LA LIBERTÀ IN ECONOMIA. Teorema per determinare la libertà economica

Di p. L. Taparelli d'Azeglio. S.J.  – 1. Proposizione del tema – 2. Sua importanza ed opportunità – 3. Confusione delle idee in tal materia – 4. Si chiede libertà e s'introduce schiavitù – 5. per mania di tiranneggiare – 6. In economia come altrove la libertà debb'essere pel bene – 7. Data una falsa idea della libertà, l'economista utilitario ne addita una via falsa – 8. La libertà dee fondarsi sul diritto non sull'interesse – 9. L'interesse produce solo la libertà del dispotismo – 10. Epilogo di questo paragrafo.

LA LIBERTÀ IN ECONOMIA

ARTICOLO III. TEOREMA FONDAMENTALE PER DETERMINARE LA LIBERTÀ ECONOMICA

§. I. Teorema.
SOMMARIO
1. Quistioni da risolversi – 2. Formola del teorema – 3. Parliamo del fine dell'opera, non dell'operante – 4. Prova: la natura non può volere l'effetto senza causa – 5. Obbiezione degli intramettenti – 6. conferma la nostra tesi – 7. All'obbligazione va annesso il diritto – 8. Quesito per determinare il soggetto – 9. Come lo risolva il Cherbuliez – 10. Incertezza e dispotismo di tal soluzione.

1. L'articolo precedente ha posto in chiaro che cosa sia ordine pratico, ordine morale, ordine sociale. Ordine pratico in genere significa la retta disposizione di una serie di opere atte a conseguire un fine: e questa definizione conviene a qualunque serie di operazioni; a quelle d'un chimico p. c. che analizza una sostanza, a quelle di un cavallerizzo che doma un cavallo, a quelle di un falegname che lavora un mobile. Ordine morale è la retta disposizione delle opere umane rispetto all'ultimo fine della perpetua felicità: e quest'ordine dee conservarsi in tutte le operazioni dell'uomo in quanto uomo. L'ordine sociale finalmente è la retta disposizione delle opere umane tendenti per loro fine a conseguire l'esterna attuazione della giustizia e della benevolenza fra i cittadini, e la pace che quindi risulta: e quest'ordine conviene agli uomini in quanto convivono in società.
Da queste generali idee dell'ordine dobbiamo ora procedere a stabilire quali siano quelle azioni, in cui ciascun uomo economicamente è libero, vale a dire può disporre dei proprii averi, senza essere tenuto a dipendere da chicchessia; quali all'opposto quelle, nelle quali l'ordine stabilito dal Creatore esige che egli venga regolato da qualche superiore. Parliamo come vedete di diritto e di dovere, non di prudenza o di consiglio. Se io ricuso un buon consiglio potrò essere un imprudente; ma il dovere prudenziale non lega la mia libertà a dipendenza da altrui, né gli dà sopra di me alcun diritto.
A stabilire la base di tale libertà dobbiamo premettere il teorema seguente, che sarà facile a dimostrarsi, dopo il concetto già spiegato dell'ordine pratico.

2. Chi ha naturalmente dovere e diritto al fine di una operazione o di una serie di operazioni, ha per la stessa natura il diritto ad usare al fine stesso le facoltà economiche (28).
Questo teorema, diciamo, è base, sopra la quale può stabilirsi nei giusti limiti il diritto di libertà e il dovere di dipendenza in materia economica. Giacché se il nostro teorema è vero, altro non rimarrà da ricercarsi in qualsivoglia problema particolare, se non qual sia il fine a cui è diretta l'operazione, qual sia la persona obbligata a conseguire quel fine. Chiariti questi due punti sarà evidente a chi appartenga il diritto di regolare i mezzi economici come qualunque altro mezzo, e per conseguenza sarà a lui ri­vendicata la libertà dell'operazione. Tocca al padre p. e. per istretto dovere di coscienza di sostentare i figli? Niuno dunque avrà diritto di imporgli qual vitto, qual vestito debba loro somministrare (29). A lui è raccomandato dalla natura il fine; a lui toccherà di sceglierne i mezzi.

3. Parliamo, come vedete, di fine naturale, di fine cioè prescritto dalla natura stessa all'opera di cui corre obbligazione. Perocchè siccome abbiamo detto poc'anzi, la natura mondiale è talmente ordinata da Dio, che ai varii fini propostisi dall'operante svariatissimi sono i mezzi che possono essere o convenevoli o necessari. Da questa convenienza naturale, da questa naturale necessità dipende il diritto ad usare quel mezzo, quando obbligatorio o almeno lecito è il fine da conseguirsi. Siete obbligato a mantenere la vita? Avete dunque diritto a procacciare, alimenti perché mezzi necessarii. Ma avreste il diritto di voler campare a fagiani e pernici? No, perché le patate o il pane può sostentarvi. Non basta dunque che l'operante pretenda adoperare un mezzo, ma bisogna che questo mezzo sia naturalmente diretto a quel fine, perché l'operante acquisti il diritto di usarlo liberamente. Quando non vi fosse questa naturale proporzione di mezzo a fine, l'argomento di chi se ne arroga il diritto perderebbe ogni valore: giacché, come è notissimo, altro è il fine dell'opera, altro il fine dell'operante. L'opera ha un fine prescritto dalla natura; ma può essere intrapresa dall'operante per tutt'altri fini suoi proprii. La natura p. e. prescrive ai parenti di allevare figli, affinché duri e propaghisi la specie umana ben formata nel corpo e nello spirito. Ma un conquistatore potrà volere la propagazione degli uomini per avere cerne in abbondanza ai suoi battaglioni; un Principe per avere numerosi commercianti ed agricoltori. Se si determinassero i diritti in vista di questi fini personali, il capitano, il Principe potrebbero assumere l'allevamento dei giovani e indirizzarlo in modo da formare unicamente guerrieri o agricoltori per seguire il loro fine personale. Ma non essendo questo il fine di natura, il loro diritto o piuttosto la loro prepotenza, fondata sul loro interesse privato, non potrebbe collidere il naturale diritto del padre; e per conseguenza non sarebbe diritto ma dispotismo.
Ogni vero diritto dipende dal volere divino: e dal volere divino appunto derivano i padri il dovere ed il diritto di formare uomini perfetti nella loro figliuolanza. Le operazioni che tendono a questo fine sono raccomandate ai parenti: essi che dovranno renderne conto al tribunale di Dio sono dunque giudici e regolatori dei mezzi che a tal fine conducono, e per conseguenza anche delle spese a ciò necessarie.

