I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Mescolanza dei buoni con i cattivi.

1.
I buoni non possono essere uniti d’Intenzione con i malvagi.

2. In qual modo i cattivi sono
mescolati con i buoni.

3.
Perché Dio permette che vi siano del cattivi?

4.
Perché Dio permette che i tristi perseguitino i buoni?

5.
Perché Iddio permette che I cattivi prosperino, mentre spesso nega ogni fortuna
al buoni?

6.
Come si discernono i buoni dal cattivi.

1. I BUONI NON POSSONO ESSERE UNITI
D’INTENZIONE CON I MALVAGI. ­ «Avete udito che l’anticristo viene, ma già fin
d’ora vi sono molti anticristi, scrive S. Giovanni. Essi uscirono dalle nostre
schiere, ma non erano dei nostri: perché se fossero stati dei nostri, sarebbero
rimasti con noi; ma ciò avvenne affinché si veda manifesto che a noi non
appartenevano» (I IOANN. II, 19).
   I buoni e i cattivi formano due eserciti:
quelli, l’esercito di Dio; questi, la falange del demonio; e questa divisione
avvenne fin dal principio in mezzo agli angeli. L’amaro, dice S. Cipriano, non si confonde col dolce; le tenebre non si
uniscono con la luce, né la pioggia col bel tempo; né la guerra con la pace; né
la sterilità con la fertilità; né la siccità con l’umidità; né la tempesta con
la calma (Epist. VIII, lib.
I). Così i malvagi non possono stare uniti di animo e di affetto con i buoni
essendo troppo disparati e diversi d’indole, di fede, di lingua, di speranza,
di desideri, di costumi, di condotta…

   2. IN QUAL MODO I CATTIVI SONO MESCOLATI CON I
BUONI. – Nel corpo di Gesù Cristo, che è la Chiesa, i cattivi, secondo il paragone di
Sant’Agostino, sono mescolati e confusi con i buoni, come i maligni umori nel
corpo dell’uomo: quando l’uomo li rigetta, non perde nulla di ciò che gli
apparteneva e si trova bene in salute. Così pure, allorché i malvagi si
separano dal corpo di Gesù Cristo, si conosce dove sia la vera Chiesa, e quali
sono i buoni. La Chiesa,
quando rigetta dalle sue viscere i cattivi, come cibo cattivo, dice: Costoro
sono usciti da me, ma non erano dei miei (Serm.
LXXVIII).

