Il Sacro Cuore e i defunti

Dal “Libro della grazia speciale” di S. Metilde. Delle anime liberate. Pregare per i defunti. Inferno e purgatorio

CAPITOLO XVI

DELLE
ANIME LIBERATE DALLE SUE PREGHIERE.


Nel giorno della commemorazione delle anime dei defunti, Metilde voleva pregare, ma ne fu impedita da una preoccupazione ostinata rispetto ad una persona di cui conosceva lo stato deplorevole. E d’un tratto vide il Signor Gesù che, sospeso in aria con le mani ed i piedi legati, diceva: “In questo modo mi lega l’uomo, ogni qual volta pecca mortalmente e così mi tiene legato finché persevera nel suo peccato”.
Il Signore le apparve ancora sotto la forma di un giovane di gran bellezza, meravigliosamente ornato a guisa di grazioso fidanzato. Tra altri ornamenti aveva sul petto tre preziosi gioielli: il primo significava l’eterno desiderio di cui di continuo Dio arde per il bene dell’anima; il secondo l’amore del suo divin Cuore. amore ardente ed immutabile quantunque l’uomo resti tiepido e non abbia per Lui nessun amore; il terzo esprimeva quella compiacenza del Divin Cuore, della quale sta scritto:
Deliciae meae esse cum filiis hominum, Le mie delizie sono di stare con i figli degli uomini .
Egli portava pure una cintura d’oro, per significare il vincolo di amore col quale stringe le anime in una unione ineffabile. E il Signore disse a Metilde: “Così sono legato con l’anima che mi ama”.
Attirando la Santa presso di sé, il Signore la condusse in un ameno giardino, situato in alto vicino al cielo. Là vi era una folla di anime sedute ad una gran mensa dal lato di settentrione. Il Signore si degno di avvicinarsi per servire Lui stesso a questa mensa, sotto forma di cibi e bevande, le preghiere dell’Ufficio, che si recitano in coro e tutti gli uffici celebrati in quel giorno nella Chiesa universale. L’anima che vedeva tutte queste cose aiutava il Signore a servire i commensali.
Cantandosi il versetto Si quae illis sint dignae, Domine, cruciatibus culpae, tu eis gratia lenitatis indulge: Se in quelle anime vi sono colpe degne di tormento, Voi, o Signore, con la grazia della vostra pietà perdonate loro, ella disse a Dio: ” Che cosa può giovare a quelle anime questo versetto, o mio Signore. poiché godono di un sì gran gaudio? “. Ed ecco, svelando sé stesse quelle anime, Metilde nel cuore di ciascuna vide una specie di verme, il quale aveva una testa di cane e quattro zampe e rodeva questi cuori, straziandoli con le unghie.
Il verme era la propria coscienza di ciascuna, giustamente raffigurata dal cane, che è un’animale fedele, perché la coscienza rode e consuma l’anima col rimproverarle le sue infedeltà verso un Dio così tenero e buono, infedeltà per le quali dopo la morte non ha potuto volare a Lui senza impedimento.
Le zampe davanti significavano le colpe contro i precetti del Signore per le quali l’anima dopo la morte viene cruciata. Le zampe di dietro figuravano i cattivi desideri e le perverse vie che allontanano l’anima dal suo Dio. Quel verme aveva una lunga coda, per alcune, liscia e piatta; per altre, ruvida ed irta di grossi peli. Questa rappresentava la fama che ognuno lascia dopo di sé in questo mondo. In coloro che si erano acquistato una buona fama, il verme aveva una coda tutta piatta e l’anima soffriva meno; ma in quelli che avevano lasciato una cattiva fama, quella coda era pelosa e ritorta, e ciò accresceva il loro tormento.
Questo verme non muore mai, e l’anima non può esserne liberata prima di entrare nel gaudio del Signore per unirsi a Dio con una alleanza indissolubile.
La Santa con tutte le sue forze prego il Signore perché a quelle anime volesse concedere un perdono completo e prenderle nella gloria della sua luce. E d’un tratto quei vermi; cadendo dai cuori di quelle, morivano; e le anime, con grande allegrezza, se ne volavano nelle delizie eterne.
Dopo questa visione Dio la condusse a vedere il purgatorio ed i tormenti che vi si soffrono; Essa vide certe anime che sembravano uscire dall’acqua tutte inzuppate; altre sembravano uscire dal fuoco, orribilmente bruciate e deformi. Mentre pregava per esse, quelle anime uscivano dai loro tormenti, riprendendo la forma che avevano sulla terra, e passavano in quel bel giardino dal quale erano uscite le prime.