4. Questo sia detto per modo di esempio, affinché bene si comprenda l'importanza e l'applicazione del teorema proposto. Tentiamo dunque di metterlo in piena evidenza, e l'impresa non sarà difficile, purché sia ben compreso che ogni fine, in forza delle leggi mondiali, dipende dall'uso di certi mezzi, senza dei quali sarebbe impossibile il conseguirlo. Se dunque la natura imponesse l'obbligo di conseguire il fine, senza somministrarne i mezzi, pretenderebbe l'impossibile e contraddirebbe sé stessa
Ma codesti mezzi non ottengono il fine adoperati in una maniera qualunque: ci vuole un certo ordine proporzionato alle varie condizioni successive della materia, intorno a cui si opera. Volete p. e. di un bambino formare un astronomo? Prima dovrete insegnargli a leggere, poi a ragionare, poi a calcolare ecc. , e così potrete riuscirvi: ma otterreste voi l'intendimento mettendo in mano al bambino di primo lancio il Telescopio di Herschel e la meccanica celeste di Laplace? Dite altrettanto delle formazioni materiali; volete ottenere della tela? Dovete prima seminare canapa o lino, poi raccoltala macerarla nell'acqua, poi fìlarla, tesserla ecc.: potreste voi tessere immediatamente, svelta appena dal suolo, la pianta del lino o della canapa? No certo: ci vuole un ordine nell'uso dei mezzi: ci vuole per conseguenza una ragione ordinatrice: giacché senza Intelligenza, senza Ragione neppure si conosce che cosa sia ordine; e però molto meno si riesce a produrlo. Se dunque la natura obbliga qualcuno ad un fine, non solo dee somministrargli i mezzi, ma somministrargli insieme una ragione che li coordini al fine.
Or questa ragione qual sarà? La ragione di colui che è obbligato a conseguire il fine, ovvero un'altra ragione cui non corra una tale obbligazione? Non è chi nol veda: è ugualmente assurdo il dire 1° la natura li obbliga ad ottenere il fine, ma senza mezzi: ovvero 2° ti obbliga ad usare i mezzi, ma non determinati colla tua ragione. Se non ho mezzi, potrebbe rispondere l'uomo, come obbligarmi a conseguire il fine? E se il conseguirlo è obbligazione della coscienza mia, come volete dare la direzione dei mezzi alla ragione altrui? Mezzi e fine sono fra di loro come premesse e conseguenza. Or vi ha cosa più ridicola che pretendere un sillogismo da due cervelli diversi, uno dei quali comprenda solo le premesse, l'altro la conseguenza? Qui non c'è mezzo o la mia coscienza è obbligata al fine, e a me tocca di sceglierne i mezzi: o mi si vieta di sceglierne i mezzi, e non posso essere obbligato a conseguire il fine.

5. Ma io veggo che tu non lo conseguirai: tu ti metti per una via che ti conduce precisamente a termine opposto. Dunque lascia a me l'ordinare i tuoi mezzi.
Questa, è l'obbiezione consueta e dei consiglieri amorevoli e dei legittimi correttori e dei seccatori intramettenti, i quali vogliono ad ogni patto condurre a buon termine (a modo loro) le altrui faccende. Ma appunto perché simili inciampi alla libertà di azione possono nascere da sì contrarii sentimenti, la naturale risposta di chi viene inceppato nel suo operare è quella domanda: «E che ci entrate voi?»

6. Secondo il concetto dianzi spiegato dell'ordine, mostreremo fra poco chi ci entri e chi non ci entri. Per ora questa risposta che tanto naturalmente spunta sul labbro contro quei traforelli che si impicciano dei fatti altrui, gioverà a confermare che la libertà anche in economia è una quistione di diritto; giacché se colui potesse addurre una buona ragione per vincolarmi nella mia amministrazione, ragionevolmente io dovrei arrendermi, e l'obbligazione sarebbe proporzionale al suo diritto. Ma se questo diritto a lui manca; se il fine dell'opera è tutto a me raccomandato; io sento benissimo che a proporzione dell'obbligo di conseguire il fine io sono padrone, anzi obbligato a regolare l'uso dei mezzi.

7. OBBLIGATO! pronunziata cotesta parola, ogni animo retto già ha compreso che all'obbligazione va annesso il diritto e diritto inalienabile di adempirla: e chiunque riconosce un tal diritto, sente un'interna forza morale che gli vieta imperiosamente di opporvi alcuno ostacolo. Potrà trovare ragioni che annullino quel diritto o ne sospendano l'efficacia; ma finché dura il diritto nella sua forza, ogni opposizione è delitto: la natura guarentisce la libertà dell'operante. E se altri si opponesse adducendo per motivo, sé aver bisogno di regolare quell'azione per conseguire un qualche altro vantaggio rilevante; la sua richiesta dovrebbe riceversi come quella di chi chiedesse l'uso della mia borsa pei bisogni della sua casa. Certamente come può tornar conto al governante di incepparmi nell'educazione dei miei figli, così egli può trovare vantaggio nel regalare ai comunisti la metà delle mie terre. Se questo non gli è lecito perché io ho diritto sulle terre, per qual ragione gli sarà lecito spogliarmi del mio diritto sui figli?

