S. GIOVANNI GRANDE (1546-1600)

Nacque in Spagna, a Carmona nel 1546 e da giovane, decise di dedicarsi al servizio del prossimo. Si trasferì a Jerez e cominciò ad assistere i carcerati. Ma presto gli venne affidata un\’infermeria per i malati rifiutati dagli ospedali. Verso il 1574 decise di fondere il suo gruppo con quello sorto a Granada per iniziativa di San Giovanni di Dio e vestì l\’abito dei Fatebenefratelli. Morì assistendo gli appestati, il 3 giugno 1600.

A Carmona, città dell\’Andalusia occidentale, nella provincia di Siviglia, spetta l\’onore di avere dato i natali al B. Giovanni Grande, dell\’Ordine Ospedaliere di S. Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), il 6-3-1546. In quel tempo sulla Spagna, all\’apogeo del suo splendore, regnava l\’imperatore Carlo V (+1558), e sul trono pontifìcio sedeva Paolo III (+1549). I genitori, Cristoforo e Isabella Romano, fecero battezzare il figlio, otto giorni dopo la nascita, con il nome di Giovanni.
Il beato ricevette la prima istruzione ed educazione da un sacerdote della parrocchia, alla scuola del quale imparò non soltanto a servire all\’altare, ma a crescere ubbidiente, devoto della Vergine SS. e dell\’Eucaristia. La mamma, rimasta vedova, passò a seconde nozze. Stabilì la sua dimora a Jerez de la Frontera (Cadice), e impiegò il figlio, ormai quindicenne, a Siviglia, presso un ricco mercante di tela al cui servizio rimase quattro anni. Il tempo libero di cui disponeva, Giovanni lo dedicava alla visita e al servizio dei malati negli ospedali, verso i quali, fin dalla fanciullezza, aveva sentito un grande attrattiva.
A diciannove anni, i parenti richiamarono il loro congiunto a Cannona, e gli affidarono l\’amministrazione di un magazzino di tele che avevano allestito appositamente per lui. Il giovane ubbidì a malincuore perché sentiva che non era chiamato per quel genere di vita. Dopo molte orazioni, difatti, prese la risoluzione di non darsi più a un commercio in cui, per guadagnare qualche soldo, era così facile mentire.
Una notte, Giovanni sognò la Madonna che gli mostrava un rozzo saio e lo esortava a indossarlo. Che fece allora? Si ritirò in un romitorio di Marchena, non molto distante da Cannona, indossò una ruvida tonaca, prese il nome di Giovanni Peccatore e si diede a una vita di preghiera e di penitenza per conoscere meglio la propria vocazione. Ogni tanto sospirava: "Mio misericordioso Signore, che ti sei degnato di togliermi dal mondo perché vivessi soltanto per Tè, è forse nei poveri che mi destini a servirti?". Una interna ispirazione gli diceva di sì, e gli indicava Jerez de la Frontera come campo del suo apostolato.
La prima cosa che Giovanni fece quando giunse in quella città fu di andare a ricevere i sacramenti nel convento di S. Francesco, e di confidare al confessore i suoi proponimenti. Dal momento che il Signore gli aveva ispirato di servirlo nei poveri, il religioso che lo confessò lo esortò a prendersi cura dei carcerati. Giovanni di buon grado accolse quell\’invito. Ottenuto il permesso di stabilirsi nel carcere, per tre anni sostentò sé e i detenuti con le questue che andava facendo a capo scoperto e a piedi nudi, d\’inverno e d\’estate. Nonostante la sua carità, diversi delinquenti non gli risparmiarono insulti e villanie, che sopportò pazientemente per amore di Dio.