CAPITOLO XVII

COME SI POSSA PREGARE
EFFICACEMENTE PER I DEFUNTI


Un giorno in cui la Santa aveva fatto la Comunione e offerto a Dio l’Ostia preziosa per la liberazione delle anime, la remissione dei loro peccati e la riparazione delle loro negligenze, il Signore le disse: “Reciterai per esse il Pater, in unione con l’intenzione che ebbi nel trarlo dal mio Cuore per insegnarlo agli uomini”. In pari tempo l’ispirazione divina le svelo quanto segue:
Con le prime parole: Padre nostro che siete nei cieli, si deve domandare che venga perdonata a quelle anime la mancanza di amore verso un Padre si adorabile ed amabile.
La sua bontà, infatti, innalzo gli uomini ad un onore così grande che sono chiamati e in realtà sono figli di Dio; ma quelle anime al contrario non lo amarono né lo riverirono degnamente; gli rifiutarono il dovuto onore, spesso lo irritarono coi peccati, scacciandolo dal loro cuore dove Egli aveva fissato di regnare come nel suo cielo. Si deve pregare allora in unione con l’amorosa soddisfazione prestata dal loro innocente fratello Gesù, affinché in riparazione del peccato, il Padre accolga l’amore del divin Cuore del Figlio suo, ricevendo la riverenza e l’onore che gli vennero offerti dall’Uomo-Dio.
Sia santificato il tuo nome; in supplemento della mancanza di rispetto che le anime usarono verso il nome di un Padre così buono; in riparazione del male che fecero nominandolo invano e dimenticandolo, ovvero rendendosi indegne con la loro vita perversa di portare quel nome di cristiano che loro veniva da Cristo, si deve domandare che il Padre si degni di accettare la perfettissima santità con la quale il Figlio suo esalto il nome di Lui in tutti i suoi discorsi, e l’onoro con tutte le opere della sua Santa Umanità.
Venga il tuo regno. Con queste parole Gesù Cristo aveva l’intenzione di domandare perdono per le anime che non avessero abbastanza desiderato il Regno di Dio, né aspirato verso Dio medesimo il quale vuole essere cercato con diligenza, perché in Lui solo si trovano il vero riposo e il gaudio eterno. Si deve pregare allora il Padre di accettare il santissimo desiderio del suo amabile Figlio di aver codeste anime per eredi del suo regno e di riparare col suo amore la loro tiepidezza nel bene.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Non avendo gli uomini preferito la volontà di Dio alla propria volontà, né avendolo amato in ogni cosa, si deve con quelle parole pregare il Padre che dimentichi questa disobbedienza, in virtù dell’amantissimo Cuore del Figlio suo unito al suo nella prontissima sommissione con cui fu obbediente sino alla morte. Metilde conobbe in particolare che le persone spirituali molto peccano contro queste parole: “Sia fatta la vostra volontà”, perché molto di rado offrono pienamente a Dio la loro volontà e quando gliel’hanno offerta, spesse volte la riprendono. Perciò è grandemente necessario di fare menzione di quelle anime in questa domanda, perché la loro negligenza le ritiene, dopo morte, in una grande lontananza da Dio.
Dateci oggi il nostro pane quotidiano. Molte anime non ricevettero il nobilissimo e vantaggiosissimo Sacramento dell’Eucaristia con quel desiderio, quella devozione e quell’amore che si richiede, quindi se ne resero indegne; un maggior numero ancora non lo ricevettero che raramente o non lo ricevettero mai. Si deve pregare il Padre perché accetti in compenso quell’amore infocato, quell’ineffabile desiderio, quella grande santità e devozione con cui Gesù Cristo ci fece questo dono supremo.
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. In queste parole si deve domandare perdono per tutte le colpe commesse dalle anime con i sette peccati capitali e tutti quei che ne derivano, implorando il perdono per quelli che rifiutarono di amare i loro avversari e di riconciliarsi coi medesimi, supplicando il Padre perché in riparazione accetti la preghiera così amorosa che il Figlio suo fece per i suoi nemici.
Non c’indurre nella tentazione; vale a dire, perdonate a quelle anime di non aver resistito ai vizi ed alla concupiscenza, e di essersi volontariamente immerse nel male, acconsentendo al demonio ed alla carne. Si deve pregare il Padre celeste che, in riparazione di tutte queste colpe, accetti la vittoria che Cristo riportò sul demonio e sul mondo; che accetti parimenti tutt’intera la vita santissima del Figlio suo con le sue fatiche e le sue pene, e si degni di liberare quelle anime da ogni male e di condurle al regno della gloria che è Lui medesimo. Amen.
Quando la Santa ebbe recitata alle dette intenzioni l’Orazione domenicale, vide una gran moltitudine di anime rendere grazie a Dio con eterna letizia per la loro liberazione.