8. Trasformata dunque la quistione di utilità in quistione di diritto, la libertà sarà assicurata sopra solide basi. E al diritto appunto abbiamo tentato ridurla col dimostrare, a colui appartenere di usare i mezzi pecuniarii, il quale ha naturalmente l'obbligazione di ordinare ad un fine quelle operazioni, a cui si richiede l'uso delle facoltà economiche. Con tal principio alla mano mille problemi speciali potranno risolversi che andremo toccando di mano in mano. Per ora, fermandoci nel problema generale di libertà, ce lo troviamo ridotto a questo quesito: «Quali sono quelle funzioni economiche, il fine delle quali è raccomandato alla coscienza di ciascun individuo (nelle quali per conseguenza egli ha libera l'operazione)? Quali sono quelle, il cui fine è raccomandato al governante (il quale può per conseguenza vincolare la libertà privata)?

9. Il citato Cherbuliez, invocato per norma l'utile, ecco come classifica la ingerenza dello Stato. 1° Dice, si preferisca questa in quegli interessi ove è essenziale l'unità d'organismo: 2° Si ammetta quando il bisogno, a cui si occorre, non è ben sentito dal volgo (p. e. bisogni morali, bisogni d'istruzione ecc.): 3° Si escluda quando non vi è necessità di unità organica: 4°Quando la società ignora come occorrere al bisogno, la Stato si contenti d'indicarle il rimedio: 5° Non s'intrometta lo Stato quando gli abusi che impedisce, intromettendosi, danneggiano meno che la perdita della libertà: 6° Nel dubbio lo Stato si astenga: 7° L'influenza preventiva allora soltanto deve ammettersi, quando non sarebbe possibile la repressiva.

10. Così il Cherbuliez, applicando il suo principio utilitario, unica ragione, come vedete, di questi sette aforismi. Qui non si domanda se lo Stato, se il privato abbia o non abbia il diritto: l'unico criterio che si stabilisce è il tornaconto. Non negheremo che in queste ricette vi ha di tratto in tratto qualche lampo di verità e di giustizia. Ma quanta oscurità, quanta elasticità nella applicazione di coteste leggi, specialmente se si considera la varietà delle persone e dei Governi che dovranno applicarle, ciascuno seconda l'idea sua propria intorno alla utilità! (30) Diamone un piccolo saggio rispetto a qualcuno di quei sette principii. 1° Quali sono quegli interessi ove è essenziale l'unità di organismo? Tutti i centralisti (dei quali parleremo nell'articolo quarto), tutti i despoti si sono arrogato ogni potere ed ogni funzione nello Stato, perché giudicarono essenziale al bene dello Stato una perfetta uniformità dei cervelli, dei cuori, delle braccia in tutte le funzioni di ciascuno individuo nella vita privata e nella pubblica. 2° Quando il volgo non sente il bisogno… tutte le tirannie, con cui i progressisti ci stanno straziando, tutte possono autenticarsi con questa legge: e sono ormai cinquant'anni che si vuole far sentire al popolo il bisogno di unità italiana, di vita politica, di finirla col municipalismo, di avere accesso a tutti gl'impieghi ecc. ecc. E poiché il povero popolo non vuol capirla, si toglie il suffragio ai campagnuoli, si toglie ai signori, si toglie ai preti e si riducono tre quarti della nazione all'ilotismo.
Proseguite voi, lettore, a commentare in questo modo i sette afo­rismi, e vedrete quintessenza di libertà che potrete stillarne.

§. II.
Applicazione del teorema alla persona.

SOMMARIO
11. Nostra soluzione dedotta dai fini della persona -12. Essa è sempre legata dall'ordine fisico e dal morale, – 13. ordina i mezzi al fine colla sua ragione – 14. Primitivamente e per sé la proprietà è libera perché destinata al sostentamento della persona -15. deriva dalla natura e non dallo Stato – 16. La natura dà alla persona le facoltà necessarie 17. Dottrina analoga di S. Tommaso -18. Il cattolicismo non è servile – 19. Solidità della libertà cattolica – 20. Essa affranca veramente il popolo – 21. Non sacrifica i deboli e poveri ai forti e ricchi per fare florido lo Stato .- 22. Dottrine analoghe del Molinari – 23. Esitazioni dello Stuart Mill – 24. La libertà fin qui spiegata dura nello stato sociale.

11. Noi tenteremo all'opposto l'applicazione del nostro principio giuridico ricorrendo all'ordine finale. Qual è il fine raccomandato alla persona? quale il raccomandato al governante? Risponde da sé il vocabolo stesso: alla persona è raccomandato il fine personale, al governante il sociale. E quali sono cotesti due fini, quali le serie di operazioni naturalmente richieste ad ottenerli? Incominciamo dal primo.
La persona ha 1° per fine ultimo il conseguimento della felicità oltramondiale coll'adempimento dei doveri religiosi e morali, sotto la direzione della coscienza (31).
Dunque quando l'uso delle sue facoltà economiche è diretto ad adempiere doveri religiosi e morali puramente personali, niuna autorità della terra ha per sé diritto d'incepparvela. Quindi il diritto a libertà personale per le spese del culto, di beneficenza, di restituzioni dovute per coscienza ecc.: pretendere di legare i cittadini in queste materie è offesa ad un tempo di libertà religiosa ed economica.
La persona ha 2° per fine prossimo la conservazione dell'esistenza; e da questa propriamente è ordinata la proprietà, la quale da tal bisogno riceve la sua esistenza e la dimostrazione. Nel soddisfare adunque ai bisogni della sussistenza, la persona che ha l'obbligazione di vivere, ha parimenti il diritto di sceglierne qualunque mezzo onesto (32). Dunque la quantità del vitto e vestito, il lavoro lucrativo, la permutazione delle ricchezze, l'abituale professione della vita e checchè altro somministra onestamente i mezzi di sussistenza, dipende primitivamente dalla libera scelta della persona.
La persona ha 3° per fine, con tutta la specie, la propagazione e continuazione del genere umano. Dunque l'assumerne personalmente la funzione, lo scegliere chi cooperi, il preparare i mezzi per la famiglia futura; tutto ciò dipende dalla ragione personale ordinatrice dei mezzi: e per conseguenza quei mezzi economici che a tal uo­po s'indirizzano debbono regolarsi dal rispettivo volere dei coniugi.

