L’amore alla Chiesa: un ricordo del Giubileo

…Conferenza del marzo 2000 del Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato a professori e alunni della Pontificia Università Salesiana. L’amore alla madre. La maternità della Chiesa. La dottrina patristica. Madre dei Santi e di figli peccatori. Una Chiesa e un Papa da amare….

Conferenza del Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato a professori e alunni della Pontificia Università Salesiana


L’amore alla Chiesa: un ricordo del Giubileo


 


Nei giardini vaticani il Papa Pio XI di v.m. volle collocare una statua di santa Teresa del Bambin Gesù, Patrona delle Missioni. Lo stesso Papa dispose poi che si incidessero sul basamento della medesima statua le seguenti parole in francese, così come uscirono dalle labbra e dal cuore della grande santa Carmelitana: «J’aime l’Eglise ma mère», amo la Chiesa mia madre.


In realtà, la breve frase esprime bene tutta la spiritualità di questa grande figura della santità. Non per nulla il Papa Giovanni Paolo II ha voluto dichiararla Dottore della Chiesa. È vero, ella non ha conseguito un dottorato accademico in una Facoltà teologica, ma sui nudi banchi della Cappella del Carmelo di Lisieux ottenne un dottorato sapienziale, che poi ha messo a servizio della Chiesa del mondo intero. «Amo la Chiesa mia Madre», è il messaggio che ella ripete oggi anche a noi, invitandoci a guardare alla Chiesa come ad una Madre e a coltivare verso di lei quegli stessi sentimenti che un figlio nutre verso chi gli ha dato la vita e l’ha educato con amore.


 


1. L’amore alla madre


Questo è anche il messaggio che io oggi vorrei lasciare a tutti voi, professori ed alunni della Pontificia Università Salesiana. Stamane voi siete venuti alla Basilica di San Pietro in devoto pellegrinaggio giubilare e presso la tomba dell’Apostolo avete espresso il vostro impegno di rinnovamento spirituale, inserendovi nella grande corrente di grazia che sta percorrendo la Santa Chiesa di Dio, all’alba del Terzo Millennio cristiano. A nome del Santo Padre, io vi saluto di cuore e vi dico tutta la stima e l’affetto con cui il Papa Giovanni Paolo II segue il cammino della vostra benemerita Istituzione. Personalmente sono poi molto lieto di essere io a portarvi la Benedizione del Successore di Pietro. Fin dalla mia gioventù, ho sempre seguito con profonda ammirazione l’opera che svolgono i Salesiani nei vari campi dell’apostolato. Sono, infatti, nato a pochi chilometri da Castelnuovo Don Bosco, la patria del grande Santo che tanto ha contribuito al rinnovamento dell’apostolato della Chiesa nei tempi moderni. In contatto con tante belle figure di figli spirituali di Don Bosco, ho anch’io ricevuto molto da loro. I loro nomi sono scolpiti nel mio cuore, in segno di profonda gratitudine.


Ben volentieri oggi sono venuto in mezzo a voi, per portarvi anche il mio saluto personale ed invitarvi ad amare la Chiesa così come si ama la propria Madre.


 


2. La maternità della Chiesa


In realtà, la Chiesa è nostra Madre perché ci ha generato alla vita e perché non cessa di alimentarci e di accompagnarci nel progredire del nostro cammino.


La Chiesa è nostra Madre perché ci ha dato e continua a darci Gesù, nostro Salvatore. Henri de Lubac scriveva nel suo libro «Paradosso e mistero della Chiesa» (Milano, Jaca Book, 1997): «In quali sabbie si sarebbero persi, non dico il suo ricordo o il suo nome, ma la sua viva influenza, l’azione del suo Vangelo e la fede della sua Persona divina, senza la visibile continuità della sua Chiesa? Se la prima comunità cristiana, nel fervore della sua fede e del suo amore, non avesse costituito l’ambiente apportatore dello Spirito che suscitò gli evangelisti, se questa comunità, di generazione in generazione, non si fosse conservata spiritualmente identica…; se non fossero sorti, al momento opportuno, uomini di Chiesa, grandi dottori, capi intrepidi ed umili testimoni a conservare letteralmente inalterato il dogma nel suo rigore e nella sua semplicità… se i grandi Concili non avessero fissato per sempre l’ortodossia cristologica… cosa sarebbe oggi il Cristo, per noi? Senza la Chiesa, il Cristo svanisce, o si frantuma o si annulla» (Ibidem, pag. 7). Il Salmista guardava verso Sion e vedeva una Madre delle genti, si che davvero egli poteva dire legittimamente che tutti là erano nati.


«Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei!… et de Sion dicetur: hic et ille natus est in ea» (Sal 86 [87], 3-5). Anche oggi la Chiesa è sempre Madre. La forza di generare nuovi figli non si affievolisce. Lungi dal ripiegarsi su se stessa, la Chiesa guarda al mondo, accogliente e serena. E quando il suo compito materno appare non solo immenso, ma impossibile e scoraggiante, tanto più essa confida nel suo Sposo (cfr Henri de Lubac, op. cit., pag. 9).


A volte succede che i figli possono dimenticare o, addirittura, giungere a schiaffeggiare la propria madre. Ma questa continua ad amarli e a seguirli. È questa la sua grandezza.


 


3. La dottrina patristica


Il concetto di Chiesa-Madre era frequente nei Padri della Chiesa primitiva. Ricordo che, come giovane sacerdote, lessi quel libro della nota collana «Unam Sanctam» delle Edizioni Du Cerf di Parigi, dal titolo «Ecclesia Mater» (Karl Delahaye – Ecclesia Mater chez les Pères des trois premiers siècles – Paris 1964), con la prefazione del Padre Congar, O.P.) L’autore, dopo aver spiegato il valore dell’immagine della Madre e la sua radice biblica, passa ad esaminarne l’applicazione che vi diedero i Padri dei primi tre secoli della Chiesa fino ad Origene e Cipriano, prima ancora dei grandi Padri dell’epoca classica, quali furono un sant’Ambrogio, un sant’Agostino, un san Giovanni Crisostomo. Il libro citato passa così in rassegna la visione della Chiesa del Pastore di Erma, di Ireneo, Ippolito, Tertulliano, fino a giungere alla grande affermazione di san Cipriano: «Non può avere Dio come Padre, chi non ha la Chiesa come Madre» –  «Habere non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem» (De unitate Ecclesiae, cap. 6). Ed è questa una Madre che ci dà la vita, che ci nutre con il suo latte e ci anima con il suo spirito («illius foetu nascimur, illius lacte nutrimur, Spiritu ejus animamur» – Ibidem, cap. 5).


E proprio nell’Africa del Nord, in iscrizioni dei tempi di san Cipriano, troviamo l’accenno alla Chiesa-Madre in due luoghi caratteristici, nei battisteri e sulle tombe. Nel Battistero la Chiesa si presenta come Madre perché ivi dà la vita al catecumeno; nella tomba perché in quel luogo la Chiesa-Madre accoglie il cristiano fra le sue braccia, al termine del pellegrinaggio terreno.


Una lapide sepolcrale del tempo del Vescovo san Cipriano dice appunto cosi: «Marco, piccolo figlio mio diletto, tu ormai sei presso i tuoi fratelli beati… Ritornando alla casa del Padre, la nostra Santa Madre Chiesa ti ha preso con amore nelle sue braccia!» (Dictionnaire d’Archéologie chrétienne et de liturgie, Paris, IV, col. 22 36-22 38).


Durante la preparazione della mia tesi di laurea in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, dovetti leggere gran parte degli scritti di san Giovanni Crisostomo e mi rimase sempre scolpita nella mente la dottrina ecclesiologica di quel grande Padre della Chiesa d’Oriente. Nel corso degli anni successivi mi avvicinai poi di più alla lettura delle opere di Sant’Agostino. E li davvero ognuno trova sempre una miniera a cui attingere in ogni campo della dottrina cristiana. Ultimamente mi ha molto edificato la lettura di un aureo libretto pubblicato dall’Editrice Città Nuova: «Sant’Agostino – La Chiesa da Eva alla Città di Dio» – Roma 2000). In Agostino il tema della Chiesa-Madre si arricchisce con il confronto con la maternità di Maria, che è feconda pur rimanendo vergine. «Quanto Maria meritò di conservare nel corpo, la Chiesa lo conserva nel cuore; la differenza è che Maria partorì un solo figlio, la Chiesa ne partorisce molti, da riunire però in unità tramite quell’unico figlio di Maria» (Sermone 195, 2). Questa visione dei Padri ha poi permeato la dottrina ecclesiologica fino ad oggi, portando i credenti a scoprire e ad amare sempre più la Chiesa di Cristo.


