S. GIACOMO IL MAGGIORE (I secolo)

Giacomo figlio di Zebedeo, detto il Maggiore per distinguerlo dall'omonimo apostolo detto il Minore, e fratello dall'apostolo Giovanni Evangelista, nacque a Betsàida. Fu presente ai principali miracoli del Signore (Mc 5,37), alla Trasfigurazione di Gesù sul Tabor (Mt 17,1.) e al Getsemani alla vigilia della Passione. Fu martirizzato in Gerusalemme con la decapitazione, primo tra gli apostoli, verso l'anno 43/44 per ordine di Erode Agrippa. Il sepolcro contenente le sue spoglie, traspostate in Spagna dopo il martirio, divenne meta di grandi pellegrinaggi medioevali, tanto che il luogo prese il nome di Santiago e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica a lui dedicata.

Giacomo nacque a Betsaida, sul lago di Genezareth. Era fratello di S. Giovanni l'evangelista, figlio di Salome e di Zebedeo, benestante pescatore e socio di Simon Pietro nell'esercizio del comune mestiere. E detto "il maggiore" per distinguerlo dall'altro Giacomo, chiamato "il fratello del Signore". Fu invitato da Gesù alla sua sequela mentre era intento a rassettare le reti presso il lago. Egli, folgorato dalla grazia, lasciò all'istante il padre nella barca insieme con i garzoni per seguirlo (Mt. 5, 21 s.). Nell'elenco degli apostoli è collocato da Marco al secondo posto, dopo S. Pietro, e da Matteo e da Luca al terzo posto. Nel Vangelo appare tra i privilegiati con Pietro e suo fratello Giovanni. Assiste infatti con loro alla guarigione della suocera di Simon Pietro (Lc. 4, 38 s.); alla risurrezione della figlia di Giairo (Mc. 5, 36); alla trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor (Lc. 9, 28-36), alla sua agonia nel Gethsemani (Mt. 26, 37).
Il Signore chiamò i due fratelli Giacomo e Giovanni Boanerges, che significa "figli del tuono" perché d'indole ardente e impetuosa, di carattere schietto e aperto. Mentre dalla Galilea Gesù con i suoi apostoli saliva verso Gerusalemme per morire in croce, mandò davanti a sé dei messi i quali, postisi in cammino, entrarono in un villaggio di Samaritani onde preparargli un posto per dormire. Ma gli abitanti non vollero riceverlo, perché era suo proposito di andare a Gerusalemme, città loro ostile. I discepoli Giacomo e Giovanni, al vedere una simile cosa, avrebbero voluto ripetere il gesto del profeta Elia nei riguardi dei cinquanta uomini mandati a lui dal re Achazia (2 Re, 1), onde dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li distrugga?". Ma egli, voltatesi, li rimproverò. E se ne andarono in un altro villaggio (Lc. 9, 51-56).
Mentre salivano a Gerusalemme i due fratelli, bramosi pure di emergere tra gli altri, fecero chiedere a Gesù dalla loro madre Salomé, che seguiva i dodici con altre donne per soccorrerli con le proprie sostanze, due posti d'onore nel futuro suo regno. Il Maestro divino rispose loro: "Non sapete quel che domandate. Potete voi bere il calice che io sto per bere? Gli dicono: "Possiamo!". Dice loro il Signore: "Il mio calice lo berrete; ma sedere alla mia destra o alla sinistra, questo non spetta a me concederlo, perché è per coloro ai quali è stato preparato dal Padre mio".
Udendo ciò gli altri apostoli s'indignarono contro i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: "Voi sapete che i capi delle nazioni le dominano come padroni, e che i grandi spadroneggiano su di esse. Non così dovrà essere tra voi; ma chi tra voi vuole essere pi imo, sia egli il vostro servo" (Mt. 20,20 ss.).
Dopo la discesa dello Spirito Santo anche S. Giacomo incominciò a pregustare qualche amara goccia del "calice" che Gesù gli aveva predetto.
Narra infatti S. Luca negli Atti: "Per opera degli apostoli avvenivano in mezzo al popolo molti miracoli e prodigi. Tutti poi si soffermavano insieme sotto il portico di Salomone, nessuno degli estranei osava accostarsi a loro, ma il popolo li stimava grandemente. Sicché la moltitudine di uomini e donne credenti nel Signore andava aumentando sempre più.
