviera che lo sostenne nella sua opera e che alla sua morte si richiuse nel monastero benedettino di Passau.

S. Emerico
Venne educato dal 1015 al 1023 da san Gerardo abate benedettino veneziano. Sposò una principessa bizantina, ma secondo una sua biografia redatta fra il 1109 e 1116, egli visse durante il matrimonio in perfetta castità, collaborando con il padre re Stefano alla conversione dei sudditi. In seguito ad un incidente di caccia Emerico morì nel 1031 ad Alba Regale in Ungheria.

 

Stefano ricevette il nome di Wajk quando nacque verso il 969 a Strigonia (Erztergom) da Géza, 4° duca pagano dei magiari o ungari e da Adelaide, principessa cristiana, sorella del duca di Polonia Mieszko I Piasti. Il suo paese prima dell'era cristiana era stato occupato da Celti e Traci; sotto l'imperatore Ottaviano era stato colonia romana; sotto Tiberio provincia col nome di Pannonia; sotto Traiano era diventato una colonia con il nome di Dacia (106 d.C.).
Alla fine del secolo IX i magiari, provenienti dalla Mongolia sotto la guida del principe Arpad, penetrarono in quella regione danubiana e nelle loro ripetute incursioni devastatrici giunsero fino alla pianura padana e alla Francia meridionale facendo tremare l'Europa cristiana. Dal tempo dei romani la fede cattolica aveva già avuto larga diffusione in quelle terre, ma era stata annullata dal susseguirsi delle invasioni degli unni e degli avari. I magiari furono respinti definitivamente dall'imperatore Ottone I sulle sponde del fiume Lech sotto Augusta (955), coadiuvato da tutto il popolo, ma specialmente dal vescovo della città, S. Uldarico (+973). L'avvenimento rivestì importanza europea perché obbligò alla vita sedentaria e tranquilla quel popolo monoteista, rispettoso del vincolo matrimoniale, desideroso di assimilare la cultura cristiana.
Il principe Géza comprese molto presto la necessità che i suoi sudditi si conformassero al mondo latino-occidentale se non volevano scomparire dalla storia come gli unni e gli avari. Permise quindi, sia pure per fini politici, che missionari tedeschi, italiani e slavi si stabilissero in mezzo al popolo per evangelizzarlo. Nel 974 volle ricevere egli stesso il battesimo con il figlio Wajk, che assunse il nome Stefano, per le mani di S. Adalberto di Praga, parente della sua consorte Adelaide. Stefano fu il vero organizzatore dello stato nazionale ungherese con l'aiuto decisivo dell'imperatore Ottone III. Sposatesi con Gisella, figlia di Enrico II, duca di Baviera, e sorella di S. Enrico II, imperatore di Germania, alla morte del padre ottenne la pace con i popoli vicini e, vinte le resistenze interne contro Koppàny, un suo parente che aspirava al principato e contro Ajtony, capo tribù appoggiato dallo zar bulgaro Samuele, egli diede alla nazione magiara una costituzione politica ispirata al cristianesimo e alla legislazione carolingia, facendo prevalere con saggezza e autorità la vita cristiana sulle usanze pagane.
Per dimostrare la sua filiale dipendenza dalla Santa Sede, nel 1000 mandò al papa Silvestro II, a Roma, l'abate Ascherik perché chiedesse il riconoscimento del suo titolo e della sua dignità regale, oltre i necessari poteri per organizzare stabilmente la Chiesa ungherese. Il papa, che accarezzava progetti di rinnovamento politico e religioso, accolse la richiesta mandandogli una corona regale che fu saldata in seguito con un'altra di provenienza bizantina. Il santo fu consacrato 're apostolico' d'Ungheria nel Natale del 1000. Lo stabilizzarsi di un regno ungherese nella Pannonia segnava la rottura definitiva del blocco slavo, con grande vantaggio della Germania. E per questo che Ottone III si mostrò lieto di quella emancipazione appoggiandola presso l'amico pontefice.
Che Stefano sia stato nominato Legato pontificio è una leggenda sorta nel secolo XII. In base alle facoltà ottenute è certo che per la suprema direzione della Chiesa ungherese egli fondò gli arcivescovadi di Strigonia e Kalocsa con otto vescovadi. A quell'epoca Stato e Chiesa dipendevano unicamente dal re, ma il santo monarca non ne approfittò per sottomettere gli interessi ecclesiastici a quelli civili e politici perché incarnò per i suoi contemporanei l'ideale agostiniano del re "pio, giusto e pacifico".
La conversione degli ungheresi fu accelerata nel segno della riforma cluniacense. Avevano abbracciato difatti il nuovo indirizzo spirituale tanto S. Stefano in intima corrispondenza con S. Odilone, V° abate di Cluny, quanto i suoi collaboratori e consiglieri, quali S. Volfango, poi vescovo di Ratisbona; S. Adalberto, vescovo di Praga, con i suoi discepoli romani e tedeschi; S. Brunone di Querfurt, apostolo degli ucraini e soprattutto S. Gerardo Sagredo, abate di S. Giorgio in Venezia, poi vescovo di Csanàd, educatore di Emmerico, figlio del re, e quindi protomartire dell'Ungheria (+1046).
Per la diffusione della vita monastica benedettina Stefano fece costruire parecchie abbazie e, per l'incremento della vita spirituale dei fedeli fece edificare numerose chiese da architetti italiani e dalmati. Ogni gruppo di dieci villaggi aveva la sua chiesa parrocchiale e assicurava, con la decima, la sussistenza del clero. Tante leggi da lui promulgate concernevano la diffusione e la salvaguardia della vita cristiana, l'assistenza alla Messa, il rispetto delle feste, ecc. Questa cristianizzazione intensiva, molto simile, per i suoi metodi, a quella di Carlo Magno, suscitò persino nella sua cerchia vivaci resistenze, che ebbero un momentaneo successo alla morte del santo sovrano. Bela I (+1063), però, distrusse rapidamente e per sempre la potenza del paganesimo che sopravvisse ancora a lungo solo nelle usanze del popolo.
