L’Editio typica: Strumento di unità nella verità

…La relazione del Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, al Congresso Catechistico Internazionale che si è svolto il 14-17 ottobre 1997…

Congresso Catechistico Internazionale – 14-17 ottobre


La relazione del Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede


L’Editio typica: Strumento di unità nella verità


Nell’Aula del Sinodo in Vaticano si è aperto martedì mattina, 14 ottobre, il Congresso Catechistico Internazionale promosso dalle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per il Clero, sul tema: «Tradidi vobis quod accepi» (1 Cor 15, 3).


1. In un mondo dilacerato da conflitti e tensioni di ogni genere la parola unità è divenuta un segno di speranza e allo stesso tempo un impegno morale. Dobbiamo operare per l’unità dei cristiani separati; cerchiamo le vie dell’unità fra le diverse religioni; ci impegniamo per l’unità del Nord e del Sud, per l’unità degli uomini di fronte ai pericoli e alle sfide di una storia che si va sempre più accelerando. Allo stesso tempo tuttavia vi è il timore dell’uniformità, di un’unità, che impoverirebbe la ricchezza dell’umanità.


Questo timore è — per diversi motivi — particolarmente forte proprio all’interno della Chiesa cattolica. Si è manifestato in molteplici modi durante la preparazione del Catechismo e si è espresso naturalmente anche dopo la sua pubblicazione: il Catechismo è apparso ai suoi critici non come una possibilità di unità, ma come minaccia contro la vitalità e il pluralismo, come tentativo di vincolare con formule o addirittura di bloccare un pensiero coraggiosamente proteso in avanti, come mezzo di controllo e di disciplinamento. È stato anche classificato come attacco all’inculturazione, che dovrebbe cercare nuove vie e forme per la fede tanto nelle grandi culture storiche del mondo quanto nella moderna civiltà tecnica che si va sviluppando sempre di più. Nella tensione fra unità della verità e pluralità delle culture quest’ultima appare come il bene più importante, mentre alla riconoscibilità della verità si guarda pubblicamente con scetticismo, la possibilità di affermare questa stessa appare come arroganza e come minaccia alla libertà e alla apertura della cultura.


Tutti vogliono l’unità, ma non ogni sorta di unità. Se si parla del Catechismo come di uno strumento di unità, dobbiamo quindi chiederci: quale unità?


Unità nella verità, è la risposta. Ma qui sorge la vecchia domanda: cos’è la verità?


Come è riconoscibile? Come può essere espressa in parole — come può il Logos in quanto significato, ragione, conoscenza divenire Logos come discorso e come parola?


Innanzitutto è importante però precisare che l’unità — proprio anche l’unità nella Chiesa — è un bene, che deve stare a cuore a tutti noi. Una Chiesa lacerata all’interno non può essere forza di unità neppure all’esterno, non può essere all’altezza della sua missione di riconciliazione e di pace. È comprensibile che contro l’uniformismo della civiltà tecnica, che ovunque è la stessa e le cui possibilità da tutti, anche dai suoi critici vengono accettate come ovvie, si contrapponga l’affermazione della propria forma culturale. Ma sarebbe gravido di conseguenze per l’umanità se ne nascesse un dualismo tale che solo il mondo della tecnica e delle scienze empiriche fosse il luogo dell’unità, mentre in ciò che è propriamente spirituale restasse solo la diversità delle culture. In tal caso la tecnica ai particolarismi contrapposti porterebbe solo le armi, con le quali essi possano combattersi e infine distruggersi reciprocamente. È necessaria un’unità in ciò che è proprio dell’essere umano: proprio in questo ambito della riconciliazione delle culture per mezzo dell’incontro sulla comune verità si trova la missione della Chiesa, e questa a sua volta comincia nel suo stesso interno.


Infatti se essa nel suo interno non fosse capace di riconciliazione per mezzo della verità, come sarebbe in grado di operare positivamente sull’insieme del mondo?


La Chiesa ha bisogno di strumenti concreti, vissuti, di unità raggiunta e compresa, altrimenti cessa di essere se stessa.


