S. LEONARDO MURIALDO (1828-1900)

Il Santo, essendo fornito di una discreta fortuna, si era proposto di fare il sacerdote pio e studioso, convinto che, in quel tempo di lotte anticlericali, occorressero ministri di Dio che possedessero una virtù eroica e una buona cultura.(…) Nel suo anelito di redenzione per la classe operaia, il Murialdo non tentò vie solitarie. Egli s\’inserì nei movimenti che il laicato cattolico aveva suscitato per infondere nella società un soffio rinnovatore. Fu un apostolo della collaborazione fiduciosa e aperta del clero e del laicato, un animatore delle organizzazioni cattoliche. Nel 1875 prese parte al secondo Congresso dei cattolici italiani a Firenze e con i dirigenti propugnò la costituzione di un comitato generale permanente dell\’Opera dei Congressi. Quegli uomini erano portati per cultura ed estrazione familiare a dividersi nella ricerca dei metodi per realizzare gli ideali.

Il santo fondatore della Pia Società di San Giuseppe nacque a Torino il 26-X-1828, penultimo dei nove figli del banchiere Murialdo. La mamma predilesse il figlio, lo educò alle sode virtù cristiane e, quando rimase vedova, provvide alla formazione di lui inviandolo a Savona (1836) nel collegio degli Scolopi. Il piccolo Leonardo trasse grande profitto dagli studi tanto che ottenne quasi sempre i primi premi. A contatto dell\’aria marina si irrobustì nel fisico, ma dal 1841 cominciò a intiepidirsi nella pietà e nello studio, irretito dai cattivi compagni. Per liberarsi dal loro influsso nefasto chiese e ottenne di fare ritorno a Torino.
 La condotta dissipata del giovanotto era durata un anno e mezzo, e costituì per lui argomento di umiltà finché visse. Pochi anni prima di morire confesserà in una Memoria riservata ai suoi figli spirituali: "Voi mi avevate ricolmato, o mio Dio, di benefìci naturali e soprannaturali, aprendo così la carriera della mia vita, e io vi abbandonai tanto presto..Presso i quindici anni io ero già peccatore e gran peccatore! Sì, veramente, io ero il tantillus puer et tantus peccator…". Chi lo aiutò a rimettersi in carreggiata fu il suo confessore Don Massimo Pullini dì Sant\’Antonino, Abate di San Pietro di Pareto (+1859). La prova lo aveva maturato. Pregando la Vergine Lauretana, venerata nella parrocchia di San Dalmazzo, sentì un giorno prepotente l\’invito a darsi al Signore.
 Un altro giorno, ascoltando una predica sull\’inferno, ne concepì tanto spavento che pensò di mettersi al sicuro andando a fare penitenza tra i Cappuccini. Fu consigliato di farsi sacerdote restando nel mondo. L\’abate Pullini, delegato dall\’arcivescovo Luigi Fransoni (+1862), gli diede l\’abito chiericale nel 1845. Pur continuando a dimorare presso la famiglia, il Murialdo si preparò agli ordini sacri frequentando le due nuove cattedre istituite dal re Carlo Alberto (+1849), una di Istituzioni teologiche e l\’altra di Istituzioni bibliche, e l\’Accademia, eretta dall\’abate Ludovico dei Conti Solare di Villanova nel proprio palazzo, per quattordici chierici aspiranti alla laurea. Negli esami il Murialdo riportò la qualifica: "approvato a pieni voti e proposto per la lode". Nel 1850 conseguì la laurea e l\’anno successivo fu ordinato sacerdote.
