S. MICHELE FEBRES CORDERO (1853-1910)

Fratel Michele non si presentava in classe senza una minuziosa preparazione avendo la preoccupazione non di apparire brillante, ma di essere capito. A chi si meravigliava di vederlo studiare ancora dopo tanti anni di insegnamento, rispondeva: “Prepariamo con cura le nostre lezioni perché i laici non ci ritengano inferiori a loro. Essi pensano che noi insegniamo solo a pregare; ebbene, cerchiamo di dimostrare loro che noi conosciamo molto bene il programma di studio e lo insegniamo perfettamente”. E con il suo inalterabile buon umore e ottimismo favoriva la buona volontà degli scolari, anche dei meno dotati, le cui deficienze preoccupavano tanto i genitori.

Insigne maestro ed educatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Michele nacque il 7-11-1854 a Cuenca, l’Atene dell’Ecuador, primogenito di Francesco, professore di lingue nel locale collegio ecclesiastico, e di Anna Munoz Càrdenas, soccorritrice di poveri e di malati. Al fonte battesimale ricevette i nomi di Francesco e Luigi, e in famiglia un’educazione molto accurata da precettori e maestri privati. All’età di cinque anni non si reggeva ancora in piedi, ma egli, intelligentissimo, non si lamentava di nulla e trascorreva lunghe ore in compagnia dei cugini e degli amici che lo andavano a trovare.
          Un giorno, mentre il Santo dalla veranda stava contemplando il giardino fiorito, disse, giulivo in volto, ad Assunta, sua zia materna: “Guarda quella bella Signora che è là vicino alle rose!”. La zia lo esortò a farla entrare, ma egli soggiunse: “Guarda come è bella. È vestita di bianco con il manto azzurro… Essa mi chiama, vuoi condurmi con sé”. Si alzò, fece alcuni passi verso l’apparizione, ma la Madonna era sparita. Da quel giorno le sue gambe malferme cominciarono a migliorare tanto che poté recarsi con la mamma, ogni mattina, alla cattedrale per prendere parte alla Messa.
          Quando i Fratelli delle Scuole Cristiane, aprirono una scuola a Cuenca (1863), Francesco fu uno dei loro primi alunni. Al termine delle lezioni si intratteneva a scuola a studiare e a fare i compiti. Alla sera una persona di servizio, di colore, andava a prenderlo per ricondurlo a casa. Il presidente dell’Ecuador, Garcia Moreno (+1875), ogni volta che visitava la scuola dei Lasalliani, riceveva dal Santo il benvenuto a nome di tutti, in francese o in castigliano.
          Fin dal suo primo ingresso nella scuola dei Fratelli, Francesco sentì nel cuore vivo desiderio di rivestirne un giorno l’abito. Amava perciò restare con loro per fare la lettura spirituale e recitare l’Ufficio della Madonna. I genitori, per il prestigio della famiglia, preferirono metterlo in seminario, ma il figlio si sentì in esso come un pesce fuori dell’acqua. Percepì che non era quello il posto dove lo voleva il Signore. Dopo tre mesi di sofferenze morali e di emicranie, la mamma gli permise di frequentare di nuovo le scuole dei Fratelli Lasalliani. Ritrovò così la salute e la serenità di spirito che aveva perdute.
         Francesco Luigi poté indossare il tanto sospirato abito dei Fratelli delle Scuole Cristiane, con il nome di Fratel Michele, il 24-3-1868. “Ero così contento, annotò quel giorno, che temetti di venire meno, tanto il cuore mi batteva in petto”. Fece il noviziato in Cuenca durante il quale, per carenza di personale, fu incaricato di fare scuola ai più piccini e di prepararli alla prima comunione. Potè così essere corretto dai superiori di alcuni difetti, quali la eccessiva loquela, il riso frequente e la gesticolazione esagerata. Il padre, frattanto, insisteva perché suo figlio ritornasse in famiglia. Per mettere al sicuro la vocazione di Fratel Michele, i superiori, al termine del noviziato, lo mandarono a dorso di un cavallo nel “beaterio” di Quito, la capitale, distante circa 450 Km, da Cuenca, dove giunse dopo una settimana di viaggio.