Domandiamoci ora molto praticamente se il Catechismo è un tale strumento di unità o se esso rappresenta un tentativo di falsa uniformizzazione. Nella ricerca di una risposta chiediamoci innanzitutto quale è stata la modalità di preparazione di quest’opera. Il teologo di Tübingen B. J. Hilberath in una critica estremamente aspra ha mosso il rimprovero — del resto non particolarmente originale —, che il Catechismo sarebbe stato elaborato in Roma, da impiegati vaticani, che avanzerebbero la presuntuosa pretesa di poter dominare il tutto e l’insieme dalla sede centrale; il Catechismo favorirebbe inoltre la confusione fra fede ed espressione della fede. Hilberath delinea poi un’utopia, di come dovrebbe nascere un «Catechismo veramente cattolico», e cioè dalla confluenza di testimonianze di fede dalle Chiese locali, che poi dovrebbero essere esaminate dai loro rappresentanti e quindi messe insieme. Ora il Catechismo della Chiesa Cattolica è stato di fatto elaborato in questo modo. All’inizio sta l’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985, nel quale 146 dei 155 Padri hanno votato, perché fosse «composto un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale, perché sia quasi un punto di riferimento per i catechismi o compendi che vengono preparati nelle diverse regioni. La presentazione della dottrina deve essere biblica e liturgica. Deve trattarsi di una sana dottrina adatta alla vita attuale dei cristiani» (1).


Il Santo Padre ha poi affidato la preparazione di detto Catechismo a una Commissione di Cardinali e di Vescovi; alcuni di questi erano Pastori di Chiese locali nei vari continenti e altri responsabili di Dicasteri Romani. La Commissione, per adempiere al mandato ricevuto, si è avvalsa dell’aiuto di un Comitato redazionale, composto da Vescovi diocesani appartenenti a varie aree linguistiche, come pure da una nutrita schiera di esperti, scelti tenendo conto e della competenza nelle scienze teologiche e dell’appartenenza a diverse culture.


Ma soprattutto il CCC è frutto della collaborazione dell’Episcopato cattolico mondiale, consultato durante le fasi centrali dei lavori redazionali. L’eccezionalità e la positività di tale collaborazione è così egregiamente espressa dal Santo Padre: «Il progetto è stato fatto oggetto di una vasta consultazione di tutti i Vescovi cattolici, delle loro Conferenze episcopali o dei loro Sinodi, degli Istituti di teologia e di catechetica. Nel suo insieme esso ha avuto un’accoglienza largamente favorevole da parte dell’Episcopato. Si ha ragione di affermare che questo Catechismo è il frutto di una collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa Cattolica, il quale ha accolto con generosità il mio invito ad assumere la propria parte di responsabilità in un’iniziativa che riguarda da vicino la vita ecclesiale [… ]. Tale risposta suscita in me un profondo sentimento di gioia, perché il concorso di tante voci esprime veramente quella che si può chiamare la “sinfonia” della fede. La realizzazione di questo Catechismo riflette in tal modo la natura collegiale dell’Episcopato: testimonia la cattolicità della Chiesa» (2).


In realtà si è così realizzata, attraverso questo “documentum fidei” che è il CCC, la collegialità affettiva ed effettiva dell’Episcopato cattolico in comunione con il Santo Padre.


2. Che in un mondo pieno di contrasti, in una Chiesa attraversata dallo scontro di correnti contraddittorie possa essere stata preparata una tale testimonianza di unità in tempo relativamente breve è sorprendente: personalmente non lo avevo ritenuto possibile, e lo devo confessare apertamente. Forse è questa realtà umanamente imprevedibile che caratterizza tale processo il motivo per cui molti non volevano credere a questa sinfonia della molteplicità, che è emersa dalla ricchezza delle Chiese locali in tutto il mondo, e continuavano pertanto ostinatamente a parlare di un’origine puramente romana dell’opera. Come poteva dunque accadere ciò che era apparentemente impossibile? Se si approfondisce questa domanda, si tocca il vero mistero della Chiesa, che esiste malgrado tutti gli scetticismi. Io personalmente non credo all’idea di Popper di una discussione a livello mondiale, nella quale e dalla quale si dovrebbero tuttavia cristallizzare lentamente dei consensi essenziali. Lo sviluppo di fatto del nostro secolo parla chiaramente a sfavore. Vorrei invece contrapporvi la seguente riflessione: il singolo uomo non ha il suo punto di unità in se stesso, ma fuori di sé. Per raggiungere l’unità in se stesso e con se stesso, egli deve superare se stesso. Chi si chiude in se stesso, chi desidera essere solo se stesso, si sgretola in una molteplicità di tendenze contrapposte. Il «lupo della steppa» (Der Steppenwolf) di Hermann Hesse è un ritratto molto chiaro di come dall’uomo che vive in modo solipsistico deriva alla fine un’intera «sala degli specchi» di figure contrapposte. Ciò che vale per il singolo uomo, vale anche per la società e alla fine per l’umanità nel suo insieme.