 


4. Madre dei Santi


Nel corso dei secoli, la Chiesa è stata poi una Madre feconda di figli che sono giunti anche alle vette più alte della santità. Giustamente nel Simbolo apostolico proclamiamo la nostra fede nella «santa» Chiesa cattolica. Essa come Madre feconda ha generato ed educato molti figli, portandoli anche al traguardo della santità eroica. Così la esaltò il grande Alessandro Manzoni nella sua bella poesia dedicata alla Pentecoste, per celebrare la potenza santificatrice dello Spirito nella Santa Chiesa. Rivolgendosi ad essa, così il Manzoni esclamava: «Madre de’ Santi; immagine / della città superna; / del Sangue incorruttibile / conservatrice eterna; / tu che, da tanti secoli, / soffri, combatti e preghi; / che le tue tende spieghi / dall’uno all’altro mar». I teologi ci hanno ben spiegato come la Chiesa sia santa, nonostante sia composta di peccatori. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ha recentemente sintetizzato tale dottrina in alcune brevi pagine, illustrando l’art. 9 del Simbolo apostolico, e cioè «credo nella Santa Chiesa cattolica» (nn. 823-829). Sì, noi crediamo che la Chiesa è indefettibilmente santa. Unita a Cristo, è da lui santificata e per mezzo di lui diventa anche santificante. In forza di questo suo potere santificante, raggiunge ogni suo membro, lo purifica e lo trasforma. Diceva già il Papa Paolo VI di v.m. nel suo «Credo del popolo di Dio»: «La Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli, con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito» (Ibidem, n. 19).


 


5. Madre di figli peccatori


L’anno scorso, ho letto con grande gaudio interiore un bell’articolo che su tale argomento scrisse il vostro professore Don Angelo Amato nella pubblicazione «Dilexit Ecclesiam – Studi in onore del prof. Donato Valentini» – Roma, Libreria Ateneo Salesiano, 1999. L’articolo è intitolato: «La Chiesa santa, madre di figli peccatori. Approccio ecclesiologico ed implicanze pastorali» (Ibidem, pagg. 425-445). Ivi sono ben descritti i fondamenti biblici della santità della Chiesa, che le viene comunicata da Cristo per mezzo del suo Santo Spirito. È una santità che non è solo una nota ornamentale, ma è una caratteristica essenziale della Chiesa, una caratteristica che preesiste ad ogni merito e ad ogni acquisizione di santità dei fedeli. È quella santità originaria che i teologi chiamano santità oggettiva, mentre la santità dei cristiani è denominata come santità soggettiva. Credere nella Chiesa santa è, quindi, credere in questa Chiesa sacramento di salvezza, sempre animata dallo Spirito che ne è l’anima vivificante.


È però fuori dubbio che la Chiesa comprende nel suo seno tutti noi peccatori, che a volte resistiamo all’opera della grazia. Sant’Ambrogio usò a tale proposito la celebre frase: la Chiesa è «immaculata ex maculatis», immacolata anche se i suoi membri sono sovente macchiati dal peccato. È questo l’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II che nella Costituzione «Lumen gentium» ci parla di una Chiesa «indefettibilmente santa» (n. 39), ma anche di una Chiesa «sempre bisognosa di purificazione», «simul sancta et semper purificanda» (n. 8).


 


6. Una Chiesa da amare


Di fronte a questa Chiesa di Cristo, che ci ha generato alla vita di grazia ed ora ci accompagna sul nostro cammino, perdonandoci dai nostri peccati e spronandoci sulla via della santità, ogni cristiano è portato inevitabilmente a dimostrarle il suo amore. È l’atteggiamento naturale del figlio verso la madre. Negli ultimi anni della sua vita, il compianto Card. Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Torino, ci lasciò un suo bel libro dal titolo «Questa Chiesa da amare» (Piemme, Casale Monferrato 1992). Con il suo noto atteggiamento sapienziale, egli ci presentava una Chiesa non solo da credere, ma anche da amare.


«Amiamo la Chiesa – egli scriveva – di un amore profondamente teologale, motivato dalle ragioni trascendenti che la fanno una, santa, cattolica ed apostolica, e dalle ragioni di incarnazione che la rendono immagine del Verbo incarnato, il quale l’ha voluta fatta di uomini intrisi di storia umana, quella storia che ha fatto di lui un crocifisso e di noi dei salvati» (Ibidem, pag. 148). Il benemerito Pastore d’anime soggiungeva poi che amare la Chiesa non vuol dire soltanto amare il suo mistero, in cui noi crediamo, ma significa amare l’istituzione incarnata che vediamo, condividendone i gesti di ogni giorno, i gesti di una Chiesa che insegna, di una Chiesa che santifica, di una Chiesa che guida nella carità. L’amore alla Chiesa porta così ad amarci fra di noi, sue membra, stando bene insieme, guardandoci con simpatia ed amicizia, perdonandoci ed aiutandoci a vicenda. Gesù aveva detto: «dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 21). Ora se il nostro tesoro è Cristo, nostro tesoro sarà anche il suo Corpo Mistico che è la Chiesa. Ad essa andranno i nostri pensieri ed i nostri affetti, come verso quel polo magnetico che indirizza la nostra vita.