         Il padre, sommamente indignato per quel presunto affronto, incaricò allora un deputato della Convenzione Nazionale di riportargli a casa il figlio. Tuttavia le lettere del Provinciale dell’Istituto dei Fratelli, delle autorità ecclesiastiche e dello stesso suo figlio, che gli ricordavano il dovere che hanno i genitori di rispettare la volontà dei figli in fatto di vocazione religiosa, lo fecero recedere dal suo proposito. Per quattro anni, però, interruppe ogni rapporto con il figlio. Getterà un velo sul triste passato, e manderà al figlio la sua benedizione solamente quando. nel 1875, in seguito all’intercessione dei Fratelli, otterrà da Garcia Moreno che il Dott. Raffaele Arizaga, suo intimo amico, fosse liberato dal carcere in cui era stato rinchiuso perché, con una serie di articoli, si era opposto alla rielezione del Morene a presidente della repubblica. Alcuni mesi dopo il padre, benché si fosse sempre tenuto fuori dalle questioni politiche, per colpa di alcuni invidiosi calunniatori era stato prelevato da casa per essere deportato. Il figlio, appena ne venne a conoscenza, fece i dovuti passi presso il Moreno. Suo padre fu immediatamente rilasciato. Cinque anni dopo il signor Febres Cordero (+1882), ancora una volta accusato ingiustamente di opposizione al governo, andò a Quito per discolparsi personalmente presso il nuovo presidente, il generale Ignazio de Veintemilla (+1909). Fu quella l’ultima volta che vide e abbracciò l’amato figlio.
         Fratel Michele era stato accolto a Quito a braccia aperte, sia perché primo Fratello equatoriano e sia perché veniva a garantire lo sviluppo educativo dell’Istituto. Negli anni 1869-70, in seguito alle insistenze di Garcia Moreno, dalla Francia erano giunti nell’Ecuador altri Fratelli delle Scuole Cristiane, e gli alunni delle scuole erano saliti a 600. Per trentotto anni Fratel Michele fu a Quito maestro coscienzioso ed educatore generoso, animato sempre da una fede inconcussa e da un grande amore per le anime. Non andò quindi mai soggetto a sentimenti di stanchezza e di scoraggiamento. Metteva sempre a base dei suoi insegnamenti e dei libri di testo che componeva la religione, convinto che tutto viene da Dio e a Dio conduce. Anche nei vari incarichi di ispettore, di pro-direttore e di direttore da lui svolti, dimostrò di essere non soltanto un ingegno versatile, un religioso comprensivo, ma anche un autentico santo.
          Fratel Michele non si presentava in classe senza una minuziosa preparazione avendo la preoccupazione non di apparire brillante, ma di essere capito. A chi si meravigliava di vederlo studiare ancora dopo tanti anni di insegnamento, rispondeva: “Prepariamo con cura le nostre lezioni perché i laici non ci ritengano inferiori a loro. Essi pensano che noi, insegniamo solo a pregare; ebbene, cerchiamo di dimostrare loro che noi conosciamo molto bene il programma di studio e lo insegniamo perfettamente”. E diceva: “Io debbo cercare tutti i mezzi per rendere gradito ai ragazzi ciò che esigo da essi”. Con il suo inalterabile buon umore e ottimismo favoriva la buona volontà degli scolari, anche dei meno dotati, le cui deficienze preoccupavano tanto i genitori.