Una notte, mentre pregava per i suo persecutori e chiedeva a Dio la forza di tollerare le loro ingiurie, gli apparve il signore tutto piagato e lo esortò a recarsi in un ospedale dicendogli: "Giovanni, abbi cura dei miei poveri infermi!". Giovanni accolse con gioia l\’invito. Nell\’ospedale di Nostra Signora dei Rimedi si pose a completa disposizione dei malati nei quali vedeva impressa l\’immagine del Crocifisso. Anche per essi andò questuando il pane di porta in porta, ma il suo interessamento per la loro conveniente assistenza e la sua disinteressata carità per i più bisognosi, ingelosì i negligenti e arbitrari dirigenti dell\’ospedale i quali, un bel giorno del 1573, improvvisamente lo licenziarono. Sotto la guida del suo direttore e confessore, il Can. Aparizio Rendón, il beato continuò impavido a curare e ad aiutare i poveri e i malati che vivevano nelle loro famiglie, mettendo a loro disposizione gli aiuti che riceveva dai più caritatevoli cittadini. Il nuovo governatore della città, invece, prevenuto contro di lui, riteneva Giovanni Peccatore un impostore, e gli avrebbe fatto somministrare volentieri cento frustate.
La sorte volle che cadesse gravemente malato. Il confessore ordinò allora al beato di andarlo a trovare, nonostante la ripugnanza che provava per la persona di lui. Giovanni ubbidì. Al trasecolato governatore pose una mano sul capo, recitò la Salve Regina e poi si congedò da lui dicendogli semplicemente: "Fratel Governatore, confidi in Dio, guarirà e ci rivedremo quando, secondo la tradizione, assisterà alla processione di S. Francesco". Essendosi la profezia verificata alla lettera, da quel giorno il governatore della città divenne il protettore del beato.
Due nobili cavalieri, fratelli maggiori della Confraternita di S. Giovanni in Laterano, conoscendo e apprezzando l\’ardente carità del B. Giovanni per i sofferenti e i bisognosi, nel 1574 fecero erigere per lui presso la Confraternita un ospedaletto che, unito a quello preesistente dei Pellegrini, fu posto sotto la protezione di Nostra Signora della Candelora. Il popolo lo chiamava comunemente l\’ospedale di Fratel Giovanni Peccatore, oppure di San Sebastiano perché sorgeva presso la chiesa omonima.
Per molto tempo il beato servì da solo i malati che andava a raccogliere un po\’ dovunque, e che talvolta portava all\’ospedale sulle proprie spalle. Per sostentarli si aggirava per la città e dintorni dicendo alla gente, ad alta voce, come già S. Giovanni di Dio (+1550) per le vie di Granada: "Fratelli, fate bene per voi stessi". Delle elemosine che riceveva faceva parte non soltanto agli infermi, ma anche a persone vergognose o nobili decaduti. Non gli mancarono le angustie, ma anche quando non sapeva come provvedere alle necessità degli infermi, non si perdeva d\’animo, memore della voce che un volta, durante la preghiera notturna, gli aveva detto: "Giovanni, non scoraggiarti. I poveri sono a carico non tuo, ma mio. Fatti, dunque, animo, che nulla ti mancherà".
Al B. Giovanni giunsero non soltanto i soccorsi necessari, ma anche i primi compagni, disposti a coadiuvarlo nell\’esercizio delle opere di misericordia. Non avendo però l\’intenzione di fondare una nuova famiglia religiosa, in seguito ai suggerimenti del confessore e dell\’arcivescovo di Siviglia, nel 1579 si recò a Granada, e chiese al P. Rodrigo da Seguenza (+1581), superiore dei Fatebenefratelli, approvati da S. Pio V nel 1571 sotto la Regola di S. Agostino, di farne parte. Di buon grado fu ammesso alla vestizione e alla professione dei voti con i suoi primi compagni senza ulteriori prove, e confermato superiore dell\’ospedale di Jerez con il titolo di Fratello Maggiore.
Legato a Dio dai tre voti, il beato fece passi da gigante sulla via della perfezione evangelica. Alcune ore prima dell\’alba faceva in chiesa le pratiche di devozione prescritte dalla regola. Pregava di solito stando in ginocchio per terra e tenendo le braccia e gli occhi rivolti al cielo. Essendo molto devoto dell\’Eucaristia, la riceveva il più sovente possibile e andava ad adorarla nelle chiese e nei monasteri in cui veniva solennemente esposta. Nel corso della sua vita furono molto frequenti le estasi e i rapimenti ai quali andò soggetto, e di cui provò sempre grande confusione.
