S. CHIARA D’ASSISI (1193-1253)

Chiara aveva appena dodici anni quando il fratello Francesco compì il gesto di spogliarsi di tutti i vestiti per restituirli al padre Bernardone. Conquistata dall'esempio di Francesco sette anni dopo fuggì da casa per raggiungerlo alla Porziuncola. Nella Chiesa di San Damiano fondò l'Ordine femminile delle «povere recluse» (chiamate in seguito Clarisse) di cui è nominata badessa. Chiara chiese ed ottenne da Gregorio IX il «privilegio della povertà». Erede dello spirito francescano, si preoccupò di diffonderlo, distinguendosi per il culto verso il SS. Sacramento che salvò il convento dai Saraceni nel 1243.

Chiara, "pianticella primogenita di Frate Francesco", nacque nel 1193 ad Assisi dal signore Favarone di Offreduccio e dalla signora Ortolana, entrambi di nobile prosapia. Fu battezzata nella cattedrale di San Ruffino, che sorgeva accanto alla casa in cui nacque, al medesimo fonte in cui ricevette l'acqua lustrale dodici anni prima Francesco di Pietro Bernardone. A causa delle lotte sorte tra il comune d'Assisi e l'aristocrazia locale, i genitori di Chiara per cinque anni dovettero rifugiarsi a Perugia.
La prescelta da Dio crebbe attenta agl'insegnamenti dei genitori, ubbidiente e pronta più alla preghiera che agli inutili trastulli. Per non venir meno al numero di orazioni che si era proposta di recitare, aveva preso la consuetudine di contarle con tante pietruzze. Quando usciva accompagnata dalle ancelle, sua prima cura era di riempirsi la borsa di monete da distribuire ai poveri e la bisaccia delle pietanze avanzate alla sua mensa da distribuire ai malati. Con l'amore per le creature avvampò nel suo cuore un ardentissimo amore per il Creatore, e glielo dimostrò nascondendo sotto le vestine di velluto un cilicio intessuto di peli di capra.
Chiara crebbe bella. Ripetute volte i genitori le fecero proposte di matrimonio, ma la santa si oppose preferendo starsene celata in casa, seduta all'aspo e al telaio, intenta a parlare di Dio con le sorelle Agnese e Beatrice. Dopo che Francesco d'Assisi aveva rinunciato a tutto davanti al vescovo Guido II (1207), nella cittadina si fece un gran parlare di lui. Quando fu autorizzato a predicare la quaresima in San Giorgio (1210), Chiara andò ad ascoltarlo con la madre e le compagne. Si sentì talmente investita dall'amore della povertà che risolvette d'incontrarsi con Francesco all'insaputa dei genitori, alla presenza di Fra Filippo il Lungo e di Bona del Guelfuccio, cugina di sua madre. I colloqui, protrattisi a intervalli per più di un anno, la determinarono a seguire Francesco in umiltà, castità e penitenza. La sua entrata in religione fu stabilita, con il permesso del vescovo, per la notte successiva alla domenica delle Palme (1211). Chiara, orfana di padre, al calar delle tenebre abbandonò la sua casa e si recò in compagnia di Pacifica del Guelfuccio a Santa Maria degli Angeli, nella piana sottostante la città, dove Francesco l'attendeva in preghiera con alcuni frati. Come candida agnella, s'inginocchiò davanti all'altare della Vergine e il Poverello d'Assisi le recise la bionda capigliatura, le impose l'abito di bigello e forse ne ricevette la professione religiosa. Poi la condusse nel vicino monastero delle benedettine, di San Paolo, a Bastia, perché vi rimanesse "tanto che la Provvidenza non avesse disposto diversamente".
La famiglia non sopportò in pace la fuga di Chiara. Lo zio Monaldo, appena ne scoprì il rifugio, si presentò furente al monastero "per dissuaderla da quella villania". La santa, forte del "diritto d'asilo" acquistato con il rifugiarsi in una chiesa, non si lasciò smuovere dal suo proposito. Quindici giorni dopo, Francesco ritenne opportuno farla trasferire presso le benedettine di Sant'Angelo in Panso, alle falde del Subasio, dove fu raggiunta dalla sorella Agnese che con lei voleva abbracciare la vita religiosa. Lo zio Monaldo ancora una volta tentò di strappare le due sorelle da quel nido di penitenza e di preghiera, ma Francesco, dopo quattro mesi, ottenne dal vescovo di poterle sistemare definitivamente presso la chiesa rurale di San Damiano che egli aveva restaurato con le sue mani.