   3. PERCHÈ DIO PERMETTE CHE VI SIANO DEI
CATTIVI? – «Non pensate, diceva S. Agostino, che senza ragione vi siano dei
malvagi in questo mondo e che Dio non possa ricavarne alcun bene; ogni cattivo
è al mondo, o perché finalmente si corregga, o perché serva di esercizio al
buono (Serm. LXXVIII). Perché Dio, essendo la
bontà per essenza, non permetterebbe il male, se non fosse nel tempo stesso
così potente da cavarne del bene (August. Enchirid.,
cap. C) ». Boezio scrive: «Alla sola onnipotenza divina appartiene il far sì che i mali
medesimi si convertano in beni; infatti servendosene in modo conveniente, ne
trae buon risultato (De Consol., lib. IV)».
   Dio permette il peccato e la caduta di
Adamo. Senza la potenza e la bontà del Creatore, tutto per l’uomo era perduto;
ma spiegando questi due divini attributi, Dio promette un Redentore che
riparerà oltre ogni misura l’ingiuria fatta alla divinità dal peccato; così
cambia in felicità e gloria dell’uomo quello che era sua disgrazia e suo
disonore. Perciò la Chiesa
canta: «O colpa fortunata, che valse a noi un tale e così grande Redentore!».
   Non vi fu né vi sarà mai un delitto così
enorme come il deicidio commesso dai Giudei. Eppure, o abisso della sapienza e
della benignità divina! da questo orrendo misfatto, Dio ha ricavato la salute
del genere umano e una gloria infinita… Atroci delitti commisero i giudici e
i carnefici che tormentarono e fecero scempio dei corpi dei martiri; ma Dio li
ha volti a sua gloria, a premio ed esaltazione dei martiri, a trionfo della
religione.
   Nell’Omelia XXIII sui Numeri, Origene
dice: Quaggiù le cose sono casi ordinate, che non vi è niente d’inutile per
Iddio, nemmeno il male. Dio non fa il male; tuttavia non lo impedisce, ancorché
facilmente lo possa; ma si serve del male e di chi lo fa, per cose vantaggiose.
Infatti egli si serve dei cattivi per provare e mettere in onoranza coloro che
si proposero di raggiungere l’incomparabile gloria della virtù. Se fosse
distrutta la malizia dei tristi, le virtù dei buoni non apparirebbero cosi
splendide né cosi eroiche; se la virtù non fosse posta nel crogiuolo delle
prove, non sarebbe né casi grande, né cosi imponente né così meritoria; anzi
non sarebbe più virtù. Origene cita Giuseppe a prova di quello che ha detto.
Togliete, egli dice, la malizia dei fratelli di Giuseppe; togliete l’invidia,
togliete i delitti coi quali amareggiarono il vecchio loro padre, e supponete
che non lo avessero venduto, quante opere non togliete a Dio che resero celebre
la potenza del suo braccio! Infatti, tolto questo. non vi è più nulla di tutto
ciò che Dio ha fatto di stupendo in Egitto, non solamente per mezzo di
Giuseppe, ma ancora per mezzo di Mosè, per procurare
la salute e la gloria del suo popolo. Allora l’Egitto e le circostanti nazioni,
ed Israele con esse, sarebbero perite dalla fame. Non si sarebbero vedute le
grandi e prodigiose piaghe dell’Egitto, né la meravigliosa potenza dimostrata
da Dio per mezzo di Mosè e di Aronne. Nessuno avrebbe
passato il mar Rosso a piede asciutto; nessuno sarebbe entrato nella terra
promessa; il cielo del deserto non avrebbe piovuto la manna, pane miracoloso;
né dai macigni si sarebbero vedute sgorgare abbondanti acque, né sul monte
Sinai si sarebbe promulgata la legge del Signore. Se voi togliete la malizia e
il tradimento di Giuda, sopprimete la passione e la croce di Gesù Cristo. Se
non esistesse la croce, le potenze dell’inferno non sarebbero vinte e
spogliate, non trionferebbe su di loro il sacro vessillo della redenzione. Se
Gesù non fosse morto, non avrebbe avuto luogo né la sua né la nostra risurrezione.
Togliete il peccato, la malizia del demonio, e voi ci togliete la lotta contro
le insidiose armi dell’inferno e, mancando il combattimento, manca a noi
l’occasione e la speranza della vittoria e della corona. Se non avessimo
avversari, non ci sarebbero persecutori, e quindi neppure ricompense per i
martiri; il cielo non si aprirebbe a ricevere i vincitori e quell’istante di
tribolazioni di cui parla S. Paolo. non sarebbe più coronato da un peso immenso
di gloria eterna. E dunque spettacolo veramente magnifico e infinitamente
meraviglioso, il vedere Dio che si serve di strumenti cattivi per un’opera
buona e perfetta.
   «Il bene combatte contro il male, dice il
Savio, la vita contro la morte, il peccatore contro il giusto»  (Eccle.
XXXIII, 15). Ma perché fra gli uomini Dio ne sceglie di quelli che benedice e
santifica, ed altri lascia correre per la via della perdizione, atterrandoli
col fulmine della sua maledizione e della sua vendetta? Per più ragioni Dio fa
così: 1° affinché le persone pie si trovino in opposizione con gli empi e la