           Oltre che un eccellente professore il santo era anche un impareggiabile educatore. Quando, nominato Ispettore e Pro-Direttore, assunse l’onere della disciplina scolastica, annotò per i confratelli e i collaboratori: “Se voi esercitate una vigilanza troppo minuziosa e oppressiva, l’alunno sarà portato a sottrarvisi o a usare dei sotterfugi, di modo che il risultato morale di tale vigilanza – per altro assai faticosa – si ridurrà a ben poca cosa. Come la troppa libertà genera la licenza, l’eccessiva costrizione intristisce lo spirito”. Suo grande mezzo educativo era il frequente richiamo alla presenza di Dio. Persuaso che i fanciulli più che cattivi sono deboli, non si stupiva di vederli ora applicati e ora pigri, ora attenti e distratti. Ammoniva quindi: “Occorre sopportarli con grande pazienza, reprimendo le nostre insofferenze e le espressioni pesanti che in definitiva sono sempre dannose”. Scrisse tra i suoi appunti nei ritiri spirituali: “Il maestro religioso deve edificare sempre. I ragazzi pensano che le persone consacrate a Dio devono essere senza difetti… Io entrerò in classe posatamente, con gli stessi sentimenti con cui entro in chiesa, pensando che Dio è lì e che gli alunni sono il tempio dello Spirito Santo che debbo rispettare”.
         In classe Fratel Michele era di umore sempre uguale, affabile con tutti gli scolari, specialmente con coloro che gli avevano procurato qualche dispiacere. La sua gioia era di stare con loro senza fare distinzioni tra nobili e popolani. Se c’era una preferenza da fare era per i ragazzi più poveri e sofferenti. Per correggerli dei loro difetti sceglieva il momento più opportuno, ma non faceva uso della satira o del ridicolo essendo armi che mal si addicono a un vero educatore. In questo modo si attirò la stima anche dei cittadini di Quito che lo consideravano “un vero santo e un sapiente maestro”.
           Per vocazione religiosa il Fratello delle Scuole Cristiane è soprattutto un catechista. A questa sublime missione Fratel Michele dedicò la sua straordinaria abilità, animata da uno zelo disinteressato e da un grande amore soprannaturale. Cercava di suscitare nei giovani una fede viva e ben illuminata, insistendo, conforme agli insegnamenti di S. Giovanni Battista de La Salle (+1719), sulle grandi virtù che danno la giusta direzione alla vita. Per oltre vent’anni egli fu l’apostolo delle Prime Comunioni. All’inizio dell’anno scolastico faceva un’accurata scelta d’accordo con il cappellano e il direttore, dei fanciulli che dovevano incontrarsi con Gesù sacramentato, e poi con molta metodicità esponeva loro le principali verità della fede usando molta pazienza con i più discoli a costo di essere accusato di eccessiva tolleranza.
          Alla scuola di Fratel Michele e dei suoi confratelli sbocciarono molte vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Erano esse il segno più certo della benedizione di Dio sull’opera che i Fratelli delle Scuole Cristiane compivano. E quante preghiere e penitenze il Santo faceva per ottenere ai giovani la fedeltà alla divina chiamata!
          Quando il fondatore dei Fratelli fu riconosciuto degno della beatificazione, Fratel Michele fu scelto a rappresentare la comunità dell’Ecuador alle solenni cerimonie che si svolsero in San Pietro, alla presenza di Leone XIII, il 18-2-1888. In quelle ore indimenticabili l’emozione gli permise di dire soltanto: “Signore, grazie per l’Istituto, grazie per me! Tu sai ciò che bramo per tutti!”.
          Prima di lasciare Roma, dove rimase oltre tré settimane, il Santo Fratello volle recarsi in pellegrinaggio anche al santuario della Madonna di Loreto. A Quito riprese le sue ordinarie occupazioni con rinnovato ardore. Per vincere le frequenti emicranie che lo affliggevano per ordine del medico fece uso di tabacco da fiuto, e per cacciare le tentazioni che lo tormentavano tracciava ogni tanto un segno di croce sul petto esclamando: “Vattene da qui, o maligno”. Egli non limitò la sua attività alla scuola, ma la estese alla composizione di libri, alla poesia e alla filologia di modo che il 18-2-1892 venne eletto membro dell’Accademia equatoriana di Quito e corrispondente della Regia Accademia di Madrid.