Per poco tempo Chiara e Agnese rimasero sole in quella clausura. Ben presto giovani amiche e nobili parenti chiesero di aggregarsi ad esse per formare l'Ordine delle Povere Dame, con lo scopo di vivere alla lettera il Vangelo secondo la "Forma di Vita" che il Serafico Padre aveva composto per loro. Essendo prescritta la più assoluta povertà, le due sorelle si spogliarono dell'eredità paterna a favore degli indigenti per vivere unicamente di lavoro e di elemosine questuate per esse dai francescani. Lo stesso gesto ripeterono Ortolana e sua figlia Beatrice quando si decisero a condividere quel genere di vita. Il diritto di non possedere né proprietà, né rendite, chiamato "Privilegio di Povertà", fu loro concesso da Innocenzo III forse nel 1216 mentre si trovava a Perugia. L'anno precedente Chiara, in virtù dei decreti del Concilio Lateranense IV, dovette assumere il titolo e la responsabilità di badessa benché desiderasse essere considerata l'ultima delle consorelle. Non cessò per questo di servirle negli uffici più umili oltre che ammaestrarle e ammonirle, di scopare le celle, lavare i panni, detergere le sedie e i pagliericci delle malate, curarne le piaghe, e filare con le altre monache il lino necessario per la confezione di corporali e tovaglie che i Frati Minori facevano pervenire alle chiese dei dintorni in compenso di un po' di pane e di un po' di olio.
Il movimento spirituale suscitato da Francesco e da Chiara si diffuse presto in altre città come Lucca, Siena, Firenze, Perugia con l'aiuto del cardinale Ugolino dei Conti di Segni, loro protettore, allorché giunse come Legato nella Tuscia (1217). Conformandosi alle direttive di Onorio III, egli accordò il privilegio dell'esenzione a diversi monasteri e impose loro delle costituzioni basate sulla regola di S. Benedetto con l'aggiunta di più rigorose austerità. La regola primitiva delle Clarisse pare fosse opera personale del cardinale. Difatti non nomina né Francesco, né Chiara, e non contiene nessun elemento d'ispirazione francescana. Tace persino sulla essenziale questione della povertà. I due santi non fecero altro che accettarla passivamente, riservandosi in pratica, nonostante le pressioni ufficiali, di conservare ai loro monasteri le particolari osservanze introdottevi.
Francesco continuò a vegliare personalmente sulle Damianite, per quanto glielo consentivano la prudenza religiosa e le sue corse apostoliche.
Egli non aveva mancato di consultare Chiara quando, verso il 1215, era dubbioso sulla via da seguire. Nel 1221 andò a consolarla dopo una sua lunga assenza. Fu allora che, invece di tenere il sermone, si fece portare un po' di cenere, ne disegnò sul pavimento attorno a sé un largo circolo, e di quella che restò se ne cosparse il capo recitando il Miserere. Da parte sua Chiara cercò di assecondare la direzione spirituale del fondatore. Esercitò così un felice influsso sulla fraternità francescana e fece di San Damiano "la perpetua testimonianza del più puro spirito francescano". Difatti emulò il santo nelle penitenze. Fu talmente parca nel cibo che Francesco le impose per ubbidienza di non lasciare passare giorno senza mangiare almeno un'oncia e mezzo di pane. Straziò le sue carni verginali con cilici intessuti di setole di cinghiale e di crini di cavallo. Al principio della vita monastica dormì su una stuoia distesa per terra, e si accontentò di un saccone di paglia soltanto quando fu assalita da continue infermità. Emulò Francesco anche nell'operare miracoli. Col segno della croce moltiplicò il pane e l'olio, e diede la salute a monache inferme da mesi e da anni.
Nel 1225 Francesco, sofferente e stigmatizzato, passò l'inverno nella colletta di frasche che Chiara gli aveva fatto preparare nel giardino di San Damiano. Poco prima di morire, egli le inviò dalla Porziuncola, per mezzo di un Fraticello, il suo pietoso messaggio: si consoli essa con le sue sorelle perché prima ch'egli sparisca per sempre dalla faccia della terra sarà dato loro di rivederlo. Il giorno successivo il decesso (1226), i Frati portarono il suo corpo a San Damiano e lo sostennero sulle loro braccia davanti alla grata completamente aperta per tutto il tempo che Chiara e le altre monache afflitte e piangenti lo desiderarono a loro consolazione.
Il cardinale Ugolino, divenuto papa con il nome di Gregorio IX, quando giunse ad Assisi per la canonizzazione di Francesco, cercò d'indurre Chiara a rinunciare al troppo rigido Privilegio di Povertà. La santa ricusò, volendo esser fedele depositarla dello spirito del Poverello. Il privilegio le fu rinnovato il 17-9-1228, ma agli altri ventitré conventi di Clarisse fu imposto, sotto pena di scomunica, di ricevere proprietà e beni e fu loro proibito di alienare qualsiasi cosa.