Nei processi di beatificazione venticinque testimoni, tra cui molti sacerdoti e religiosi, dichiararono di averlo visto più volte in estasi durante la messa, dopo la comunione o durante l\’adorazione del SS. Sacramento. Dio lo illuminava allora sui misteri della fede, sulle tribolazioni che lo attendevano e sugli avvenimenti futuri o presenti. Un giorno, mentre in San Francesco prendeva parte alla novena che vi si faceva per il felice esito dell\’Invincibile Armata" organizzata dal re Filippo II (+1598) contro l\’Inghilterra (1588), in estasi ne vide la disfatta.
Oltre che dell\’Eucaristia il B. Giovanni era molto devoto di Gesù Bambino davanti all\’immagine del quale, in cella, trascorreva molte ore in contemplazione. A Natale gli piaceva portare in giro per le strade e le chiese della città, cantando, la statua del Bambinello adagiata in una culla sopra un po\’ di fieno, e riservare ai malati e ai poveri un trattamento speciale. Oggetto della meditazione del beato, che faceva alla sera con i confratelli, al termine delle fatiche del giorno, era sovente la Passione del Signore. Poiché desiderava che tutti gli infermi da lui curati, venissero guariti nel corpo e purificati nell\’anima, nei venerdì di quaresima voleva che un sacerdote, verso sera, nel cortile dell\’ospedale, li disponesse alla Pasqua con una appropriata predicazione. Nella settimana santa faceva erigere, in mezzo all\’infermeria, un altare sul quale esponeva un\’immagine di Gesù sofferente perché tutti, alla Considerazione dei suoi dolori, si pentissero delle loro colpe. A ricordo della Passione del Signore in tutti i venerdì dell\’anno non si cibava che di erbe. Grande fu pure la devozione che il beato nutrì verso Maria SS. La onorava con la recita quotidiana del rosario, Fuso frequente di giaculatorie, il canto della Salve Regina prima della cena e il digiuno sabbatico. Ai malati ne faceva onorare i dolori specialmente negli ultimi giorni di quaresima.
Giovanni Peccatore pregava e faceva pregare per la salute degli infermi, la conversione dei malvagi e il suffragio delle anime del purgatorio. Per questi motivi conduceva una vita molto penitente. Oltre che con i digiuni, affliggeva il proprio corpo con cilici e catenelle, oppure dormendo per terra o sopra delle nude tavole. Ciò nonostante non gli mancarono terribili tentazioni contro la castità, ma le vinse sempre a costo di mordersi fino al sangue ora le mani e orale braccia. Iddio permise pure che fosse tormentato sovente dal demonio, e che fosse tentato al male anche dalle prostitute che incontrava per via, ma egli fu tetragono alle loro suggestioni.
Nonostante le penitenze e le estenuanti prestazioni quotidiane ai malati, il beato si conservò sempre di aspetto alquanto pingue, motivo per cui taluni lo consideravano un mangione che riservava agli infermi e ai poveri soltanto le ossa delle galline avute in dono. Con una carica spirituale tanto forte non stupisce che il B. Giovanni avesse cura dei malati come della pupilla dei suoi occhi, e che andasse a soccorrere anche i carcerati, i condannati a morte, le prostitute e le penitenti con gli aiuti che gli giungevano da ogni parte, in modo speciale dal monastero dei Certosini e dall\’arcivescovo di Siviglia. Ricompensava poi la carità dei concittadini recandosi a determinate ore del giorno, con una croce, sulle piazze più frequentate della città per fare il catechismo ai fanciulli che accorrevano a lui in gran numero perché attratti dalla sua carità.
Nel 1579 l\’Andalusia fu colpita da un spaventosa carestia. I malati dell\’ospedale e i poveri che vi accorrevano a mezzogiorno, per ricevere la loro razione di cibo, non ne soffrivano perché il beato, prevedendo tempi tristi, teneva abitualmente in serbo una certa quantità di viveri. La vigilia di Natale, come al solito, volle distribuire ai poveri, nonostante la carestia, oltre il pane, anche un po\’ di carne e altre ghiottonerie. L\’afflusso dei poveri superò ogni aspettativa, motivo per cui i religiosi si accinsero a farne la distribuzione con grande esitazione. La carità del B. Giovanni fu premiata. La provvista di pane e di carne non si esaurì con grande stupore di tutti. Lo stesso prodigio si verificò nel Natale di un altro anno. Il beato teneva in serbo per i poveri vergognosi soltanto un po\’ di carne e venti pani, ma essi bastarono benché gli indigenti accorsi a riceverli in dono fossero più numerosi del previsto. Il beato allora esclamò: "Benedetta la santa carità, e benedetto il Bambino Gesù che tanto ama i suoi poveri".