Una società, che ricerca solo in se stessa la sua verità per mezzo della formazione di un consenso sempre maggiore e della discussione, finisce con il divorare se stessa. Essa deve trovare il punto di unificazione all’esterno di se stessa. Questo può nel caso singolo essere un determinato valore, un determinato compito. Per l’uomo come persona e per l’umanità nel suo insieme soltanto l’extra nos della verità, l’extra nos di Dio può essere il punto di unità. Laddove essa non vuole questo, essa si dilania malgrado e proprio nei suoi documenti di consenso. Alla Chiesa l’extra nos della verità è dato nella Sacra Scrittura portata dalla tradizione vivente. Essa è il luogo esterno, a partire dal quale Dio le si rivolge, per unirla nel suo intimo, anzi, per creare innanzitutto semplicemente questa interiorità. Questo extra nos raggiunge la sua più profonda consistenza nella presenza sacramentale del Signore, per mezzo della quale egli fa diventare il suo extra allo stesso tempo la nostra più profonda interiorità: «interior intimo meo, superior superiori meo». Le Chiese locali potevano dare una risposta comune, perché esse non dovevano farla emergere dal loro essere, ma potevano riferirsi a ciò ed a colui, che nella nostra diversità, anzi, contrapposizione, fa di noi una Chiesa, la sua Chiesa. La quiescente capacità di verità dell’uomo è riattivata, per il fatto che dall’esterno — nella parola della fede — questa verità entra nuovamente in lui.


Essa non si nasconde in una nebbia impenetrabile — in tal caso la Chiesa sarebbe solo un luogo di dibattito accanto ad altri. Essa si mostra nella parola della Scrittura e nella parola della fede della Chiesa che la interpreta, che naturalmente da un extra nos deve divenire sempre di nuovo un intra me. Qui si colloca l’impegno del Catechismo e della Catechesi, questa è la via, che essa deve sempre di nuovo cercare e trovare.


Stando così le cose, il Papa poteva dire nel suo discorso in occasione della prima riunione della Commissione incaricata della sua preparazione: il CCC «non sarà quindi un mezzo di uniformità, ma dovrà essere un importante aiuto per garantire l’unità nella fede, che è una


dimensione essenziale di quella unità della Chiesa che scaturisce dall’unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo» (3).


3. Tocchiamo così la questione decisiva del rapporto fra «fede e espressione della fede», per riprendere la formulazione di Hilberath — la questione del rapporto fra Logos come idea e Logos come discorso. In che misura esiste al di là del significato comune anche la parola comune? Al riguardo in modo molto generale si può dire innanzitutto almeno questo: per la Bibbia è essenziale proprio il carattere di parola del rivolgersi di Dio agli uomini. La parola di Dio non si nasconde in un significato, le cui parole rimarrebbero in un perenne cambiamento senza un comune punto di riferimento e senza un criterio, rintracciabile anche nel discorso. La Commissione Teologica Internazionale ha detto qualcosa di significativo su questa questione nel suo documento pubblicato nel 1973 su «L’unità della fede ed il pluralismo teologico», da cui vorrei citare solo un paio di espressioni: «La verità della fede è legata al suo progredire storico a partire da Abramo fino a Cristo e da Cristo fino alla parusia. Per conseguenza l’ortodossia non consiste nel consenso ad un sistema, ma nella partecipazione al progredire della fede e così all’io della Chiesa che sussiste, una, attraverso il tempo e che è il vero soggetto del Credo» (Tesi IV). «Il criterio che consente di distinguere fra il vero e il falso pluralismo è la fede della Chiesa espressa nell’insieme organico dei suoi enunziati normativi: il criterio fondamentale è la Scrittura in rapporto alla confessione della Chiesa credente e orante…» (Tesi VII). Da queste riflessioni si sono lasciati guidare la Commissione del Catechismo e il Comitato di redazione nell’elaborazione dell’opera, perché divenisse uno strumento di unità senza confusioni come anche senza falsi uniformismi. È importante che i cristiani si possano incontrare al di là dei continenti e delle culture in un linguaggio fondamentale della fede e sperimentino così la loro concreta unità come l’unico popolo di Dio. Il Catechismo deve aiutare proprio anche a questo, a far uscire dalla mancanza di comunicazione reciproca nella fede ed a rendere sperimentabile una espressa comunità di fede, che non soffoca la pluralità e la ricchezza delle sue forme vissute, ma solo le fa diventare ricchezza comune. Per raggiungere questo non si tratta, come detto, di creare un rigido sistema di formule, ma di disporre in modo ordinato, rispettandone le tensioni, la parola della Scrittura e le parole essenziali della grande Tradizione. Per rispondere al criterio così stabilito, nella redazione del Catechismo ci siamo preoccupati innanzitutto e prima di tutto della centralità della Bibbia; per questo occorreva non legarsi a determinate, sovente rapidamente superate scuole interpretative, ma farla parlare il più possibile da se stessa ed in se stessa, tenendo presenti naturalmente i risultati veramente sicuri della moderna ricerca. In secondo luogo era importante far parlare il più possibile tutta la ampiezza della grande tradizione, la cui caratteristica risiede proprio in questo che essa non si colloca davanti alla Bibbia, non si pone sopra di essa come un recipiente rovesciato, ma la colloca sopra il candeliere (cfr. Mt 5, 15). Per noi era importante non comporre un Catechismo della Chiesa latina, ma della Chiesa intera e di valorizzare convenientemente entrambe le due grandi correnti di tradizione, che vitalizzano la Chiesa: la Tradizione occidentale e orientale.