 Il Santo, essendo fornito di una discreta fortuna, si era proposto di fare il sacerdote pio e studioso, convinto che, in quel tempo di lotte anticlericali, occorressero ministri di Dio che possedessero una virtù eroica e una buona cultura. Per temprarlo all\’apostolato, suo cugino, il teologo Roberto Murialdo, lo introdusse nella "Società di San Vincenzo de\’ Paoli" frequentata dal successore di S. Giuseppe B. Cottolengo (+1842), il can. Luigi Anglesio, S. Giuseppe Cafasso (+1860), rettore del convitto ecclesiastico di San Francesco d\’Assisi, il servo di Dio Marcantonio Durando (+1880), fondatore delle Suore Nazarene, il can. Eugenio Galletti, successore del Cafasso e poi vescovo di Alba, il teologo Giovanni Borel, Rettore del Rifugio fondato dalla Marchesa Giulia Falletti di Barolo (+1864), S. Giovanni Bosco (+1888), fondatore dei Salesiani e Don Giovanni Cocchi (+1895), fondatore dell\’Oratorio dell\’Angelo Custode e del collegio degli Artigianelli. In quelle riunioni, gli zelanti sacerdoti discutevano la maniera di provvedere di catechisti i borghi della periferia, gli oratori festivi, i corrigendi del riformatorio "La Generala" e organizzavano le missioni al popolo e la diffusione della buona stampa.
 Dalla suddetta società il Murialdo ricevette l\’incarico di continuare ad aiutare il cugino la domenica nell\’oratorio dell\’Angelo Custode e di fare al giovedì il catechismo ai corrigendi di "La Generale". Non bastando simili occupazioni ad esaurirne lo zelo, il Santo si assunse impegni di predicazione in diverse chiese di Torino e non ricusò il compito di confessare le educande dell\’Istituto "Fedeli Compagne di Gesù". D\’estate approfittava delle vacanze, per ritemprare le sue energie, scalando montagne.
 Nel 1857, don Bosco pregò il Murialdo di assumersi la direzione dell\’Oratorio di San Luigi, da lui fondato a Porta Nuova, e il Murialdo accettò di provvedere a proprie spese ad abbellirlo ed ampliarlo. Dall\’Oratorio di Valdocco ogni domenica Don Bosco gli mandava un gruppetto di chierici, affinchè lo coadiuvassero nell\’assistenza e nel catechismo ai ragazzi di strada. Tra essi figuravano don Michele Rua, Don Albera e Don Giovanni Cagliero, le pietre fondamentali della famiglia salesiana. A poca distanza i Valdesi, a cui era stata concessa l\’emancipazione, avevano aperta una loro scuola. Per impedire che i ragazzi la frequentassero, il Santo tirò su uno stanzone, lo divise in due e lo fece servire da aula scolastica per un centinaio di ragazzi ai quali, con i libri, dava molte volte anche di che sfamarsi e vestirsi. In premio di tante fatiche, Pio IX nel 1858 lo ricevette in udienza a Roma insieme con Don Bosco e Michele Rua.
 Per addestrarsi di più nell\’ideale ascetico ed apostolico, nel 1865 il Murialdo, amante dei viaggi a scopo d\’istruzione, si trasferì a Parigi dove chiese al superiore di San Sulpizio, Enrico Icard (+1893), la grazia di essere ammesso come semplice allievo in quel seminario fondato dal Ven. Gian Giacomo Olier (+1657). Vi rimase un anno edificando tutti con il suo spirito di umiltà e di pietà, e ne approfittò per approfondire la propria cultura, e per aggiornarsi riguardo all\’organizzazione degli oratori e delle opere giovanili fiorenti in Francia. Quando fece ritorno a Torino era sua intenzione riprendere la direzione dell\’Oratorio di San Luigi; la Provvidenza aveva invece altri disegni su di lui.