La fama della carità del B. Giovanni valicò i confini dell\’Andalusia. Molte città avrebbero voluto affidare ai suoi religiosi la direzione dei loro ospedali, ma il beato, per la scarsità di personale, ne inviò soltanto alcuni nell\’ospedale di Saniùcar de Barrameda (Cadice) nel 1585, per compiacere il Duca Don Alfonso Perez de Gusmàn, detto il buono, e alcuni nel 1587 nell\’ospedale di Villa-Martino.
Nel 1592 il cardinale Don Rodrigo de Castro, arcivescovo di Siviglia, affidò al beato e ai suoi discepoli la direzione anche degli altri sei ospedali esistenti a Jerez de la Frontera perché erano male diretti e peggio amministrati. Il B. Giovanni ne avrebbe fatto volentieri a meno perché sapeva a quali persecuzioni sarebbe andato incontro da parte di coloro che si vedevano colpiti nei loro interessi, e da parte di coloro che continuavano a considerarlo un ambizioso, un intrigante e un ipocrita. Tuttavia ubbidì, disposto come era a compiere qualsiasi sacrificio per amore di Dio e a subire qualsiasi umiliazione da parte dei pazzi e dei malati ingrati, per amore del prossimo.
Dio premiò tanta generosità del B. Giovanni facendogli conoscere il giorno e le circostanze della morte. Ai confratelli e ai benefattori predisse infatti che sarebbe morto di peste, abbandonato da tutti, e che sarebbe stato trascinato alla sepoltura con un uncino. In una notte del mese di gennaio 1600, gli apparve la Madonna con il suo divin Figlio e uno stuolo di vergini. Gli fu rivelato che in città sarebbe scoppiata presto la peste, che anche lui ne sarebbe stato colpito e che, in cielo, sarebbe stato ricompensato del suo amore per i poveri e i malati con tre corone. La predizione si avverò nella primavera di quello stesso anno. Il morbo giunse a fare in città in quel tempo fino a 300 vittime al giorno.
Il beato organizzò l\’assistenza agli appestati nel migliore dei modi. Ai confratelli, timorosi del contagio, predisse che nessuno di loro sarebbe morto di peste. In compagnia del suo grande benefattore, Don Giovanni Battista de Baeza, fece un visita agli ospedali delle altre città per assicurarsi che i malati fossero bene assistiti, poi, il 26 maggio, si mise a letto con la febbre alta. Prima però aveva avuto la precauzione di fare portare fuori della sua cella tutti i mobili per salvarli dal fuoco e dalla ingordigia dei monatti. Si preparò alla morte intensificando le preghiere, ricevendo i sacramenti ed esortando i confratelli alla concordia e a vicendevole amore. Morì il 3-6-1600 in un momento in cui, per il gran trambusto, era stato lasciato solo. Fu trovato inginocchiato per terra e abbracciato alla croce che aveva fatto collocare nella cella. Di notte quattro monatti lo trascinarono alla sepoltura con un rampone attaccato a corde e lo gettarono in un fossa scavata nel cortile dell\’ospedale. La peste cessò. Dopo alcuni mesi la salma di lui fu posta in un cassa e tumulata nella chiesa di San Sebastiano. Agli splendidi funerali, ne tessé l\’elogio il suo confessore, il canonico Rendón. La gente lo ascoltò con le lacrime agli occhi e proclamò "santo" Giovanni Peccatore.
Pio VI riconobbe l\’eroicità delle virtù di Giovanni Grande il 3-5-1775; Pio IX lo beatificò il 13-11-1853. Giovanni Paolo II lo proclamò il 29-11-1986 patrono di Jerez de la Frontera, trasformata in diocesi nel 1980.

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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 6, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 35-42
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