pietà riesca trionfante dell’empietà, lasciando libero campo alla libertà
individuale… 2° Acciocché alla vista del disonore e dell’infamia che
accompagnano l’empio risalti meglio l’onore, la dignità, la bellezza. l’eccellenza
e la gloria dell’uomo virtuoso… 3° Per manifestare nei buoni e nei santi le
ricchezze della sua misericordia e della sua grazia e per mostrare nei cattivi
la potenza della sua giustizia… E’ osservazione di S. Agostino che gli
animali nocivi sono utili all’uomo, sia perché lo puniscono giustamente, sia
perché lo esercitano salutarmente, e sia perché lo
provano per il suo bene, sia perché lo ammaestrano senza saperlo (De Civ. Dei). Il medesimo si può dire
dei cattivi rispetto ai buoni. Anche S. Agostino è del parere di Origene, che
il male del peccato torna a bene dell’uomo e dell’universo, perché la virtù
messa a confronto del vizio. risplende di più; e perché il male della colpa
diventa principio del castigo che è un bene; e perché questo male porta l’uomo
a pentirsi e Dio a perdonargli (De lib. arb. lib. III, c. IX).
   La morte di Gesù Cristo diventò rimedio alla
nostra morte, perché la morte del Salvatore ha ucciso la morte dell’anima e ci
ha dato la vita eterna. Secondo il medesimo principio, bisogna cercare il
rimedio a ogni avversità e croce nell’avversità e nella croce, ma
principalmente nella croce di Gesù Cristo…
   «Dio non avrebbe creato, dice S. Agostino,
né un solo angelo, né un solo uomo, che avesse preveduto dover riuscire cattivo
se non avesse saputo come servirsene per utilità dei buoni, e non avesse
preveduto che dell’ordine dei secoli avrebbe composto un ammirabile canto alla
sua provvidenza (De Civit. Dei, 1. II, c.
XVIII)».
   Quaggiù vediamo combattere, scrive S.
Isidoro, la modestia contro la sfacciataggine; la purezza, contro
l’impudicizia; la schiettezza, contro la finzione; la virtù contro il delitto;
la costanza, contro la crudeltà; l’onestà, contro il disonore; la più
riguardosa continenza, contro la più sfrenata dissolutezza; l’equità, la
giustizia, la temperanza, l’eroismo ed ogni maniera di virtù, contro
l’iniquità, l’ingiustizia, la virtù, la temerarietà, ed ogni genia di vizi. Si
vede lottare l’indigenza con l’abbondanza, il buon senso con la follia, la
speranza con la disperazione. Spettacolo sublime, la lotta dei buoni contro i
cattivi! Spettacolo vergognoso e crudele, la guerra dei cattivi contro i buoni!
Gli assalti dei tristi temprano a vigorosa saldezza le virtù dei pii, loro
procurano una morte che li conduce al cielo, meriti senza numero, ricchezze,
corone e onori infiniti; dànno ai buoni Dio medesimo
per eredità in eterno (Origen. lib. II, c. 1).
   Ci piace ripeterlo: se non ci fossero stati
dei malvagi, Gesù Cristo non sarebbe morto…; se non vi fossero stati degli
empi, milioni di martiri non sarebbero mai giunti alla gloria, all’onore, al
premio a cui giunsero…; senza il peccato, la verginità non avrebbe merito…
I mali si cambiano in beni per i buoni; i beni si convertono in mali  per i cattivi. Il patibolo sul quale fu
appeso Aman fu veramente per lui un male, ma fu la
salvezza e la vita per gli Ebrei; tanto è ingegnosa, potente ed efficace la
volontà di Dio! Questo fece dire a S. Agostino quelle ammirabili parole:
«Grandi sono le opere del Signore e rispondenti ad ogni suo volere; di modo che
non avviene nulla al di fuori di questa volontà, non escluso ciò che si fa
contro di essa, poiché questo non succederebbe se essa non lo permettesse; né
lo permette a suo malgrado, ma volendolo (De Civit.
lib. XXII, c. I)».
   Dio ha regolato,
disposto, ordinato tutte le cose in modo che perfino i mali riescano a
vantaggio dei buoni, e i beni di nocumento ai cattivi i quali ne abusano e ne
fanno risultare la loro disgrazia… Nel libro delle Sentenze di S. Agostino si
trova la seguente, veramente sensatissima: «La volontà di Dio è la causa prima
e suprema dei movimenti di tutti gli esseri corporali e spirituali. E in fatti,
nell’immensa ed universale repubblica degli esseri creati, nulla si fa in modo
visibile e sensibile, che non sia già decretato e permesso nella invisibile e
incomprensibile aula del sommo Signore e conforme all’ineffabile giustizia
delle ricompense e dei castighi, delle grazie e delle retribuzioni. La ragione
immutabile nella quale si trova simultaneamente al di fuori del tempo ciò che
avviène a diverse riprese nel tempo, conosce e dispone l’ordine di tutte le
cose mutabili; intanto, per mezzo dei cattivi, Iddio forma ed ammaestra i
buoni; impiega la potenza transitoria di coloro che saranno condannati
all’inferno, a educare e perfezionare quelli che sono chiamati a godere
dell’eterna liberazione (Sentent. LVIII)».
 