 Gli Artigianelli, fondati da Don Cocchi e diretti da Don Giuseppe Berizzi (+1873), avevano bisogno di una guida saggia e prudente. Nel 1863, contraendo un grosso mutuo, la direzione era riuscita a costruire per essi un nuovo edificio in corso Palestre. Si attrezzarono colà dei laboratori interni, che divennero vere scuole professionali e permisero ai giovani di ricevere l\’istruzione, senza uscire di casa. Ma tutta l\’attrezzatura non fece che aggravare il pesante debito, mentre la produzione dei laboratori non si presentava attiva economicamente. Il Murialdo conosceva gli Artigianelli, li aveva aiutati generosamente, ed essendo stato compagno di studi del Berlizzi, conosceva la difficile situazione finanziaria dell\’Opera. Mentre si disponeva a riprendere la direzione dell\’Oratorio, il Berizzi gli fece la proposta di assumere la direzione del Collegio degli Artigianelli. Il Santo ne restò sconcertato. Con il suo temperamento timido e alieno dalle questioni economiche, non se la sentiva di assumersi una così pesante eredità. Inoltre si riteneva non adatto a guidare quella complessa comunità di maestri e di giovani, sia dal punto di vista pedagogico che da quello didattico. Accettare quell\’impegno voleva dire gettare via il proprio patrimonio e compromettere il buon nome della famiglia. Il Berizzi non mollò ed il Murialdo cercò una soluzione di compromesso. Siccome egli non era fatto per quell\’ufficio, il Berizzi avrebbe cercato un altro rettore che fosse all\’altezza della situazione, ed egli provvisoriamente l\’avrebbe sostituito al collegio. Il Berizzi respirò: quel provvisoriamente doveva durare trentaquattro anni!
 Il motto che Don Cocchi aveva scritto sull\’Avviso-Invito per lanciare l\’idea dell\’Istituzione: Facciamo e taciamo, venne raccolto e fatto eroicamente proprio dal nuovo rettore. In quella casa, che tanti affanni, tante lacrime, tante preoccupazioni gli sarebbe costata, il Murialdo pose tutte il suo cuore. In quei ragazzi poveri, orfani o abbandonati, che a migliaia passarono nelle aule e nei laboratori, egli vide riassunti tutti i problemi della classe operaia e dall\’averne compresa, con cuore di padre, l’umana e dolorosa vicenda, derivò la sua ansia per l\’apostolato sociale, si maturò l\’accettazione di fondare una congregazione, che si preoccupò di impegnarla per la sicurezza di vita del Collegio Artigianelli più che a diffonderla.
 Già il Berizzi, nell\’intento di formare del personale che, uscito dal collegio stesso, ne conoscesse meglio lo spirito e le esigenze, aveva costituito una sezione di allievi-maestri, scegliendoli fra i giovani migliori. Ad essi il Murialdo diede un regolamento, che in parte derivava dalle regole di San Sulpizio.
 A questi allievi-maestri si aggiunsero poi i coadiutori, giovani allievi che, pur avendo finito il loro tirocinio, desideravano restare nel convento. Anche questi ebbero un regolamento e formarono il substrato dei fratelli laici della futura congregazione. Il 24-3-1867 le 2 sezioni resero più forte la loro adesione associandosi nella Compagnia di San Giuseppe, che non aveva l\’aspetto di una famiglia religiosa, ma la preparava alla lontana. Per attendere meglio ai suoi compiti il Murialdo prese alloggio in una disadorna stanzuccia del Collegio, facendo vita comune per il resto con i dirigenti dei 180 artigianelli.
 L\’irresistibile eloquenza dell\’esempio dato dal Santo e dai suoi primi collaboratori, che a lui s\’ispiravano, fu sufficiente per accendere tra i giovani la fiamma dell\’ideale di una consacrazione totale a Dio. Tuttavia, prima di riunirli in una congregazione pregò a lungo, mendicò preghiere ai principali santuari, quali quello della Consolata, di Lourdes e di La Salette, e ricorse al consiglio di persone dotte e navigate, tra cui il suo antico superiore di San Sulpizio. Nel 1871 il signor Icard visitò il Collegio degli Artigianelli. In diversi colloqui vennero esaminati tutti i lati del problema. Essendo Picard giunto alla conclusione che l\’Opera si doveva fare, il Murialdo gli obiettò: "Allora io passerei per il fondatore di una congregazione, ma per questo il Signore ha sempre scelto dei santi". Il superiore di San Sulpizio ribattè con arguzia: "Ecco una buona occasione per diventarlo".