12. Bene inteso che in tutti questi punti la libertà personale include la dipendenza così dall'ordine fisico come dal morale. Dal fisico: perché l'uomo per la parte animalesca appartiene al mondo fisico e gli è impossibile ottenere gli effetti fisici, senza ricorrere ai mezzi proporzionali. Egli dee seminare se vuol mietere, ricorrere al fuoco se vuol cuocere, adoperare la forza se vuol vincere la resistenza. Dall'ordine morale: perché come intelligenza è associato, sotto la Monarchia divina, a tutte le intelligenze, colle quali si trova in relazione di cognizione e di affetto.

13. In tutte coteste tre classi di operazioni personali, guida al fine abbiam detta la Ragione della persona; perché si tratta di coordinare mezzi al fine: or chi, se non la Ragione, potrebbe compiere la funzione di ordinatore? Ed appunto per questo (non è chi non lo veda) manca in atto il diritto di ordinare, quando manca, come nei fanciulli o negli stupidi, lo spedito uso della Ragione.
Ma quando la ragione è matura e spedita, niun uomo sulla terra ha il diritto di imporre limiti all'uso delle forze e all'amministrazione degli averi personali, in quanto questa, sotto la direzione della legge divina, è diretta all'adempimento dei doveri morali, al sostentamento della persona, al matrimonio e alla scelta di uno stato o di una professione per mezzo di cui si provvede a cotesti bisogni.

14. Vede ognuno quanto si estenda la sfera della libertà economica. Eppure possiamo aggiungere ancor di più: possiamo dire che l'uso della proprietà, della ricchezza, è primitivamente e per sé libero, perché la proprietà stessa è, come poc'anzi è detto, primitivamente ordinata alla persona. Infatti, come nasce in forza dell'umano discorso la naturale istituzione della proprietà? Nasce, come altra volta vedemmo, dal naturale bisogno di averi materiali pel sostentamento della persona. Il Creatore che formò l'uomo composto anche di corpo materiale, gli somministrò nelle sostanze terrene un mezzo di sostentamento, e nelle forze personali uno stromento per appropriare ai suoi bisogni coteste sostanze. Vero è che l'abbondanza, con cui ci furono somministrati quei mezzi, fa sì che molto ne sopravvanzi da adoperarsi in altrui vantaggio. Ma questo è per ridondanza (33); la primitiva, la necessaria destinazione delle forze personali e delle sostanze materiali, che con esse modifichiamo, è il sostentamento personale: né niuno che non sia imbevuto delle false idee di schiavitù pagana, oserebbe affermare avere un uomo ricevute le forze per impiegarle a sostentare altrui. L'uso dunque della proprietà, della ricchezza è primitivamente e per sé in vantaggio della persona ed a lei tocca determinarne il quanto e il quale , sceglierne i mezzi e coordinarli (34).

15. Di che vedete quanto sia tirannica la dottrina di quei pubblicisti sì sapientemente condannati dal Vescovo di Perpignano, che dall'autorità pubblica derivano la proprietà dei privati (35). Tutt'altro! I privati hanno il diritto di proprietà dalla natura: l'autorità pubblica è obbligata a difendere cotesto, come gli altri diritti del cittadino; il quale lo ha ricevuto non dalla società, ma dalla natura che gl'impose di conservarsi e perfezionarsi. Ben inteso che questo diritto e il dovere onde germoglia, obbliga ciascuno a valersi secondo ragione come di qualunque altro mezzo, così dei consigli e dell'opera altrui, ogni qual volta la stessa sua ragione gli faccia ravvisare in altrui quelle doti, di che in sé medesimo sente penuria.
E così l'infermo consulta il medico, il figlio nell'accasarsi ode il consiglio dei genitori, il padre di famiglia guida l'amministrazione col parere di giureconsulti e di periti ecc. Tutto cotesto consigliarsi coi dappiù non solo non toglie l'indipendenza del diritto, ma la conferma: non essendovi migliore conferma del diritto e della libertà nell'operare, che la maturità del deliberante conscio di essere mallevadore del riuscimento.