   4. PERCHÈ DIO PERMETTE CHE I TRISTI
PERSEGUITINO I BUONI? – Impariamo innanzi tutto, che è nostro dovere ammirare e
venerare, non già investigare da curiosi i segreti giudizi per i quali Dio
permette ai malvagi di perseguitare i buoni. Senza tuttavia pretendere di
penetrare i consigli dell’Altissimo, due ragioni ci possono illuminare su
questo mistero.
   1° Dio permette le malvagità degli empi per
mostrare la sua longanimità, la sua impassibilità e l’elevazione sua al di
sopra di tutte le cose terrene, cioè per far vedere come tutti i delitti dei
perversi non possono né toccarlo, né conturbarlo, né recargli patimento; ma che
essendo la dolcissima, suprema felicità, sta infinitamente al di sopra di tutte
le ingiurie, delle ingiustizie e dei peccati degli uomini. Dio non resta
macchiato dai vizi di coloro che egli nutre e mantiene in vita, come non si
macchia il raggio solare che penetra in una fogna.
   2° Dio tollera che i tristi perseguitino i
buoni, per somministrare a costoro argomento alla pazienza, alla costanza, alla
virtù… Dice a questo proposito S. Agostino (De Civ.
Dei
): «Tutto ciò che i giusti soffrono dai malvagi, non è per castigo di
delitti, ma per prova di virtù. Del resto, anche schiavo, il giusto è sempre
libero; al contrario, anche re, il peccatore è sempre schiavo. Con questa
differenza a danno di quest’ultimo, che egli è servo di tanti padroni, quanti
sono i vizi di cui è schiavo». Chiedendo in altro luogo a se stesso, il santo
dottore, in che modo i cattivi servano ai buoni, risponde: che ciò fanno non
con l’ossequiarli, ma col perseguitarli. I tristi giovano ai buoni, come i
persecutori ai martiri; come la lima o il martello all’oro; come la macina al
frumento. I cattivi si consumano per rendere perfetti i buoni; sono per i buoni
come le legna per l’oro nel crogiuolo; le legna ardono e restano cenere; l’oro
perde la scoria e acquista splendore (Serm.
LXXVIII).
   Gli empi sono nelle mani di Dio la sferza,
con la quale egli come buon padre castiga e corregge le colpe dei suoi figli.
Così, per esempio, ci fa testimonianza Isaia che la collera di Dio si servì di Sennacherib come di strumento per flagellare il popolo
prevaricatore (ISAI. X, 5). Nabuccodonosor è chiamato
da Geremia, la verga vigilante di Dio, o la verga del Dio che vigila (IEREM. I,
11). Attila medesimo aveva tale sentimento della sua missione, e si chiamava
Flagello di Dio.