 Con il cugino Roberto, che faceva parte del consiglio d\’amministrazione del collegio, il rettore discusse le difficoltà d\’inserire la congregazione in un\’Opera Pia, legalmente riconosciuta dal governo. "Facciamo e taciamo", il motto di Don Cocchi, che tanto s\’addiceva al temperamento e all\’umiltà del fondatore, divenne una preziosa regola di prudenza. La decisione definitiva venne affidata al vescovo di Alba, Eugenio Galletti, che si trovava a Torino per dettare gli esercizi spirituali ai Filippini. Costui, dopo aver molto pregato e riflettuto, ricevette il Murialdo nella stanza che era stata del Beato Sebastiano Valfrè (+1710), apostolo di Torino, e per 3 volte gli confermò che era volontà di Dio che desse origine alla Pia Società di San Giuseppe. Il 19-3-1873 il fondatore, ottenuta l\’approvazione dell\’arcivescovo Lorenzo Gastaldi (+1883), con 3 sacerdoti e 2 chierici, emise la prima professione nell\’umile cappella del Collegio.
 Per molti anni non gli fu possibile ottenere una sufficiente crescita quantitativa di confratelli e di case, ma i primi suoi discepoli corrisposero generosamente all\’ideale per cui erano sorti: l\’educazione e l\’istruzione della gioventù, specialmente operaia. Il Murialdo non intese battere vie nuove, ma seguire fedelmente quelle antiche. Diceva, per esempio, nelle conferenze che teneva ai suoi religiosi: "Se volete fare del bene ai giovani usate con loro una pazienza eroica: siate amabili come San Filippo Neri e dolci come San Francesco di Sales". Oppure: "Nei nostri uffici e contatti di educazione e di assistenza dei giovani occorre cercare di ottenere tutto con le buone maniere, fino agli estremi limiti del possibile". Egli non compose libri di pedagogia, ma con i giovani diede a vedere di quanta competenza ed esperienza fosse dotato. Non era nel suo stile erigersi a maestro, ma le idee le aveva ben chiare in testa e se ne accorgevano gli Artigianelli quando lo sentivano predicare o lo incontravano in ricreazione o al lavoro. Per tutti aveva sempre pronta una buona parola per esortarli all\’obbedienza, alla preghiera, alla purezza. Posta la solida base della pietà, il Santo procedeva nell’opera educativa contemperando "una ferma ed energica disciplina negli ordini esteriori" con "un affetto paterno, ispirato dalla carità di Dio".
 Nel 1877, impegni finanziari sempre più pressanti per la gestione del Collegio Artigianelli, imposero all\’Associazione di Carità, che ne aveva la rappresentanza giuridica, la vendita dei terreni della colonia agricola di Moncucco, fondata da Don Cocchi. Fu un colpo assai duro per il Murialdo, attutito però da suo nipote, Carlo Peretti (+1883), il quale, nei pressi di Rivoli, avviò una colonia agricola con l\’intento di cederla al prezzo di costo agli Artigianelli quando il Collegio avesse avuto i mezzi di riscattarla. Dal riformatorio di Boscomarengo (Alessandria), fondato pure da Don Cocchi, e affidato al Murialdo, per impedirne la soppressione, giunsero i primi ragazzi, ai quali si unì un gruppetto di Giuseppini, ed in seguito anche la sezione degli studenti. A cominciare dal 1879 vi si tennero gli esercizi spirituali. Il Santo vi si recava spesso, il più delle volte a piedi, da forte camminatore qual era, seminando di incessanti preghiere i chilometri che separavano la colonia da Torino. Il Peretti fu di valide aiuto allo zio anche nella costruzione della Casa-Famiglia presso la chiesa di S. Giulia in Vanchiglia per i giovani studenti.