Anche se non si può negare una prevalenza della prospettiva occidentale, che tiene conto dell’appartenenza della grande maggioranza dei suoi destinatari, il CCC tuttavia cerca di privilegiare aspetti, accenti, riferimenti che siano comuni ad entrambe le Tradizioni, e che quindi attestino l’unità e la cattolicità della fede cristiana. Si veda ad esempio l’ampio spazio, dato nella prima sezione della prima parte, alla conoscenza di Dio intesa come profonda comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo; come pure il ruolo centrale di Cristo, in quanto «egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità» (4). La stessa scelta del Simbolo degli Apostoli, quale chiave architettonica della presentazione del Credo della Chiesa, attesta questa antica e sempre nuova comunione fra «i due polmoni» della Chiesa, comunicanti tra loro.


Ma è soprattutto nella prima sezione della seconda parte e in tutta la quarta parte, dedicata alla preghiera, presentata come «l’incontro della sete di Dio con la nostra sete» (n. 2560), come «relazione d’alleanza tra Dio e l’uomo in Cristo» (n. 2564), che risalta l’afflato orientale che dà un nuovo slancio e vigore anche al nostro cammino d’Occidente, forse un po’ troppo contrassegnato dall’indifferentismo e dall’efficientismo, e quindi molte volte incapace di dare il giusto spazio e il dovuto rilievo alla relazione con Dio.


Un ulteriore modo di rendere presente la ricchezza e la profonda unità della fede sono le testimonianze di santi e di sante di tutti i secoli e di tutte le parti della Chiesa; il Catechismo abbonda di queste testimonianze.


I santi sono coloro che hanno saputo attuare in se stessi e manifestare al mondo, in una intensa simbiosi, il credere, il celebrare, il pregare, il vivere il mistero di Cristo. Hanno fatto delle varie dimensioni e situazioni della loro vita un’unica offerta gradita al Padre. Grazie alla loro santità, riconosciuta ufficialmente e proclamata universalmente dalla Chiesa, essi sono venerati nei diversi luoghi e tempi, affratellando popoli, nazioni, lingue, culture diverse nel rendere lode e grazie all’unico Dio, tre volte Santo.


4. Lettori, che hanno guardato il Catechismo solo in modo superficiale, fanno questa obiezione: 2.865 Numeri — non è qui la fede degenerata in una specie di libro della legge? È veramente la fede così complicata? Si deve sapere tutto questo, per essere cattolici? No naturalmente.