Innocenzo IV nel 1247 pubblicò la Seconda Regola delle Clarisse nella quale era mantenuta la proprietà in comune ed erano sanzionate le dispense accordate contro l'assoluta povertà. Nel suo eroico attaccamento a Francesco, Chiara redasse allora una regola modellata su quella francescana del 1223, in cui era impostala povertà assoluta. Il 16-9-1252 il cardinale Rainaldo, protettore dell'Ordine Francescano e più tardi papa Alessandro IV, l'approvò per San Damiano e, tre giorni prima che Chiara morisse, Innocenze IV la confermò nella visita che le fece ad Assisi.
Chiara è considerata la più pura espressione della perfezione evangelica interpretata dal Poverello d'Assisi. Come lui ella raggiunse i più alti gradi della mistica. La continua meditazione della Passione del Signore costituiva l'oggetto della sua devozione. Un venerdì santo rimase rapita il giorno e la notte interi nella visione dei dolori del Figlio di Dio. Fin che visse recitò l'Ufficio della Croce composto da Francesco e l'orazione delle cinque piaghe, specialmente da mezzogiorno alle tre pomeridiane, perché era quello il tempo in cui il Signore era stato messo in croce. La sera, dopo compieta, stava lungamente in orazione con abbondanza di lacrime.
Nutriva una grande devozione verso il SS. Sacramento. Quando lo riceveva tremava dalla commozione. Nell'interno di San Damiano si era fatta erigere un oratorio in cui conservava l'Eucaristia racchiusa in un cofano d'avorio e d'argento. Davanti ad essa passava molte ore in adorazione. Un venerdì di settembre del 1240 la guardia saracena dell'imperatore Federico II si era permessa di andare a molestare le Damianite. Quando Chiara ne fu avvertita si trovava a letto consunta dalle frequenti febbri. Con l'aiuto di due sue figlie, si alzò, prese il cofano contenente il SS. Sacramento e, stringendolo tra le sue mani, affrontò i soldati che, intimoriti, si diedero a precipitosa fuga. La sua orazione incessante era accompagnata da fenomeni mistici. A causa delle frequenti malattie sovente doveva assentarsi dal coro. Nella notte di Natale 1252 si lagnò con il Signore di non poter prendere parte alle funzioni liturgiche nella basilica, eretta in onore di S. Francesco (+1226). Le fu concesso allora di assistervi in spirito e di ricevere la comunione. Per questo fenomeno è stata proclamata il 14-2-1958 celeste patrona della televisione. Per Dio avrebbe dato volentieri la vita. Quando seppe che nel Marocco erano stati martirizzati i primi cinque francescani (1220), fu assalita dal desiderio di affrontare il martirio.
Nel 1252 la santa dovette mettersi a letto definitivamente. Alessandro IV, trovandosi in Assisi, la visitò due volte. L'11 agosto, dopo aver benedetto a lungo le sue figlie, si consolava dicendo: "Va' in pace perché hai seguito il buon cammino. Va' fiduciosa perché il tuo Creatore ti ha santificato, ti ha incessantemente protetta, ti ha amata con tutta la tenerezza che una madre nutre per il suo figlio. O Dio, sii benedetto per avermi creta". Poi disse ad una monaca che la interrogava: "Io parlo alla mia anima benedetta, la divina guida della quale è ora così vicina a me. Non vedi tu, figlia mia, il re della gloria che vedo io?".
Dopo ventinove anni di continui malanni, dopo quarantadue anni di indefessa penitenza, di digiuni senza concessioni, di aspre discipline, ella morì a San Damiano l'11-8-1253 assistita dai fedeli compagni di S. Francesco, Ginepro, Angelo e Leone, nonché dalla sorella S. Agnese, abbadessa di Monticelli, a Firenze, dal 1219. Fu sepolta provvisoriamente in San Giorgio, in attesa che fosse terminata la chiesa che porta il suo nome, nella quale fu traslata alla presenza di S. Bonaventura nel 1260.
Il suo corpo, ridotto a scheletro, fu ritrovato nel 1850 sotto l'altare maggiore. Alessandro IV la canonizzò ad Anagni nel 1255. Della santa si conserva una lettera scritta ad Ermentrude di Colonia e quattro lettere indirizzate a S. Agnese di Boemia, figlia del re Ottocaro I, la quale, dopo aver fondato in Praga il primo convento dei Frati Minori, si era fatta Clarissa nel monastero di San Salvatore (1234) con alcune dame della sua corte.
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Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 96-101.
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