 La prima esperienza di "colonizzazione" fuori dei confini del Piemonte non fu soddisfacente per il Murialdo. Don Francesco Montebruno (+1895) lo aveva pregato di mandargli a Genova tre religiosi per istradarli nella direzione dei suoi Artigianelli, ma dopo un anno aveva dovuto ritirarli. Allora si radicò nella convinzione che la sua congregazione dovesse limitare le cure agli Artigianelli di Torino, invece era volontà di Dio che si estendesse ed assumesse la dirczione di patronati e collegi a Venezia, Oderzo (Treviso), Vicenza, Bassano del Grappa, Rovereto, Correggio, Reggio Emilia, Zara e Carpi. Tuttavia la famiglia religiosa del Murialdo continuò ad essere così piccola che stentava al provvedere il personale a quelle case. Della sua opera il Santo parlava poco. Era generoso nel riconoscere il bene operato dalle altre congregazioni. Pensando alle affermazioni di Don Bosco concludeva invariabilmente: "Noi non siamo da tanto". Nel 1883 i Giuseppini contavano appena nove sacerdoti, un diacono, sedici chierici, ventotto coadiutori laici e ventitré novizi. Il loro spirito però era buono e Leone XIII nel 1890 li approvò.
 Durante la permanenza a Parigi il Murialdo aveva conosciuto le grandi opere sociali ed era venuto a contatto con uomini del movimento cattolico francese, che rivolgevano particolare attenzione alla questione operaia. L\’idea di una Associazione Cattolica per lavoratori adulti il Murialdo riuscì a realizzarla nel 1871 all\’insegna della fedeltà al papa e della parola d\’ordine "operai e apostoli". L\’Unione Operaia Cattolica in un decennio creò nella sola Torino venticinque sezioni con 5.000 iscritti, ed estese la sua attività a molteplici opere assistenziali. L\’anima dell\’Unione era il nostro Santo, che Mons. Gastaldi elesse suo rappresentante in qualità di assistente ecclesiastico nel Comitato Promotore degli operai cattolici. Perché in Italia il movimento sociale era appena incipiente, durante le vacanze estive, il Murialdo per ben sette volte prese parte in Francia ai Congressi in cui i cattolici dibattevano le nuove idee. Egli approfittò di quei viaggi per visitare altri collegi, altre colonie agricole, per poter rendere più efficienti i propri.
 Nel suo anelito di redenzione per la classe operaia, il Murialdo non tentò vie solitarie. Egli s\’inserì nei movimenti che il laicato cattolico aveva suscitato per infondere nella società un soffio rinnovatore. Fu un apostolo della collaborazione fiduciosa e aperta del clero e del laicato, un animatore delle organizzazioni cattoliche. Nel 1875 prese parte al secondo Congresso dei cattolici italiani a Firenze e con i dirigenti propugnò la costituzione di un comitato generale permanente dell\’Opera dei Congressi. Quegli uomini erano portati per cultura ed estrazione familiare a dividersi nella ricerca dei metodi per realizzare gli ideali. Il Murialdo non si schierò invece né a destra né a sinistra, volendo essere soltanto un buon sacerdote. Anche nelle riunioni del Comitato Promotore dell\’Unione Operaia, del Comitato Regionale dell\’Opera dei Congressi, di cui nel 1878 era diventato assistente, nei congressi regionali e diocesani, il Murialdo lasciava parlare i dirigenti, lasciava discutere, poi prendeva la parola e con delicata prudenza richiamava ai principi fondamentali.
 Appianava le divergenze, incitava all\’azione. Per il suo tatto di asceta consumato e di perfetto gentiluomo, il Santo assurge a modello degli Assistenti ecclesiastici nelle attuali formule di organizzazione cattolica.
 Nonostante tante attività, l\’apostolato tra i giovani rimase lo scopo principale della vita del Murialdo. L\’insegnamento della dottrina cristiana, specialmente ai più deficienti, era la sua passione. L\’Oratorio di San Martino, fondato da Don Cocchi, divenne per i migliori allievi una palestra in cui mettere in pratica le sapienti norme che dava loro, per insegnarle nella maniera più conveniente ai ragazzi. Anche nei patronati non accettò mai che si sacrificasse l\’attività primaria dell\’insegnamento catechistico a favore di altre istituzioni, quali il teatro, il canto e la banda. Per affiancare l\’istruzione catechistica nel 1883 pubblicò un programma di associazione perla diffusione della stampa cattolica, che si concretizzò con l\’istituzione in varie parti del Piemonte di biblioteche circolanti.