Infatti la fede — come abbiamo sentito prima dalla Commissione Teologica Internazionale — non è «consenso ad un sistema, ma partecipazione ad un cammino». Il Catechismo vuole essere un aiuto su questo cammino. È un libro di meditazione, di approfondimento del pensiero e della vita che fa entrare nella comunità dei fedeli. È un libro di consultazione per imparare a conoscere la ricchezza della fede e le sue risposte orientatrici. È un accompagnatore ed una guida nella comunione dei fedeli. Pertanto non si deve guardare alla molteplicità dei numeri, nella quale il Catechismo per motivi di chiarezza e per poter trovare facilmente i singoli testi è stato articolato, ma si deve fare attenzione alla sua struttura interiore. Ci si è preoccupati in questo libro proprio di conciliare ricchezza dei contenuti ed unità dell’insieme — non tralasciare nessuna ricchezza, ma allo stesso tempo mostrare la sua strutturazione interiore, il legame interno vitale e organico, in cui tutto è reciprocamente correlato. Il Catechismo sviluppa ciò che è la fede, a partire dalla confessione battesimale, da quell’atto semplice e che proprio nella sua semplicità raggiunge la profondità dell’uomo, con il quale egli si consegna a Dio e viene da Dio accolto nella sua famiglia sulla terra, nella Chiesa viva. Paolo descrive il battesimo in Rom 6, 17 come un «essere affidati alla regola dell’insegnamento» («didakèn»): il Catechismo ci vuole aiutare a realizzare concretamente questo atto di affidamento e così a divenire sempre più cristiani.


La confessione battesimale è in definitiva semplicemente una confessione a Dio, Uno e Trino. Nella misura in cui il Catechismo si presenta come un’interpretazione dell’atto del Battesimo e della sua confessione, esso mostra che l’insieme della «dottrina» ultimamente è un dire sì a Dio ed un lasciarsi accogliere da Dio. È evidente che anche la parte dei Sacramenti rimane subordinata a questa visione di fondo e che la parte sulla morale a sua volta riconduce tutto alla semplicità ultima dell’esistenza cristiana: la vita dalla possibilità di dire «ABBA» — dal dialogo con il Dio vivente. E finalmente la parte della preghiera mostra come fede, liturgia e vita cristiana siano un tutt’uno. In quanto il Catechismo lascia trasparire ovunque l’unità e la semplicità della fede, esso ci mostra il punto di unità della nostra propria vita, è al servizio dell’unificazione dell’uomo con se stesso attraverso il suo divenire uno con Dio, che allo stesso tempo è il presupposto dell’unità nella Chiesa e dell’unità degli uomini tra di loro.


Il Santo Padre descrive questa unità interna del Catechismo con le seguenti parole: «Le quattro parti sono legate le une alle altre: il mistero cristiano è l’oggetto della fede (prima parte); è celebrato e comunicato nelle azioni liturgiche (seconda parte); è presente per illuminare e sostenere i figli di Dio nel loro agire (terza parte); fonda la nostra preghiera, la cui espressione privilegiata è il “Padre Nostro”, e costituisce l’oggetto della nostra supplica, della nostra lode, della nostra intercessione (quarta parte). La Liturgia è essa stessa preghiera; la confessione della fede trova il suo giusto posto nella celebrazione del culto. La grazia, frutto dei sacramenti, è la condizione insostituibile dell’agire cristiano, così come la partecipazione alla Liturgia della Chiesa richiede la fede. Se la fede non si sviluppa nelle opere, è morta (cfr. Gc 2, 1416) e non può dare frutti di vita eterna» (5).


Questa unità delle quattro parti, componenti la struttura del Catechismo, trova una evidente conferma nei numerosi riferimenti marginali (le «crossreferences»), che legano insieme, come i tasselli di un mosaico, le numerose pagine del testo.


5. Anche nei destinatari, ai quali il Papa indirizza il CCC, emerge il distintivo dell’unità ecclesiale.


Infatti il Papa affida anzitutto il CCC in modo particolare a tutti i Vescovi, «apostolicae fidei magistri», maestri dell’unica fede nelle varie Chiese locali, i quali potranno trovare in esso il «testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica» (6), «l’occasione per una presentazione, per così dire, collegiale al Popolo di Dio dell’insegnamento di Cristo, in un compendio autorevole» (7).


Ma il Papa offre questo testo anche a tutti gli altri membri della Chiesa, ad ogni singolo fedele. Chiede un impegno collegiale, concorde di tutti, che faccia crescere la Chiesa nell’unità della fede, preparandola a varcare nel migliore dei modi le soglie del Duemila. Leggendo ed accogliendo la Verità, attestata dal CCC, viene data così ad ogni credente la possibilità di identificarsi e ritrovarsi nell’unità della Chiesa Cattolica, di verificare e approfondire la propria identità cristiana nei vari ambienti e contesti culturali.