"Si mosse allora il sommo sacerdote con tutti i suoi accoliti, che formavano la setta dei sadducei. Già al colmo della gelosia, afferrarono gli apostoli e li misero nella prigione popolare. Ma durante la notte, un angelo del Signore aprì le porte del carcere e, condottili fuori, disse loro: "Andate e predicate imperterriti al popolo nel tempio tutta la dottrina di questa vita". Udito ciò, essi entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare… Allora il prefetto, partitesi con le guardie, venne a prelevarli, senza violenza perché temevano di essere presi a sassate dal popolo. Condottili via, li presentarono al sinedrio, e il sommo sacerdote li interrogò dicendo: "Non vi comandammo con ordine perentorio di mai più insegnare in quel nome? Ecco, invece, che voi avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere addosso a noi il sangue di quell'uomo". Ma Pietro e gli apostoli ribatterono: "Si deve ubbidire piuttosto a Dio che agli uomini. Iddio dei padri nostri risuscitò Gesù, che voi avete ucciso, appendendolo sopra un legno. E Dio che lo ha esaltato con la sua destra, come principe e salvatore, per offrire a Israele il ravvedimento e il perdono dei peccati. Di questo noi siamo testimoni insieme con lo Spirito Santo, che Dio ha dato a tutti quelli che l'ubbidiscono". Quelli, avendo udito queste parole, fremevano di rabbia e volevano sopprimerli. Senonché, un fariseo di nome Gamaliele, dottore della legge, stimato da tutto il popolo, si alzò in mezzo all'assemblea e ordinò di fare uscire un istante quegli uomini dall'aula. Poi prese a dire: "Israeliti! Badate bene a quello che state per fare contro questi uomini… Smettetela dal vessare questi individui e lasciateli fare, perché se si tratta di una concezione o di un'opera umana si dissolverà, ma se proviene da Dio non la potrete annientare, a meno che non vogliate, per caso, venirvi a trovare in lotta anche contro Dio!". E gli ubbidirono.
Richiamati quindi gli apostoli e tattili fustigare, intimarono loro di non parlare affatto nel nome di Gesù e li misero in libertà. Essi allora andarono via dal sinedrio giulivi per essere stati ritenuti degni di subire oltraggi a causa di quel nome. E ogni giorno, nel tempio e per le case, continuarono a insegnare e ad annunziare senza posa la buona novella del messia Gesù". (Atti 5, 12 ss.).
Dopo l'ascensione del Signore al cielo, secondo il Breviario romano, Giacomo predicò la divinità di lui in Giudea e Samaria e condusse moltissimi alla fede cristiana. Secondo una leggenda sorta nel secolo IX il nostro apostolo sarebbe poi andato ad evangelizzare la Spagna.
Sappiamo solo con certezza che, dopo la seconda persecuzione scatenata in seguito alla lapidazione di S. Stefano, ne scoppiò contro la Chiesa di Gerusalemme una terza più pericolosa ancora per volontà di Erode Agrippa I, re dei giudei dal 41 al 44 col favore dell'imperatore Caligola. Mentre il Vangelo si diffondeva tra i gentili specialmente di Antiochia di Siria, "il re Erode cominciò a perseguitare alcuni mèmbri della Chiesa.
Così, fece morire a fil di spada Giacomo, il fratello di Giovanni, e poi, accortosi di far cosa gradita ai giudei, volle procedere anche all'arresto di Pietro" (Ivi. 12, 1-3). San Giacomo fu il primo apostolo a bere "il calice della passione" del Signore. Una tradizione raccolta da Clemente Alessandrino riferisce che, mentre andava al supplizio, gli si avvicinò il delatore per chiedergli perdono. L'apostolo, dopo un istante d'esitazione, lo abbracciò dicendogli: "La pace sia con te". Giacomo fu fatto uccidere da Agrippa I per fare cosa gradita ai sinedriti.
Non pare che egli nutrisse particolari rancori contro i cristiani. Molti e gravi ne avevano invece i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo contro l'odiata loro setta perché irresistibilmente dilatava le sue tende anche fuori di Palestina. Per stroncarla in modo definitivo, nonostante il buon suggerimento di Gamaliele, poteva giovare loro ottimamente la potenza assolutista del re Erode il quale aveva interesse politico a mostrarsi ossequioso verso le istituzioni religiose giudaiche se non altro per far dimenticare la sregolatissima vita da lui condotta prima dell'elezione a re. A proposito di Giacomo Luca non parla di processo, ma soltanto di decapitazione. Secondo certi rabbini non c'era morte più obbrobriosa di quella. Sorge comunque il sospetto che la condanna avvenisse per accuse politiche. Difatti, se fosse avvenuta per accuse religiose, la pena normale sarebbe stata la lapidazione come per il protomartire Stefano.
Il martirio di S. Giacomo fu il segnale della dispersione degli apostoli per tutto il mondo. Il Signore avrebbe potuto mandare il suo angelo a liberarlo una seconda volta. Non lo fece secondo i suoi imperscrutabili disegni. Nella persecuzione anche Pietro era stato gettato in prigione come un malfattore. Appena l'angelo lo liberò "se ne andò in un altro luogo" (Ivi, 12, 17), precedendo con l'esempio la maggior parte degli altri discepoli del Signore.
Il corpo di S. Giacomo è venerato a Santiago de Compostela, nella Galizia (Spagna), dove sarebbe stato trasportato dopo la sua morte. Verso la fine del secolo XI sopra il presunto sepolcro dell'apostolo si cominciò a costruire una splendida chiesa che costituì con Gerusalemme e Roma una delle mete più celebri dell'intera cristianità dal secolo XI al XV. Solo il papa poteva dispensare dal voto di un pellegrinaggio a Santiago. Le vie che conducevano al sepolcro dell'apostolo erano disseminate di chiese e cappelle, erette senza numero in suo onore. Esse rigurgitavano di continuo di pellegrini, molti dei quali ritenevano di lavare i loro peccati nel sangue dei miscredenti. San Giacomo è il patrono della Spagna e dei pellegrinaggi. Dal secolo XII è rappresentato come un pellegrino con la conchiglia, una sacca da viaggio e il bordone in mano.
E' invocato contro i reumatismi e per il buon tempo.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 7, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 248-251
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