 Benché fosse oberato dal peso di innumerevoli opere, quanti avvicinavano il Murialdo anche una sola volta o gli erano familiari, rimanevano colpiti dal suo spirito di orazione.
 Bastava vederlo celebrare la Messa per convincersi che era un Santo. L\’ufficio divino lo recitava in chiesa, sua dimora preferita, e in ginocchio, senza mai appoggiarsi al banco. Talora protraeva le sue meditazioni vicino al tabernacolo per tutta la notte. Qualcuno ci fu che lo vide assorto in preghiera o leggermente sollevato da terra con le braccia aperte. I suoi tre grandi amori erano il Sacro Cuore di Gesù, la Madonna e San Giuseppe. Un tempo era iscritto a ventitré Confraternite diverse e ne adempiva i regolamenti.
 Non consta che durante la sua vita il Murialdo si sia dato a straordinarie penitenze benché i suoi confratelli lo avessero in concetto di Santo perché "non mangiava, non beveva, non dormiva". Finché visse, sua croce abituale furono i debiti che non gli davano respiro. Essi andarono aumentando fino a raggiungere la cifra di mezzo milione, enorme a quei tempi. Pochi conoscevano le reali condizioni del collegio. La spaventosa croce incombeva praticamente sul cuore del Santo e gli procurava giorno e notte angosce mortali. E se tutto fosse crollato con una clamorosa bancarotta? C\’erano a Torino dei benefattori, ma il Santo, ogni qual volta doveva bussare a qualche porta, sentiva rinascere in sé una ripugnanza istintiva. Quando urgevano scadenze non lasciava soltanto ai suoi ragazzi l\’ingrato ufficio di chiedere il soccorso della carità pubblica alle porte delle chiese, ma anche lui appariva accanto al piccolo artigianello in divisa, per stendere il bussolotto delle elemosine. Non avendo l\’animo di mandare via un certo numero di ragazzi, cercò di vendere una parte della proprietà, ma nessun compratore si presentò. Nel 1897, a tre anni dalla morte, le condizioni finanziarie del Collegio erano disperate. Il Santo propose allora quasi un ultimatum a S. Giuseppe e le cose cominciarono a migliorare finché nel 1899, il 18 marzo, il conte Alessandro Roero di Guarene lasciò, morendo, agli Artigianelli del Murialdo, circa due milioni. Il Santo, con il volto rigato di lacrime, ringraziò la Provvidenza di tanto dono e anche di quella croce che, da solo, aveva portato eroicamente per 32 anni.
 Fino ai cinquantasette anni il Murialdo, magro e robusto, gran camminatore e scalatore di montagne, non seppe che cosa fosse la malattia. Tuttavia il lavoro massacrante di ogni giorno a poco a poco lo esaurì. La prima volta che cadde malato di bronco-polmonite (1884) Don Bosco lo mandò a consolare e lo guarì. Ricadde nella bronchite ancora una decina di volte, si trovò tre volte in punto di morte, cercò ripetutamente di essere esonerato dalla carica di superiore, ma fino alla fine dovette addossarsene tutta la responsabilità. Morì il 30-3-1900 dopo aver raccomandato di dire agli artigianelli: "Siate devoti della Madonna e cominciate presto a fare bene".
 Chi esortò i Giuseppini a dare inizio al processo di beatificazione del Murialdo fu il suo amico, il can. Giuseppe Allamano (+1926), oggi Beato, fondatore dei Missionari della Consolata, Leonardo Murialdo fu beatificato da Paolo VI il 3-11-1963 e canonizzato il 3-5-1970. Sulla sua tomba, nella chiesa di Santa Barbara, in Torino, fu scritto: "Facciamo e taciamo. Chi si umilia sarà esaltato". Nel 1971 il corpo del Santo fu traslato nella chiesa di Nostra Signora della Salute.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 3, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 299-306.
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