16. Ed appunto perché alla persona incombe l'obbligazione di tendere al fine, la Sapienza creatrice ha dato alla persona non solo l'istinto di conservarsi, ma la cognizione proporzionata per conseguire questo fine: egli sente quali appetiti abbia lo stomaco e qual cibo lo appaghi, egli di quanti panni abbisogni per guarentirsi dal freddo, egli quanto sonno basti a ristorarne le forze, egli fin dove giunga il proprio intelletto o fin dove bastino le braccia nell'opera. Insomma il Creatore che alla persona raccomanda la propria esistenza, a lei ha dato di sentire ciò che le manca, a lei di bramarne il conseguimento. Una sola eccezione costante troviamo ed è nel bambino che, ignaro ed improvvido nei suoi bisogni, nulla per sé potrebbe; e perirebbe in due giorni, se la Provvidenza medesima negli istinti del cuore materno non avesse insinuato quell'affetto e quella cognizione,. quel sacrifizio di sé, per cui la madre vive quasi nel figlio e a lui provvede più che non provvede a sé stessa.
Toglietene questa, che propriamente non può dirsi eccezione, non essendo il bambino ragionevole in atto; voi vedete che, come a ciascuno è imposto l'obbligo di conservarsi, così a ciascuno è per natura somministrato il capitale di cognizioni e di volontà a ciò necessario. Dunque la conservazione di sé ed il perfezionamento così morale come fisico sono un fine raccomandato all'individuo: e per conseguenza i mezzi economici, come tutti gli altri mezzi destinati a servire d'istromento per questo fine, debbono essere coordinati liberamente dalla Ragione personale. Ella ne possiede il diritto; e il diritto ad ogni coscienza onesta comanda riverenza. E finché o la persona non lo cede volontariamente, o un diritto più gagliardo non lo collide, o l'impotenza della ragione non lo sospende, togliere la libertà di usarlo è evidente ingiustizia, qualunque esser possa il tornaconto, per cui si pretende violarlo.

17. Queste dottrine di libertà economica sono fondate nelle antiche dottrine della scuola cattolica: in quelle che formarono lo spiri­to di vera libertà ed abbatterono nel medio evo le tradizioni del dispotismo cesareo e bizantino, ereditate dalle teorie e dai codici pagani. Certamente in quell'età poco si discuteva di pubblica economia. Ma le basi della sua libertà erano profondamente studiate: e chiunque bramasse vederne le prove potrà ricorrere alla Somma teologica di S. Tommaso di Aquino, dal quale abbiamo imparato quei tre punti di libertà nella pratica dei doveri morali, nel sostentamento naturale della persona, nella scelta dello stato matrimoniale, dei quali finora abbiamo parlato. Leggetene la 2-2. quest. CIV, art. 5, e troverete le tre libertà ben chiaramente spiegate. Ed in quanto a libertà religiosa, stabilito il principio universale che l'inferiore non è obbligato all'obbedienza verso un superiore qualunque, se non in quelle cose che appartengono all'ordine, di cui questi è ordinatore (36); soggiunge tosto, confermandolo coll'autorità anche d'un Pagano, gl'interni moti della volontà non dipendere da altri che da Dio solo (37).
Sottratta così al comando umano la coscienza, l'obbedienza viene ridotta all'atto esterno: tenetur homo homini obedire in his quee exterius per corpus sunt agenda. Ma in quali materie avrà forza cotesto comando? Non in quelle cose che appartengono alle naturali esigenze del corpo: giacché (notate bene la ragione) nei bisogni naturali tutti gli uomini sono uguali. E quali sono cotesti bisogni? L'Aquinate li classifica per modo d'esempio in quelle due grandi categorie da noi accennate, sostentamento della persona, propagazione della famiglia. Secundum ea quae ad naturam corporis pertinent, homo homini obedire non tenetur, sed solum Deo: quia omnes homines natura sunt pares, puta in his quae pertinent ad corporis sustentationem et prolis generationem. Unde non tenentur nec servi dominis, nec filii parentibus obedire de matrimonio contrahendo, vel virginitate servanda, aut aliquo alio huiusmodi. Se in tutte coteste funzioni l'uomo è libero nell'uso dei mezzi, libero è nell'uso della pecunia quando è mezzo a tal uopo.

18. Tale è la dottrina del primo fra i Dottori scolastici: e noi siam lieti di poterne citare in tal materia l'autorità, non solo per la riverenza che professiamo a quel sovrano intelletto, ma anche perché veggasi dai nostri lettori e dai medesimi economisti (se taluno mai di essi dalle altezze della sua scienza abbassasse un guardo su queste pagine clericali) qual sia lo spirito di libertà giusta e razionale, ma non fanatica, che regna in tutte le dottrine del Cattolicismo, e quanto potrebbero impararvi i luminari moderni, se s'inducessero a leggerle e riuscissero a capirle.
A dir vero non isperiamo ottenerlo: certi animi preoccupati sono così fermi nel condannare il Cattolicismo come dottrina indubitatamente servile, che al vedere un Cattolico (e molto più un prete) che difende un qualche punto di libertà, si fanno le croci e gridano al miracolo, senza ricordarsi che il primo banditore di libertà economica, il Bandini, fu un arciprete italiano allievo dei Gesuiti. E così appunto vedemmo nel Journal des Économistes (Dicembre 1859 pag. 587 e seg.) il sig. Federico Passy recare in mezzo come un miracolo le parole, colle quali dal P. Ventura venivano condannati i moderni eccessi del centralismo e la manìa di certi Governi d'ingerirsi nella direzione economica di tutti i privati interessi (38). Or che diranno costoro al vedere non più un Religioso dei giorni nostri, ma una testa del secolo XIII, il supremo fra i Dottori scolastici, entrare in campo per difesa della libertà economica? E pur tant'è! sissignori! la libertà economica, germinante dalla natura, era insegnata da quei tenebrosi Scolastici del tenebroso Medio evo, come legge universale in tutto ciò che riguarda il soddisfacimento dei bisogni primi dell'uomo individuo. In tale materia essi stabilivano, e con loro possiamo stabilire ancor noi, come canone di giustizia naturale, essere l'uomo libero interamente all'operare, purché non offenda i diritti altrui. E poiché mezzo di sostentamento è la professione che si sceglie; poiché diritto personale è la propagazione di una famiglia; libera debba essere la scelta della professione (39), la scelta del coniuge.