   5. PERCHÈ IDDIO PERMETTE CHE I CATIIVI
PROSPERINO, MENTRE SPESSO NEGA OGNI FORTUNA AI BUONI? – «Veramente tu, o
Signore, sei giusto, esclama Geremia, tuttavia per qual motivo tutto va bene
per gli empi; sono felici tutti i prevaricatori e gli iniqui? Tu li piantasti e
gettarono radici; crescono e fruttificano: tu sei vicino alla loro bocca, ma
lontano dai loro affetti» (IEREM. XII, 1-2). Il profeta vede la risposta a
questa sua domanda, e se la dà egli medesimo con le parole seguenti: «Radunali
qual gregge al macello; e tienli a parte per il
giorno dell’uccisione» (Ib. 3). Donde si vede
che sembra, a giudicare dal di fuori, che Dio benedica i perversi, ma in
sostanza li maledice. La loro prosperità apparente non è che un sogno il quale
sparirà allo svegliarsi; è di più un castigo, perché li trattiene dal
rivolgersi a Dio…
   Anche Giobbe si
lagnò con Dio della prosperità che godono i malvagi e dell’afflizione in cui
vivono i buoni. Perché, domanda egli, perché dunque vivono gli empi? perché
sono esaltati e godono l’abbondanza? Ma si risponde ben tosto: Ah! essi vivono
nell’abbondanza dei beni, ma eccoli in un batter di
ciglio piombare all’inferno. Essi non sono i padroni dei beni che godono.
Quante volte la vita dell’empio si spegne come una fiamma su cui si soffia!
quante volte la rovina cade loro addosso come fulmine e li annienta! quanto
spesso i castighi della collera divina formano la loro porzione! Essi saranno
come pula innanzi al vento, come polvere tra i vortici di un turbine. I loro
occhi vedranno la loro rovina, ed essi tracanneranno il calice del furore
dell’Onnipotente (IOB. XXI, 7, 13, 16-18, 20).
    Simile a quello di Giobbe e di Geremia è il
linguaggio di Davide: «I miei piedi vacillarono, egli dice, e poco mancò ch’io
non mi sviassi, tanto fu lo sdegno che mi colse vedendo i peccatori godersela
in pace. Per loro non vi sono acciacchi di morte, e tanto vigore è nelle loro
membra che sembrano esenti dalle fatiche e dalle afflizioni umane. Perciò vanno
superbi, vestiti d’iniquità; l’orgoglio e l’empietà trasuda da tutti i loro
pori; ecco che le, case di questi empi, di questi fortunati del secolo
rigurgitano di ricchezze! E avrò io dunque purificato invano il mio cuore, avrà
lavato inutilmente le mie mani con coloro che sono senza macchia?… Ma voi, o
Signore, li avete collocati sopra un terreno sdrucciolevole e li avete
abbattuti mentre s’innalzavano. Come mai, o Dio, caddero preda della
desolazione! Vennero meno ad un tratto; la loro iniquità li trabalzò
nell’abisso. Signore, voi scancellerete l’immagine loro dalla vostra città, li
farete svanire come svaniscono i sogni di chi si sveglia (Psalm.
LXXII, 2-7, 12-13, 18-20). Ho veduto l’empio levato in gloria e potenza più
alto dei cedri del Libano; ripassai e non vi era più; domandai di lui e non se
ne trovò nemmeno più la traccia. Guardate l’innocente, osservate il giusto; il
suo ultimo giorno è la pace, ma il malvagio perisce coi malvagi, e il suo
ultimo giorno è la rovina» (Psalm. XXXVI,
35-36).
   «L’empio soverchia il giusto, dice Abacuc; ma le cose cambieranno, ed egli passerà e cadrà» (Habac. I, 4, 11).
    Molti, accasciati dalle disgrazie che la
divina Provvidenza loro invia, perdono la fede vedendo come, ancorché servano
Dio, la povertà e le afflizioni li perseguitano, mentre gli empi e i dissoluti
sono floridi in mezzo ai loro vizi e incredulità. Imitano i pagani i quali
vedendo la felicità dei tristi e l’infelicità dei buoni, erano caduti in tre
errori grossolani: cioè, alcuni negavano a dirittura l’esistenza di Dio…;
altri ammettendo che Dio esiste, sostenevano poi che egli non si prende nessun
pensiero dell’uomo, né degli eventi umani…; i terzi finalmente concedevano
che Dio esiste ed ha cura del mondo; ma questa cura, dicevano, si limita a
governare le cose in grande senza punto impacciarsi delle particolari e individuali.
Errori mostruosi dai quali però constatiamo con piacere che si tennero immuni
alcuni filosofi. Seneca, per esempio, parlando della
Provvidenza, insegna che nulla in questo mondo è opera del caso, ma che tutto
ciò che pare fortuito, è segretamente disposto e governato dalla sapienza di
Dio (De nat. Deor.
l. III).
   La lunga e divina pazienza dell’Eterno
aspetta gli empi a penitenza; ma finché non vi si risolvono, li punisce con i
rimorsi i quali non sono un leggero castigo delle loro iniquità. Infatti, come
avverte Pitagora, il malvagio soffre di più sotto i colpi della sua coscienza,
che non chi è battuto con verghe e flagellato nel corpo (Anton.
in Meliss.
). Si batte il figlio disobbediente
perché si emendi; Dio flagella l’empio coi rimorsi, affinché muti vita e
riformi i suoi depravati costumi. Se poi ricusa di pentirsi e di mettersi su la
buona via, allora Dio lo punisce in modo che compensa con la gravità del
supplizio, l’indugio del castigo, secondo l’osservazione di Zonara
che lasciò scritto: «Benché la
Provvidenza punisca tardi gli insulti degli empi, lasciando
loro il tempo di fare penitenza, tuttavia se non lasciano la strada del male, a
lento passo li segue, li afferra e li costringe a soddisfare (Anton. in Meliss.)».
   Dio concede le prosperità ai malvagi, per
insegnarci che le ricchezze, le pompe, le felicità del mondo, devono essere
tenute in nessun conto, come cose senza valore e un vero nulla. È questa
la 