«Ma anche a coloro che si interrogano e che sono in difficoltà nella loro fede, oppure a coloro che non credono affatto o non credono più, il Catechismo può offrire un valido aiuto, per far conoscere ciò che la Chiesa Cattolica crede e cerca di vivere, per offrire stimoli illuminanti nella loro sincera ricerca della Verità. [… ].


Non va inoltre sottaciuto che questo Catechismo, come già l’attestano le numerose positive testimonianze di varie Chiese e Confessioni cristiane, è in grado di «dare un sostegno agli sforzi ecumenici animati dal santo desiderio dell’unità di tutti i cristiani, mostrando con esattezza il contenuto e l’armoniosa coerenza della fede cattolica» (8).


«Tracciando le linee della identità dottrinale cattolica» (9), il CCC può consentire alla comunione che già si possiede fra le varie Chiese e Confessioni religiose, di approfondirsi e di consolidarsi, ampliando sempre più l’unità fra i credenti in Cristo nella professione dell’unica Verità.


6. Il CCC si propone come un prezioso e indispensabile strumento di unità anche nel processo di elaborazione dei catechismi locali, per i quali, d’ora in poi, esso si costituisce quale “punto di


riferimento”.


Come il CCC è debitore nei confronti dei numerosissimi catechismi, che hanno visto la luce nei vari secoli della Chiesa e soprattutto nei confronti del Catechismo Romano, per cui possiamo dire che esso è in un certo senso la sintesi e il punto di arrivo che li lega insieme e li riattualizza nell’oggi; così nello stesso tempo, esso si pone come punto di partenza e nuovo stimolo per una rifioritura dei catechismi locali, che possono trovare in esso un modello e una guida autorevole. Questi hanno il compito di «coniugare insieme, con l’aiuto dello Spirito Santo, la meravigliosa unità del mistero cristiano con la molteplicità delle esigenze e delle situazioni dei destinatari» (10), attuando quel processo di inculturazione che lo stesso CCC richiede e stimola.


Procedendo a quegli «adattamenti dell’esposizione e dei metodi catechistici che sono richiesti dalle differenze di cultura, di età, di vita spirituale, di situazione sociale ed ecclesiale di coloro cui la catechesi è rivolta» (CCC, n. 23), la perenne e unica fede della Chiesa s’interseca e s’amalgama con le peculiarità delle varie Chiese locali, realizzando la «mutua interiorità» come la chiama Giovanni Paolo II (11), che contraddistingue la profonda relazione tra la Chiesa universale e le Chiese particolari. «Insieme con il Successore di Pietro, l’intero Collegio Episcopale è chiamato a presentare agli uomini del nostro tempo questa meditata esposizione della fede cattolica, curandone la mediazione a livello locale in rapporto all’ambiente socio culturale e alle diverse categorie di destinatari. Solo dall’impegno concorde di tutti i Vescovi, coadiuvati dal Clero, dai Religiosi e dagli stessi laici, potrà derivare quel rilancio dell’evangelizzazione a cui il nuovo Catechismo intende servire» (12).


Seguendo opportunamente le norme e i criteri indicati in particolare nella seconda e quarta parte del Direttorio generale per la Catechesi, sarà possibile attualizzare la presentazione del messaggio evangelico, contenuto nel CCC, nei vari contesti socioculturalireligiosi.


7. L’esposizione integra e sistematica dei contenuti, fatta dal CCC, permette anche di ricondurre ad armoniosa unità i molteplici metodi e i linguaggi catechistici, utilizzati opportunamente nei catechismi locali.


«Il metodo e il linguaggio devono rimanere veramente degli strumenti per comunicare la totalità, e non già una parte delle “parole di vita eterna” o delle “vie della vita”» (13).


I complementari linguaggi della fede (biblico, liturgico, patristico, magisteriale, testimoniale) e le varie espressioni della metodologia e della didattica, quali «canali comunicativi» dell’unica Parola di Dio, possono incontrarsi ed intrecciarsi armoniosamente, cercando di proporre, nel modo più integro e completo possibile, il contenuto veritativo della fede cattolica.