 


7. Un Papa da amare


L’amore alla Chiesa porta inevitabilmente il cristiano a coltivare un amore privilegiato verso colui che Cristo volle a capo della Comunità dei credenti. Amando la Chiesa, certo, si amano tutti i suoi membri, ad iniziare da quelli che più soffrono, fino a quelli che più hanno bisogno di aiuto. Amando la Chiesa, si amano però anche in modo particolare tutti coloro che assicurano la struttura e l’unità di questo Corpo Mistico. E, fra questi, in primo luogo vi è certo il Successore di Pietro. L’amore alla Chiesa diventa così amore al Papa, con quell’effusione tipica che era propria dei Santi, di una santa Caterina da Siena, che giungeva a chiamare il Papa come il «dolce Cristo in terra».


Parlando a studenti di una Università Salesiana, mi viene spontaneo ricordare a tale riguardo l’esempio lasciatoci da Don Bosco. Vi è tutta una fioritura di studi sulla linea seguita dal santo a tale riguardo, specialmente nei rapporti con Pio IX.


Tempo fa lessi anch’io un interessante articolo di Don Arnaldo Pedrini, S.D.B., intitolato «Pio IX e Don Bosco» (Rivista «Pio IX» – Studi e ricerche sulla vita della Chiesa dal Settecento ad oggi – Città del Vaticano 1994, pagg. 251- 265). Tanta era la devozione che Don Bosco aveva per il Papa, che in una lettera scritta da Roma a Don Rua l’8 giugno 1877 esclamava: «Roma è capitale del mondo in senso letterale. Pio IX è la prima meraviglia di questo secolo…» (M.B. XIII, 135). Ai tempi di Don Bosco la situazione politica a Torino era molto tesa, ma egli ripeteva ai vari Ministri che incontrava: «Sappia, Eccellenza, che in ogni cosa io sono con il Papa» (M.B. IX, 483). Ed ai suoi primi collaboratori egli amava ripetere: «Qualunque fatica è poco, quando si tratta della Chiesa e del Papa» (M.B. V, 577). E di tale attaccamento al Successore di Pietro diede prova concreta, quando ebbe la notizia che il Papa Pio IX aveva dovuto lasciare Roma e fuggire a Gaeta, a causa della proclamazione della Repubblica Romana. Don Bosco volle allora organizzare una colletta a favore del Papa, raccogliendo fra i giovani dell’Oratorio 33 Lire ed inviando poi alcuni di essi a Gaeta per portare l’obolo al Papa esule e bisognoso d’aiuto. Il Card. Antonelli, Segretario di Stato, incaricherà poi il Nunzio Apostolico a Torino di ringraziare Don Bosco per questo gesto di amore concreto. Questo è, infatti, lo stile dei Santi.


 


8. Conclusione


Questa è la Chiesa nostra Madre, quale appare di fronte a noi in quest’ora storica del suo pellegrinaggio terreno. In suo onore, dovremmo innalzare a Dio un inno di lode, come hanno fatto tanti cristiani nel corso dei secoli. Lo storico Hugo Rahner ci ha dato una raccolta di tali testi nel suo libro: «Mater Ecclesia. Inni di lode alla Chiesa tratti dal primo millennio della letteratura cristiana» (Milano 1972). Insieme all’invito a lodare Dio, vorrei infine lasciarvi un ricordo di questo nostro incontro. È il ricordo che il compianto Decano della vostra Facoltà di Teologia, Don Giuseppe Quadrio, S.D.B., morto in concetto di santità, lasciava ai suoi alunni il 28 giugno 1957, al termine dell’anno scolastico: «Miei fratelli, ho finito! Dimenticate, vi prego, il mio volto e la mia voce, che troppo a lungo avete dovuto quest’anno sopportare, ma non dimenticate la parola di Paolo, che vi lascio come estremo Messaggio:”.Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”.. Se l’effetto delle mie troppe e troppo povere parole di quest’anno avessero ottenuto di accrescere in uno di voi l’amore per la Chiesa, io sarei sommamente pago e orgoglioso. Se a un povero uomo come me fosse lecito pensare a un motto da incidersi sulla mia tomba, io sarei estremamente orgoglioso se, con qualche verità, si potesse scrivere sulla pietra del mio sepolcro: “Ha amato la Chiesa”: “Dilexit ecclesiam”.. Sia comunque davvero questo l’anelito supremo di tutta la nostra vita: amare la Chiesa come la ama Cristo» (cfr «Il Cuore e la Chiesa» in Don Giuseppe Quadrio, Roma, LAS 1993, pag. 118).


Questo è anche il mio augurio per tutti voi in questo Grande Giubileo del 2000.


 


© L’OSSERVATORE ROMANO Sabato 18 Marzo 2000