* * *


Metilde avendo recitato per un defunto cinque Pater in onore delle sacratissime piaghe di Cristo, come si usa appena ricevuto l’avviso della morte di una persona, desiderava sapere qual sollievo l’anima ne avesse ricevuto. Il Signore le disse: “Ella ne ritira cinque vantaggi. Gli Angeli le porgono, a destra, protezione; a sinistra, consolazione; davanti, le danno la speranza; dietro, la confidenza; e di sopra, il celeste gaudio “.
Il Signore soggiunse: “Chiunque per un sentimento di compassione e di carità intercede per un defunto, ha parte a tutto il bene che nella Chiesa si compie per quello, e nel giorno in cui uscirà da questo mondo, troverà tutto questo bene preparato a sollievo e salute dell’anima propria”.


CAPITOLO XVIII

L’INFERNO E IL
PURGATORIO


Durante la sua preghiera, Metilde vide una volta l’inferno spalancato sotto i suoi piedi, e in quell’abisso una miseria ed un orrore infinito: serpenti, leoni, rospi, cani, orribili spettri di atrocissime fiere le quali crudelmente si laceravano a vicenda. Ella disse al Signore: “O Signore, chi sono questi disgraziati?”.
“Quelli, rispose il Signore, che non hanno mai voluto, neppure per un’ora, pensare a me con dolcezza”.


* * *


Essa vide pure il purgatorio, dove erano altrettanti tormenti quanti sono i vizi di cui le anime su la terra si fanno schiave. Gli orgogliosi cadevano senza posa da un abisso in un altro; quelli che erano stati infedeli alle loro regole ed alla loro professione religiosa, camminavano curvi come sotto un peso schiacciante. I golosi ed i bevoni giacevano per terra, privi di sensi e disseccati dalla fame e dalla sete. Quelli che avevano soddisfatto i loro desideri carnali, si fondevano nel fuoco come la carne ed il grasso sul braciere. Ogni anima soffriva la pena che si era meritata col suo vizio preferito.
Ma quando la Santa ebbe pregato per loro, il Signore misericordiosamente ne liberò una copiosa moltitudine.


CAPITOLO XIX

COME DIO
RIEMPIE L’ANIMA DEL GIUSTO CHE LASCIA IL SUO CORPO


Quando l’anima esce dal suo corpo, se è libera da ogni peccato così da poter subito entrare in cielo, nell’istante medesimo Dio la penetra con la sua virtù divina, tutta la riempie e prende un tal possesso dei suoi sensi che Egli diventa l’occhio per il quale l’anima vede, la luce per la quale vede, e la bellezza ch’essa vede. In tal modo, in una maniera meravigliosa e sommamente deliziosa, Dio nell’anima e con l’anima contempla sé medesimo e l’anima e tutti i Santi.
Egli è l’udito per il quale l’anima sente le parole di Dio piene di dolcezza ed amorevoli come la più materna tenerezza, e insieme la soave armonia di Dio e di tutti i Santi.
Parimenti, in Dio l’anima sente e respira il soffio vivente e divino dei più soavi aromi, il quale da Lui emana e la vivifica per l’eternità.
Dio è il gusto dell’anima, per il quale Egli gusta nella medesima la dolcezza di se stesso.
Dio è ancora la voce e la lingua dell’anima, poiché nel modo più completo e più sublime loda sé medesimo nell’anima e per mezzo dell’anima.
Dio è pure il cuore dell’anima per rallegrarla e rapirla, godendo Egli medesimo, nell’anima e con l’anima, delle proprie inebrianti delizie.
Di più, Dio è la vita dell’anima in maniera che ogni azione dell’anima sembra fatta da Dio in lei.
Così nei Santi si trova adempiuto questo detto: Dio sarà tutto in tutti . Le anime che non sono ancora purificate, dagli angeli ricevono la luce della conoscenza, l’assistenza e la consolazione nelle loro pene.


* * *


Le anime dei dannati, all’uscire dal loro corpo, sono invase dalle tenebre, dall’orrore. dal fetore, dall’amarezza, dalla pena intollerabile, dall’inesprimibile tristezza, dalla disperazione e dalla miseria infinita. Sono in sé medesime talmente corrotte e prive di ogni bene che, quantunque non avessero a cadere nell’inferno e nel potere del demonio, i tanti mali di cui sono in sé stesse ripiene sarebbero già una tortura sufficiente, perché fossero per sempre misere, infelici ed assolutamente prive di qualunque divino conforto.