19. Questa libertà è per l'individuo un diritto, ed ogni diritto è per sé inviolabile. Indarno verreste a dirmi col Consigliere di Prussia Beausobre che lo Stato ha bisogno che io mi mariti per propagare soldati; che io mi nutrisca abbondantemente per contribuire alla pubblica sanità; che io mi faccia pittore per promuovere le arti o attore perché non manchino istrioni sulla scena. La, libertà nel propagare una famiglia, nel sostentare la persona, nello scegliere la professione, è un diritto conceduto a me dalla natura, in cui lo Stato non può entrare per altro, se non per difendere la libertà nell'usarlo. Dirmi che egli ha bisogno di legarmi cotesta libertà egli è un ridurre il diritto sotto il dominio della forza; un sacrificare la persona, che è fine, allo Stato che è sussidio pel fine.

20. Il fin qui detto vi spiegherà due fenomeni che sogliono mettere a rovello certi cervelli più capaci di udir parole, che di comprendere verità.
Questi, udendo da un canto i liberali parlare continuamente ed enfaticamente di quell'inestimabile tesoro che è pei popoli la libertà e l'indipendenza, ne inferiscono non potere a meno che sotto Governi libertini la libertà abbia ad essere retaggio prezioso dell'universale, sicché ogni provincia, ogni comune, ogni individuo abbiano ad usufruttuarne con liberissimi sforzi le conseguenze. Ma ohimè! Appena poi ricercano nella realtà l'idea, trovano precisamente il quadro al rovescio: nell'Inghilterra maestra di libertà trovano il proletario sepolto nei cenci, l'Irlanda decimata dalla fame, nella Svizzera, modello di libertà, trovano un popolo cattolico governato a sassate da un branco di Radicali: e se così vadano scorrendo il Portogallo, la Spagna, la Sicilia, il Piemonte ecc.; per ogni dove incontrano il popoletto gridato Sovrano, ma ridotto a languire nei cenci. In Roma all'opposto, ove meno si parla di libertà e di sovranità del popolo, l'agiatezza di questo è sì evidente, che i pretesi filantropi non cessano di rimproverare a Roma, d'esser l'asilo, il trionfo e quasi dissi il regno degli accattoni (40).
Or donde tanta diversità fra le dottrine e la realtà degli effetti? La causa potete averla evidente in ciò che finora abbiamo spiegato: la dottrina eterodossa che parla di libertà di popoli riguarda costoro come un ente collettivo, e purché cotesto ideale grandeggi; poco bada al sacrifizio di migliaia di vite. Il Cattolicismo all'opposto riguardando l'ente collettivo qual mezzo e la persona qual fine, prima vuole salvo il fine, la persona, poi le procaccia il sussidio quanto può maggiore, perfezionando anche l'ente sociale. A dirla in breve formoletta, nel Cattolicismo lo Stato viene ordinato al bene della persona; nella eterodossia la persona è sacrificata al bene dello Stato. Qui lo Stato sarà ricco, potente, indipendente; ma il più delle persone è povero, abbietto, oppresso: nel Cattolicismo all'opposto ogni persona gode quella dose di libertà che per giustizia le compete; ma a condizione che lo Stato, pago di quelle contribuzioni che per giustizia ciascuno gli deve, rispetti nei cittadini la libertà degli averi e non pretenda grandeggiare a spese loro, se non quando essi, spontaneamente, volendo maggiore grandezza, contribuiscano maggiori sussidi. Ma delle gravezze si parlerà altra volta: passiamo ad esaminare il secondo fenomeno di che strabiliano certe teste superficiali.

21. Queste «come va, dicono, che gli Stati eterodossi tanto si vantaggiano per ricchezza, potenza, agiatezza, forbitezza e delizie sopra le società cattoliche? Se la dottrina di queste fosse la vera, non dovrebbe ella produrre anche in queste tutti i pregi più eletti di perfezione civile?»
No, non può produrli, almeno comparativamente: sarebbe contro natura che le società eterodosse, sacrificando spietatamente la persona e tutte le sue attribuzioni allo Stato che ne diviene tiranno, e gli interessi morali ai materiali, non ottenga in vantaggio di questo (vale a dire in vantaggio di pochi oligarchi, Lords, banchieri, avvocati, ecc.) una qualche parte di quei beni materiali, dei quali vengono spogliati i dabbene, i deboli, i semplici e tutti insomma coloro che non possono o non vogliono usare prepotenza per innalzarsi.
Lo vedete, lettore: cotesti due fenomeni ottengono dalla dottrina proposta un'evidente spiegazione. I libertini predicano libertà e sovranità del popolo: e il popolo perde ogni libertà e ogni diritto sotto il governo dei libertini: il Cattolicismo possiede solo i veri principii ed elementi di buon governo e di vera felicità personale dei sudditi; eppure la splendidezza degli agi e delle ricchezze pubbliche è materialmente maggiore nelle società eterodosse. La spiegazione dei due fenomeni che sembrano paradossi risulta dai due principii, fondamentali di politica. Il principio cattolico dice: rispetto alla persona; l'eterodosso dice: idolatria dello Stato.
Ma da questa digressione torniamo al nostro tema.

22. Abbiamo appoggiate le nostre dottrine intorno alla libertà personale sopra l'autorità del principe degli antichi teologi; parli adesso uno dei più stimati economisti viventi. Il ch. Molinari nell'articolo Liberté du Commerce (Dictionnaire de l'économie politique) ricercandone al primo paragrafo le basi naturali, ricorre appunto alla necessità dell'esistenza, alla necessità di una professione per provvedervi. Pour subvenir a ces nécessité de son existence l'homme dispose d'UNE portion de la creation, il est armé de facultes ….L'échange appparait donc comme une nécessité dérivant de la nature de l'homme et des circostances au sein desquelles il se trouve placé, et la liberté d'échanger n'est pas moins que celle de travailler, d'institution naturelle. Vedremo a suo tempo fin dove si estenda cotesta liberté d'échanger. Per ora ne basta aver notato l'identità delle basi assegnate da lui e da noi alla libertà economica.