«Il catechista — afferma giustamente il nuovo Direttorio — sa che il contenuto della catechesi non è indifferente a qualsiasi metodo, bensì esige un processo di trasmissione adeguato alla natura del messaggio, alle sue fonti e linguaggi, alle circostanze concrete della comunità ecclesiale, alla condizione dei singoli fedeli cui la catechesi si rivolge» (14).


8. Anche il fatto che l’Editio Typica del CCC ora finalmente pubblicata sia redatta in lingua latina, appartiene al nostro tema. Naturalmente anche qui si può criticare: è ciò oggi ancora necessario e sensato? Perché un testo in una lingua morta? Che il testo definitivo ufficiale non sia scritto in nessuna lingua nazionale odierna, mostra che nella Chiesa tutti sono a casa loro e che non esiste nessuna cultura dominante, alla quale le altre dovrebbero misurarsi e subordinarsi.


La lingua latina ha qui anche una significativa funzione simbolica: essa sta al di fuori della competizione fra le nazioni. La fede viene per tutti noi dall’esterno, non è nata da nessuna cultura umana, e proprio per questo in essa siamo tutti allo stesso modo a casa nostra.


Come ebbi già modo di dire durante la Conferenza stampa che è seguita alla presentazione da parte del Santo Padre dell’edizione tipica latina, «la lingua latina è e rimane la lingua ufficiale della Chiesa, anche se oggi vengono utilizzate varie lingue per il suo insegnamento e la sua liturgia. Proprio nella molteplicità delle lingue e delle culture, il latino, per tanti secoli veicolo e strumento della cultura cristiana, garantisce non solo la continuità con le nostre radici, ma rimane quanto mai rilevante per rinsaldare i legami dell’unità della fede nella comunione della Chiesa» (15).


Anche in occasione dell’impegnativo compito di traduzione del CCC nelle varie lingue moderne, già compiuto in quest’ultimo quinquennio per oltre trenta lingue, abbiamo dovuto constatare, come del resto già più volte si è sperimentato per la traduzione di altri testi fondamentali per la nostra fede, quali la Bibbia e i vari testi liturgici, come non sia facile esprimere la fede cattolica nelle categorie umane delle varie culture e lingue, cercando di essere il più possibile fedeli al depositum fidei, in uno stile che sia rispettoso dell’importanza del testo.


La lingua latina, il cui uso nella Chiesa può e deve essere ancor più incentivato, può aiutare a superare tale difficoltà e può maggiormente avvicinare tra loro popoli dalle differenti lingue e culture.


Concludendo: questi aspetti che ho presentato ed altri ancora che potrebbero essere evidenziati, e che mettono in risalto il ruolo di strumento di unità nella Verità, che il CCC è chiamato a svolgere nella Chiesa, attendono, per produrre frutti, l’impegno concorde e sollecito di tutti noi e di tutte le componenti del Popolo di Dio. Soltanto così il Catechismo potrà essere accolto da tutti, contribuendo ad estendere «sino ai confini del mondo quell’unità nella fede che ha il suo supremo modello e principio nell’Unità Trinitaria» (16).


 


NOTE


1) Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Relatio Finalis, II, B, 4.


2) Cost. Ap. Fidei depositum, 11 ottobre 1992.


3) Giovanni Paolo II, Discorso nella prima riunione della Commissione, 15 novembre 1986.


4) Catechesi tradendae, n.5.


5) Cost. Ap. Fidei depositum, 11 ottobre 1992.


6) Ibidem.


7) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi Europei, ordinati negli ultimi cinque anni, 17 settembre 1992.


8) Giovanni Paolo II, Discorso nella solenne cerimonia di presentazione dell’edizione tipica latina alla Chiesa e al mondo, 8 settembre 1997.


9) Giovanni Paolo II, Discorso di presentazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, 7 dic. 1992, n. 8.


10) Giovanni Paolo II, Lettera Ap. Laetamur magnopere, 15 agosto 1997.


11) Giovanni Paolo II, Discorso alla Curia Romana, 20 dicembre 1990.


12) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi europei ordinati negli ultimi cinque anni, 17 settembre 1992.


13) Catechesi tradendae, n. 31.


14) Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi, Città del Vaticano, 1997, p. 164.


15) J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza stampa, 9 settembre 1997.


16) Giovanni Paolo II, Lettera Ap. Laetamur magnopere, 15 agosto 1997.


 


(C) L’OSSERVATORE ROMANO, Mercoledì 15 Ottobre 1997