ragione
per cui lo vediamo largheggiarne con i suoi nemici, e negarle agli amici…
Dice S. Agostino: Quand’anche aveste la sapienza di Salomone, la bellezza di
Assalonne, la fortezza di Sansone, la longevità di Enoc, i tesori di Creso, la
felicità di Augusto, che cosa vi gioverà tutto questo, se alla fine sarete
divorati dai vermi e tormentati col ricco malvagio nell’inferno perdendo
l’anima vostra? (Sentent.). Ah! terribile
castigo è per il malvagio la prosperità temporale! Costantino Manasse la
paragona al piombo (Lib. III), perché
spesso impedisce all’uomo di galleggiare su l’oceano del male, ma ve lo
inabissa e inchioda al fondo.
   Dio permette che gli empi navighino nel
mondo col vento in poppa, per lasciarli liberi a se stessi e dimostrare come
sia. tremenda la forza della concupiscenza nata dalla colpa originale, forza
che spinge gli uomini a tante rapine, violenze e delitti solo nocevoli all’uomo che li commette, non a Dio contro cui si
commettono. Finalmente, questa condotta della Provvidenza mira a condurre gli
uomini primieramente a riconoscere la loro miseria debolezza, accecamento e
follia; quindi a cercare la grazia e ricorrere alla sapienza del Redentore…
   Inoltre Dio lascia che i malvagi facciano
quello che loro talenta, perché si veda che il tempo presente è il tempo del
merito o del demerito, e che l’eternità è destinata per il premio o per il
castigo. Allora Dio riformerà gli storti giudizi degli uomini; allora
correggerà le loro colpe e ristabilirà la giustizia, secondo quelle parole del
profeta: «Quando sarà giunto il tempo, io giudicherò le sentenze degli uomini»
(Psalm. LXXIV, 2). Ecco perché S. Ambrogio
dice: «Nessuno si congratuli con l’uomo .per il quale tutto va bene, le cui
iniquità non sono riprese da nessuno, ma sono invece lodate da tutti. Guai a
questo tale! appunto allora la collera del Signore tocca il suo colmo; e
bisogna ben dire che abbia irritato oltre ogni misura la giustizia di Dio, se
giunse ad attirarsi questo terribile castigo, di non essere più punito in
questo mondo (Enchirid.)». Ascoltate ancora la
risposta di S. Gregorio: «Dio quaggiù punisce alcune colpe e altre ne lascia invendicate; perché se non ne punisce nessuna, si potrebbe
credere che non si curi punto delle cose umane; se poi tutto e tutti
castigasse, potrebbe nascere il sospetto che non vi fosse più l’estremo
giudizio (Homil. in Job.)».
   Così grande è la gloria riservata ai giusti,
ai santi, che fa meraviglia come i demoni, gli empi, gli elementi stessi non
congiurino tutti insieme nell’opprimerli e tormentarli, per impedire la loro
gloria futura. Al contrario, le torture che stanno preparate per i cattivi e
per gli empi sono tali, che c’è da meravigliare che non affoghino tra le gioie
di questa terra, e che tutto non si cambi per loro in rose e miele, per
compensare un poco con qualche stilla di felicità, le pene eterne che li
aspettano. Poiché come tutti i patimenti e i dolori di quaggiù non hanno
proporzione con la gloria dei santi, così tutte le gioie, le ricchezze, i
piaceri della terra sono un bel nulla, paragonate ai dolori, ai tormenti che
proveranno i dannati. Dunque, piuttosto che invidiare la prosperità dei tristi,
l’uomo prudente e savio gemerà su la felicità e su l’impunità che godono.
   Ai servi evangelici che lagnandosi col
padrone perché, avendo egli seminato buon seme nel campo, vi fosse cresciuta
l’erba cattiva, si offersero pronti ad estirparla, questi rispose: No: vi
sarebbe pericolo che nell’estirpare la zizzania, si guasti il grano; lasciate
che l’una e l’altro cresca sino alla mietitura; allora io ordinerò ai
mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e, legatele in fasci, gettatele nel
fuoco; il frumento poi portatelo nel mio granaio (MATTH. XIII, 28-30). Si vede
chiaro da queste parole con quanta pazienza Dio tolleri e sopporti i cattivi;
ma si vede anche come si prepari a schiacciarli più tardi sotto il peso di una
rigorosa giustizia…
   S. Agostino, commentando queste parole,
dice: Noi sappiamo che vi sono nella Chiesa dei buoni e dei cattivi che
chiamiamo frumento e paglia. Nessuno lasci l’aia prima di tempo, ma sopporti la
paglia nell’aia e nel vaglio, con certezza di non averla più a fianco nel
granaio. Verrà il vagliatore che scevererà i buoni dai malvagi. Già fin dal
presente tra gli uni e gli altri vi è la separazione spirituale; si farà un dì
anche la corporale. Per ora sia vostro studio di non avere simiglianza
di condotta con gli empi, ma non toglietevi dal loro consorzio, procurando di
correggere quelli che da voi in qualche modo dipendono, con l’avvertirli,
istruirli, esortarli. Il cattivo non può nuocervi quando voi anzitutto non
approviate la sua condotta, e poi lo riprendiate. Chi si regola in tal modo non
comunica coi tristi, né li approva. Non prendete parte alle opere sterili delle
tenebre, dice S. Paolo, anzi condannatele. Che cosa significano queste parole?
È come se l’Apostolo dicesse: non appoggiate le opere dei cattivi, non
lodatele, non approvatele, non abbiatevi parte col vostro assenso, non siate
così negligenti che non le biasimiate, ma nemmeno così orgogliosi di rivestire
con l’ingiuria il vostro biasimo (Serm.
LXXVIII).
    Non si rallegrino gli empi e i cattivi,
della prosperità in cui vivano, né di quella specie d’impunità di cui pare loro
di godere; Dio li pagherà secondo i loro fatti. «Ancora un poco di tempo, dice
il Salmista, e l’empio non sarà più; cercherete del suo luogo e non ne
troverete più la traccia» (Psalm. XXXVI, 10).