Stefano, piccolo di statura, ma grande di animo, fu da tutti i suoi contemporanei lodato per la sua carità e l'ospitalità accordata a principi perseguitati o a stranieri diretti alla Terra Santa. Per i pellegrini ungheresi fondò ospizi a Costantinopoli, Gerusalemme, Ravenna, Roma e Aquisgrana. Al tempo della spaventosa carestia del 1006, numerosi abitanti della Vallonia e i loro preti trovarono rifugio in Ungheria. Tanta bontà valse a Stefano una grande popolarità in Europa, specialmente nelle regioni del Reno.
La potenza secolare del magnanimo monarca era basata sulle ricchezze della corona, costituite in parte dagli antichi beni della famiglia principesca, ma soprattutto dai vastissimi terreni rimasti liberi dall'occupazione delle tribù in occasione della presa di possesso del paese. Il patrimonio reale venne ripartito in 39 "comitati" agli ordini di un comes alle dipendenze di un amministratore supremo, il "comes palatinus". I proventi del fisco erano in gran parte costituiti da introiti demaniali.
Molte istituzioni economiche e finanziarie venivano introdotte dalla Baviera e la moneta ungherese, assai pregiata anche oltre i confini del regno, era coniata da italiani e bavaresi. La potenza economica del re era quindi illimitata, la sua monarchia assoluta. La nobiltà, convocata in assemblea, ricevette le sue prime leggi scritte nel 1010, e sono conosciute sotto il nome di Decreti di S. Stefano. La tradizione gli attribuisce pure le Esortazioni rivolte al suo unico figlio, Emmerico. Una delle sue idee più care era che ciascun popolo deve avere la libertà di potere vivere secondo le proprie leggi.
Con i popoli confinanti Stefano cercò di mantenere sempre buone relazioni per assicurare il regolare processo delle riforme nell'interno del suo paese. In conseguenza della rivolta di Ajtony di Marosvàr concluse un'alleanza con Basilio II, imperatore di Bisanzio, allora in lotta decisiva contro Samuele, lo zar della Serbia, che nel 1003 aiutò a soggiogare. Come pegno di stima l'imperatore volle mandargli una reliquia della santa Croce. Nell'interesse di suo cognato, il profugo doge Ottone Orseolo, mandò le truppe contro le città dalmate e occupò Traù e Spalato (1028) con l'aiuto di Cressimiro, re di Croazia, suo alleato. Nel 1030 Corrado II il salico, imperatore della Germania, aveva invaso l'Ungheria perché si contrapponeva alla sua politica veneta e bizantina. Stefano, dopo avere indetto preghiere e digiuni contrattaccò, con il figlio Emmerico, l'esercito invasore, lo sconfisse e costrinse l'imperatore a cedergli alcune terre.
Alla scuola del padre, Emmerico imparò a crescere pio, oltre che valoroso. Di notte, mentre i suoi ufficiali dormivano, egli si alzava per recitare l'ufficio divino. Al termine di ogni salmo soleva fare un atto di contrizione. Il re lo metteva al corrente di tutti i più importanti affari che riguardavano lo stato, desiderando prepararlo degnamente alla successione al trono. Un giorno lo condusse con sé a visitare il monastero di San Martino da lui fondato. Nel salutare i religiosi egli notò, con stupore, che il figlio abbracciava certuni una volta, altri due e alcuni diverse volte. Dopo la Messa gliene chiese la spiegazione e allora il figlio, con semplicità, gli disse che aveva usato quelle differenze in proporzione del grado di santità notato in ciascuno di essi.
Una notte, mentre Emmerico pregava a Veszprém, nella chiesa di San Giorgio, per chiedere a Dio che gli manifestasse il miglior modo di santificare la propria vita, vide una luce che rischiarava tutta la chiesa e udì una voce che gli disse: "La verginità è una preziosissima offerta, e io desidero che tu la conservi di corpo e di spirito fino alla morte". Il principe non manifestò la rivelazione al padre il giorno in cui gli fu proposto di sposare Elena, figlia di Mieszko Piastri (+992), primo re di Polonia, convertitosi al cristianesimo nel 966 con i suoi sudditi. Egli ubbidì a malincuore, fiducioso che il Signore gli avrebbe dato la grazia di congiungere il matrimonio con la promessa di verginità. È tradizione che egli sia vissuto con la consorte come fratello e sorella fino alla morte, che avvenne il 4-11-1031, durante una partita di caccia.
Gli ultimi anni di vita di Stefano furono amareggiati dalla questione della successione al trono. Avendo perduto il figlio, che faceva bene sperare per la sua vita penitente e santa, non volle affidare il dominio a un parente, Vaszoly, perché era uno dei fautori dell'antico paganesimo. Nominò suo successore il nipote Pietro Orseolo, capitano supremo dell'esercito magiaro. Morì nel 1038, il giorno della festa dell'Assunta, come aveva desiderato, dopo avere consacrato il regno alla S. Vergine. Fu sepolto accanto al figlio nella chiesa che aveva fatto costruire ad Alba Reale (oggi Stuhlweissenburg). La sua consorte Gisella si ritirò in un convento di benedettine a Passau, e morì verso il 1095 abbadessa di Niederbourg.
S. Stefano, patrono dell'Ungheria, fu canonizzato con il figlio nel 1083 da S. Gregorio VII (+l085) per interessamento di S. Ladislao, re d'Ungheria. La memoria di S. Emmerico si celebra il 4 novembre.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 162-166
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