           Il 1895 fu per l’Ecuador un anno di profondi sconvolgimenti militari e politici. Capo supremo della repubblica al posto del conservatore Luigi Cordero fu proclamato EloyAlfaro (+1912), dittatore radicale, più desideroso di distruggere l’influsso del cattolicesimo sul paese che di procurare il bene comune dei concittadini. I Fratelli, specialmente quelli francesi, divennero subito oggetto di penose vessazioni. Il Provinciale dei Lasalliani, accompagnato da Fratel Michele, si presentò direttamente al generale Alfaro per fargli capire quanto fosse ingiusto rompere la convenzione stipulata fin dal 1863 tra il governo e i Fratelli delle Scuole Cristiane mediante la quale si assicuravano i sussidi e la protezione alle scuole tenute dai religiosi. Il generale lo congedò dicendo: “E inteso che il governo non vi caccia dal paese; voi potete continuare a mantenere le classi nelle vostre case, ma a spese vostre”.
           La fiorente comunità del “beatene” fu dispersa. Parecchi Fratelli emigrarono in Colombia e in Cile, altri ritornarono in Francia. Le opere furono salvate in parte per l’intervento dell’arcivescovo di Quito che si assunse l’onere del finanziamento delle scuole elementari, e pregò i Fratelli di riorganizzare le scuole secondarie assicurando agli insegnanti le risorse indispensabili. Il numero degli alunni istruiti dai Fratelli delle Scuole Cristiane nel collegio della “Santa Famiglia” superò quello dello stesso “beaterio”. Michele con rinnovato amore per la sua vocazione e zelo per la salvezza della gioventù, riprese le sue mansioni di professore e di catechista, e appena i superiori maggiori decisero di riaprire il noviziato locale per incrementare il personale religioso indigeno, a lui ne fu affidata la direzione. Benché si ritenesse incapace per un compito tanto importante, lo svolse con successo. Nessuno, difatti, univa come lui, in grado eminente, cultura e fede, esperienza psicologica e abbandono alla divina grazia.
           Nella formazione dei novizi il Santo insisteva sulla necessità di agire per amore di Dio, di osservare con spirito di fede la regola e soprattutto di coltivare l’unione con Dio mediante la preghiera. Diceva: “Seminiamo intorno a noi le “Ave Maria”, esse fioriranno in altrettante rose, con le quali, un giorno, la dolce Madre ornerà la nostra gloria in Paradiso… Moltiplichiamo le giaculatorie perché sono come tante scintille che brillano nella nostra anima e si trasformano poi in fiamme di amore nella santa comunione”.
          All’inizio dell’anno scolastico 1903 Fratel Michele fu nominato direttore dell’Istituto della Santa Famiglia, che comprendeva oltre mille alunni e più di venti Fratelli. Accettò il nuovo gravoso compito senza un lamento, fedele al suo motto: “Niente chiedere, niente rifiutare”. Riconosceva però umilmente di essere “un povero scrittore e un incapace amministratore”. Oggetto della sua infaticabile sollecitudine fu il lavoro e la disciplina nelle classi, e l’osservanza regolare in comunità. Un Fratello attestò di lui: “Ci esortava a cercare le nostre gioie e la nostra sicurezza nella vita comune portando volentieri e serenamente il giogo assunto per amore del divino Maestro Gesù”. Egli stesso cercava di renderglielo dolce ponendosi gioiosamente al loro servizio. Propose difatti: “Accoglierò sempre amabilmente chiunque ricorra a me…, come se fosse Gesù in persona e la sua SS. Madre”.