   6. COME SI DISCERNONO I BUONI DAI CATTIVI. –
Due cose, dice il cardinal Bellarmino, fanno vedere
ciò che avviene nell’interno dell’uomo: l’occasione di operare in secreto, e il
tempo dell’avversità. Vi sono parecchi i quali sono interiormente guasti e
mostrano all’esterno di essere assai sani. Se loro si porge il destro di fare
il male di nascosto, se non corrono rischio di venire scoperti, allora la
malvagità loro trapela. All’opposto i buoni si mantengono sempre i medesimi, in
pubblico e in segreto. Nelle prosperità, talora riesce difficile differenziare
il buono dal cattivo; ma quando avvampa e crepita il fuoco della tribolazione e
della persecuzione, allora l’oro splende e la paglia fuma. Dei buoni il
Salmista dice: «Voi, o Signore, avete messo alle prove il mio cuore e mi avete
visitato la notte (cioè quando poteva peccare in segreto); voi mi avete
saggiato al fuoco della tribolazione, e non fu trovata in me iniquitade» (Psalm. XVI,
4). Quale poi sia l’interiore dei tristi, lo palesò Dio al profeta Ezechiele
(VIII, 8, 10) quando gli ordinò di atterrare la muraglia e di entrare dentro.
Avendolo egli fatto, gli si pararono allo sguardo grandi immagini di ogni
specie di rettili e di animali, e l’abominazione e gli idoli  (BELLARM. Commento in Psalm.).
   Il pilota si conosce in mezzo alla tempesta,
dice S. Cipriano, e il soldato sul campo di
battaglia. L’albero che getta profonde le radici nel suolo, resiste all’urto
dei venti; la nave i cui fianchi sono solidamente costrutti, è flagellata dalle
onde e dai marosi, ma non sommersa (Serm. IV de Immort.). Così nelle tribolazioni i giusti si mantengono
pazienti, rassegnati alla volontà di Dio e crescono in virtù; i cattivi al
contrario brontolano, mormorano, bestemmiano, maledicono, e spesso, cedono ai
funesti consigli della disperazione!