23. Lontanissimo all'opposto da questi principii è lo Stuart Mill, scrittore nel concreto dell'economia. peritissimo, ma nei principii teorici singolarmente superficiale, e però titubante e indeciso. Egli cercando limiti alle influenze del Governo, ne sente confusamente il bisogno, ma come determinarli? L'incertezza, l'elasticità dei vocaboli che adopera lo mostrano impacciato come un pulcino nelle stoppie. Parli egli stesso.
«Evvi tal parte della vita, nella quale l'individualità d'ogni uomo ragionevole dee regnare franca da ogni censore, sia questo un altro individuo, sia l'occhio del pubblico collettivamente preso. Chiunque professi il menomo rispetto per l'umana libertà o dignità riconoscerà dovervi essere nella nostra esistenza uno spazio murato, un asilo inaccessibile a qualsivoglia intervenimento indiscreto dell'autorità (à l'abri de toute intervention indiscrète de l'autorité).
Notate, lettore, in primo luogo quel ricorso al rispetto per l'umana libertà, invece di ricorrere al diritto, alla giustizia, e recarne le prove. Esso dimostra che l'Autore ha un certo sentimento confuso, e condiscende a questo sentimento condannando chi non ne sente le medesime impressioni. Ma chi negasse la libertà economica riderebbe della sua condanna. E non avrebbe forse torto, vedendo l'oscurità di quel linguaggio metaforico une portion de la vie, un espace muré. Capite voi qualche cosa di ben chiaro e determinato in coteste locuzioni figurate? E quella proibizione di ogni intervenimento indiscreto, vedete come dice e disdice! Forsechè fuori dello spazio murato è lecito l'intervenimento indiscreto? E se questo non è mai lecito, che bisogno abbiamo di quel muro per escluderlo? Ognuno vede che l'ogni e il muro sono in favore della libertà, l'indiscreto è per rivocare la concessione. Ma proseguiamo.
Come determinare, continua, questo territorio riservato? Credo (notate come la frase è dubitativa), credo che potrebbe comprendere tutto ciò che è relativo alla vita interna o esterna del solo individuo e non tocca agl'interessi altrui se non forse colla influenza morale dell'esempio. In quanto poi a coscienza, a pensieri, a sentimenti e a tutto l'esterno della vita personale che non riesce o penoso o nocivo ad altrui, tutti i Governi (e più strettamente i più perspicaci e inciviliti) debbono pronunziare risolutamente la loro opinione intorno al bene o al male, al pregevole o al vituperevole, ma senza pretendere legare alla loro opinione il pubblico con mezzi né legali, né estralegali (41). Così il Mill: e voi vedete che il giudizio nostro non è stato soverchiamente severo. Io credo che dovrebbe! Quando mai uno scienziato ha stabilita la sua teorica sopra un atto di fede, e fede così incerta come si esprime da quel dovrebbe? Dovrebbe riservarsi la vita interna o esterna dell'individuo che non ha sugli altri influenza, se non morale, per via di esempio! Lo scandalo dunque non potrà vietarsi? E la vita isolata dell'individuo si può dubitare che non debba essere libera?
E quell'obbligo ai Governi perspicaci di farla da maestri di morale, senza usare l'autorità e colla gran probabilità di far ridere di sé, mentre vogliono dare direzioni alle coscienze, ai pensieri e ai sentimenti! Vedete che oscillare continuo di chi vorrebbe concedere libertà, ne sente i pericoli e non sa come evitarli.
Questa libertà poi si concede, purché non abbia per altrui conseguenze penose o nocive. Ma se ad altri riuscisse penoso che io porti vesti di seta o cammini in cocchio dorato, il Governo avrà diritto di vestirmi di lana e mettermi a piedi?
E che diremo di quel dovere dei Governi di dichiarare le loro opinioni morali con tutta la forza, di cui sono capaci? Non vi pare un dovere egualmente inutile e ridicolo? Questo dovere peraltro è imposto ai Governi perspicaci e civili. Trovatemi un Governo che si dica da sé stesso ignorante e barbaro, e lo Stuart lo dispensa dall'obbligazione. Ma lasciamo coteste inezie e torniamo al diritto della persona in tutto ciò che riguarda il suo sostentamento e perfezione.

24. Il diritto di libertà personale fin qui spiegato, non riguarda soltanto l'uomo isolato e fuori della società. L'ordine delle azioni nulla ha che fare coll'esterno collocamento dell'operante. Che io. mi trovi nel centro di Londra o di Parigi, che mi trovi nei deserti del Saara, l'ordine delle azioni rispetto al loro fine è sempre il medesimo; sempre e per ogni dove io sono quel che sento il bisogno del cibo e delle vesti e che so commisurarvene la quantità; io che sento il coraggio ovvero la ripugnanza di addossarmi una famiglia; io che conosco quanto lucrano al giorno le mie braccia per mantenerla; io che comprendo quali abilità mi trovi per questa o per quell'altra professione. Stabilito dunque, come abbiamo fatto, per base del diritto di libertà economica, il dovere imposto dalla natura di conseguire un fine, e i mezzi per natura richiesti ad ottenerlo, io che ho l'obbligo del fine, ho il diritto a scegliere liberamente i mezzi, benché mi trovi nella più grande delle capitali, nel più popolato dei Regni. E quegli economisti che vogliono concedere allo Stato mille ingerenze vessatrici sulle persone, sulle famiglie, sui municipii, sulle province, giungono a questo dispotismo per una deplorabile ignoranza del vero principio d'ordine. Se conoscessero questo, distinguerebbero assolutamente l'ordine personale dal domestico, il domestico dal comunale, dal provinciale, dal nazionale ecc.; e capirebbero per conseguenza che, siccome ciascuno di cotesti ordini ha il suo fine rispettivo e l'autorità destinata a conseguirlo; così cotesta autorità ha il diritto di usare liberamente al suo fine i mezzi proporzionati, finché non abusa codesta libertà a danno altrui o con detrimento del fine, come vedremo più innanzi.