           S. Michele non limitò il suo apostolato ai fanciulli che frequentavano la sua scuola, ma lo estese a tutto il mondo di lingua spagnola con numerosi testi scolastici, manuali di letteratura, trattati di retorica, corsi di filologia, opere ascetiche e teologiche, articoli vari, poesie, ecc. La Grammatica di lingua castigliana che compose nel 1873 all’età di diciannove anni, debitamente sviluppata, venne adottata ufficialmente in tutte le scuole dell’Ecuador perché costituiva “una guida sicura per l’arte del dire e del riflettere”. Dai classici e dai grandi mistici spagnuoli egli attingeva il rispetto e il gusto della lingua e si industriava di trasfonderlo anche negli altri. Diceva: “Solo i buoni autori insegnano a ben pensare e a bene scrivere. E per buoni autori si intendono coloro che non solamente usano l’esattezza del linguaggio, ma quelli la cui condotta morale è irreprensibile”.
            All’inizio del secolo XX l’anticlericale Emilio Combes, presidente del settario governo francese, decretò la soppressione di tutte le congregazioni religiose, specialmente di quelle dedite all’insegnamento, e l’incameramento dei loro beni. La decisione condannò alla diaspora oltre 8.000 Fratelli delle Scuole Cristiane. La loro casa generalizia, trasformata nel Ministero delle Colonie, da Parigi fu trasferita a Lembecq-lez-Hal, in Belgio. Per i Fratelli che si erano rifugiati nelle repubbliche dell’America Latina occorrevano nuovi testi scolastici appropriati alle condizioni in cui erano venuti a trovarsi. Fratel Michele venne invitato dall’Assistente Generale dell’Istituto durante la sua visita alla comunità dell’Ecuador a trasferirsi per quattro o cinque anni in Europa perché redigesse i testi necessari agli alunni e agli insegnanti. Il Santo rispose immediatamente: “Voglio ciò che lei comanda e sarò felice di partire o di restare; sto ai suoi ordini sicuro di fare la volontà di Dio”.
          La separazione dai confratelli fu commovente. Tutti volevano un ricordo del loro santo. A Guayaquil Michele fu felice di poter rendere omaggio per l’ultima volta ai suoi genitori colà morti e sepolti. Presentiva, difatti, che il cambiamento di clima gli sarebbe stato fatale, e che non avrebbe più rivisto la patria. Ciò nonostante non perdette la serenità di spirito perché sapeva di fare la volontà di Dio. Alla partenza da Guayaquil i confratelli gli avevano detto: “Ritorni, non faccia naufragio!”. Egli si era limitato a rispondere: “Come il buon Dio vorrà! Se Egli ha disposto che io muoia in mare o in Europa, lo voglio anch’io, poiché in cielo si approda da qualunque parte”.
          Il 3-4-1907 Fratel Michele, dopo una permanenza di tre giorni a New York, sbarcò a Le Havre, stremato e in preda alla febbre. A Parigi fu ricoverato in infermeria, ma appena si ristabilì si diede con straordinario ardore al lavoro. Trascorreva la sua giornata tra la camera e la cappella. Solo per ordine dei superiori, preoccupati della sua salute, usciva per qualche breve passeggiata. Il suo ardore nel preparare i manoscritti chiari e ben corretti da presentare ai tipografi non conosceva soste. Non amava ricevere elogi per i suoi lavori letterari. Se qualcuno glieli faceva cambiava subito argomento dicendo: “Volete forse che io rimanga più a lungo in purgatorio?”
           In mezzo a tanto assillante lavoro la mente del Santo ogni tanto correva a Quito, ai suoi confratelli, a coloro che facevano parte della Congregazione Mariana e a quella del S. Cuore, e soprattutto ai fanciulli della prima comunione. Soffriva di trovarsi tanto lontano dalle persone e dalle opere con le quali era stato a contatto per tanti anni, tuttavia non ne parlava, ed era felice di sentirsi alla presenza di Dio e di compiere la sua volontà.
         Per Fratel Michele fu più difficile superare i fastidiosi e snervanti attacchi della febbre “palustre” che aveva già contratto probabilmente quando lasciò il porto di Guayaquil. I superiori lo trasferirono allora nella casa generalizia di Lembecq (Bruxelles) dove, fin dai primi mesi, migliorò talmente che gli fu possibile attendere con maggiore impegno alla composizione dei manuali scolastici. Con il sopraggiungere dell’autunno riapparvero gli attacchi di febbre “palustre”. Non se ne lamentò, anzi, ne approfittò per meglio gustare la quiete e il silenzio, e soprattutto per visitare Gesù sacramentato, essendo stato sistemato al pianterreno, nel padiglione centrale, in una camera comoda e vicino alla cappella. Poté così più facilmente mandare ad effetto il desiderio che espresse nel 1879: “Sia la mia vita perpetua preparazione e ringraziamento per la santa comunione”.
         Dopo sei mesi di permanenza a Lembecq, il Santo fu trasferito dai superiori a Premia de Mar (Barcellona), in clima più temperato, dove fu ricevuto con entusiasmo dai confratelli già al corrente della produzione letteraria di lui e della santità della sua vita. La sua applicazione al lavoro programmato non subì soste. Un giorno disse: “Mi chiedono di comporre ancora una dozzina di manuali, ma ne avrò il tempo?” Nelle sue note scrisse: “Il buon Dio non mi ha creato perché diventassi un letterato… Io esisto per Lui, solamente per Lui… Per me sono niente, non ho diritto a niente e non debbo lamentarmi di niente”.
          Nel mese di giugno 1909 in Catalogna scoppiò la rivolta dei minatori a causa dei bassi salari che non permettevano loro di soddisfare le più elementari necessità. Sostenuti dagli anarchici, spinsero i bassifondi della città di Melilla a saccheggiare e distruggere chiese e conventi. Per sfuggire al pericolo incombente, il superiore della Casa di Premia fece trasmigrare via mare a Barcellona le 125 persone che vi abitavano.
         Per quindici giorni furono ospitate nel collegio della “Bonanova”, l’unico dei Fratelli rimasto intatto. Nel trambusto fu udito Fratel Michele ripetere: “Non temete, non capiterà nulla di male; siamo protetti dalla Vergine santa”.
         Passata la bufera, la vita di comunità anche a Premia riprese il suo ritmo regolare. Fratel Michele pareva essersi rimesso in buona salute tanto era lo zelo con cui attendeva all’insegnamento, e l’assiduità con cui preparava i testi scolastici per cui era venuto in Europa. Verso la fine del 1910 fu assalito da un forte raffreddore che si trasformò rapidamente in bronco-polmonite da cui più non si riprese. Appena venne a conoscenza della gravità del male, chiese gli ultimi sacramenti e offerse la sua vita per la prosperità dell’Istituto, per la sua diffusione nell’Ecuador e perché cessasse la persecuzione dei massoni contro l’insegnamento cattolico.
          Morì a Premia de Mar il 9-2-1910 dopo aver mormorato: “Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia”. Mons. Polit, vescovo di Cuenca, affermò: “L’Istituto Lasalliano perde uno dei suoi migliori figli, un vero gioiello! L’Ecuador intero piange in lui l’educatore eminente che ha lavorato per due generazioni di giovani e che ha lasciato loro in eredità manuali scolastici che sono veri capolavori. Debbo aggiungere però, e lo dico con piena fiducia, che noi abbiamo acquistato un santo in cielo”.
          Paolo VI riconobbe l’eroicità delle virtù di Fratel Michele il 16-3-1970 e lo beatificò il 30-10-1976. Fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 21-10-1984. Le sue reliquie sono venerate dal 5-2-1937 nell’antica casa di formazione situata alla Maddalena, sobborgo di Quito. Nel 1954, centenario della sua nascita, il governo fece erigere in sua memoria nella capitale un grandioso monumento. Un altro ne fu eretto a Cuenca. La conferenza episcopale equadoriana ha dichiarato il santo patrono dei catechisti.

Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 2, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 146-154.
http://www.edizionisegno.it/