Questa libertà, come vedete, tutta dipende dal ben comprendere che l'autorità è facoltà ordinatrice e non già padronanza. Questa usa liberamente la cosa sua, per proprio bene, come più le attalenta: l'Autorità regola quelle azioni di tutti che sono richieste a conseguire il fine sociale. Quando non sono richieste a questo fine, escono dalla sfera di sua competenza, e l'Autorità non ha per conseguenza verun diritto di ristringere la libertà delle persone o delle corporazioni subordinate.

NOTE

28. Parliamo di operazione o serie di operazioni, perché tutto ciò che verremo dicendo potrà riguardare ora una operazione sola (il coniugio p. e, atto momentaneo ma d'importanza suprema), ora una serie di operazioni ossia una funzione, come sarebbe l'educazione dei figli, lo stato o professione di vita ecc. Appelliamo poi facoltà economiche gli averi e l'opera in quanto sono o ricchezze o produttivi di ricchezza.

29. Non è chi non vegga trattarsi qui di quei parenti che adempiono i doveri di natura. Non si esclude dunque l'ingerenza delle autorità superiori in caso di delitto, d'impotenza ecc. Come la società pubblica è tutrice in simili casi degli altri diritti privati, senza che per questo ne sia personalmente investita; così, ella può essere tutrice dei figli contro la scelleraggine di un padre che ne corrompa la morale o ne venda (come avviene più volte in Inghilterra) la vita, senza essere per questo l'educatrice naturale dei pargoli e dei giovanetti.

30. Il Governo p. e. se è protestante, giudicherà utile al pubblico che s'insegni eresia ai Cattolici; utile che si costringano i padri a mandare i figli alla scuola eterodossa; utile che la carità dei Cattolici si affidi alla beneficenza eterodossa; utile che si rubi al clero ricco per dare al povero, che si trasformino le terre in cedole, le monete in carta, i beni comunali in proprietà private: insomma ogni tirannia è utile a chi tiranneggia.

31. Già sanno i lettori altra essere la regola prossima e applicatrice (coscienza), altra la remota e applicabile (legge): sicché non c'è pericolo che confondano la libertà di coscienza cristiana che applica alle opere la legge di Dio, colla libertà eterodossa che ricusa ogni legge.

32. Diciamo qualunque mezzo onesto, perché ciascun uomo può essere legato, per vincoli anteriori alla sua volontà, a certi ufficii, da cui sarebbe reso ingiusto l'uso di certe facoltà primitivamente libere. In simili casi il figlio p. e. non potrà vendere liberamente un fondo ipotecato dal padre, il colono non sarà libero a cambiare professione, prima che spiri la ferma ecc.

33. L'altissima filosofia del Vangelo dice: QUOD SUPEREST date pauperibus.

34. Egregiamente il ch. Marescotti «La ricchezza si genera sotto il potere dell'individualità, e nelle mani dell'individualità. La natura produttiva medesima, la quale dà all'uomo molta ricchezza gratuita, la deposita in mano dell'individuo» (Disc. 4° p. 2 Cap. I°. p. 141).

35. Ecco la formola dell'errore condannato. Le droit de propriété est une concession de la souveraineté nationale.

36. Non tenetur inferior suo superiori obedire, si ei aliquid praecipiat in quo ei non subdatur. E quali siano le cose, in cui inferior subditur, lo spiega poco appresso: sicut miles duci exercitus in his quae pertinent ad bellum, servus domino in his quae pertinent ad servilia opera exequenda, filius patri in his quae pertinent ad disciplinam vitae et curam domesticam; et sic de aliis. In somma ad ogni ordinatore nell'ordine del quale egli è capo.

37. Et ideo in his quae pertinent ad inferiorem motum voluntatis, homo non tenetur homini obedire, sed solum Deo.

38. «L'autonomie et l'indépendance des communes aussi bien que des familles doivent etre respectées par le pouvoir, … Le gouvernement le plus fort et te plus hereux n'est pas celui qui fait tout, mais celui qui laisse faire tout ce qui ne compromet pas la justice et l'ordre public». Dopo questi ed altri passi dell'illustre Teatino, il Passy quasi attonito che un cattolico e religioso osi parlare di libertà economica, soggiunge: C'ést assez pour aujourd'hui d'avoir pris acte de ces déclarations sur un point essentiel…. et ce n'est pas rien, on en conviendra, que d'avoir dàns son symbole un article au moins, et le premier, qui soit à l'abri des censures de l'Univers.

39. Avvertite a non confondere la professione, mezzo di sostentamento coll'ufficio, cui il pubblico attribuisce uno stipendio per compensare la perdita degli altri mezzi. L'ufficio può essere imposto, perché mira al fine sociale; la professione no.

40. Chi vuol ben comprendere la forza del paragone qui stabilito, legga il Margotti Roma e Londra, ricordandosi che l'opera è tratta in gran parte da documenti ufficiali, checchè ne dicano coloro che hanno interesse a screditarla.

41. Tom. II, pag. 546 e 547.